“Chi governa? Il denaro. Come governa? Con la frusta della paura, della disuguaglianza,della violenza economica, sociale, culturale e militare”

papa Francesco e i movimenti popolari

«Colui che evangelizza è un mendicante che va a dire a un altro mendicante dove entrambi potranno trovare da mangiare»

(Nairobi, 1975)

 L’agibilità per la rivendicazione e l’organizzazione delle masse popolari schiacciate dalle élite mondiali e nazionali è ridottissima. La protesta è tollerata fino a quando rimane innocua altrimenti viene repressa -secondo necessità- con la violenza militare, psicologica o mediatica. L’organizzazione viene intralciata, infiltrata o infangata agli occhi delle stesse persone che ne potrebbero giovare. L’oppresso deve diffidare dei suoi simili in termini di condizioni e fidarsi di più di chi ha il potere anche se lo esercita ai suoi danni. È la strategia dei professionisti del consenso. Le masse faticano a liberarsi perché per rivendicare ed organizzarsi devono sottrarre tempo al lavoro necessario per vivere. E raramente le due attività sono compatibili. Per combattere il Sistema in definitiva si deve essere pronti a perdere tutto economicamente e socialmente e qualche volta anche a morire. In termini umani (o meglio materiali) conviene quindi accordarsi e cercare un compromesso: sopravvivenza in cambio di sottomissione e sfruttamento. La maggioranza sceglie quest’opzione, lasciando allo scoperto le minoranze che invece scelgono la lotta. Facile così per il Sistema individuare le avanguardie e renderle inefficaci. Dopo, quella stessa maggioranza trasforma le avanguardie in poster da attaccare sui muri, in frasi da far girare sui social, in giornate commemorative da organizzare e vivere insieme a quello stesso potere a cui loro si erano opposte e per questo eliminate. D’altronde l’oligarchia non dà riconoscimenti quando è giusto ma solo quando è costretta a farlo. Quindi o la maggioranza si riprende la dignità con azioni combinate di nonviolenza attiva o nessuno gliela restituirà. Il voto è necessario ma non sufficiente: il cambiamento è un processo che deve essere accompagnato con la partecipazione. Altrimenti si rischiano solo pericolose opere di trasformismo.

testo di Papa Francesco: 

Il colonialismo ideologico globalizzante cerca di imporre ricette sovraculturali che non rispettano l’identità dei popoli.[…]

Quel “filo invisibile” di cui abbiamo parlato in Bolivia, quella struttura ingiusta che collega tutte le esclusioni che voi soffrite, può consolidarsi e trasformarsi in una frusta, una frusta esistenziale che, come nell’Egitto dell’Antico Testamento, rende schiavi, ruba la libertà, colpisce senza misericordia alcuni e minaccia costantemente altri, per abbattere tutti come bestiame fin dove vuole il denaro divinizzato.

Chi governa allora? Il denaro. Come governa? Con la frusta della paura, della disuguaglianza,della violenza economica, sociale, culturale e militare che genera sempre più violenza in una spirale discendente che sembra non finire mai.[…]

Nessuna tirannia si sostiene senza sfruttare le nostre paure.[…]

La paura viene alimentata, manipolata… Perché la paura, oltre ad essere un buon affare per i mercanti di armi e di morte, ci indebolisce, ci destabilizza, distrugge le nostre difese psicologiche e spirituali, ci anestetizza di fronte alla sofferenza degli altri e alla fine ci rende crudeli.[…]

Cosa succede al mondo di oggi che, quando avviene la bancarotta di una banca, immediatamente appaiono somme scandalose per salvarla, ma quando avviene questa bancarotta dell’umanità non c’è quasi una millesima parte per salvare quei fratelli che soffrono tanto? E così il Mediterraneo è diventato un cimitero, e non solo il Mediterraneo… molti cimiteri vicino ai muri, muri macchiati di sangue innocente.[…]

Quell’idea delle politiche sociali concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che riunisca i popoli, mi sembra a volte una specie di carro mascherato per contenere gli scarti del sistema. Quando voi, dal vostro attaccamento al territorio, dalla vostra realtà quotidiana, dal quartiere, dal locale, dalla organizzazione del lavoro comunitario, dai rapporti da persona a persona, osate mettere in discussione le “macrorelazioni”, quando strillate, quando gridate, quando pretendete di indicare al potere una impostazione più integrale, allora non ci si tollera, non ci si tollera più tanto perché state uscendo dalla casella, vi state mettendo sul terreno delle grandi decisioni che alcuni pretendono di monopolizzare in piccole caste. Così la democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività, va disincarnandosi perché lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la dignità, nella costruzione del suo destino.[…]

(papa Francesco, dal Discorso ai partecipanti al 3° incontro mondiale dei movimenti popolari, 5/11/2016)

pubblicato da ‘altranarrazione’

 

il terrorismo del denaro che governa il mondo secondo papa Francesco – il discorso ai ‘movimenti popolari’

papa Francesco

‘uno scandalo salvare le banche e non la gente’

‘su migranti situazione obbrobriosa, una vergogna’

c’è “una bancarotta” dell’umanità al quale non si vuole porre riparo. Lo ha detto il Papa nell’udienza ai movimenti popolari. “Cosa succede al mondo di oggi che, quando avviene la bancarotta di una banca, immediatamente appaiono somme scandalose per salvarla, ma quando avviene questa bancarotta dell’umanità non c’è quasi una millesima parte per salvare quei fratelli che soffrono tanto? E così il Mediterraneo è diventato un cimitero, e non solo il Mediterraneo… molti cimiteri vicino ai muri, muri macchiati di sangue innocente”
la situazione dei migranti e dei rifugiati è “obbrobriosa, che posso solo descrivere con una parola che mi venne fuori spontaneamente a Lampedusa: vergogna”. Per il Papa il terrorismo è legato al denaro che governa il mondo con “la frusta della paura”movimiento-indigena-en-al1

 

DISCORSO DI PAPA FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL 3° INCONTRO MONDIALE DEI MOVIMENTI POPOLARI

Aula Paolo VI
Sabato, 5 novembre 2016

 

Fratelli e sorelle buon pomeriggio!

In questo nostro terzo incontro esprimiamo la stessa sete, la sete di giustizia, lo stesso grido: terra, casa e lavoro per tutti.

Ringrazio i delegati che sono venuti dalle periferie urbane, rurali e industriali dei cinque continenti, più di 60 Paesi, che sono venuti per discutere ancora una volta su come difendere questi diritti che radunano. Grazie ai Vescovi che sono venuti ad accompagnarvi. Grazie alle migliaia di italiani ed europei che si sono uniti oggi al termine di questo incontro. Grazie agli osservatori e ai giovani impegnati nella vita pubblica che sono venuti con umiltà ad ascoltare ed imparare. Quanta speranza ho nei giovani! Ringrazio anche Lei, Cardinale Turkson, per il lavoro che avete fatto nel Dicastero; e vorrei anche ricordare il contributo dell’ex Presidente uruguaiano José Mujica che è presente.

