il commento al vangelo della domenica

PRIMA DEL PANE, IL LIEVITO
Gv 6,1-15
il commento di E. Ronchi al vangelo della diciassettesima domenica del tempo ordinario
Domenica del pane che trabocca dalle mani, dalle ceste, che sembra non finire mai.
E mentre lo distribuivano, non veniva a mancare; e mentre passava di mano in mano, restava in ogni mano.
Quello del pane è l’unico segno riferito da tutti e quattro i Vangeli. Marco e Matteo ne riportano addirittura due redazioni. Si tratta, evidentemente, di un evento decisivo per capire la vita e il messaggio di Gesù.
Con il segno del pane, più che davanti ad un eclatante miracolo siamo di fronte ad una fessura di mistero.
Il racconto è pieno di simboli bellissimi: è ormai primavera; c’è molta erba che richiama i pascoli e il Salmo del buon pastore; c’è il monte grande simbolo della casa di Dio; è vicina la Pasqua; ci sono i numeri: cinque pani e due pesci che compongono il sette, simbolo della pienezza; c’è il pane d’orzo, pane di primizia perché l’orzo è il primo dei cereali che matura, primo pane nuovo; e c’è un ragazzo, neppure un uomo adulto, una primizia d’uomo.
Un Vangelo pieno d’inizi e di gemme che fioriscono, per grazia.
Modello del discepolo oggi è un ragazzo senza nome né volto, che dona ciò che ha, senza pensarci, e così innesca la spirale della condivisione, il miracolo del dono.
Il problema del nostro mondo non è la penuria di pane, ma la povertà di quel lievito che incalza e spinge a condividere, a fare di ciò che hai un sacramento di comunione.
“Al mondo, il cristiano non fornisce pane, fornisce lievito” (Miguel de Unamuno).
“Credo sia più facile moltiplicare il pane che non distribuirlo. C’è tanto di quel pane sulla terra che a condividerlo basterebbe per tutti” (D. M. Turoldo).
Prese i pani, ringraziò, diede.
“Ricevimi, donami, donandomi mi otterrai di nuovo” (Rig Veda). L’uomo può solo ricevere, la vita, il creato, le persone che sono il suo pane. Può solo ringraziare, benedire, donare. E basteranno le briciole a riempire dodici ceste.
Noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo donato alla fame d’altri.
Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò sul monte, lui da solo. Rifiuta di essere fatto re, ma non rifiuta l’acclamazione a profeta.
La profezia gli si addice: lui è bocca di Dio e bocca dei poveri. Ma dal potere, da tutto ciò che circonda il nome di re, fugge lontano.
La folla è religiosa solo in apparenza: cerca un Dio fornitore di pane a buon mercato, che plachi le fatiche, i pianti, le paure che popolano il cuore.
Gesù non vuole regnare su nessuno, ma porre vita nelle nostre mani. La sua. E guidarci dalla fame di pane alla fame di Dio.
Noi siamo fatti per la felicità, ma in questa furia di vivere che ci prende tutti, non ci preoccupiamo di moltiplicare dentro di noi le sorgenti che, sole, danno la felicità: saper accogliere, benedire, donare.

il commento al vangelo della domenica

quel pane moltiplicato che chiama alla fraternità


Quel pane moltiplicato che chiama alla fraternità
il commento diErmes Ronchi al vangelo della XVII domenica del tempo ordinario – Anno B:

In quel tempo, (…) Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». (…) Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». (…) Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». (…).

Domenica del pane che trabocca dalle mani, dalle ceste, che sembra non finire mai. E mentre lo distribuivano, non veniva a mancare; e mentre passava di mano in mano, restava in ogni mano.
C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci… Un pane d’orzo, il primo cereale che matura; un ragazzo, in cui matura un uomo. Quella primizia d’umanità ha capito tutto, nessuno gli ha chiesto nulla e il ragazzo mette tutto a disposizione. È questa la prima scintilla della risposta alla fame della folla.
Ma che cosa sono cinque pani per 5.000: uno a mille. Il Vangelo sottolinea la sproporzione tra il poco di partenza e la fame innumerevole che assedia. Sproporzione però è anche il nome della speranza, che ha ragioni che la ragione non conosce. E il cristiano non può misurare le sue scelte solo sul ragionevole, sul possibile. Perché dovremmo credere a un Risorto, se siamo legati al possibile? La stessa sproporzione la sentiamo di fronte ai problemi immensi del nostro mondo. Io ho solo cinque pani, e i poveri sono legioni. Eppure Gesù non bada alla quantità, ne basta anche meno, molto meno, una briciola. E la follia della generosità. E infatti, non appena gli riferiscono la poesia e il coraggio di questo ragazzo, sente scattare dentro come una molla: Fateli sedere! Adesso sì che è possibile cominciare ad affrontare la fame!
Gesù prese i pani e dopo aver reso grazie li diede… Giovanni non riferisce come accade. Come avvengano certi miracoli non lo sapremo mai. Ci sono e basta. Sono perfino troppi. Ci sono, quando a vincere è la legge della generosità: poco pane spezzato con gli altri è misteriosamente sufficiente; il nostro pane tenuto gelosamente per noi è l’inizio della fame: «Nel mondo c’è pane sufficiente per la fame di tutti, ma insufficiente per l’avidità di pochi» (Gandhi).
Prese i pani e dopo aver reso grazie li diede… Tre verbi benedetti: prendere, ringraziare, donare. Gesù non è il padrone del pane, lo riceve, ne è attraversato, semplice luogo di passaggio. Quando noi ci consideriamo i padroni delle cose, ne profaniamo l’anima, roviniamo l’aria, l’acqua, la terra, il pane. Niente è nostro, noi riceviamo e doniamo, siamo attraversati da una vita, che viene da prima di noi e va oltre noi.
Rese grazie: al Padre e al ragazzo senza nome, alla suolo e alla pioggia d’autunno, alla macina e al fuoco, madre e padre del pane. Tutto ci viene incontro, è vita che ci ospita, dono che viene «da un divino labirinto di cause ed effetti» (M. Gualtieri). Che fa della vita un sacramento di comunione.
E li diede. Perché la vita è come il respiro, che non puoi trattenere o accumulare; è come una manna che per domani non dura. Dare è vivere.
(Letture: 2 Re 4,42-44; Salmo 144 (145); Efesini 4,1-6; Giovanni 6,1-15)

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