L. Boff contro V. Messori in difesa di papa Francesco

 

 

 

 l’attacco di Vittorio Messori, sicuramente a nome di “altri”, a papa Francesco, e successiva risposta di Leonardo Boff, teologo brasiliano

Sull’imprevedibilità del Papa
Dubbi e riflessioni personali di Vittorio Messori

Messori

 
Credo sia onesto ammetterlo subito: abusando, forse, dello spazio concessomi, ciò che qui propongo, più che un articolo, è una riflessione personale. Anzi, una sorta di confessione che avrei volentieri rimandata, se non mi fosse stata richiesta. Ma sì, rimandata perché la mia (e non solo mia) valutazione di questo papato oscilla di continuo tra adesione e perplessità, è un giudizio mutevole a seconda dei momenti, delle occasioni, dei temi. Un Papa non imprevisto: per quanto vale, ero tra quelli che si attendevano un sudamericano e un uomo di pastorale, di esperienza quotidiana di governo, quasi a bilanciare un ammirevole professore, un teologo sin troppo raffinato per certi palati, quale l’amato Joseph Ratzinger. Un Papa non imprevisto, dunque, ma che subito, sin da quel primissimo «buonasera», si è rivelato imprevedibile, tanto da far ricredere via via anche qualche cardinale che era stato tra i suoi elettori.
Una imprevedibilità che continua, turbando la tranquillità del cattolico medio, abituato a fare a meno di pensare in proprio, quanto a fede e costumi, ed esortato a limitarsi a «seguire il Papa». Già, ma quale Papa? Quello di certe omelie mattutine a Santa Marta, delle prediche da parroco all’antica, con buoni consigli e saggi proverbi, con persino insistiti avvertimenti a non cadere nelle trappole che ci tende il diavolo? O quello che telefona a Giacinto
Marco Pannella, impegnato nell’ennesimo, innocuo digiuno e che gli augura «buon lavoro», quando, da decenni, il «lavoro» del leader radicale è consistito e consiste nel predicare che la vera carità sta nel battersi per divorzio, aborto, eutanasia, omosessualità per tutti, teoria di gender e così via? Il Papa che, nel discorso di questi giorni alla Curia romana, si è rifatto con convinzione a Pio XII (ma, in verità, a san Paolo stesso) definendo la Chiesa «corpo mistico di Cristo»? O quello che, nella prima intervista a Eugenio Scalfari, ha ridicolizzato chi pensasse che «Dio è cattolico», quasi che la Ecclesia una, sancta, apostolica, romana fosse un optional, un accessorio da agganciare o meno, a seconda del gusto personale, alla Trinità divina? Il Papa argentino consapevole, per diretta esperienza, del dramma dell’America Latina che si avvia a diventare un continente ex cattolico, con il passaggio in massa di quei popoli al protestantesimo pentecostale? O il Papa che prende l’aereo per abbracciare e augurare buoni successi a un amico carissimo, pastore proprio in una delle comunità che stanno svuotando quella cattolica e proprio con il proselitismo da lui condannato duramente nei suoi?
Si potrebbe continuare, naturalmente, con questi aspetti che paiono – e forse sono davvero – contraddittori. Si potrebbe, ma non sarebbe giusto, per un credente. Questi, sa che non si guarda a un Pontefice come a un presidente eletto di repubblica o come a un re, erede casuale di un altro re. Certo, in
conclave, quegli strumenti dello Spirito Santo che, stando alla fede, sono i cardinali elettori condividono i limiti, gli errori, magari i peccati che contrassegnano l’umanità intera. Ma capo unico e vero della Chiesa è quel Cristo onnipotente e onnisciente che sa un po’ meglio di noi quale sia la scelta migliore, quanto al suo temporaneo rappresentante terreno. Una scelta che può apparire sconcertante alla vista limitata dei contemporanei ma che poi, nella prospettiva storica, rivela le sue ragioni. Chi conosce davvero la storia è sorpreso e pensoso nello scoprire che – nella prospettiva millenaria, che è quella della Catholica – ogni Papa, consapevole o no che lo fosse, ha interpretato la sua parte idonea e, alla fine, rivelatasi necessaria. Proprio per questa consapevolezza ho scelto, per quanto mi riguarda, di osservare, ascoltare, riflettere senza azzardarmi in pareri intempestivi se non addirittura temerari. Per rifarci a una domanda fin troppo citata al di fuori del contesto: «Chi sono io per giudicare?». Io che – alla pari di ogni altro, uno solo escluso – non sono certo assistito dal «carisma pontificio», dall’assistenza promessa del Paraclito. E a chi volesse giudicare, non dice nulla l’approvazione piena, più volte ripetuta – a voce e per iscritto – dell’attività di Francesco da parte di quel «Papa emerito» pur così diverso per stile, per formazione, per programma stesso?
Terribile è la responsabilità di chi oggi sia chiamato a rispondere alla domanda: «Come annunciare il Vangelo ai contemporanei? Come mostrare che il Cristo non è un fantasma sbiadito e remoto ma il volto umano di quel Dio creatore e salvatore che a tutti può e vuole dare senso per la vita e la morte?». Molte sono le risposte, spesso contrastanti.
Per quel poco che conta, dopo decenni di esperienza ecclesiale, io pure avrei le mie, di risposte. Avrei, dico: il condizionale è d’obbligo perché niente e nessuno mi assicura di avere intravisto la via adeguata. Non rischierei forse di essere come il cieco evangelico, quello che vuole pacato e motivato, sulle tattiche di evangelizzazione. Lasciando però all’uomo che è uscito vestito di bianco dal
Conclave la strategia generale e, soprattutto, la custodia del «depositum fidei». In ogni caso, non dimenticando quanto Francesco stesso ha ricordato proprio nel duro discorso alla sua Curia: è facile, ha detto, criticare i preti, ma quanti pregano per loro? Volendo anche ricordare che egli, sulla Terra, è il «primo» tra i preti. E, dunque, chiedendo, a chi critica, quelle preghiere di cui il mondo ride ma che guidano, in segreto, il destino della Chiesa e del mondo intero.
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Appoggio a papa Francesco contro uno “scrittore nostalgico”
di Leonardo Boff
Boff L.
 