Nel nostro ultimo incontro, in Bolivia, con maggioranza di latinoamericani, abbiamo parlato della necessità di un cambiamento perché la vita sia degna, un cambiamento di strutture; inoltre di come voi, i movimenti popolari, siete seminatori di cambiamento, promotori di un processo in cui convergono milioni di piccole e grandi azioni concatenate in modo creativo, come in una poesia; per questo ho voluto chiamarvi “poeti sociali”; e abbiamo anche elencato alcuni compiti imprescindibili per camminare verso un’alternativa umana di fronte alla globalizzazione dell’indifferenza: 1. mettere l’economia al servizio dei popoli; 2. costruire la pace e la giustizia; 3. difendere la Madre Terra.movimenti-popolari

Quel giorno, con la voce di una “cartonera” e di un contadino, vennero letti, alla conclusione, i dieci punti di Santa Cruz de la Sierra, dove la parola cambiamento era carica di gran contenuto, era legata alle cose fondamentali che voi rivendicate: lavoro dignitoso per quanti sono esclusi dal mercato del lavoro; terra per i contadini e le popolazioni indigene; abitazioni per le famiglie senza tetto; integrazione urbana per i quartieri popolari; eliminazione della discriminazione, della violenza contro le donne e delle nuove forme di schiavitù; la fine di tutte le guerre, del crimine organizzato e della repressione; libertà di espressione e di comunicazione democratica; scienza e tecnologia al servizio dei popoli. Abbiamo ascoltato anche come vi siete impegnati ad abbracciare un progetto di vita che respinga il consumismo e recuperi la solidarietà, l’amore tra di noi e il rispetto per la natura come valori essenziali. È la felicità di “vivere bene” ciò che voi reclamate, la “vita buona”, e non quell’ideale egoista che ingannevolmente inverte le parole e propone la “bella vita”.

Noi che oggi siamo qui, di origini, credenze e idee diverse, potremmo non essere d’accordo su tutto, sicuramente la pensiamo diversamente su molte cose, ma certamente siamo d’accordo su questi punti.

Ho saputo anche di incontri e laboratori tenuti in diversi Paesi, dove si sono moltiplicati i dibattiti alla luce della realtà di ogni comunità. Questo è molto importante perché le soluzioni reali alle problematiche attuali non verranno fuori da una, tre o mille conferenze: devono essere frutto di un discernimento collettivo che maturi nei territori insieme con i fratelli, un discernimento che diventa azione trasformatrice “secondo i luoghi, i tempi e le persone”, come diceva sant’Ignazio. Altrimenti, corriamo il rischio delle astrazioni, di «certi nominalismi dichiarazionisti (slogans) che sono belle frasi ma che non riescono a sostenere la vita delle nostre comunità» (Lettera al Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, 19 marzo 2016). Sono slogan! Il colonialismo ideologico globalizzante cerca di imporre ricette sovraculturali che non rispettano l’identità dei popoli. Voi andate su un’altra strada che è, allo stesso tempo, locale e universale. Una strada che mi ricorda come Gesù chiese di organizzare la folla in gruppi di cinquanta per distribuire il pane (cfr Omelia nella Solennità del Corpus Domini, Buenos Aires, 12 giugno 2004).movimenti-popolari1

Poco fa abbiamo potuto vedere il video che avete presentato come conclusione di questo terzo incontro. Abbiamo visto i vostri volti nelle discussioni su come affrontare “la disuguaglianza che genera violenza”. Tante proposte, tanta creatività, tanta speranza nella vostra voce che forse avrebbe più motivi per lamentarsi, rimanere bloccata nei conflitti, cadere nella tentazione del negativo. Eppure guardate avanti, pensate, discutete, proponete e agite. Mi congratulo con voi, vi accompagno e vi chiedo di continuare ad aprire strade e a lottare. Questo mi dà forza, questo ci dà forza. Credo che questo nostro dialogo, che si aggiunge agli sforzi di tanti milioni di persone che lavorano quotidianamente per la giustizia in tutto il mondo, sta mettendo radici.

Vorrei toccare alcuni temi più specifici, che sono quelli che ho ricevuto da voi e che mi hanno fatto riflettere e che ora vi riporto, in questo momento.

1. Il terrore e i muri

Tuttavia, questa germinazione, che è lenta – quella alla quale mi riferivo -, che ha i suoi tempi come tutte le gestazioni, è minacciata dalla velocità di un meccanismo distruttivo che opera in senso contrario. Ci sono forze potenti che possono neutralizzare questo processo di maturazione di un cambiamento che sia in grado di spostare il primato del denaro e mettere nuovamente al centro l’essere umano, l’uomo e la donna. Quel “filo invisibile” di cui abbiamo parlato in Bolivia, quella struttura ingiusta che collega tutte le esclusioni che voi soffrite, può consolidarsi e trasformarsi in una frusta, una frusta esistenziale che, come nell’Egitto dell’Antico Testamento, rende schiavi, ruba la libertà, colpisce senza misericordia alcuni e minaccia costantemente altri, per abbattere tutti come bestiame fin dove vuole il denaro divinizzato.

Chi governa allora? Il denaro. Come governa? Con la frusta della paura, della disuguaglianza, della violenza economica, sociale, culturale e militare che genera sempre più violenza in una spirale discendente che sembra non finire mai. Quanto dolore e quanta paura! C’è – l’ho detto di recente – c’è un terrorismo di base che deriva dal controllo globale del denaro sulla terra e minaccia l’intera umanità. Di questo terrorismo di base si alimentano i terrorismi derivati come il narco-terrorismo, il terrorismo di stato e quello che alcuni erroneamente chiamano terrorismo etnico o religioso. Ma nessun popolo, nessuna religione è terrorista! È vero, ci sono piccoli gruppi fondamentalisti da ogni parte. Ma il terrorismo inizia quando «hai cacciato via la meraviglia del creato, l’uomo e la donna, e hai messo lì il denaro» (Conferenza stampa nel volo di ritorno del Viaggio Apostolico in Polonia, 31 luglio 2016). Tale sistema è terroristico.

Quasi cent’anni fa, Pio XI prevedeva l’affermarsi di una dittatura economica globale che chiamò «imperialismo internazionale del denaro» (Lett. enc. Quadragesimo anno, 15 maggio 1931, 109). Sto parlando dell’anno 1931! L’aula in cui ora ci troviamo si chiama “Paolo VI”, e fu Paolo VI che denunciò quasi cinquant’anni fa, la «nuova forma abusiva di dominio economico sul piano sociale, culturale e anche politico» (Lett. ap. Octogesima adveniens, 14 maggio 1971, 44). Anno 1971. Sono parole dure ma giuste dei miei predecessori che scrutarono il futuro. La Chiesa e i profeti dicono, da millenni, quello che tanto scandalizza che lo ripeta il Papa in questo tempo in cui tutto ciò raggiunge espressioni inedite. Tutta la dottrina sociale della Chiesa e il magistero dei miei predecessori si ribella contro l’idolo denaro che regna invece di servire, tiranneggia e terrorizza l’umanità.movimenti-popolari2

Nessuna tirannia si sostiene senza sfruttare le nostre paure. Questo è una chiave! Da qui il fatto che ogni tirannia sia terroristica. E quando questo terrore, che è stato seminato nelle periferie con massacri, saccheggi, oppressione e ingiustizia, esplode nei centri con diverse forme di violenza, persino con attentati odiosi e vili, i cittadini che ancora conservano alcuni diritti sono tentati dalla falsa sicurezza dei muri fisici o sociali. Muri che rinchiudono alcuni ed esiliano altri. Cittadini murati, terrorizzati, da un lato; esclusi, esiliati, ancora più terrorizzati, dall’altro. È questa la vita che Dio nostro Padre vuole per i suoi figli?

La paura viene alimentata, manipolata… Perché la paura, oltre ad essere un buon affare per i mercanti di armi e di morte, ci indebolisce, ci destabilizza, distrugge le nostre difese psicologiche e spirituali, ci anestetizza di fronte alla sofferenza degli altri e alla fine ci rende crudeli. Quando sentiamo che si festeggia la morte di un giovane che forse ha sbagliato strada, quando vediamo che si preferisce la guerra alla pace, quando vediamo che si diffonde la xenofobia, quando constatiamo che guadagnano terreno le proposte intolleranti; dietro questa crudeltà che sembra massificarsi c’è il freddo soffio della paura. Vi chiedo di pregare per tutti coloro che hanno paura, preghiamo che Dio dia loro coraggio e che in questo anno della misericordia possa ammorbidire i nostri cuori. La misericordia non è facile, non è facile… richiede coraggio. Per questo Gesù ci dice: «Non abbiate paura» (Mt 14,27), perché la misericordia è il miglior antidoto contro la paura. E’ molto meglio degli antidepressivi e degli ansiolitici. Molto più efficace dei muri, delle inferriate, degli allarmi e delle armi. Ed è gratis: è un dono di Dio.

