l’appello dei missionari contro lo sfruttamento dell’Africa

«fermate lo sfruttamento dell’Africa»

in campo le congregazioni religiose


di Giulio Albanese
per aiutare l’Africa a ripartire dopo il Covid, i missionari riuniti nel network Aefjn chiedono urgentemente una regolamentazione che tuteli i diritti umani
«serve un monitoraggio internazionale»
«Fermate lo sfruttamento dell’Africa». In campo le congregazioni religiose

La crisi economica generata dal Covid 19 nel Continente africano esige una decisa assunzione di responsabilità da parte del consesso delle nazioni. A pensarla così – e non da oggi – è Africa Europe Faith and Justice Network (Aefjn), un organismo internazionale composto da diverse congregazioni religiose e missionarie attive in Africa, che invoca la regolamentazione delle imprese multiPer aiutare l’Africa a ripartire dopo il #Covid, i missionari riuniti nel Africa Europe Faith and Justice Network chiedono una regolamentazione delle multinazionali che tuteli i diritti umani (ex. contro la manodopera infantile) e per la protezione e salvaguardia dell’ambiente.nazionali in riferimento alla sfera dei diritti umani.

Si tratta di un tema scottante, particolarmente in Africa, dove le popolazioni autoctone patiscono l’esclusione sociale nonostante il continente sia straordinariamente ricco di “commodity” (le materie prime). Stando alle testimonianze raccolte in diversi Paesi africani dal network congregazionale, le attività svolte negli ultimi decenni dalle multinazionali hanno avuto un impatto particolarmente negativo sul continente in diversi ambiti.

Anzitutto queste gigantesche aziende che operano nei più svariati settori economici sono ritenute colpevoli di trarre vantaggio dai deboli apparati giuridici dei Paesi africani che spesso, anche per effetto della dilagante corruzione, salvaguardano gli interessi societari più che quelli della società civile. Spesso le imprese multinazionali, con l’intento di massimizzare i profitti, si sono rese responsabili della violazione dei diritti fondamentali dell’uomo – in particolare dei diritti dei lavoratori – e dei principi internazionali in materia di protezione e salvaguardia dell’ambiente. È bene rammentare che per arginare questo fenomeno, a partire dagli anni Settanta, sono stati redatti dei Codici di condotta e delle Linee guida contenenti principi e regole adottati dai singoli Stati e dalle organizzazioni internazionali in relazione alle attività delle società multinazionali. Però tali normative, rientrando nella categoria della cosiddetta “soft-law”, non hanno un carattere vincolante.

E se da una parte il crescente interesse dell’opinione pubblica per la tematica in esame ha spinto le stesse imprese multinazionali ad approvare autonomamente dei codici di condotta per tutelare la propria immagine sul mercato, dall’altra il cammino è ancora lungo. Sono infatti molte le imprese che direttamente o indirettamente fanno uso di manodopera infantile, contravvenendo ai diritti dei lavoratori (incluso il diritto alla libertà di associazione). Emblematica è la condizione dei bambini impiegati ancor oggi nelle miniere di Kolwezi, la capitale mondiale delle terre rare (indispensabili, ad esempio, per la fabbricazione degli apparecchi elettronici) nel Sud della Repubblica democratica del Congo o nelle miniere di oro nella regione orientale del Kivu teatro spesso di tragedie di massa: due realtà a cui Avvenire peraltro ha già dato ampio spazio informativo. In molte di queste realtà lavorative le condizioni igieniche e di sicurezza risultano inappropriate; vengono usurpate sistematicamente parti di territorio e perpetrati atti di illegittima violenza tramite l’utilizzo di agenti di sicurezza privata, per non parlare dei danni ambientali.

In attesa di un trattato internazionale, sotto l’egida delle Nazioni Unite, su «Imprese e diritti umani» e in considerazione dell’adozione nel 2011 di Linee guida su questa materia da parte del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite di Ginevra, la rete di Aefjn – come ha giustamente rilevato il comboniano fratel Alberto Parise, vice presidente del Comitato Esecutivo di Aefjn – è fondamentale perché è necessario affermare una volta per tutte «l’obbligo per le imprese di dimostrare due diligence (diligenza); il rafforzamento della corporate liability (la responsabilità delle imprese); la previsione di rimedi efficaci contro le violazioni e un’efficace accesso alla giustizia; l’obbligo in capo agli Stati di prevedere assistenza legale reciproca; la creazione di meccanismi di monitoraggio ed esecuzione sia a livello nazionale che internazionale».

la ‘chiesa in uscita’ sognata dai missionari italiani

per una Chiesa in permanente stato di missione
CONTRIBUTO dei MISSIONARI ITALIANI AL 5°CONVEGNO ECCLESIALE

FIRENZE 2015

Firenze

 

alla nostra chiesa italiana che ha inviato figlie e figli in ogni angolo della terra chiediamo, nonostante le fatiche di questo momento storico, di restare fedele al mandato missionario di Gesù. Sicuri che l’incontro e lo scambio tra chiese sorelle potrà aiutarla e sostenerla nella sua ricerca di un nuovo umanesimo e di vie nuove per annunciare il vangelo in questo nostro tempo.

questo contributo è frutto dell’impegno e della riflessione comune di una grande parte del mondo missionario italiano, convocato dalla Fondazione Missio. Desideriamo offrire alla Chiesa italiana il nostro punto di vista in occasione del 5°Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze. Proponiamo queste nostre riflessioni come figli e figlie della Chiesa italiana impegnati a nome di essa e con essa sui fronti dell’umanità

