il commento al vangelo di natale

NATALE 
IL VERBO SI FECE CARNE
E VENNE AD ABITARE IN MEZZO A NOI

commento al Vangelo di p. Alberto MAGGI

p. Maggi

Gv 1,1-18

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza  di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno  vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per  mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo  e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto.  Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo  nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in  mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà  testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo  ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto:  il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

Per il giorno di Natale la chiesa ci offre come riflessione i primi diciotto versetti del vangelo di Giovanni, conosciuti come “prologo” al suo vangelo. Nel prologo l’evangelista riassume e anticipa tutta la sua opera e ogni singola parola del prologo sarà poi sviluppata lungo tutta la narrazione.  E’ un prologo che inizia correggendo la sacra scrittura e termina smentendola. Vediamola nei suoi tratti più salienti.  In principio, l’evangelista si rifà al primo libro della Bibbia, il libro del Genesi, che inizia con queste parole: In principio Dio creò il cielo e la  terra.
Ebbene, l’evangelista non è d’accordo.  In principio era il Verbo, cioè prima ancora di creare il cielo e la terra Dio aveva in mente un progetto. “Verbo” (lÒgoj) significa una parola, una parola  creatrice che realizza il progetto di Dio nella creazione.  Quindi, prima ancora della creazione c’era questo Verbo, questo progetto di Dio. E questo Verbo  continuamente interpellava Dio perché arrivasse a realizzarlo. L’evangelista scrive che In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. Non c’è una luce esterna che deve guidare gli uomini – la luce, nella spiritualità  ebraica, era la legge – ma è la vita la luce degli uomini. E’ la risposta al desiderio di pienezza di vita quello che guida e illumina la via degli uomini. La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. L’evangelista assicura che la luce, man mano che allarga il suo splendore, vince le tenebre.  La luce non deve combattere le tenebre, non c’è nulla di bellicoso in questo progetto di Dio sull’umanità. La luce deve soltanto splendere. Nella misura  in cui splende, le tenebre restringeranno il loro influsso.  E poi arriviamo a quelli che sono i versetti centrali del prologo, quindi più importanti di tutto questo brano: Venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno  accolto.  Com’è stato possibile?  E’ stato possibile perché proprio la casta sacerdotale al potere, in nome del Dio del passato, ha rifiutato il Dio che si manifesta nel presente.  Il Dio del passato l’avevano potuto manipolare presentandolo come un Dio di potere, per poter essi stessi esercitare il potere. Il Dio che si presenta,  che è un Dio-amore che si mette a servizio, scombinava tutti i loro piani, i loro progetti. Per questo lo hanno rifiutato.  Però, l’evangelista assicura, ed è questo il versetto principale di tutto il prologo, A quanti lo hanno accolto – quindi c’è chi ha accolto questo progetto  di Dio, questa parola – ha dato il potere di diventare figli di Dio. “Figli di Dio” non si nasce, ma si diventa, accogliendo questo progetto di vita, facendolo  proprio. Questo progetto, lo vedremo, si realizza nella figura di Gesù e possiamo accoglierlo come modello del proprio comportamento.  E il Verbo – questa parola creatrice – si fece carne.  L’evangelista non scrive, come ci saremmo aspettati, “si fece uomo”, ma “si fece carne!” La carne (sarx) indica l’uomo nella sua debolezza, la debolezza  dell’esistenza umana. E venne ad abitare … non “in mezzo a noi”, ma in noi (™n ¹m‹n).
L’evangelista sta indicando qualcosa di straordinario. Con la nascita Dio non è più da cercare, ma da accogliere. E’ un Dio che non solo è vicino, ma un  Dio che chiede a ogni uomo di diventare l’unico vero santuario dal quale irradiare il suo amore, la sua santità e la sua compassione. Quindi questo Verbo  si è fatto carne, nella debolezza dell’esistenza umana, il che significa che non esiste dono di Dio che non passi attraverso la carne, attraverso l’umanità. Il Dio di Gesù chiede di essere accolto per fondersi con l’uomo, dilatarne le capacità d’amore, e renderlo l’unico vero santuario dal quale si irradia  il suo amore. Questo è il progetto di Dio sull’umanità: ogni uomo diventa l’unico vero santuario.
Gesù un po’ più avanti in questo vangelo dirà che se uno lo ama osserverà la sua parola, il Padre e lui verranno nell’individuo e prenderanno dimora presso  di lui. Quindi questa è la grande novità. E’ finita l’epoca dei templi dove l’uomo deve andare, ma inizia l’epoca dell’unico vero santuario che è Gesù  e quanti lo accolgono, che non attende che le persone vadano verso di lui, ma è il santuario che si orienta verso le persone, specialmente verso gli ultimi,
verso le persone che sono state emarginate e rifiutate.  Dalla sua pienezza – questa pienezza d’amore – noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia. Questa espressione (carin ¢ntˆ caritoj) indica che l’amore  alimenta l’amore. C’è un amore ricevuto che va accolto e trasformato in amore comunicato. L’amore che l’uomo riceve da Dio, che accoglie e che poi trasforma  in amore comunicato all’altro, permette a Dio una nuova, più abbondante, risposta d’amore. E questo in un crescendo senza fine.  Ed ecco i versetti conclusivi e importanti.
Perché la legge fu data per mezzo di Mosè – parla di legge come di qualcosa del passato – la grazia e la verità – cioè l’amore generoso di Dio, l’amore  fedele – vennero per mezzo di Gesù Cristo.  L’evangelista qui anticipa quella che sarà la nuova alleanza di Gesù.  Mentre Mosè, il servo di Dio, ha imposto un’alleanza tra dei servi e il loro Signore, basata sull’obbedienza alla legge, Gesù, che è il Figlio di Dio,  propone un’alleanza tra dei figli e il loro Padre, basata sull’accoglienza e somiglianza al suo amore.  Quest’amore fedele, questa grazia e verità, non nasce dal bisogno dell’uomo, ma lo precede. Infine – abbiamo detto che inizia correggendo la scrittura  e smentendola – Dio nessuno lo ha mai visto.
L’evangelista smentisce quello che è scritto nel libro dell’Esodo, dove si legge che Mosè ed altri hanno visto Dio. No, hanno fatto solo esperienze molto  limitate. Pertanto, la volontà di Dio che Mosè ha espresso, è una volontà limitata alla sua esperienza.
Dio nessuno l’ha mai visto, il figlio unigenito, che è Dio – ecco il progetto che si è realizzato – ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato. Quindi l’evangelista invita a centrare tutta l’attenzione su Gesù. Gesù non è come Dio, ma Dio è come Gesù. Tutto quello che noi crediamo di sapere su  Dio adesso dobbiamo verificarlo ed esaminarlo in Gesù, quel Gesù che poi dirà a Filippo: “Chi ha visto me ha visto il Padre”.
Ecco, questo è l’annunzio del Natale: non un uomo che deve salire verso Dio per divinizzarsi, ma accogliere un Dio che è sceso verso gli uomini umanizzandosi.  Tanto più gli uomini saranno umani, tanto più si manifesterà il divino che è in loro.