Cari fratelli e sorelle, tutti i muri cadono. Tutti. Non lasciamoci ingannare. Come avete detto voi: «Continuiamo a lavorare per costruire ponti tra i popoli, ponti che ci permettano di abbattere i muri dell’esclusione e dello sfruttamento» (Documento Conclusivo del II Incontro mondiale dei movimenti popolari, 11 luglio 2015, Santa Cruz de la Sierra, Bolivia). Affrontiamo il terrore con l’amore.

Il secondo punto che voglio toccare è: l’Amore e i ponti.

Un giorno come questo, un sabato, Gesù fece due cose che, ci dice il Vangelo, affrettarono il complotto per ucciderlo. Passava con i suoi discepoli per un campo da semina. I discepoli avevano fame e mangiarono le spighe. Niente si dice del “padrone” di quel campo… soggiacente è la destinazione universale dei beni. Quello che è certo è che, di fronte alla fame, Gesù ha dato priorità alla dignità dei figli di Dio su un’interpretazione formalistica, accomodante e interessata dalla norma. Quando i dottori della legge lamentarono con indignazione ipocrita, Gesù ricordò loro che Dio vuole amore e non sacrifici, e spiegò che il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato (cfr Mc 2,27). Affrontò il pensiero ipocrita e presuntuoso con l’intelligenza umile del cuore (cfr Omelia, I Congreso de Evangelización de la Cultura, Buenos Aires, 3 novembre 2006), che dà sempre la priorità all’uomo e non accetta che determinate logiche impediscano la sua libertà di vivere, amare e servire il prossimo.

E dopo, in quello stesso giorno, Gesù fece qualcosa di “peggiore”, qualcosa che irritò ancora di più gli ipocriti e i superbi che lo stavano osservando perché cercavano una scusa per catturarlo. Guarì la mano atrofizzata di un uomo. La mano, questo segno tanto forte dell’operare, del lavoro. Gesù restituì a quell’uomo la capacità di lavorare e con questo gli restituì la dignità. Quante mani atrofizzate, quante persone private della dignità del lavoro! Perché gli ipocriti, per difendere sistemi ingiusti, si oppongono a che siano guariti. A volte penso che quando voi, i poveri organizzati, vi inventate il vostro lavoro, creando una cooperativa, recuperando una fabbrica fallita, riciclando gli scarti della società dei consumi, affrontando l’inclemenza del tempo per vendere in una piazza, rivendicando un pezzetto di terra da coltivare per nutrire chi ha fame, quando fate questo state imitando Gesù, perché cercate di risanare, anche se solo un pochino, anche se precariamente, questa atrofia del sistema socio-economico imperante che è la disoccupazione. Non mi stupisce che anche voi a volte siate sorvegliati o perseguitati, né mi stupisce che ai superbi non interessi quello che voi dite.

Gesù che quel sabato rischiò la vita, perché, dopo che guarì quella mano, farisei ed erodiani (cfr Mc 3,6), due partiti opposti tra loro, che temevano il popolo e anche l’impero, fecero i loro calcoli e complottarono per ucciderlo. So che molti di voi rischiano la vita. So – e lo voglio ricordare, e la voglio ricordare – che alcuni non sono qui oggi perché si sono giocati la vita… Per questo non c’è amore più grande che dare la vita. Questo ci insegna Gesù.

Le 3-T, il vostro grido che faccio mio, ha qualcosa di quella intelligenza umile ma al tempo stesso forte e risanatrice. Un progetto-ponte dei popoli di fronte al progetto-muro del denaro. Un progetto che mira allo sviluppo umano integrale. Alcuni sanno che il nostro amico il Cardinale Turkson presiede adesso il Dicastero che porta questo nome: Sviluppo Umano Integrale. Il contrario dello sviluppo, si potrebbe dire, è l’atrofia, la paralisi. Dobbiamo aiutare a guarire il mondo dalla sua atrofia morale. Questo sistema atrofizzato è in grado di fornire alcune “protesi” cosmetiche che non sono vero sviluppo: crescita economica, progressi tecnologici, maggiore “efficienza” per produrre cose che si comprano, si usano e si buttano inglobandoci tutti in una vertiginosa dinamica dello scarto… Ma questo mondo non consente lo sviluppo dell’essere umano nella sua integralità, lo sviluppo che non si riduce al consumo, che non si riduce al benessere di pochi, che include tutti i popoli e le persone nella pienezza della loro dignità, godendo fraternamente la meraviglia del creato. Questo è lo sviluppo di cui abbiamo bisogno: umano, integrale, rispettoso del creato, di questa casa comune.

Un altro punto è: Bancarotta e salvataggio.

Cari fratelli, voglio condividere con voi alcune riflessioni su altri due temi che, insieme alle “3-T” e all’ecologia integrale, sono stati al centro dei vostri dibattiti degli ultimi giorni e sono centrali in questo periodo storico.

So che avete dedicato una giornata al dramma dei migranti, dei rifugiati e degli sfollati. Cosa fare di fronte a questa tragedia? Nel Dicastero di cui è responsabile il Cardinale Turkson c’è una sezione che si occupa di queste situazioni. Ho deciso che, almeno per un certo tempo, quella sezione dipenda direttamente dal Pontefice, perché questa è una situazione obbrobriosa, che posso solo descrivere con una parola che mi venne fuori spontaneamente a Lampedusa: vergogna.

Lì, come anche a Lesbo, ho potuto ascoltare da vicino la sofferenza di tante famiglie espulse dalla loro terra per motivi economici o violenze di ogni genere, folle esiliate – l’ho detto di fronte alle autorità di tutto il mondo – a causa di un sistema socio-economico ingiusto e delle guerre che non hanno cercato, che non hanno creato coloro che oggi soffrono il doloroso sradicamento dalla loro patria, ma piuttosto molti di coloro che si rifiutano di riceverli.

Faccio mie le parole di mio fratello l’Arcivescovo Hieronymos di Grecia: «Chi vede gli occhi dei bambini che incontriamo nei campi profughi è in grado di riconoscere immediatamente, nella sua interezza, la “bancarotta” dell’umanità» (Discorso nel Campo profughi di Moria, Lesbos, 16 aprile 2016). Cosa succede al mondo di oggi che, quando avviene la bancarotta di una banca, immediatamente appaiono somme scandalose per salvarla, ma quando avviene questa bancarotta dell’umanità non c’è quasi una millesima parte per salvare quei fratelli che soffrono tanto? E così il Mediterraneo è diventato un cimitero, e non solo il Mediterraneo… molti cimiteri vicino ai muri, muri macchiati di sangue innocente. Nei giorni di questo incontro – lo dite nel video – quanti sono i morti nel Mediterraneo?

La paura indurisce il cuore e si trasforma in crudeltà cieca che si rifiuta di vedere il sangue, il dolore, il volto dell’altro. Lo ha detto il mio fratello il Patriarca Bartolomeo: «Chi ha paura di voi non vi ha guardato negli occhi. Chi ha paura di voi non ha visto i vostri volti. Chi ha paura non vede i vostri figli. Dimentica che la dignità e la libertà trascendono la paura e trascendono la divisione. Dimentica che la migrazione non è un problema del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale, dell’Europa e della Grecia. È un problema del mondo» (Discorso nel Campo profughi di Moria, Lesbos, 16 aprile 2016).

E’, veramente, un problema del mondo. Nessuno dovrebbe vedersi costretto a fuggire dalla propria patria. Ma il male è doppio quando, davanti a quelle terribili circostanze, il migrante si vede gettato nelle grinfie dei trafficanti di persone per attraversare le frontiere, ed è triplo se arrivando nella terra in cui si pensava di trovare un futuro migliore, si viene disprezzati, sfruttati, addirittura schiavizzati. Questo si può vedere in qualunque angolo di centinaia di città. O semplicemente non si lasciano entrare.

