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una morte che rattrista
E’ morto José Ramos Regidor, teologo della Liberazione e fondatore di Com Nuovi Tempi
di Anna Maria Marlia e Fausto Tortora
Dopo una lunga e odiosa malattia José Ramos Regidor ci ha lasciati. Erano ormai diciassette anni che i lettori e gli amici di Confronti non leggevano più un suo scritto: aveva fatto parte della redazione di Com, poi dell’avventura Com-Nuovi tempi e infine di Confronti. Veniva anche dall’esperienza di I-doc, rivista internazionale e centro di documentazione sul post-Concilio Vaticano II. Ma, soprattutto, veniva da quel gruppo di salesiani “disobbedienti” (Girardi, Lutte, Gutierrez, Bellerate…) che, agli albori degli anni ’70, avevano animato il Pontificio Ateneo Salesiano di Roma con le loro proposte di riforma dell’ordine e della Chiesa cattolica.
Il primo lavoro di Ramos fu un ponderoso volume, con tanto di imprimatur, dedicato significativamente ad una rilettura critica del sacramento della penitenza, nel quale si sottopone questo sacramento ad una lettura storico-critica attraverso i secoli e che per molti rivelò che realtà, ritenute immutabili, erano sostanzialmente dipendenti dalle dinamiche di potere e di controllo esercitate a tutti i livelli dai sacerdoti, in quanto deputati al sacro.
Successivamente i suoi interessi di teologo militante si spostarono verso la Teologia della liberazione, sulle orme dei lavori di Gutierrez: di questa fu divulgatore originale e appassionato. Nell’approfondimento della Teologia della liberazione incontrò – con qualche decennio di anticipo rispetto all’attuale pontefice romano – l’ecologia e coniugò questo paradigma con l’esigenza della giustizia, soprattutto a partire dai popoli del Sud del mondo, marginali e impoveriti dalle dinamiche dello sviluppo capitalistico.
Chi, come noi l’ha conosciuto, quasi cinquant’anni fa, sa che la sua vita non è stata semplice né priva di difficoltà materiali, a partire dagli anni difficili dell’infanzia e dell’adolescenza in un piccolo paese dell’Estremadura. L’incontro con la nostra amica Maria Paola gli ha però regalato anni sereni in cui si è riconosciuto, anche attraverso la curiosità di entrambi, con mondi e persone diverse, come Alex Langer incontrato nel corso del suo ultimo impegno di sensibilizzazione politico-culturale: la Campagna Nord/Sud.
è morto mons. Tommasi, il vescovo dei sinti
un uomo buono
un pastore che ‘odorava delle sue pecore’
un vescovo che ha voluto bene ai più ‘piccoli’ della sua pastorale, in modo particolare ai sinti del campo nomadi di Lucca
è morto l’arcivescovo emerito Bruno Tommasi
l’arcivescovo emerito Bruno Tommasi è morto questo pomeriggio all’ospedale Versilia. Aveva 85 anni. Era stato arcivescovo di Lucca dal 1991 al 2005
se n’è andato il vescovo emerito Bruno Tommasi. E’ spirato all’ospedale Versilia, dove era ricoverato a causa delle sue condizioni di salute, peggiorate negli ultimi tempi.
Tommasi era nato a Montignoso nel 1930. Aveva compiuto gli studi nel seminario arcivescovile di Lucca e nel 1958 era stato ordinato presbitero dall’arcivescovo Antonio Torrini.
Ha ricoperto gli incarichi di direttore spirituale e poi rettore del seminario di Lucca, nonché priore della parrocchia di Sant’Anna fino al 1983, anno in cui Giovanni Paolo II lo nomina vescovo di Pontremoli
Il 20 marzo 1991 ancora papa Wojtila lo nomina arcivescovo di Lucca. Rimarrà alla guida della chiesa lucchese fino al 2005, gli ultimi due anni insieme all’attuale arcivescovo e suo successore, monsignor Italo Castellani.
