“Comincia un anno nuovo. Se solleviamo lo sguardo incontriamo orizzonti appesantiti da grosse
nuvole che minacciano tempesta. Che fare? Arrendersi, scappare, deprimersi, disperare? La
tentazione c’è, ma pure qualcosa ci dice che dobbiamo dare un calcio ai lamenti e ai mugugni se
vogliamo entrare nell’anno nuovo col piede giusto”
così D. Maraini che ci invita, nonostante tutto a guardare con speranza al futuro e al nuovo anno che oggi inizia; ha delle parole convincenti:
Quando la speranza ci fa rischiare
di Dacia Maraini
in “Corriere della Sera” del 31 dicembre 2013
Comincia un anno nuovo. Se solleviamo lo sguardo incontriamo orizzonti appesantiti da grosse
nuvole che minacciano tempesta. Che fare? Arrendersi, scappare, deprimersi, disperare? La
tentazione c’è, ma pure qualcosa ci dice che dobbiamo dare un calcio ai lamenti e ai mugugni se
vogliamo entrare nell’anno nuovo col piede giusto. Vogliamo cominciare con una parola desueta e
impopolare? Una parola screditata perché apparentemente morbida e fragile. Ma che pure ha un
cuore di ferro. La parola speranza. Che ad alcuni suscita un risolino beffardo, ad altri uno sbadiglio
di noia. Ma pure bisogna riconoscere che senza speranza la realtà la si imbalsama come fosse un
corpo morto. Un corpo dal cervello piatto che, nell’euforia dell’onnipotenza tecnologica, teniamo in
vita pompando sangue dentro vene inerti.
Ma davvero è quello che vogliamo? Eraclito, che non era certo un ottimista, diceva che «senza
speranza è impossibile trovare l’insperato». Sperare infatti non vuol dire mettersi a braccia conserte
ad aspettare la manna dal cielo, ma rimboccarsi le maniche e darsi da fare. «Se ti trovi davanti due
strade», scrive Terzani, «una che va in su e una che va in giù, prendi sempre quella che sale». La
discesa è più facile, certo, ma di solito ti porta in un buco. Andare in salita è faticoso, ma è una sfida
e ti porta in alto. Pur sapendo che la speranza, come dice Bernanos, è piena di rischi. È addirittura
«il rischio dei rischi». Ma se non rischi e ti fermi impaurito, alla fine sarai travolto. Perché, come ci
suggerisce quella piccola cosa poetica che è l’orologio, tutto corre e si muove e chi resta fermo
viene spazzato via dalla gran scopa della storia. «La speranza è una cosa dotata di ali», pare di
sentire la voce maliziosa e intelligente di Emily Dickinson, «che mette su casa nello spirito e canta
un canto senza parole e non si ferma mai». Con quel poco di voce che ci è rimasta, ci tocca cantare,
se vogliamo che qualcosa in noi voli. Il pericolo della stasi, suggerisce Naomi Klein, sta nel creare
vuoti. «La politica odia il vuoto. Se non è pieno di speranza, qualcuno lo riempirà di paura». E la
paura fa sognare draghi dalle mille teste che soffiano fuoco. Per tagliare quelle teste, ci armiamo e
partiamo verso guerre inutili e micidiali. La paura arma la mano del razzista, del fanatico, del
guerrafondaio.
Faccio gli auguri alle persone che sanno sperare, come suor Rita e le sorelle di Casa Rut che
raccolgono le prostitute minorenni per le strade di Caserta, come gli organizzatori del teatro del
carcere di Latina guidate dal generoso Giorgio Maulucci, come il magistrato Di Matteo che sfida la
mafia e le sue minacce oscene, come a tutti coloro che, anziché nascondersi dietro il luogo comune
«tanto non c’è niente da fare, tanto sono tutti uguali», prendono per mano la vita come fosse un
bambino e si incamminano verso una salita impervia con cuore allegro