la prenotaziione della messa a Lucca in tempo di coronavirus

 

 a Lucca un sistema di prenotazioni per le messe festive

di Lorenzo Maffei 

l’arcivescovo Paolo Giulietti ha fatto predisporre nel sito diocesano la prenotazione per la Messa domenicale, che sarà indispensabile. Attivi anche quattro numeri telefonici

Online o per telefono. Nella Diocesi di Lucca i fedeli torneranno a partecipare alle Messe festive da domenica 24 ma segnalando la propria presenza tramite una telefonata a numeri appositi oppure con un click sul sito diocesano. Lo ha annunciato l’arcivescovo Paolo Giulietti con una nota nella quale invita tutti ad accogliere la possibilità di partecipare alle celebrazioni «con gioia e responsabilità».
A partire da ogni lunedì sera, dal 18 maggio, i fedeli potranno andare sul sito www.diocesilucca.it, cercare la chiesa e gli orari disponibili e poi, compilando una scheda online saranno chiamati a lasciare nome, cognome e mail alla quale sarà inviata in automatico la prenotazione. Potranno essere fatte prenotazioni anche per nuclei familiari. Chi non ha dimestichezza con le tecnologie avrà a disposizione quattro numeri telefonici che dalla mattina di martedì 19 maggio potranno essere chiamati per dichiarare a voce la propria presenza.
Gli operatori inseriranno tutto nel sistema informatico. Tre ore prima l’inizio di ogni celebrazione il sistema blocca in automatico le prenotazioni e invia ai parroci o ai loro collaboratori la lista dei presenti. Nella nota la Diocesi specifica che «è una “prima volta” da affrontare con la necessaria pazienza, in spirito di servizio e rispetto per sé e gli altri, da cittadini e cristiani responsabili». Tutto è stato pensato nel quadro delle norme anti Covid-19. Nelle chiese gruppi di volontari, oltre a vigilare che non si creino assembramenti, verificheranno l’effettiva prenotazione e inviteranno i fedeli a disporsi all’interno della chiesa nel rispetto delle distanze di sicurezza.

nelle chiese 23 mila musulmani: un abbraccio straordinario che dovrebbe diventare quotidianità

“Non si uccide in nome di Dio”islam12

di Pierangelo Sapegno
in “La Stampa” del 1° agosto 2016

Nella foto di gruppo in un interno che ci ha lasciato questa domenica di Sant’Ignazio da Loyola c’erano 23 mila musulmani dentro le Chiese d’Italia a pregare assieme ai cristiani. Ma fuori probabilmente ce n’erano molti di più che non erano troppo convinti, ad ascoltare almeno i silenzi e le accuse ai «francesi che bombardano i bambini in Siria», raccolti nelle vie e negli angoli di Porta Palazzo a Torino, o registrando anche solo il rifiuto di partecipare a questo abbraccio simbolico espresso da Aia Eldin al Ghobasny, l’imam della Grande Moschea di Roma, secondo cui si trattava di «una manifestazione spettacolare più adatta alla stampa» che alla fratellanza.

islam7 Eppure c’è qualcosa di storico in questa foto di gruppo che ha messo insieme ieri, fra le navate delle Chiese, i sacerdoti e gli imam con i loro abiti tradizionali e le barbe nere seduti accanto ai fedeli cristiani, come nel ritratto un po’ agiografico di un presepe, dentro a quei riti svuotati dal tempo. L’immagine che si ricava alla fine è abbastanza contraddittoria. Se anche a Lecce gli imam hanno disertato l’invito, a Ventimiglia sono entrati tutti alla Messa delle 10 e 30 a San Nicola da Tolentino, in preghiera di fronte a padre Francesco Marcoaldi, che il 29 maggio aveva aperto le porte della sua Chiesa agli immigrati in fuga. E alla fine della funzione hanno preso la parola per condannare il terrorismo, fra gli applausi e gli abbracci dei fedeli.