Don Bruno è stato anche un grande amico della nostra emittente che ha ospitato per anni i suoi interventi nella rubrica ‘Parla il Vescovo’. Ed è stato soprattutto benvoluto da tutti i lucchesi.
in morte di A. Paoli l’ultimo profeta
Arturo Paoli, morto l’ultimo profeta
era lo Schindler di Lucca: aveva 102 anni
Da giovanissimo salvò centinaia di ebrei durante la seconda guerra mondiale (e infatti era Giusto tra le Nazioni), poi affiancò i minatori sardi negli anni Cinquanta e infine finì nelle favelas argentine, dove il regime militare mise una taglia sulla sua testa
Se ne va l’ultimo grande “profeta” italiano, fratello Arturo Paoli. Avrebbe compiuto 103 anni il 30 novembre. Si è spento nella notte tra domenica e lunedì nella sua abitazione di San Martino in Vignale, sulle colline di Lucca, dove negli ultimi anni riceveva decine di giovani in cerca di un consiglio o del senso della vita. Quello che lui aveva trovato camminando con gli indifesi. Prima in Italia, dove giovanissimo salvò centinaia di ebrei durante la seconda guerra mondiale (e infatti era Giusto tra le Nazioni), poi in Sardegna, al fianco dei minatori negli anni Cinquanta, quindi – “esiliato” dal Vaticano – nelle favelas argentine, fino alla condanna a morte da parte del regime militare, che lo portò a girare l’America del Sud fino al 2005, anno del ritorno in Italia.
Lo Schindler di Lucca, Giusto per Israele Nel 1937 entra in seminario a Lucca, sua città natale. Sei anni dopo diventa il principale referente lucchese della rete Delasem, la Delegazione per l’assistenza degli emigranti ebrei di Giorgio Nissim. Con l’aiuto di altre persone, nasconde i perseguitati negli edifici del vecchio seminario in via del Giardino Botanico a Lucca. “Quanti ebrei ho salvato? Non lo so, non sono stato a contarli…” risponderà negli ultimi anni della sua vita a chi gli chiederà le cifre del suo coraggio. Che sarà riconosciuto soltanto nel 2006 con la medaglia d’oro al valore civile dal presidente della Repubblica. Nel 1999 Israele gli attribuisce l’onorificenza di Giusto tra le Nazioni, che Paoli, anche se senza polemica, non ritira.
“Esiliato”, diventa Piccolo Fratello della congregazione di de Foucault Nel 1949 si trasferisce a Roma, come vice assistente nazionale della Gioventù cattolica. Le sue idee, così simili a quelle di sinistra, infastidiscono i vertici dell’organizzazione. Nel 1954 viene mandato “in esilio”, a fare da cappellano tra i migranti italiani in una nave diretta in Argentina. Una misura punitiva che però diventa la sua salvezza. Durante il viaggio, Arturo assiste un religioso della congregazione dei Piccoli fratelli in punto di morte. Il prete ne resta colpito e decide di voler entrare nella congregazione fondata da Charles de Foucault, che ordina di camminare coi poveri.
Per farlo, la tappa obbligatoria è il noviziato. Da eremita, nel deserto algerino. Arriva a El-Abiodh nell’ottobre 1954, portando con sé la fama di intellettuale che arriva da Roma. Un’aura insopportabile per il maestro dei novizi, Fratel Milad, che decide di sfidarlo. A lui e solo a lui vieta di leggere e scrivere per tutto il tempo del noviziato, 13 mesi. Una misura per capire quanto sia capace di rinunciare a se stesso. Dopo il deserto, “era morto un Arturo e ne era nato un altro”, racconterà Paoli. Solo da eremita riesce a liberarsi di quella che definirà “la terribile malattia che si chiama il non senso della vita”. “Passare dalla pazienza del nulla è un’esperienza che rende lieti tutta la vita: dopo non esistono più egoismi né cinismi” spiegherà.
Come Piccolo Fratello, deve lavorare. E non lavori qualsiasi, ma duri, umili. Nel 1957 viene mandato in Sardegna, per stare tra i minatori. Viene assunto per la manutenzione delle strade. In più scrive le lettere per gli abitanti, perlopiù analfabeti, da recapitare ai parenti emigrati in America. Ancora visto di cattivo occhio dalle gerarchie vaticane, viene invitato a lasciare l’Italia.
E’ il 1960, ha 48 anni. Non senza sofferenza, parte per l’Argentina. Raccolta del cotone, taglio della legna: Arturo fa i lavori più umili e intanto incita le donne delle favelas a emanciparsi, a rendersi indipendenti. A Buenos Aires conosce anche un giovane Bergoglio. Gli piacerà, nelle vesti di Papa. “Lui non c’entra nulla con i dittatori, non era ancora vescovo: era un sacerdote gesuita, è sempre andato nelle bidonville” avrà a dire in sua difesa durante le polemiche mediatiche sul passato di Papa Francesco. I due si vedranno di nuovo, nel 2014, il 18 gennaio, a Santa Marta, in un lungo incontro, rigorosamente privato, alla maniera dei colloqui ordinati da Foucault.
