il ‘barbone’ guardato con imbarazzo e fastidio era il vescovo

in Colombia il vescovo si traveste da senzatetto

“ho capito la solitudine e l’indifferenza”

Tutti attendevano mons. Carlos Quintero, al convegno di Pastorale sociale, svoltosi qualche giorno fa nella diocesi di Armenia, nel dipartimento colombiano del Quindío. Invece il vescovo si è fatto aspettare. Ha fatto irruzione un personaggio vestito di stracci, un senza dimora, provocando l’imbarazzo e addirittura il fastidio dei presenti. Qualcuno ha pure lasciato la sala. Il “barbone” si è seduto qua e là, un paio di volte è incespicato senza che nessuno lo aiutasse… Poi, a sorpresa, è salito sul palco dei relatori. E ha svelato la sua vera identità

Un vescovo travestito da”barbone”. Qualcosa di più di una provocazione, anzi soprattutto la volontà di mostrare che “lo sguardo della Chiesa dev’essere quello dei poveri e della povertà”. Tutti attendevano mons. Carlos Quintero, al convegno di Pastorale sociale, svoltosi qualche giorno fa nella diocesi di Armenia, nel dipartimento colombiano del Quindío. Invece il vescovo si è fatto aspettare. Ha fatto irruzione un personaggio vestito di stracci, un senza dimora, provocando l’imbarazzo e addirittura il fastidio dei presenti. Qualcuno ha pure lasciato la sala. Il “barbone” si è seduto qua e là, un paio di volte è incespicato senza che nessuno lo aiutasse… Poi, a sorpresa, è salito sul palco dei relatori. E ha svelato la sua vera identità.

Un’idea maturata da tempo

Questo tipo di travestimento, lo si sa è diventato un “classico” del giornalismo, ma mai era accaduto che un vescovo adottasse una scelta di questo tipo per esercitare il suo ministero di annuncio del Vangelo. “Eppure l’idea mi era venuta da diverso tempo, prima ancora di diventare vescovo, mi incuriosiva vedere la reazione delle persone quando un povero, un senza dimora, entrava in una chiesa o in un ufficio, e aspettavo solo che ci fosse l’occasione”, confida al Sir mons. Quintero, cinquantaduenne, alla guida da meno di un anno di questa diocesi, situata nella Colombia centro-occidentale, nel cuore della cosiddetta zona cafetera, per il grande numero di piantagioni di caffè che rendono il Quindío un dipartimento turistico, caratterizzato da un paesaggio lussureggiante, non tra i più poveri del Paese sudamericano. “Tuttavia – prosegue il vescovo –

anche qui povertà e insicurezza aumentano, così come il numero di chi vive in strada. Per queste persone la nostra diocesi ha un progetto”.

L’occasione, dunque, si è presentata al convegno di Pastorale sociale. Racconta il presule: “E’ un settore pastorale al quale tengo molto, ho chiesto che ogni parrocchia o vicaria attivi un’opera sociale di aiuto ai più poveri. Il nostro sguardo di Chiesa non può che partire dai poveri e dalla povertà, ce lo chiede continuamente Papa Francesco. Sono arrivato presto al convegno, e ho iniziato il travestimento. Sono stato aiutato dalla compagnia Versión Libre Teatro. Pochissimi sapevano della mia intenzione. Poi sono entrato nella sala dove si sarebbe dovuto tenere il convegno”.

“Ho provato sulla mia pelle l’indifferenza”

Mons. Quintero racconta cosa ha provato in quel frangente:

“Fin dall’inizio ho cercato di immedesimarmi nella persona che stavo rappresentando. Devo dire che ho sperimentato una grande tristezza e desolazione interiore. Varie volte sono stato respinto dai presenti, molti erano in imbarazzo, altri hanno provato fastidio. Per la verità nessuno mi ha trattato realmente male, ma ho provato sulla mia pelle, tanta indifferenza, quella sì. Se devo sintetizzare in una parola l’esperienza che ho vissuto, è proprio l’indifferenza. Nessuno mi ha chiamato, mi ha rivolto la parola. Ho capito la solitudine della persona che si trova in una situazione come questa”.

E quando il vescovo ha svelato la sua identità?

“Molti si sono stupiti, qualcun altro si è complimentato, credo che per tutti si sia trattato di un invito alla riflessione, alla conversione. L’obiettivo era quello di risvegliare nei fedeli una grande sensibilità sociale. L’esperimento ci ha permesso di parlare del tema dell’ingiustizia sociale e della situazione delle persone senza dimora. Ogni persona povera ha dei talenti e potrebbe portare un importante contributo alla società. E’ molto importante portare la fede sulla strada, entrare in contatto con le persone più povere. Su questi temi vogliamo continuare a lavorare, senza cadere però nell’assistenzialismo, ma aiutando le persone a uscire dalla loro situazione, a camminare con le loro gambe”.

la miseria morale troppo spesso fa rima con … pallone e le sue star

quell’energumeno, così europeo

di Enrico Fierro
in “il Fatto Quotidiano” del 19 marzo 2016

sono gonfi come palloni gonfiati spesso i calciatori, e pieni di soldi, perdono il senso della realtà e dell’umanità, ergendosi altezzosamente sugli altri, ma pisciare su un mendicante per ergersi ancora più su rivela solo la piccolezza e miseria morale di essi: merita leggere questa riflessione in merito di E. Fierro:

mendicante

Premessa: il nobile gioco del pallone non c’entra. E poco hanno a che fare con quanto abbiamo visto a Roma, Ponte Sant’Angelo, le imprese, anche le più efferate, degli ultrà. C’è qualcosa di più profondo dietro il gesto di quel l’energumeno tifoso dello Sparta Praga che ieri ha “pisciato” addosso a una mendicante. Sì, abbiamo scritto pisciato, è volgare, ma così deve essere, altrimenti non ci capiamo. mendicante1
Perché scrivere “fare pipì” è troppo delicato, evoca la marachella urinaria del bebé, orinare sa di malattia e di reparto urologico. Pisciare, perché nel verbo c’è tutta la volgarità e la violenza del gesto. L’energumeno stava calpestando la Storia, ma ne era inconsapevole, la vescica, pressata dalle troppe birre ingurgitate, premeva. Gli scappava, e allora perché non farla proprio lì, scegliendo come obiettivo della sua minzione una mendicante? Una delle tante donne avvolte in un velo nero raggomitolate come stracci per le vie di Roma a chiedere qualche spicciolo. Chi era per l’energumeno? Zero, panni puzzolenti. No, il pallone non c’entra, lui, il ceco col pinocchietto e gli occhiali neri, pisciava addosso alla povertà, all’emarginazione, a una vita irregolare e fuori dagli schemi. E in questo si sentiva europeo e padrone, in linea con l’ideologia dominante che vuole l’improduttivo, chi non possiede, chi dispone solo della sua miseria, l’effetto di un male sociale. Da disprezzare, odiare. Estirpare. L’energumeno è l’immagine plastica dell’Europa che chiude le frontiere e costringe migliaia di profughi a varcare le acque gelide di un fiume per cercare una terra amica, che assiste indifferente alla scena di una donna che partorisce in una tenda e lava suo figlio con l’acqua fredda. L’energumeno è incolpevole perché europeo fino in fondo.
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