      Ho letto con un po’ di tristezza l’articolo critico di Vittorio Messori sul Corriere della Sera esattamente nel giorno meno adattato: la felice notte di Natale, festa di gioia e di luce: Le scelte di Francesco:i dubbi sulla svolta del Papa Francesco. Lui ha provato a danneggiare questa gioia al buon pastore di Roma e del mondo, Papa Francesco. Ma invano perché non conosce il senso di misericordia e di spiritualità di questo Papa, virtù che sicuramente non dimostra Messori. Dietro parole di pietà e di comprensione porta un veleno.  E lo fa in nome di tanti altri che si nascondono dietro di lui e non hanno il coraggio di apparire in pubblico.

Voglio proporre un’altra lettura di Papa Francesco, come contrappunto a quella di Messori, un convertito che, a mio parere, ancora deve portare a termine la sua conversione con il ricevimento dello Spirito Santo, per non dire più le cose che ha scritto.

Messori dimostra tre insufficienze: due di natura teologica e un’altra di comprensione della Chiesa del Terzo Mondo.

Lui  si è scandalizzato per la “imprevedibilità” di questo pastore perché “continua a turbare la tranquillità del  cattolico medio”. Bisogna chiedersi della qualità della fede di questo “cattolico medio”, che ha difficoltà ad accettare un pastore che ha l’odore delle pecore e che annuncia “la gioia del vangelo”. Sono, generalmente, cattolici culturali abituati alla figura faraonica di un Papa con tutti i simboli del potere degli imperatori pagani romani. Adesso appare un Papa “francescano” che ama  i poveri, che non “veste Prada”, che fa una critica dura al sistema che produce miseria nella gran parte del mondo, che apre la Chiesa non solo ai cattolici  ma a tutti quelli che portano il nome di “uomini e donne”, senza giudicarli ma accogliendoli nello spirito della “rivoluzione della tenerezza” come ha chiesto ai vescovi dell’America Latina riuniti l’anno scorso a Rio.