La taglia della dittatura sulla sua testa In Argentina Arturo Paoli trova molti amici e una nuova patria. Ma nel 1974 è costretto ancora a partire: la dittatura militare ha posto una taglia sulla sua testa. Le sue foto sono appese per le strade. E’ al secondo posto tra i ricercati. Ripara in Venezuela, poi in Brasile, lavorando con gli ultimi e contro i potenti, sempre secondo lo spirito della Teologia della liberazione, così a lungo condannata dalla Chiesa. Nel 1984 Joseph Ratzinger, ancora cardinale, scrive che “le teologie della liberazione procedono a un pericoloso amalgama tra il povero della Scrittura e il proletariato di Marx” (Libertatis Nuntius del 6 agosto 1984).
Nel 2005, all’età di 93 anni, abbandona dopo mezzo secolo le favelas e fa ritorno in Italia. Va a vivere lontano dalla città, in un luogo isolato, circondato dai boschi, nella casa diocesana di San Martino in Vignale, sulle colline sopra Lucca, intitolata al Beato Charles de Foucauld. Con sé, la fidata Silvia Pettiti, sua segretaria personale dal 2001 e dal 2005, che lo ha seguito durante i viaggi in Brasile e che ha firmato, tra gli altri, Arturo Paoli. Ne valeva la pena (edizioni San Paolo, 2010).
Il testamento di Arturo Paoli Non era mai stato un giorno a letto per malattia, Arturo Paoli, che, oltre al suo esempio, lascia come testamento molti libri. Demonizzava il concetto del “ce la faccio da solo” e invitava soprattutto i giovani a riscoprire i valori della lentezza e della comunità, ad abbandonare il mito dei soldi e della solitudine. Sempre calato nell’attualità, Paoli ne La rinascita dell’Italia. Messaggio ai giovani (Maria Pacini Fazzi, Ed. 2011, col contributo di Fondazione Banca del Monte di Lucca), scriveva: “Berlusconi è stato il segno più convincente che il popolo italiano si è allontanato dall’ideale di mantenere al mondo la stima di un popolo serio, lavoratore, capace di solidarietà, soprattutto di popolo maturo. Che questo vuoto sia stato colmato da un uomo che ha il merito di comprare belle ragazze per il consumo, ci dovrebbe umiliare profondamente come Italiani”. Non risparmiava accuse all’Europa, così dedita al “capitalismo” e alla “morte del prossimo”. Arturo Paoli ha inseguito un unico grande progetto: “amorizzare il mondo”. “Se riflettiamo – scriveva in Cent’anni di fraternità (Chiarelettere) – la grande e unica ricchezza della vita è l’amore”.
grazie fratel Arturo!
è morto fratel Arturo Paoli
una vita a favore dei poveri
È morto nella notte fratel Arturo Paoli. Nato il 30 novembre 1912, aveva 102 anni. Sacerdote, religioso e missionario italiano, attivo in particolare in America latina, apparteneva alla congregazione dei Piccoli Fratelli del Vangelo.
momento, anche se illuminati dalla fede nella Risurrezione, sentono il peso dell`umanità per la scomparsa di “don Arturo”.La salma di don Arturo sarà esposta nella chiesa parrocchiale di San Martino in Vignale già da oggi lunedì 13 (dal pomeriggio) e anche per l`intera giornata di martedì 14 luglio. Mercoledì 15 sarà trasportata nella chiesa di San Michele in Foro, luogo cittadino dove per anni ha svolto il suo ministero e sua parrocchia di origine, dove sarà esposta alla cittadinanza dalle ore 8 alle 17. La celebrazione Eucaristica con il rito delle esequie si terrà nella chiesa Cattedrale sempre mercoledì 15 luglio alle ore 18. Don Arturo Paoli ha espresso la volontà di essere sepolto nel piccolo cimitero di San Martino in Vignale. La tumulazione sarà fatta in forma privata nella giornata di giovedì 16 luglio”.