Chiedo a voi di fare tutto il possibile; di non dimenticare mai che anche Gesù, Maria e Giuseppe sperimentarono la condizione drammatica dei rifugiati. Vi chiedo di esercitare quella solidarietà così speciale che esiste tra coloro che hanno sofferto. Voi sapete recuperare fabbriche dai fallimenti, riciclare ciò che altri gettano, creare posti di lavoro, coltivare la terra, costruire abitazioni, integrare quartieri segregati e reclamare senza sosta come la vedova del Vangelo che chiede giustizia insistentemente (cfr Lc 18,1-8). Forse con il vostro esempio e la vostra insistenza, alcuni Stati e Organizzazioni internazionali apriranno gli occhi e adotteranno le misure adeguate per accogliere e integrare pienamente tutti coloro che, per un motivo o per un altro, cercano rifugio lontano da casa. E anche per affrontare le cause profonde per cui migliaia di uomini, donne e bambini vengono espulsi ogni giorno dalla loro terra natale.

Dare l’esempio e reclamare è un modo di fare politica, e questo mi porta al secondo tema che avete dibattuto nel vostro incontro: il rapporto tra popolo e democrazia. Un rapporto che dovrebbe essere naturale e fluido, ma che corre il pericolo di offuscarsi fino a diventare irriconoscibile. Il divario tra i popoli e le nostre attuali forme di democrazia si allarga sempre più come conseguenza dell’enorme potere dei gruppi economici e mediatici che sembrano dominarle. I movimenti popolari, lo so, non sono partiti politici e lasciate che vi dica che, in gran parte, qui sta la vostra ricchezza, perché esprimete una forma diversa, dinamica e vitale di partecipazione sociale alla vita pubblica. Ma non abbiate paura di entrare nelle grandi discussioni, nella Politica con la maiuscola, e cito di nuovo Paolo VI: «La politica è una maniera esigente – ma non è la sola – di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri» (Lett. ap. Octogesima adveniens, 14 maggio 1971, 46). O questa frase che ripeto tante volte, e sempre mi confondo, non so se è di Paolo VI o di Pio XII: “La politica è una delle forme più alte della carità, dell’amore”.

Vorrei sottolineare due rischi che ruotano attorno al rapporto tra i movimenti popolari e politica: il rischio di lasciarsi incasellare e il rischio di lasciarsi corrompere.

Primo, non lasciarsi imbrigliare, perché alcuni dicono: la cooperativa, la mensa, l’orto agroecologico, le microimprese, il progetto dei piani assistenziali… fin qui tutto bene. Finché vi mantenete nella casella delle “politiche sociali”, finché non mettete in discussione la politica economica o la politica con la maiuscola, vi si tollera. Quell’idea delle politiche sociali concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei i poveri e tanto meno inserita in un progetto che riunisca i popoli, mi sembra a volte una specie di carro mascherato per contenere gli scarti del sistema. Quando voi, dal vostro attaccamento al territorio, dalla vostra realtà quotidiana, dal quartiere, dal locale, dalla organizzazione del lavoro comunitario, dai rapporti da persona a persona, osate mettere in discussione le “macrorelazioni”, quando strillate, quando gridate, quando pretendete di indicare al potere una impostazione più integrale, allora non ci si tollera, non ci si tollera più tanto perché state uscendo dalla casella, vi state mettendo sul terreno delle grandi decisioni che alcuni pretendono di monopolizzare in piccole caste. Così la democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività, va disincarnandosi perché lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la dignità, nella costruzione del suo destino.

Voi, organizzazioni degli esclusi e tante organizzazioni di altri settori della società, siete chiamati a rivitalizzare, a rifondare le democrazie che stanno attraversando una vera crisi. Non cadete nella tentazione della casella che vi riduce ad attori secondari o, peggio, a meri amministratori della miseria esistente. In questi tempi di paralisi, disorientamento e proposte distruttive, la partecipazione da protagonisti dei popoli che cercano il bene comune può vincere, con l’aiuto di Dio, i falsi profeti che sfruttano la paura e la disperazione, che vendono formule magiche di odio e crudeltà o di un benessere egoistico e una sicurezza illusoria.

Sappiamo che «finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 202). Per questo, l’ho detto e lo ripeto, «il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. E’ soprattutto nelle mani dei popoli; nella loro capacità di organizzarsi ed anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento» (Discorso al II incontro mondiale dei movimenti popolari, Santa Cruz de la Sierra, 9 luglio 2015). Anche la Chiesa può e deve, senza pretendere di avere il monopolio della verità, pronunciarsi e agire specialmente davanti a «situazioni in cui si toccano le piaghe e le sofferenze drammatiche, e nelle quali sono coinvolti i valori, l’etica, le scienze sociali e la fede» (Intervento al vertice di giudici e magistrati contro il traffico di persone e il crimine organizzato, Vaticano, 3 giugno 2016). Questo è il primo rischio: il rischio di lasciarsi incasellare e l’invito a mettersi nella grande politica.

Il secondo rischio, vi dicevo, è lasciarsi corrompere. Come la politica non è una questione dei “politici”, la corruzione non è un vizio esclusivo della politica. C’è corruzione nella politica, c’è corruzione nelle imprese, c’è corruzione nei mezzi di comunicazione, c’è corruzione nelle chiese e c’è corruzione anche nelle organizzazioni sociali e nei movimenti popolari. E’ giusto dire che c’è una corruzione radicata in alcuni ambiti della vita economica, in particolare nell’attività finanziaria, e che fa meno notizia della corruzione direttamente legata all’ambito politico e sociale. E’ giusto dire che tante volte si utilizzano i casi corruzione con cattive intenzioni. Ma è anche giusto chiarire che quanti hanno scelto una vita di servizio hanno un obbligo ulteriore che si aggiunge all’onestà con cui qualunque persona deve agire nella vita. La misura è molto alta: bisogna vivere la vocazione di servire con un forte senso di austerità e di umiltà. Questo vale per i politici ma vale anche per i dirigenti sociali e per noi pastori. Ho detto “austerità” e vorrei chiarire a cosa mi riferisco con la parola austerità, perché può essere una parola equivoca. Intendo austerità morale, austerità nel modo di vivere, austerità nel modo in cui porto avanti la mia vita, la mia famiglia. Austerità morale e umana. Perché in campo più scientifico, scientifico-economico, se volete, o delle scienze del mercato, austerità è sinonimo di aggiustamento… Non mi riferisco a questo, non sto parlando di questo.

A qualsiasi persona che sia troppo attaccata alle cose materiali o allo specchio, a chi ama il denaro, i banchetti esuberanti, le case sontuose, gli abiti raffinati, le auto di lusso, consiglierei di capire che cosa sta succedendo nel suo cuore e di pregare Dio di liberarlo da questi lacci. Ma, parafrasando l’ex-presidente latinoamericano che si trova qui, colui che sia affezionato a tutte queste cose, per favore, che non si metta in politica, che non si metta in un’organizzazione sociale o in un movimento popolare, perché farebbe molto danno a sé stesso, al prossimo e sporcherebbe la nobile causa che ha intrapreso. E che neanche si metta nel seminario!

Davanti alla tentazione della corruzione, non c’è miglior rimedio dell’austerità, questa austerità morale, personale; e praticare l’austerità è, in più, predicare con l’esempio. Vi chiedo di non sottovalutare il valore dell’esempio perché ha più forza di mille parole, di mille volantini, di mille “mi piace”, di mille retweets, di mille video su youtube. L’esempio di una vita austera al servizio del prossimo è il modo migliore per promuovere il bene comune e il progetto-ponte delle “3-T”. Chiedo a voi dirigenti di non stancarvi di praticare questa austerità morale, personale, e chiedo a tutti di esigere dai dirigenti questa austerità, che – del resto – li farà essere molto felici.