C’è un grosso vuoto nel pensiero di Messori. Queste sono le due insufficienze teologiche: la quasi assenza dello Spirito Santo. Direi di più, che incorre nell’errore teologico del cristomonismo, cioè, solo Cristo conta.  Non c’è propriamente un posto per lo Spirito Santo. Tutto nella Chiesa si risolve con il  solo Cristo, cosa che il Gesù dei Vangeli esattamente non vuole. Perché dico questo? Perché quello che lui deplora è la “imprevedibilità” della azione pastorale di questo Papa. Or bene, questa è la caratteristica dello Spirito, la sua imprevedibilità, come lo dice San Giovanni: “Lo Spirito soffia dove vuole, ascolti la sua voce, però non sai da dove viene né verso dove va”(3,8). La sua natura è la improvvisa irruzione con i suoi doni e carismi. Francesco di Roma nella sequela di Francesco d’Assisi si lascia condurre dallo Spirito.

Messori è ostaggio di una visione lineare, propria del suo “amato Joseph Ratzinger” e di altri Papi anteriori. Purtroppo, fu questa visione lineare che ha fatto della Chiesa una cittadella, incapace di comprendere la complessità del mondo moderno, isolata in mezzo alle altre Chiese ed ai cammini spirituali, senza dialogare e imparare dagli altri, anche essi illuminati dallo Spirito. Significa essere blasfemi contro lo Spirito Santo pensare che gli altri hanno pensato solo in modo sbaglato. Per questo è sommamente importante una Chiesa aperta come la vuole Francesco di Roma. Bisogna essere aperta alle irruzioni dello Spirito chiamato da alcuni teologhi “la fantasia di Dio”, a motivo della sua creatività e novità, nelle società, nel mondo, nella storia dei popoli, negli individui, nelle Chiese e anche nella Chiesa Cattolica.

Senza lo Spirito Santo la Chiesa diventa un’istituzione pesante, noiosa, senza creatività e, ad un certo punto, non ha niente da dire al mondo che non siano sempre dottrine sopra dottrine, senza suscitare speranza e gioia di vivere.

È un dono dello Spirito che questo Papa venga da fuori della vecchia cristianità europea. Non appare come un teologo sottile, ma come un Pastore che realizza quello che Gesù ha chiesto a Pietro: “conferma i fratelli nella fede”(Lc 22,31). Porta con se l’esperienza delle chiese del Terzo Mondo, specificamente, quelle della America Latina.

Questa è una altra insufficienza di Messori: non avere la dimensione del fatto che oggi come oggi il cristianesimo è una religione del Terzo Mondo, come ha accentuato tante volte  il teologo tedesco Johan Baptist Metz. In Europa vivono solo il 25% dei cattolici; il 72,56% vive nel Terzo Mondo (in America Latina il 48,75%). Perché  non può venire da questa maggioranza uno che lo Spirito lo ha fatto vescovo di Roma e Papa universale? Perché non accettare le novità che derivano da queste chiese, che già non sono chiese-immagine delle vecchie Chiese europee ma chiese- sorgenti con i loro martiri, confessori e teologi?

Forse nel futuro, la sede del primato non sarà più Roma e la Curia, con tutte le proprie contradizioni, denunciate  da Papa Francesco nella riunione dei Cardinali e dei prelati della Curia con parole solo sentite nella bocca di Lutero e con meno forza nel mio libro condannato dal Card. J. Ratzinger “Chiesa: carisma e potere”(1984), ma là dove vive la maggioranza dei cattolici: in America, Africa o Asia. Sarebbe un segno proprio della vera  cattolicità della Chiesa all’interno del processo di globalizzazione del fenomeno umano.

Speravo in maggiore intelligenza e apertura di Vittorio Messori con i suoi meriti di cattolico, fedele a un tipo di Chiesa e rinomato scrittore. Questo Papa Francesco ha portato speranza e gioia a tanti cattolici e ad altri cristiani. Non perdiamo questo dono dello Spirito in funzione di ragionamenti negativi su di lui.

a queste dure parole di Boff, Messori risponde altrettanto duramente così:

Le (false) pretese di chi si proclama portavoce dello Spirito

di Vittorio Messori

Messori
in “Corriere della Sera” del 5 gennaio 2015

Leonardo Boff, leader della Teologia della liberazione alla brasiliana, quella con più esplicito riferimento al marxismo, dopo i contrasti con il cardinal Joseph Ratzinger e dopo i moniti di Giovanni Paolo II, dichiarò che quella Chiesa era inabitabile e irriformabile. Così, lasciò il saio francescano e andò a vivere con una compagna. Giunse però la sorpresa dell’implosione del comunismo e, come avvenuto per tanti, passò dal rosso al verde, all’ambientalismo più dogmatico, con aspetti di culto panteistico alla Madre Terra. Continua, però, a celebrare i sacramenti, con liturgie eucaristiche e battesimali da lui stesso elaborate (non mancano, si dice, le risonanze new age) nell’acquiescenza dell’episcopato brasiliano. In una intervista apparsa un anno fa su Vatican Insider ha affermato di avere non solo buoni rapporti con papa Francesco, come già in Argentina con l’allora arcivescovo, ma di collaborare con lui sui temi ambientalisti, in vista della enciclica «verde» annunciata dal Vescovo di Roma e, pare, da lui stesso suggerita. Diciamo questo perché, in questo convinto ammiratore di Jorge Bergoglio, sembra esserci davvero poco della tenerezza, dell’accoglienza, del rispetto dell’altro, della misericordia indulgente predicati con tanta passione da papa Francesco. Il suo commento, pubblicato ieri da questo giornale, a proposito del mio articolo del 24 dicembre, non ha nulla dei buoni modi che Bergoglio esige nei riguardi di tutti, fossero anche antagonisti. Il già padre Leonardo mi attribuisce «grossi vuoti nel pensiero», scarsa intelligenza, ignoranza, dandomi anche del mal convertito che, giunto a un’età rispettabile, deve finalmente decidersi a portare a termine la conversione. Mi lancia pure quella che per lui è una pesante accusa, ma che per me suona come un complimento, dandomi del «cristomonista». Non so bene che voglia dire, ma quel che intuisco non mi dispiace, anzi mi lusinga. Comunque, nessuna sorpresa: scrivendo cose che non piacciono a tutti, so bene come siano, nel concreto, quegli edificanti intellettuali (spesso religiosi) che del dialogo, appunto, vorrebbero fare una sorta di religione. Ma no, non è questo che colpisce. Ciò che potrebbe amareggiare è che Boff sembra non avere letto affatto quanto ho scritto: forse l’imperfetta conoscenza dell’italiano, forse la fretta, forse il pregiudizio ideologico, sta di fatto che la sua reazione, tanto veemente quanto confusa, poco o nulla ha a che fare con ciò che davvero ho detto. L’esempio più vistoso è l’accusa di «quasi ignorare lo Spirito Santo». Per la verità, il riferimento al Paraclito è l’elemento centrale del mio discorso, dove ricordo che nulla capiremmo del papato se non riferendoci all’azione libera e imperscrutabile dello Spirito. Mi si lasci dire che, nel dibattito sconcertante suscitato da quel mio articolo, molti altri critici hanno giudicato irrilevante confrontarsi con i veri contenuti: inforcati gli occhiali dell’ideologia hanno attaccato un testo esistente solo nei loro schemi previ. Magari politici più che religiosi. Ma, per tornare a Boff: si dà il caso che, su uno dei siti più frequentati dai cattolici, La nuova bussola quotidiana , sia stato analizzato da un teologo professionista proprio il pezzo pubblicato ieri anche dal Corriere. Il teologo è monsignor Antonio Livi, da molti anni docente nell’università dei papi, la Lateranense, conosciuto a livello internazionale per i suoi studi, per l’originalità del pensiero, per le iniziative accademiche ed editoriali. Questo studioso, assai rispettato in Vaticano, non ha esitato a scrivere che «le critiche violente e dissennate a Messori di un ex religioso che si presenta come teologo rappresentano la summa di tutte le sciocchezze degli ideologi della Teologia della liberazione». L’autorevole specialista rincara: «Boff si arroga l’esclusiva di interpretare ciò che lo Spirito vuole dalla Chiesa e attribuisce a sé l’infallibilità che nega al Magistero». «L’ex francescano» dice ancora monsignor Livi «sembra ignorare che un vero teologo non spaccia per verità divina le sue arbitrarie congetture». E così via. Insomma, tutti i critici vanno presi sul serio, ma non tutti devono essere presi sul tragico. Credo che quest’ultimo sia il caso dell’ eco-teologo brasiliano.