Fratel Arturo Paoli aveva ricevuto, tra l’altro, il titolo di “Giusto tra le nazioni” per il suo impegno a favore degli ebrei perseguitati in Brasile durante la seconda guerra mondiale. Nel 2006 aveva ricevuto la Medaglia d’oro al valor civile per le mani del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi perché – recitava a motivazione – “nel corso dell’ultimo conflitto mondiale, con encomiabile spirito cristiano e preclara virtù civica, collaborò alla costruzione di una struttura clandestina, che diede ospitalità ed assistenza ai perseguitati politici e a quanti sfuggirono ai rastrellamenti nazifascisti dell’alta Toscana, riuscendo a salvare circa 800 cittadini ebrei”.
Lo scorso marzo era stato ricevuto in Vaticano da Papa Francesco, che conosceva in Argentina: “Al Pontefice – raccontò – ho portato
una bottiglia d`olio e un`immagine del Volto Santo, l`antico crocifisso che è simbolo dei fedeli lucchesi.
Pax Christi Italia ricorda e ringrazia Arturo Paoli
“Sono in attesa di una novità”
“Cent’anni di fraternità” recita il titolo dell’ultimo suo libro, che contiene uno scritto di Perez Esquivel, premio Nobel per la pace e suo amico fin dai primi anni dell’esperienza argentina. Cent’anni di grazia per tutti. Cent’anni di eredità vitale da trasmettere con cura. Partecipiamo con commossa gratitudine al dolore di tanti per l’esodo pasquale, nella notte del 13 luglio, di Arturo Paoli. Aveva 102 anni. Ha portato con sé il vento trasformatore del Concilio Vaticano II (1962-1965), del “Patto delle catacombe” sulla povertà (1965), delle assemblee di Medellìn (1968) e di Puebla (1079) orientate all’opzione cristiana per i poveri. Il suo Dialogo della liberazione (1969) è stato per Gustavo Gutierrez la fonte della teologia della liberazione. Arturo si è assunto l’impegno di camminare con i poveri sopportando umiliazioni ed emarginazioni, intrecciando la fede cristiana con l’amore al prossimo, la passione sociale, l’azione culturale e un intenso fervore contemplativo. Radicato nel Vangelo di Cristo (diceva che “la povertà nel Vangelo è fame e sete di giustizia”), nella testimonianza di Charles de Foucauld (così come di Teilhard de Chardin, di La Pira e e di tanti volti della grande famiglia della pace), Arturo ci aiuta a entrare nel mistero della Chiesa dei poveri per “amorizzare il mondo” con relazioni di pace, giustizia e misericordia. “Sono in attesa di una novità”, scriveva alcuni mesi fa. Anche noi siamo parte del suo sogno. Possiamo assumercene la responsabilità percorrendo e allungando i suoi sentieri… nella certezza che “Camminando s’apre cammino”. Grazie fratel Arturo!
in morte di dom Tomas Balduino
questa notte è morto – a 91 anni – Dom Tomas Balduino, fondatore della Commissione Pastorale della Terra, vescovo degli indios e dei senza terra brasiliani.
OMAGGIO DEI SEM TERRA a DOM TOMAS BALDUINO
La nostra eterna gratitudine a Dom Tomas Balduino con le parole del poeta Pedro Tierra
Si è spenta una voce degli oppressi
Si è spenta la voce di Tomás Balduino,
in questa notte del 2 di maggio.
Una voce che non volle mai essere solitaria,
sapeva, dagli anni di piombo:
che una voce solitaria non fa sorgere il mattino.
Volle essere una voce tra le voci.
Ha innalzato la sua voce nel vasto coro degli oppressi:
tra gli indios, i posseiros, i contadini,
i retiranti per la siccità e per le recinzioni,
e tra quelli che si ribellano a tutto questo;
tra le donne, i negri, i migranti, i pellegrini
per stimolare la luce, per insegnare l’alba.
Tomás è parola.
La parola che bagna come balsamo.
La parola che fustiga.
Incendia.
La parola che perdona
ma indica –sempre- il cammino della Giustizia.
E cosa siamo nella vita?
Siamo i resti delle parole
che popolano il cammino di pietra o fiori,
che fanno sanguinare i piedi dei nostri figli.
Tomás è sertão.
Il sertão e le sue trappole
Il sertão e le sue infinite contraddizioni.
Tomás è sertão
dove si intrecciano i venti di Goiás e Minas,
dove nascono le acque
in questa infinita geografia
che alimenta le nostre speranze.
Si è spenta la voce di Tomás Balduíno.
Resterà la sua parola
Tomás è sertão:
gesto di fede in questa gente che non si piega
Brasilia, 3 maggio 2014