Care sorelle e cari fratelli,

la corruzione, la superbia e l’esibizionismo dei dirigenti aumenta il discredito collettivo, la sensazione di abbandono e alimenta il meccanismo della paura che sostiene questo sistema iniquo.

Vorrei, per concludere, chiedervi di continuare a contrastare la paura con una vita di servizio, solidarietà e umiltà in favore dei popoli e specialmente di quelli che soffrono. Potrete sbagliare tante volte, tutti sbagliamo, ma se perseveriamo in questo cammino, presto o tardi, vedremo i frutti. E insisto: contro il terrore, il miglior rimedio è l’amore. L’amore guarisce tutto. Alcuni sanno che dopo il Sinodo sulla famiglia ho scritto un documento che ha per titolo “Amoris laetitia” – la “gioia dell’amore” – un documento sull’amore nelle singole famiglie, ma anche in quell’altra famiglia che è il quartiere, la comunità, il popolo, l’umanità. Uno di voi mi ha chiesto di distribuire un fascicolo che contiene un frammento del capitolo quarto di questo documento. Penso che ve lo consegneranno all’uscita. E quindi con la mia benedizione. Lì ci sono alcuni “consigli utili” per praticare il più importante dei comandamenti di Gesù.

In Amoris laetitia cito un compianto leader afroamericano, Martin Luther King, il quale sapeva sempre scegliere l’amore fraterno persino in mezzo alle peggiori persecuzioni e umiliazioni. Voglio ricordarlo oggi con voi; diceva: «Quando ti elevi al livello dell’amore, della sua grande bellezza e potere, l’unica cosa che cerchi di sconfiggere sono i sistemi maligni. Le persone che sono intrappolate da quel sistema le ami, però cerchi di sconfiggere quel sistema […] Odio per odio intensifica solo l’esistenza dell’odio e del male nell’universo. Se io ti colpisco e tu mi colpisci, e ti restituisco il colpo e tu mi restituisci il colpo, e così di seguito, è evidente che si continua all’infinito. Semplicemente non finisce mai. Da qualche parte, qualcuno deve avere un po’ di buon senso, e quella è la persona forte. La persona forte è la persona che è capace di spezzare la catena dell’odio, la catena del male» (n. 118; Sermone nella chiesa Battista di Dexter Avenue, Montgomery, Alabama, 17 novembre 1957). Questo lo ha detto nel 1957.

Vi ringrazio nuovamente per il vostro lavoro, per la vostra presenza. Desidero chiedere a Dio nostro Padre che vi accompagni e vi benedica, che vi riempia del suo amore e vi difenda nel cammino dandovi in abbondanza la forza che ci mantiene in piedi e ci dà il coraggio per rompere la catena dell’odio: quella forza è la speranza. Vi chiedo per favore di pregare per me, e quelli che non possono pregare, lo sapete, pensatemi bene e mandatemi una buona onda. Grazie.

il nuovo incontro dei movimenti popolari con papa Francesco

i poveri della terra si incontrano ancora con papa Francesco

La lotta dei poveri per Terra, Casa e Lavoro. Il nuovo incontro dei movimenti popolari con papa Francesco

la lotta dei poveri per Terra, Casa e Lavoro

il nuovo incontro dei movimenti popolari con papa Francesco

Claudia Fanti 

 

Se è un compito di enorme portata quello di trasformare un pianeta ferito e inospitale in una casa accogliente in cui non vi sia più «nessun contadino senza terra, nessuna famiglia senza casa, nessun lavoratore senza impiego», i movimenti popolari di tutto il mondo sanno almeno, e non da oggi, di poter contare sul chiaro e deciso sostegno di papa Francesco. Ed è proprio con lui, il loro più potente alleato, che potranno nuovamente riunirsi il prossimo 5 novembre – evento culminante del Terzo Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari (EMMP) –, a due anni dal primo storico incontro in Vaticano (nell’ottobre del 2014), quando più di 100 delegati – appartenenti a quella ricca galassia di forme di auto-organizzazione riconducibili in vario modo alla categoria dell’economia informale – erano stati invitati a Roma per iniziativa del papa stesso, il quale, «coerente con la sua opzione per i poveri», aveva voluto, secondo le parole di Frei Betto, «sentire coloro che li rappresentano». Vale a dire – come ha spiegato mons. Silvano Tomasi, del Pontificio Consiglio Gustizia e Pace, durante la conferenza stampa di presentazione del III EMMP svoltasi oggi presso la Sala Stampa della Santa Sede – riportare al centro quanti sono da sempre relegati in periferia, invitandoli, una volta tanto, non solo ad ascoltare, ma soprattutto a parlare e a confrontarsi, indipendentemente da ogni appartenenza confessionale, e ancor di più ad auto-organizzarsi, unendo le loro forze per combattere le cause dell’esclusione e iniziare a edificare quell’altro mondo ritenuto possibile eppure sempre drammaticamente lontano. È proprio questa, del resto – come ha evidenziato durante la conferenza stampa il membro del Comitato organizzativo dell’incontro Juan Grabois – l’«idea soggiacente al concetto di movimento popolare»: i poveri, secondo quanto sottolineato dallo stesso papa Francesco durante l’incontro del 2014, «non si limitano a subire l’ingiustizia, ma si organizzano e lottano contro di essa». Cosicché ciò che ha fatto papa Francesco, ha proseguito Grabois, è stato «porre sotto gli occhi del mondo una realtà coperta dal silenzio: esiste un’enorme quantità di organizzazioni, grandi e piccole, che sono costituite, organizzate e guidate dagli esclusi, i quali non si rassegnano alla miseria che è stata loro imposta e resistono in un’ottica di solidarietà all’attuale paradigma tecnocratico».

Convocato dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e da esponenti dei movimenti stessi (un comitato organizzativo composto da Joao Pedro Stédile del Movimento dei Senza Terra-Via Campesina, da Juan Grabois della Confederazione dei Lavoratori dell’Economia Popolare dell’Argentina, dalla spagnola Xaro Castelló del Movimento Mondiale dei Lavoratori Cristiani e dall’indiano Jockin Arputham di Slum Dwellers International), il primo Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari era stato pensato come un punto di partenza nel processo di costruzione di una sorta di coordinamento delle organizzazioni popolari, con il sostegno della Chiesa. E si era proposto di individuare le cause strutturali dell’esclusione e i modi per combatterle, partendo da tre grandi tematiche: Terra, Casa, Lavoro. Un processo che ha poi fatto tappa nel 2015 a Santa Cruz de la Sierra, dove, durante il viaggio del papa in Bolivia, 1.500 rappresentanti di organizzazioni provenienti da 40 Paesi hanno nuovamente avuto la possibilità di incontrarsi con lui, impegnandosi ad approfondire gli stessi tre grandi temi del precedente incontro. E che ora fa ritorno in Vaticano, dove, dal 2 al 5 novembre, si svolgerà il terzo incontro, con l’obiettivo di aggiungere un nuovo tassello al cammino di costruzione di un rinnovato protagonismo degli esclusi nella lotta per la Terra, la Casa, il Lavoro; di promozione di un dialogo fra le organizzazioni e i movimenti popolari a livello internazionale e locale; di lotta a favore dei cambiamenti strutturali proposti da papa Francesco nella Evangelii gaudium e nella Laudato si’, di rafforzamento della cooperazione tra la Chiesa (a livello mondiale, nazionale, regionale) e le organizzazioni popolari, al di fuori di ogni approccio assistenzialista e paternalista.

In riferimento alla metologia tradizionale latinoamericana del vedere, giudicare e agire, ha affermato Juan Grabois, «si potrebbe dire che il primo incontro è servito a conoscere le nostre realtà (vedere)», a capire, cioè, che le lotte per la Terra, la Casa, il Lavoro sono le stesse in tutto il mondo; il secondo è stato dedicato al «discernimento collettivo» su «cosa sta avvenendo (giudicare)», su una realtà costituita da «situazioni di ingiustizia strutturale legate da un “filo invisibile” che è possibile spezzare solo attraverso un programma di radicale trasformazione» (sintetizzato nella Carta di Santa Cruz de la Sierra, sottoscritta da oltre 500 organizzazioni di tutto il mondo); e, infine, questo terzo dovrà concentrarsi sulle «concrete proposte di cambiamento (agire)».