 




la chiesa di papa Francesco: illusoria o realisticamente evangelica?

papa Franc

sembra ai più ispirato dal e al vangelo, papa Francesco, nel suo parlare e nel suo agire cercano così di modulare e declinare una chiesa secondo criteri evangelici

ma ad alcuni non va proprio giù, specie ad alcuni cattolici tradizionalisti, di solito schierati ‘senza se e senza ma’ in difesa del papa e del papato (quasi a prescindere!), ma non di questo papa

questo papa sembra, ad esempio a V. Messori, propugnatore astratto di un “mito sempre antico e sempre ricorrente” di un ritorno astorico “alla chiesa primitiva, tutta povertà, fraternità, semplicità, assenza di strutture gerarchiche, di leggi canoniche”, una chiesa più da sogno che realistica, non riproponibile oggi in altro contesto culturale e storico

V. Mancuso risponde con puntualità a questa critica evidenziando nella ‘chiesa di papa Francesco’ tratti non onirici e astorici ma realisticamente evangelici

qui sotto i due articoli a confronto:

L’illusione di un ritorno alla chiesa primitiva

di Vittorio Messori
in “Corriere della Sera” del 10 novembre 2013

Alcune delle molte cose dette da papa Francesco e alcune sue scelte inedite — a cominciare dal rifiuto del palazzo vaticano e della villa di Castelgandolfo — stanno risvegliando un mito antico e sempre ricorrente tra i cattolici. Il sogno, cioè, di un ritorno alla Chiesa primitiva, tutta povertà, fraternità, semplicità, assenza di strutture gerarchiche, di leggi canoniche. Uno snello, democratico «movimento», insomma, non una pesante Chiesa, soffocatrice dello Spirito. Si smantelli l’istituzione clericale, basta con il Vaticano, la sua Curia, le sue banche, i suoi diplomatici, si torni finalmente alla comunità di Gerusalemme dopo la Pentecoste, In verità, il mito delle origini è smentito già dagli stessi Atti degli Apostoli: due tra i primissimi convertiti, i coniugi Anania e Saffira, fanno i furbetti sul prezzo del campo che dicono di avere venduto per la comunità e Pietro assiste addirittura alla loro morte immediata. Le lettere di Paolo sono roventi verso i comportamenti riprovevoli delle comunità da lui fondate o, in ogni caso, sorte da pochissimo. Chi conosce la storia della Chiesa primitiva sa che è anche una storia di lotte tra correnti, di mutue accuse di eresia, di scismi, talvolta di violenze interne, di martiri ma pure di disertori in tal numero che divenne centrale la disputa se e come riammettere nella comunità la folla dei lapsi, quelli che rinnegavano la fede per paura. Sin dall’inizio, secondo l’avvertimento di Gesù stesso, il buon grano si mescolò con l’infestante zizzania. Ma la nostalgia ricorrente, e che oggi sembra rilanciata, per una Chiesa delle origini, egualitaria, povera, dove la fede sia libera da sovrastrutture — a cominciare dalla Curia vaticana — non va solo contro la testimonianza della storia. Va anche contro una legge implacabile che i sociologi ben conoscono. La legge per la quale le grandi realtà sociali nascono come « movimenti», di solito ad opera di una persona carismatica, ma si dissolvono sempre e presto se, raffreddati gli entusiasmi iniziali, non accettano di trasformarsi in istituzioni gerarchiche, in strutture solide e ordinate. Solo queste assicurano la durata e la possibilità di incidere sulla società. La politica fornisce continue conferme di quanto siano illusori i bollori di chi si scaglia contro la istituzione-partito, bollata come gerarchica, burocratica, dogmatica, costosa. Occorre liberarsi da capi, tessere, cassieri, disciplina interna! Di quelle chimere abbiamo proprio ora l’esempio vistoso nello showman passato alla politica, Beppe Grillo. Costui ha predicato, e predica, come novità dirompente (mentre è vecchia e logora come il mondo) la possibilità di opporre ai malefici partiti un «movimento», nato e guidato dal basso, avendo