islam2Mahatma Gandhi sosteneva che «Dio non ha una religione», ma nella domenica del Signore Islam e cattolicesimo hanno cercato almeno di capirsi, in onore a Papa Francesco che a Natale aveva invocato «il dialogo come contributo di pace». Se ci siano riusciti, è un altro discorso. All’uscita di Santa Maria in Trastevere, a Roma, i fedeli intervistati da Sky, rivelavano le stesse sensazioni opposte che ha lasciato questa domenica. Una signora diceva che «abbiamo usato lo stesso linguaggio, le stesse parole. È stato importante vederli in Chiesa assieme a noi. Siamo chiamati alla condivisione, all’amicizia». Un altro fedele annotava invece che «può essere un primo passo. Ma adesso questa comprensione non c’è». E un terzo signore rimarcava la sua diffidenza: «Per forza che c’è. I diritti dell’uomo sono oscurati nei loro Paesi e qui da noi la Grande Moschea ha detto di no a questo invito». Lo scrittore Camillo Langone è stato ancora più duro e sulla sua pagina Facebook ha postato con altre 45 persone che «per la prima volta ho dei dubbi sull’andare a Messa.

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Andrò verso sera, in una Chiesa defilata per correre meno rischi, ma se ci saranno maomettani o se il sacerdote dal pulpito tradirà Cristo onorando Maometto dovrò uscire». Cosa avrebbe fatto a Bari, dove musulmani e cattolici nella cattedrale di San Sabino hanno letto insieme la Bibbia e il Corano, prima in italiano e poi in arabo?isla1

A Firenze, Izzedin Elzir, il presidente dell’Ucoii, l’organizzazione sospettata in passato di essere troppo tenera con gli estremisti, è arrivato al Duomo di Santa Maria del Fiore con tutta la sua famiglia. E Ahmed El Balazi, imam di Vorbano, alla messa di Brescia ha avuto parole durissime definendo i terroristi dei «criminali e dei falliti. Questa gente sporca la nostra religione». Abn al Gaffour, presidente del Coreis per l’Italia, ha detto che «quell’Allah u Akbar che pronunciano sempre, mi ricorda tanto il Gott Mit Uns dei nazisti.

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islam11 Ma non si uccide in nome di Dio». L’impressione però è che questa giornata della pace abbia avuto l’adesione dei vertici, ma non siamo così sicuri che la base fosse tutta così d’accordo. A Porta Palazzo, a Torino, la maggior parte si rifiutava di commentare e quelli che lo facevano ripetevano con ossessione che anche noi uccidiamo donne e bambini musulmani, «ma non vi ho mai sentito chiedere scusa». A Roma, un signore marocchino di 40 anni con la barba nera che dice di fare il macellaio, sostiene che «la maggior parte di noi non ci è andata. Voi dite che sono tanti 15mila? A me non sembra. Siamo molti di più». Dall’altra parte, don Michele Babuin, parroco nella Barriera di Milano del capoluogo piemontese, aveva dichiarato che lui «gli imam in Chiesa» non li vuole, «Chi mi garantisce che non siano dei terroristi?», affermando anche che «abbiamo un Dio diverso, checché se ne dica». Un altro prete ha scritto a Rete4 dicendo che non bisogna fidarsi, «se io fossi andato in una Moschea non mi avrebbero fatto entrare».

islam10E Magdi Allam afferma che «è inconcepibile questa partecipazione degli  imam alle nostre messe, recitando versetti del Corano all’interno delle Chiese». La verità forse è che come diceva Jonathan Swift «abbiamo religioni per farci odiare, ma non per farci amare l’un l’altro». Eppure, non possiamo nascondere che questa domenica abbia finito per regalarci anche una speranza, negli abbracci commoventi a Ventimiglia fra musulmani e cristiani, nelle promesse di Abdullah Cozzolino recitate dentro la Cappella del Tesoro di San Gennaro a Napoli, quando ha garantito che «adesso il nostro dialogo proseguirà in modo più intenso», in tutti i segni di pace scambiati nelle tante chiese, fino alle parole di Sami Salem che hanno chiuso la Messa a Trastevere: «Che la pace sia su di voi, come diciamo noi. Perché il nostro saluto è un patto di pace».

islam4 Poi è sceso dal pulpito e i fedeli sono andati ad abbracciarlo. Perché ieri le nostre religioni avevano bisogno di credere questo, che possiamo vivere in pace. È difficile vivere una religione. Forse aveva ragione Abramo Lincoln: «Ho imparato che quando faccio il bene, mi sento bene. E quando faccio il male, mi sento male. È questa la mia religione».

parla il vescovo che canta a messa canzonette pop

 

 

 

il vescovo pop che canta a messa: ‘Così racconto Gesù ai giovani’