Tenendo ferme le ormai note parole chiave – «la lotta per le 3 “T” (Tierra, Techo, Trabajo) continua a essere il cuore dei nostri incontri», ha sottolineato Grabois – la riflessione si centrerà stavolta in particolare su tre grandi temi: territorio e beni naturali, nell’ottica di quell’Ecologia intregrale su cui si è soffermato papa Francesco nella Laudato si’; popoli e democrazia (cioè la natura delle istituzioni democratiche e «la loro incapacità di limitare il potere arbitrario dei poteri forti»); rifugiati e sfollati (un dramma, questo, per il quale il papa, ha evidenziato Grabois, ha sempre mostrato una particolare preoccupazione e in cui «le contraddizioni del sistema si esprimono in maniera particolarmente brutale»). E, rispetto all’incontro del 2014, vi sarà un’importante novità: l’evento conclusivo del 5 novembre, quello che culminerà con il discorso di papa Francesco, sarà esteso a un grande ventaglio di movimenti italiani (Libera, Miseria Ladra, la Campagna Stop Ttip, Attac Italia, Mondeggi Bene Comune, Forum italiano dell’acqua, Contratto Mondiale dell’Acqua, Arci, Agesci, Azione Cattolica, Chiesa di tutti Chiesa dei poveri, Pax Christi, Amig@s MST-Italia, Rete Radié Resch, solo per citarne alcuni), i quali, per volontà esplicita del papa, che ha messo per questo a disposizione l’aula Paolo VI (con una capienza di 7.000 persone), potranno così dialogare e confrontarsi con i circa 200 delegati dei movimenti popolari internazionali, più diversi altri invitati all’Incontro, dall’ex-presidente uruguaiano José Mujica a don Luigi Ciotti. Un’opportunità, per le organizzazioni italiane, afflitte da un calo generalizzato di partecipazione e da una frammentazione sempre più evidente e drammatica, per iniziare a riallacciare un dialogo di cui in tanti lamentano la mancanza, in vista del possibile avvio di una nuova stagione di lotte a livello italiano e internazionale.

* Un’immagine della conferenza stampa. Foto di Claudia Fanti

qualcosa sembra che cambi davvero nella chiesa!

 

LA LOTTA DEI MOVIMENTI FA BENE ALL’UMANITÀ
L’INCONTRO DELLE ORGANIZZAZIONI POPOLARI IN VATICANO

sinodo

 

 

 

 

questa sembra davvero la volta buona, che qualcosa cambi davvero nella chiesa! Il pontificato di papa Francesco sembra procedere lentamente ma coerentemente verso un cambiamento: sembra rappresentare un ‘cambiar verso’ non alla Matteo Renzi ma averso la direzione giusta

il grande evento dei giorni scorsi ne è la dimostrazione più evidente: l’evento che  ha visto protagonisti i più di 100 delegati di organizzazioni popolari di tutto il mondo convenuti a Roma per l’incontro organizzato dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e da esponenti dei movimenti stessi, con l’appoggio esplicito di papa Francesco

di seguito la bella sintesi che dei lavori e delle presenze assolutamente impensabili prima di ora hanno fatto Claudia Fanti e Alberto Bobbio:

 

 È stato un momento storico, come l’ha definito Ignacio Ramonet sottolineando che qualcosa sta cambiando nella Chiesa e sta cambiando «nella direzione giusta», quello che ha visto protagonisti i più di 100 delegati di organizzazioni popolari di tutto il mondo convenuti a Roma per l’incontro organizzato dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e da esponenti dei movimenti stessi, con l’appoggio esplicito di papa Francesco.

Un momento storico perché mai prima d’ora si era svolta in Vaticano e con l’avallo del pontefice un’assemblea che si può considerare come una sorta di Forum Sociale Mondiale, convocato con il preciso obiettivo di individuare le cause strutturali dell’esclusione e i modi per combatterle, tracciando nuovi cammini di inclusione sociale, a partire da tre grandi tematiche: Pane (lavoratori dell’economia informale, giovani precari e nuova problematica del mondo del lavoro); Terra (contadini, problematica ambientale e sovranità alimentare, agricoltura); Casa (insediamenti informali e problematica delle periferie urbane).

Un incontro inteso come una grande esperienza di dialogo, punto di partenza del processo di costruzione di una sorta di coordinamento delle organizzazioni popolari, con il sostegno della Chiesa, come ha affermato il card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, introducendo i lavori. Un incontro, ha spiegato il cardinale, che non può non richiamarsi all’insegnamento di Giovanni XXIII, il quale «voleva che la Chiesa tenesse le finestre spalancate sul mondo», nella convinzione che «nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco» nel cuore dei discepoli di Cristo. E, a distanza di quasi 50 anni dalla chiusura del Concilio, «è questo – ha evidenziato Turkson – il motivo principale per cui vi abbiamo invitato qui», rispondendo all’esortazione rivolta dal papa alla Chiesa e al mondo tutto ad ascoltare il grido dei poveri e degli esclusi, i quali devono essere, ha sottolineato il cardinale, «non semplici e passivi destinatari di elemosine altrui», ma artefici della propria vita, protagonisti della ricerca di una vita più dignitosa e di un diverso modello di sviluppo. 

vedere…

Un protagonismo di cui i rappresentanti dei movimenti presenti hanno dato senz’altro grande prova, raccontando le proprie esperienze di lotta e di liberazione, in base al programma del primo giorno dei lavori, quello destinato a mettere a fuoco la realtà di esclusione attraverso le testimonianze dei partecipanti, secondo il metodo, proprio della teologia latinoamericana, del vedere-giudicare-agire.

A prendere la parola sono stati quindi i/le rappresentanti del popolo degli esclusi, a cominciare dalla cilena Luz Francisca Rodriguez, di Via Campesina Internazionale, la quale ha espresso tutto l’orgoglio dell’identità contadina, della missione – la più nobile che vi sia – di garantire alimenti sani per tutta l’umanità, proteggendo al contempo la Madre Terra. Ma anche denunciando l’avanzata senza freni del capitale sulle campagne; la mancanza di adeguate politiche agrarie da parte dei governi; il disprezzo nei confronti delle conoscenze e delle culture contadine; il ruolo di una scienza al servizio del capitale, disposta persino a mettere a repentaglio la vita, attraverso per esempio l’imposizione delle colture transgeniche.

E non si poteva parlare di Terra, di Pane e di Casa, senza affrontare il nodo dell’emergenza ambientale e climatica, «un problema – ha sottolineato l’esperto di cambiamenti climatici Veerabhadran Ramanathan – che si trasformerà ben presto in un disastro». Per risolverlo, secondo Ramanathan, occorre operare profondi cambiamenti nel nostro atteggiamento nei confronti della natura e degli altri, in una mobilitazione che non può fare a meno dell’aiuto dei leader religiosi. È un problema, peraltro, che chiama in causa la giustizia, dal momento che, ha evidenziato, i tre miliardi di poveri che contribuiscono alle emissioni di gas ad effetto serra per meno del 5% sono anche quelli che pagheranno maggiormente le conseguenze del riscaldamento globale. 

E a indicare i veri colpevoli ci ha pensato Silvia Ribeiro dell’Etc Group, ricordando come l’1% più ricco dell’umanità controlli quasi il 50% della ricchezza globale e come al 70% della popolazione mondiale resti meno del 3% delle ricchezze. «Gli esperti chiamano Antropocene l’attuale fase planetaria, per sottolineare l’impatto dell’umanità sulla vita della Terra. Non sono d’accordo», ha concluso: «Quella attuale è l’era della plutocrazia, quella in cui 85 miliardari, da soli, consumano risorse quanto la metà della popolazione mondiale».