1. L’esperienza missionaria, realizzata quotidianamente dai CMD, dagli Istituti Missionari e Religiosi, dai Fidei Donum, dai Volontari internazionali e dal Laicato missionario, ha fatto di noi uomini e donne in uscita. Uscire da se stessi, uscire dai propri mondi, dalle proprie visioni, per incontrare l’altro è lo stile del discepolo missionario di Gesù. Uscire è pure il volto di un Dio che, amando l’umanità, esce da sé stesso per incontrarci. Uscire è l’essenza stessa della Chiesa. Noi discepoli e discepole di Gesù siamo chiamati ad uscire sulle strade del mondo per annunciare e testimoniare che siamo figli amati dello stesso Padre. Come ci ricorda spesso papa Francesco, una chiesa ripiegata su se stessa, è una chiesa asfittica, destinata a morire. Il mondo ha bisogno di una chiesa che esce per farsi vicina ad ogni uomo e ogni donna sotto ogni cielo.

2. Il cammino missionario ci ha messo sulle strade della vita e ci ha spinto ad andare alle periferie esistenziali, quelle abitate dagli ultimi, gli scartati dalla società e porli al centro della nostra vita, delle nostre scelte. Cerchiamo di abitare le frontiere, dove l’umano è messo alla prova, di immergerci e di stare nelle periferie. Vivere con gli ultimi e gli impoveriti ci ha permesso di guardare la realtà da un altro punto di vista, scoprendo ancora di più le ingiustizie e le diseguaglianze prodotte  da questa nostra società globalizzante e consumistica, al cui centro ci sono prevalentemente interessi e tornaconti economici. Allo stesso tempo ci ha permesso di sperimentare la potenza umanizzante e liberante del Vangelo di Gesù, che restituisce dignità, voglia di vivere, speranza ai piccoli e ai poveri che lo accolgono.

3. Abbiamo annunziato il Vangelo agli ultimi, ai poveri ed essi ce l’hanno restituito vivo nella buona vita che l’incontro con Gesù ha prodotto in loro, intorno a loro e grazie a loro. Il nostro costruire umanesimo parte dai poveri e si realizza con i poveri. Un nuovo umanesimo può costruirsi ascoltando e riconoscendo umanità sul volto di coloro che la cultura dominante esclude, non vuole vedere o ha paura di incontrare. Una Chiesa in missione è posta in quel nodo complesso tra ricchezza e povertà, ove si gioca il futuro dell’esistenza. Viviamo un mondo da una parte spinto verso il post umano e l’ultra umano e dall’altra un mondo sempre più colmo di disumanità. Per questo non si può non partire dai poveri. Siamo convocati a rivivere il grande sogno di alcuni dei padri conciliari: una Chiesa povera e dei poveri! Una Chiesa che fa della sua missione un dialogo profetico con il mondo, capace sia di ascoltare e denunciare il grido dei poveri sia di incontrare tutti per annunciare la gioia del Vangelo.

4. Il vivere le periferie in Africa, in Asia e in America Latina ci ha fatto sperimentare modi diversi di essere chiesa. Siamo testimoni di novità e del sorgere di nuovi volti della chiesa:
• Una chiesa che si riconosce ‘piccola’, che immersa in questo grande mondo in cambiamento ha più domande che risposte. Una chiesa diaconale che veste il grembiule del servizio, l’abito del suo Maestro. • Una chiesa che apre le sue porte, spalanca le sue finestre e offre la testimonianza di comunità che diventano spazio di accoglienza, ma anche di partenza per l’ascolto, per il servizio, per creare reti di comunione e lavorare insieme. • Una chiesa laboratorio di fraternità ed umanità,  scuola di comunione, capace di creare esperienze di interculturalità e di incontro fra popoli e religioni diverse. • Una chiesa capace di trasformare le secolari parrocchie in Comunità di piccole comunità cristiane, comunità ecclesiali di base, incarnate dentro la realtà, spazio ove si ‘abita’, in cui la fede quotidianamente si trasforma in carità e solidarietà. • Una chiesa ove la grazia che ci è donata e ci trasfigura viene vissuta e sperimentata in celebrazioni vive e partecipate,  anche con l’apporto dei vari ministeri laicali. Celebrazione che sempre diventa festa dell’incontro, del vivere la propria fede e del trovare forza nelle difficoltà, nella persecuzione e anche nel martirio. • Una chiesa di dialogo, che vive l’ecumenismo e il dialogo interreligioso a partire dalla vita, sperimentando la fatica e la gioia di incontrare esperienze religiose diverse e condividendo con loro le lotte per trasformare il mondo affinché tutti e tutto abbiano “vita e vita in abbondanza” (Cfr. Gv 10,10).

5. Nel proporre un nuovo umanesimo sentiamo l’impellente necessità di tornare all’uomo Gesù, alla sua vita, ai suoi gesti, al suo progetto. Rimettendo al centro della vita delle nostre comunità la Parola di Dio, incontriamo Gesù di Nazareth, il Figlio dell’Uomo, il Cristo nuovo Adam, nuova umanità che realizza pienamente il sogno di Dio sognato il mattino della Creazione. La Parola letta insieme, nelle case, in piccoli gruppi, è capace di scaldarci il cuore e di farci compiere i gesti del Regno: condivisione, solidarietà, difesa di chi ha meno, di chi ha solo il diritto di non avere diritti. Una chiesa in uscita è una chiesa discepola, seduta ai piedi di Gesù in ascolto della Parola, che si impregna del Suo annuncio del Regno, progetto di vita piena per tutti.

 

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