IL VESCOVO POP CHE CANTA A MESSA: ‘ COSI’ RACCONTO GESU’ AI GIOVANI’

articolo pubblicato sul Qn (il Giorno, la Nazione, il Resto del Carlino), edizione del 4 aprile 2015

 

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«chi canta prega due volte», insegnava Sant’Agostino. E «magari riesce a farsi comprendere meglio nelle sue omelie», aggiunge monsignor Antonio Staglianò, schiarendosi la voce ‘sanremese’. In queste ore è lui l’idolo del web, il cinquantacinqueenne vescovo di Noto, teologo di rango, dal sangue calabrese trapiantato oltre lo Stretto. Tutta‘colpa’ di un video in cui lo si vede intonare tre brani di due stelle del pop, Noemi e Mengoni, nel bel mezzo dell’omelia per i cresimandi di Scicli, nel Ragusano.

Eccellenza, complimenti per la voce, tra lei e suor Cristina è proprio una bella sfida…

«Grazie, grazie, ma adesso non dite che faccio le omelie cantando. Il mio non è e non sarà mai uno show. Quelli immortalati dal video sono solo quattro dei ventottominuti della predica».

Quanto basta comunque per strappare l’attenzione dei ragazzi, non trova?

«Un anno fa, in occasione della Giornata diocesana della gioventù, ho parlato dell’amore, quello vero, illuminato dalla luce di Gesù. L’ho fatto cantando e spiegando brani di Arisa, Vecchioni, Nek, Noemi e Mengoni. In questo modo sono riuscito a spingere i ragazzi a compiere un discernimento critico che forse, parlando normalmente, non sarei stato in grado di suscitare. ‘Ti amo’, ‘amore’, oggi le parole si sprecano, ma rischiano di diventare vuote, se non andiamo al cuore che riempe la parola ‘amore’ del suo contenuto umano. Bisogna tornare all’essenziale».

Ancora Mengoni… Lei ormai fa solo citazioni pop.

«Le citazioni nelle omelie le ho sempre fatte. Whitman, Dante… ma non vedo perché, se mi trovo davanti a dei giovani, non posso citare delle canzonette che mi permettono di essere capito meglio. Sono convinto che il vescovo debba utilizzare il registro comunicativo migliore per farsi comprendere da chi l’ascolta. Il problema non è l’omelia lunga o corta, ma la passione che uno ci mette e il linguaggio che usa. E allora ben vengano le canzonette».

Il Vangelo nudo e crudo non basta più?

«Quello non è mai bastato, anzi non è mai esistito. Il Gesù reale, che s’incontra nella Bibbia, altro non è che quanto la comunità cristiana delle orgini ha trasmesso della propria fede. L’umano dell’uomo è già dentro al Vangelo. Per questo, se io intercetto in un ateo o in un anticristiano un testo nel quale viene a galla la profondità dell’uomo, per me quelle parole saranno già Vangelo. Da cantare, perché no, anche in un’omelia».

Certo che il nuovo corso ‘estroverso’, avviato da Papa Francesco, l’aiuta.

«Non so se questo mio stile possa piacergli. Forse a qualcuno di chi gli sta vicino potrebbe non andare troppo a genio… Ma i ragazzi della Cresima lo apprezzano e io andrò avanti, almeno fin quando non mi diranno di smettere».

Il vescovo rock di Noto “Canto Mengoni e Noemi: copiano le mie omelie”

intervista a Antonio Staglianò, a cura di Salvo Palazzolo
in “la Repubblica” del 4 aprile 2015


i suoi ragazzi lo chiamano già il “vescovorock”. E hanno postato su You-Tube qualche minuto dell’ultima omelia fatta a un gruppo di cresimandi: monsignor Antonio Staglianò, vescovo di Noto, canta Noemi e Marco Mengoni per spiegare «cos’è amore», per mettere in guardia dalle «facili mode», per invitare tutti «all’essenzialità». E adesso il video girato per caso in una chiesa di Scicli — la città set del commissario Montalbano — impazza sul web, come fosse il videoclip di uno dei cantautori più gettonati nelle hit-parade

Monsignore, canta da molti anni all’omelia

«L’anno scorso ho accennato a una strofa di Marco Mengoni durante la giornata della gioventù. L’ho buttata lì, senza pensarci troppo, perché a un certo punto qualche ragazzo mi sembrava un po’ distratto. E, all’improvviso, ho riconquistato tutti. Mi sono sorpreso anch’io dell’effetto che possono fare le canzonette. Anche un minuto su ventotto, com’è accaduto a Scicli».