… giudicare…

La seconda giornata dei lavori ha avuto il suo culmine nell’incontro con papa Francesco che ha esordito riconoscendo il protagonismo dei poveri, i quali, ha sottolineato, non sono solo coloro che soffrono l’ingiustizia, ma anche coloro che lottano contro l’ingiustizia, che non aspettano passivamente gli aiuti degli organismi internazionali, che non attendono da altri soluzioni che non arriveranno mai.  

Questo incontro, ha evidenziato, esprime l’anelito concreto verso quei «diritti sacri» che devono essere garantiti a tutti: terra, casa, lavoro. E a chi dice che «il papa è comunista» non si può non ricordare che «è questo il fulcro del Vangelo». 

Al principio, ha sottolineato il papa soffermandosi sul primo di questi «diritti sacri», Dio ha creato l’essere umano come custode del creato. Un compito che viene tradito con l’accaparramento di terre, con la deforestazione, con l’appropriazione delle fonti d’acqua, con la trasformazione del cibo in merce. Contro tutto ciò, il papa ha dichiarato con forza che «la fame è un crimine», «l’alimentazione è un diritto inalienabile», «la riforma agraria è non solo una necessità politica, ma un obbligo morale». 

Quanto alla casa, il secondo dei diritti sacri, ha ricordato che le città che conosciamo, nel momento stesso in cui offrono tutti i servizi possibili a una minoranza ricca, negano un tetto a migliaia di abitanti, chiamati elegantemente «persone di strada»: è incredibile – ha notato il papa – quanto proliferino gli eufemismi nel mondo dell’ingiustizia. E come, dietro a ogni eufemismo, si nasconda sempre un crimine. Basti pensare alle tristi immagini degli sgomberi forzati, così simili a «immagini di guerra».

Infine, il lavoro: «Non esiste peggiore povertà materiale di quella che impedisce alle persone di guadagnarsi il pane», come conseguenza di un sistema economico che pone gli interessi privati al di sopra della persona e dell’umanità, e come espressione di una cultura dello scarto che trasforma l’essere umano in un bene di consumo, in nome «di un sistema che mette al centro il dio Denaro». Un’aggressione a cui in tanti rispondono reinventandosi un’occupazione nell’ambito dell’economia popolare e del lavoro comunitario e questo, ha detto il papa, «non è solo lavoro, è poesia».

E, per finire, un’esortazione ai movimenti popolari, perché continuino a organizzarsi, rivitalizzando le nostre democrazie, in maniera che non vi sia più nessun contadino senza terra, nessuna famiglia senza casa, nessun lavoratore senza diritti. «Voi avete i piedi nel fango, sapete di polvere di strada, di popolo, di lotta. Senza di voi – ha detto – tutti i buoni propositi dei discorsi ufficiali rimangono lettera morta»: «Continuate a lottare perché la vostra lotta è una benedizione per l’umanità».

E se una delle grandi sfide dei movimenti popolari è, come ha evidenziato Margaret Archer, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, quella di tradursi in «forma legittima di governo», secondo il principio di «una democrazia partecipativa che trasmetta dal basso verso l’alto le esigenze dei poveri», nessuno era più indicato di Evo Morales, leader cocalero diventato presidente della Bolivia, per affrontare la questione.

Ed è con il suo racconto dell’esperienza di rifondazione della Bolivia che si è conclusa la seconda giornata dei lavori, evidenziando la necessità per i movimenti di passare dalla fase della resistenza a quella dell’appropriazione del potere politico, dalla lotta sociale alla lotta elettorale, in nome di una democrazia che rappresenti gli interessi del popolo e non del mercato e che sia dominata non dalla logica della maggioranza e della minoranza, ma da un processo decisionale fondato sul consenso. 

Ma se apprezzatissimo è stato il discorso del papa, non sono comunque mancate critiche all’istituzione ecclesiastica: al ruolo da questa giocato nel passato, nei confronti per esempio dei popoli indigeni, e nel presente, riguardo, ad esempio, al sostegno prestato al colpo di Stato in Honduras, sulle cui conseguenze si è soffermata un’appassionata lettera consegnata a papa Francesco dal Copinh (Consejo civico de organizaciones populares e indigenas de Honduras) e letta in plenaria dalla dirigente Berta Caceres: «Vogliamo che in Honduras – si legge nella lettera – rinasca una Chiesa impegnata con i più impoveriti e le più impoverite, come auspicavano i nostri santi e i nostri martiri, da p. Guadalupe Carney a mons. Romero, non con cardinali che concedono la loro benedizione a colpi di Stato e a sistemi di potere che perseguitano quanti percorrono il cammino di liberazione all’interno della stessa Chiesa». Dove il riferimento è chiaramente al card. Rodriguez Maradiaga, ribattezzato dal suo popolo, all’epoca del colpo di Stato, “cardinale golpista” o “cardeMal”, per il suo aperto appoggio al regime golpista, e poi scelto da papa Francesco per presiedere il gruppo di cardinali incaricato di elaborare un progetto di riforma della Curia. 

agire!

L’ultimo giorno dei lavori è stato invece incentrato sull’elaborazione e la discussione dei documenti finali dell’incontro, quelli ad uso interno come pure la Dichiarazione finale dell’incontro dei movimenti popolari (che può essere letta sul sito www.movimientospopulares.org). Né è mancata una sintesi di tutto il dibattito svoltosi nell’ultimo giorno, affidata a João Pedro Stedile, leader del movimento dei Senza Terra, e a Paola Estrada, dell’Alba dei movimenti, e articolata attorno ai tre ambiti tematici della terra, del lavoro e della casa.

Così, rispetto alla Terra, il proclama «non vi sia nessun contadino senza terra» va affiancato a quello «nessun popolo senza il suo territorio»: i movimenti popolari sono chiamati a lottare per una Riforma Agraria Popolare, integrale, democratica, centrata sulla sovranità alimentare, sull’accesso universale all’acqua, sul controllo delle sementi, sull’agroecologia, sulla produzione di alimenti sani per tutto il popolo. 

E poi, sviluppando il principio «non vi sia nessun lavoratore senza diritti», occorre lottare perché tutti abbiano diritto a un lavoro degno e a un reddito tale da garantire una vita dignitosa, perché a tutti vengano riconosciuti i diritti del lavoro e perché tutti possano trovare lavoro nei propri luoghi di vita, senza essere costretti ad emigrare. Ma i movimenti sono anche chiamati a lottare contro ogni forma di discriminazione e ogni forma di schiavitù e a denunciare la subordinazione di Stati, governi e sindacati agli interessi delle transnazionali.

In base quindi al principio «non vi sia nessuna famiglia senza una casa dignitosa», i movimenti si impegnano, tra l’altro, a trasformare le periferie degradate in spazi comunitari di solidarietà e buen vivir, a combattere la speculazione finanziaria e immobiliare, a promuovere processi di autogestione cooperativa, a lottare per il diritto al ritorno di tutte le popolazioni sfollate, a difendere occupazioni collettive di edifici e di terreni inutilizzati per risolvere il problema della casa. 