oggi, tra l’altro, a disposizione la Grande Rete, dove tutti possono illudersi di essere eguali. Grillo, però, è stato subito vittima del peggior infortunio per un tribunus plebis : un successo elettorale inaspettato ed eccessivo. Finché si trattava di appellarsi alle viscere delle folle nelle piazze, tra urla e insulti, sembrava — almeno ai semplici — che il «movimentismo» fosse la soluzione. Ma si può essere gratificati dagli applausi solo quando si è al riparo in una nicchia, quando si grida no a tutto e si sta ai margini. Quando, non avendo responsabilità di governo, ci si può permettere di non fare i conti con la realtà. E, invece, allo sfortunato Grillo proprio questo è capitato: una fastidiosa responsabilità, che ha subito mostrato che il «movimento» non funziona, non può funzionare e che due sole sono le prospettive. O l’inazione e poi la dissoluzione coll’esodo dei delusi e coll’anarchia di sètte l’un contro l’altra armata; oppure, rassegnarsi e trasformarsi in uno di quei partiti già coperti di insulti. Tutte le ideologie politiche che hanno devastato il secolo scorso (comunismo, fascismo, nazionalsocialismo), tutte si presentarono, agli inizi, come «movimenti», contro la perfida casta partitica. E tutte divennero assai presto partiti unici, crearono regimi oppressivi, totalitari, come mai si era visto. In nome degli entusiasmi «movimentisti», crearono nomenklature privilegiate e gerarchie intoccabili come mai si erano viste. Ma allora, per tornare alla Chiesa: nella prospettiva di fede, nella logica dell’incarnazione, Dio ha voluto avere bisogno degli uomini, ha affidato loro la Parola e i Sacramenti della salvezza perché li annunciassero e li gestissero con una comunità. Comunità che — sempre per la dialettica del Deus incarnatus — nella sua struttura visibile, esterna, non è esentata dalle dinamiche che reggono ogni altra realtà umana. Dunque, all’inizio fu il «Movimento del Cristo», fu il «Gruppo del Nazareno», animato direttamente dagli apostoli, tra grandi entusiasmi. Ma, terminato lo «stato nascente», si passò rapidamente e necessariamente alla istituzione, alla struttura con una comunità gerarchica e, via via, organizzata con leggi interne ed esterne, e con proprietà mobili e immobili. Così come, in politica, il movimento iniziale — se vuol durare e contare — diventa necessariamente partito, qui si passò alla Chiesa come struttura stabile, organizzata, docente con autorità. Non fu, come pretendono gli utopisti, una deviazione, una deformazione, un tradimento del Cristo servo e povero, fu una evoluzione inevitabile, anzi doverosa per la realtà umane. E la Chiesa cattolica è una di esse, anche se qui — caso ovviamente unico — la struttura istituzionale non è che un contenitore, esiste solo per servire il Mistero di un Dio che insegna e redime. Insomma, è una illusione quella dei cristiani che, oggi più che mai numerosi, auspicano il ritorno alla semplicità degli inizi . Indietro non si può tornare. Dunque, non vi è posto per certa animosità pregiudiziale verso la Curia vaticana, verso coloro che, giorno dopo giorno, gestiscono la struttura ecclesiale. Non ha senso il manicheismo di chi volesse distinguere tra un «Pontefice buono» e una «Curia cattiva». Papa Francesco, gesuita, viene dal più compatto ordine ecclesiale ed è il primo a rifiutare una simile contrapposizione: anzi, ha più volte ringraziato i suoi collaboratori, verso i quali si dice pienamente solidale. Certo, Ecclesia semper reformanda, almeno nella sua struttura umana: la «macchina vaticana» va di continuo adattata ai tempi, semplificata nei metodi, migliorata (se possibile) nel suo personale, dal cardinale sino al minutante. Non dimenticando però che, senza la trasformazione in solida istituzione, del «Movimento di Cristo» sarebbe rimasto solo un cenno in qualche testo di storia antica dell’ebraismo.