Durante l’ultima cresima, però, non ha improvvisato. O è solo molto intonato?

«Da ragazzo suonavo la chitarra. Sono cresciuto cantando Bennato, De Gregori, Renato Zero. Mi piaceva molto la “Locomotiva” di Guccini. Poi, per tanti anni, non ho più coltivato la passione per il canto. Però, la musica mi è rimasta dentro».

E adesso quale canzone sta preparando per parlare ai suoi ragazzi?

«Non una, ma cinque canzoni. Alla prossima giornata della gioventù, che si terrà a maggio, proporrò “Guerriero” ed “Esseri umani” di Marco Mengoni; poi, “Fatti avanti amore” di Nek, la “Cura” di Franco Battiato e “Ritornerò da te” di Giovanni Caccamo, il bravo cantante che ha vinto Sanremo giovani, è originario di Modica, diocesi di Noto».

Dica la verità, qualche tema lo ha anche tratto dalle canzoni dei suoi autori preferiti?

«Guardi, qualche mese fa un sacerdote è venuto di corsa da me con un cd di Marco Mengoni. L’ha inserito nello stereo e abbiamo ascoltato alcune canzoni, tutte bellissime. Poi, mi ha detto: “Eminenza, ma questo cantante le ha rubato i temi delle sue omelie”. “È vero”, gli ho risposto. E abbiamo riso un po’».

Alla cresima di Scicli, il 22 marzo, i ragazzi hanno finito per cantare in coro con lei. Se l’aspettava?

«Ho citato la canzone “Vuoto a perdere” di Noemi per rimarcare il rischio che troppo spesso corriamo, anche senza accorgercene. La frase di Mengoni “Mentre il mondo cade a pezzi” è stato un altro pretesto, perché giovani e meno giovani capiscano meglio. Tante altre citazioni autorevoli scivolerebbero via. Sa quante volte ho recitato versi di Dante, di Leopardi o di Whitman? Purtroppo, non fa lo stesso effetto».

Lei è da sei anni alla guida della diocesi di Noto, prima è stato parroco nella sua Calabria, è anche docente di teologia. Le omelie in musica sono un altro passaggio della Chiesa del rinnovamento voluta da Papa Francesco?

«La missione principale della Chiesa è annunciare il Vangelo e la bellezza umana di Gesù per il mondo. La musica ci può aiutare davvero tanto a parlare ai giovani. E non solo a loro, perché uno dei temi principali su cui invito a riflettere è questo: come restare umani oggi».

A Scicli, partendo da Marco Mengoni è arrivato a una condanna pesantissima dei funzionari pubblici corrotti.

«Chi prende una mazzetta non è più un essere umano. Canto Mengoni anche per aprire il cuore di chi ha responsabilità nelle nostre comunità. E voglio che tutti i miei ragazzi cantino assieme a me, così ci sentiranno anche fuori dalle chiese».

siamo alla frutta!

Se vieni a messa, ti regalo un buono colazione: la proposta di un parroco

 

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Le chiese si svuotano e un prete di Sant’Elpidio a Mare, in provincia di Fermo, lancia una proposta per far tornare i fedeli o attrarne di nuovi: un buono colazione per chi va a messa. L’idea è di don Ginesio Cardelli che, sul bollettino mensile della parrocchia dei Santissimi Angeli Custodi di Cascinare, Bivio e Castellano, nella periferia del paese, ha pubblicato un avviso affisso anche nella bacheca in chiesa. “La parrocchia offre un buono colazione, o 5 euro, a giovani ed adulti che dopo diverso tempo ritorneranno a messa la domenica”. L’idea è stata accolta dal Consiglio parrocchiale e al Corriere Adriatico il parroco ha spiegato: “Si tratta di una provocazione ma l’intento è quello di provare a richiamare alla frequentazione della messa domenicale. Per ora nessuno ha reclamato nulla, ma siamo disposti a mettere a disposizione le risorse per i parrocchiani che si faranno rivedere nelle tre chiese della parrocchia: io li conosco tutti, e quindi se tornano me ne accorgerò”.

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