Accanto a questi, altri impegni sono stati proposti dai rappresentanti dei movimenti, come la creazione di una rete di solidarietà che consenta di mobilitarsi contro ogni caso di ingiustizia e di persecuzione in qualsiasi Paese del mondo, la collaborazione con tutte le tradizioni religiose per coscientizzare il popolo sulla necessità dell’organizzazione, il ricorso all’insegnamento di papa Francesco per diffondere tra i popoli l’esigenza di lottare per i cambiamenti necessari nel mondo, la promozione di nuovi modi di consumo e di nuovi stili di vita, in maniera, ha evidenziato Stedile, che «nessun lavoratore insegua il sogno di diventare un piccolo borghese». Infine, l’accento dei delegati è stato posto sulla necessità di continuare a riunire i settori organizzati in lotta per la terra, il lavoro e la casa, di creare una piattaforma di comunicazione tra i partecipanti per la promozione di azioni comuni, di mantenere un dialogo continuo con papa Francesco in vista della creazione di un’istanza di collaborazione permanente. (claudia fanti) (Rimandiamo alla nostra pagina Facebook per la lettura integrale dei resoconti della nostra redattrice)

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Per tre giorni l’Incontro mondiale dei Movimenti Popolari: da Banca Etica ai Sem Terras ai centri sociali italiani un centinaio di sigle portano le voci delle periferie in Vaticano.

Alberto Bobbio
Si chiama Incontro mondiale dei Movimenti popolari e si svolge in Vaticano per tre giorni da lunedì 27 ottobre coordinati dal Pontificio Consiglio per la giustizia e la pace e dalla Pontificia Accademia delle scienze. In pratica è il Social Forum mondiale che si trasferisce da papa Francesco. E’ lui che ha voluto far incontrare e parlare con loro, le organizzazioni di base che lavorano nell’ambito della giustizia sociale e che di solito non hanno alcun riconoscimento da parte delle istituzioni. Sono un centinaio di sigle di tutto il mondo, a loro volta rappresentanti di reti nazionali e internazionali, che operano nei Paesi ricchi e nel Terzo Mondo e che una volta all’anno si trovano nel “Social forum”, una sorta di congresso- happening, nato in Brasile a Porto Alegre anni fa con lo slogan “Un altro mondo è possibile” per poter contrastare le analisi dei banchieri e degli imprenditori globali riuniti ogni anno a Davos in Svizzera. Al Social Forum da dieci anni partecipano anche alcune organizzazioni cattoliche, tra cui Caritas italiana, sacerdoti, missionari e vescovi.

L’incontro che si apre lunedì in vaticano si intitola “Terra, Domus, Labor”. Bergoglio li conosce bene perché quando era arcivescovo di Buenos Aires creò un apposita vicaria per coordinare con loro il lavoro della Chiesa per i poveri. Scorrendo l’elenco si rimane sorpresi. Tra i movimenti italiani, oltre a Banca etica e all’Associazione Trentini nel mondo, che si occupa di cooperazione internazionale, c’è il centro sociale Leoncavallo di Milano, uno dei centri sociali storici del nostro Paese, e la rete “Genuino Clandestino”, un network di centri sociali che coordina i No-Tav e i movimenti No Expò, bocciato con lo slogan “Affamare il pianeta, energie per le lobby”. Genuino Clandestino nasce nel 2010 per sostenere il cibo contadino contro la grandi industrie alimentari dell’agrobusiness e contro i sistemi ufficiali di certificazione, ma è diventato via via una rete in cui convivono molte iniziative, si legge nella presentazione in rete, “fiero di essere clandestino” e di portare “avanti le sue lotte e la sua esistenza con o senza il consenso della legge”.
E c’è anche “Ri-Maflow” il progetto degli operai licenziati dalla Maflow, una multinazionale a capitale italiano e stabilimenti in tutto il mondo, nel cui sito di Trezzano sul Naviglio lavoravano 330 persone, una fabbrica ridotta al fallimento non già per crisi industriale ma per speculazione finanziaria e chiusa definitivamente nel dicembre 2012, che si sono riappropriati della fabbrica, decisi a dimostrare che una fabbrica autogestita, senza padroni e senza sfruttamento, può funzionare. Ci sono  gli “Indignados” spagnoli e la rete di “Democracia Real YA”, il nucleo storico degli indignados quelli che diedero il via al movimento occupando nel 2011 per molti giorni Puerta del Sol a Madrid. Dalla Spagna arriva, oltre la Gioventù operaia di Azione Cattolica, anche Enhe Bizkaia, il sindacato basco che esprime le posizioni del braccio politico dei separatisti. C’è il network internazionale di Via Campesina nelle sue varie articolazioni nazionali, a partire dall’associazione francese di José Bové, che anni fa guidò il movimento contadino d’Oltralpe nelle rivendicazioni contro la multinazionali del cibo e il governo di Parigi, e diventò un eroe nazionale quando assaltò insieme ad altri un McDonald’s a Millau, dove venne arrestato.
Il comunicato con  il quale il Vaticano ha annunciato l’incontro è firmato anche da Joao Pedro Stédile, leader dei Sem Terra brasiliani e coordinatore di Via Campesina Internacional, uno dei movimento sociali più influenti e potenti in Brasile. Stédile ha scritto alcuni anni fa che “un movimento contadino che contesta le classi dirigenti può considerare un trionfo il semplice fatto di esistere”. Poi c’è United Steelworkers, il maggiore sindacato americano del settore industriale impegnato per globalizzare le lotte dei lavoratori contro le multinazionali e per creare un’organizzazione mondiale di sindacati più incisiva nella difesa dei diritti dei lavoratori cosa che oggi non accade poiché i capitali sono globali mentre il lavoro è nazionale.
L’elenco comprende moltissime organizzazioni impegnate nella difesa delle sovranità alimentare dei popoli in tutti i continenti, tutte le associazioni che lottando in Africa contro il “land grabbing”, cioè l’acquisto di enormi appezzamento per culture intensive da destinare quasi sempre ai biocarburanti. Ci sono le comunità indigene, il coordinamento delle donne rurale di moltissimi Paesi, le organizzazioni che curano l’accesso al credito contro le regole delle grandi banche. Ma c’è anche la Cut, il potente sindacato brasiliano, il coordinamento dei movimento che in Grecia hanno contribuito al successo di Tzipras, i cartoneros e le empresas recuperadas argentina che hanno permesso a molta gente di sopravvivere con il riciclaggio di ogni cosa alla terribile crisi di Buenos Aires.
Il leader di questi movimenti argentini Juan Grabois, amico di Bergoglio dai tempi di Buenos Aires, e avvocato dei cartoneros era presente in Vaticano venerdì scorso alla conferenza stampa di presentazione dell’incontro: “Papa Francesco non si dimentica di noi, cioè di chi lotta, senza superbia, ma con coraggio, senza violenza, ma con tenacia per la dignità che ci hanno rubato e la giustizia sociale”.

Mons. Marcelo Sanchez Sorondo, cancelliere della Pontificia accademia delle Scienze ha spiegato che il Papa “non teme la politicizzazione, anzi questa è necessaria perché i politici si rendano conto dei problemi e dunque ci vuole una certa pressione”. Sorondo ha aggiunto che “diverse conferenze episcopali e vescovi non  sono consapevoli del problema”. Anche il cardinale  AppiahTurkson, presidente del Pontifico Consiglio della giustizia e della pace, allontana rischi di strumentalizzazione e le critiche che si tratta soprattutto di movimenti di sinistra: “Beati i poveri è una frase del Vangelo”. Sorondo ha ricordato che “il papa ha detto che sono i marxisti ad aver rubato la bandiera” e che lo stesso Bergoglio ha detto di non essere “trotskista, ma ha molti amici trotskisti”.
In Vaticano dovrebbe esserci anche Evo Morales, il presidente boliviano, che viene però come leader storico dei cocaleros boliviani, il movimento dei contadini che hanno rivendicato in passato la coltivazione della foglia di coca, come coltura nazionale e non come base del narcotraffico. Per la prima volta nella storia della Chiesa, fa notare Frei Betto, il sacerdote domenicano brasiliano uno dei leader della teologia dalla liberazione, “il Papa cambia interlocutori e ascolta coloro che veramente rappresentano i poveri”. Frei Betto ricorda che l’unico precedente è stato un incontro di Karol Wojtyla nel 1980 durante il primo viaggio in Brasile nella cappella del Collegio Santo Americo a San Paolo con alcuni sindacalisti, tra cui Lula, “ma si trattò di un incontro protocollare”.

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