margheritissime

 

Quei nemici devoti di papa Bergoglio

di Vito Mancuso
in “la Repubblica” del 11 novembre 2013

Fin dalla sua elezione papa Francesco sta producendo una serie di benefici per l’azione della Chiesa che non accennano a diminuire, come è dato riscontrare dall’aumento dei fedeli alle udienze e agli angelus domenicali. E, soprattutto, dalle molte persone che nel mondo intero grazie al Papa tornano al desiderio di una vita spirituale e riprendono a frequentare le chiese e ad accostarsi ai sacramenti. “Il mondo è innamorato di papa Francesco — ha scritto il cardinale di New York — e se io avessi avuto un dollaro per ogni newyorkese, cattolico e non, che mi ha detto quanto ama l’attuale Santo Padre, avrei pagato il conto salato dei restauri della cattedrale di St. Patrick! Lungo i nostri 2000 anni di storia abbiamo avuto ben pochi papi così degni dell’alto officio”. Ci sarebbe quindi da essere molto felici di papa Francesco, ma per non pochi cattolici cosiddetti “doc” e per qualche “ateo devoto” in passato solerte difensore di Ratzinger, le cose non stanno affatto così: anzi hanno iniziato a dar vita ad un’esplicita contestazione, punta dell’iceberg di una campagna conservatrice che vede in Bergoglio il simbolo da colpire. Proprio ciò che per il mondo risulta affascinante, per tali cattolici è causa di scandalo, e giungono a descrivere il Papa come il più dozzinale dei populisti. Il primato della coscienza personale, l’apertura alla cultura moderna, la scelta di non insistere su valori cosiddetti non negoziabili di vita-scuola-famiglia, il non volere ingerenze nella vita dei singoli (come quando disse “chi sono io per giudicare?” a proposito dei gay), l’istituzione di una consultazione popolare in tutto il mondo sui temi spinosi della morale familiare, la preferenza verso i poveri e il conseguente riaccredito della teologia della liberazione condannata da Wojtyla e Ratzinger, il parlare della Chiesa come di “un ospedale da campo”, lo stile conciliare permanente auspicato dal cardinal Martini, l’attacco al clericalismo e alla cortigianeria della curia, la condanna di ogni forma di proselitismo, la simpatia verso i media fino a concedere un’intervista al fondatore di questo giornale, lo stile di vita austero che lo porta a rifiutare l’appartamento papale e la villa di Castelgandolfo e a camminare sulle sue scarpe nere portandosi da sé la borsa di lavoro, la preferenza per le piccole autovetture, il chinarsi a lavare i piedi a una donna e per di più musulmana… ecco alcuni elementi che affascinano molti contemporanei e che invece risultano fonte di disappunto per quei cattolici di solito impegnati nella fedeltà “senza se e senza ma” al papa e al papato. Ma non in questo caso. Tra essi uno dei più moderati è Vittorio Messori che ieri sul Corriere criticava quanto definiva “un mito antico e sempre ricorrente”, cioè il sogno suscitato in molti dall’azione di papa Francesco “di un ritorno alla Chiesa primitiva, tutta povertà, fraternità, semplicità, assenza di strutture gerarchiche, di leggi canoniche”, un sogno che per Messori non è altro che un mito privo di fondamento biblico e storico. La posta in gioco nell’azione di papa Francesco però è, a mio avviso, molto più semplice di tale mito e consiste nel diritto di tutti i battezzati di avere una Chiesa semplicemente normale, di cui ci si possa fidare, una Chiesa dove i vescovi non abbiano residenze lussuosissime e costose auto blu, dove la banca vaticana sia per lo meno al livello etico di un’ordinaria banca italiana, dove il carrierismo e la sporcizia (termini utilizzati da Benedetto XVI) non siano così plateali da condizionare il governo papale, dove le nomine dei vescovi avvengano per effettive qualità umane e pastorali e non per servilismi che promuovono incolori yes-men, dove gli scandali di pedofilia non siano insabbiati e i colpevoli protetti, dove nella curia non volino corvi fino alla scrivania papale a testimonianza di velenose lotte intestine al cui confronto un qualsiasi condominio con tutte le sue beghe diviene un’immagine della concordia paradisiaca, una Chiesa dove gli ordini religiosi non siano guidati da personaggi colpevoli di pedofilia come nei Legionari di Cristo oppure di sequestro di persona e truffa come nei Camilliani, eccetera, eccetera. Questa è la posta in gioco dell’azione papale: non il mito della Chiesa primitiva, ma la realtà della Chiesa attuale, perché possa tornare a essere una Chiesa normale, pulita, affidabile, degna della
fiducia dei genitori di mandare all’oratorio i loro figli e di tutti i credenti di affidare le loro risorse per soccorrere i bisognosi. Ne viene che il Papa che oggi governa la Chiesa è, come dice il Vangelo, “un segno di contraddizione”, nel senso che è destinato a manifestare la vera natura di chi si dice credente, se cioè è tale per amore della Chiesa oppure per amore del mondo. Nel primo caso la religione è una delle tante ideologie tese alla conquista del potere, nel secondo è il segnale di un modo nuovo e rivoluzionario di stare al mondo e trasmette l’aria fresca del Vangelo.