al cuore del mistero natalizio

SE DIO SI FA UMANO

di ENZO BIANCHI

Bianchi

Al cuore della nostra fede c’è il mistero dell’incarnazione di Dio: Dio si è fatto uomo in Gesù di Nazareth, il quale è nato, ha vissuto, è morto quale umana creatura nella storia e in mezzo all’umanità. Tuttavia, questa fede che noi confessiamo non sempre ci appare in tutte le sue conseguenze: ripetiamo che Dio si è fatto uomo, ma poi non approfondiamo, non osiamo dare alla carne di Gesù il peso che merita, la realtà che essa è in un corpo umano.

Innanzitutto, dire che Dio si è incarnato significa dire che non si è fatto uomo in generale, non ha semplicemente unito la natura umana alla sua qualità di Figlio di Dio, ma che è diventato un uomo “singolare”, preciso. E questo è avvenuto nascendo da Maria di Nazareth – “nato da donna”, scrive san Paolo (Gal 4,4) – ma cresciuto nel mondo a poco a poco, costruendosi in una persona plasmata dalla famiglia natale, dalle esperienze vissute, dalle contraddizioni affrontate, dal bene e dal male che ha dovuto riconoscere nel mondo e tra gli esseri umani. Dovremmo dire non solo che Dio si è incarnato, ma Dio si è umanizzato! Non facciamo letture cariche di supposizioni o di ipotesi psicologiche – tanto praticate oggi, ma svianti e sovente insensate – atteniamoci invece ai vangeli.

La venuta del Figlio di Dio che rinunciava al privilegio della sua condizione di Dio, spogliandosi degli attributi divini, non poteva avvenire se non in una famiglia credente e povera tra quelli che erano gli anawim, i “curvati”, i poveri che aspettavano la salvezza solo da Dio. E sua madre, Maria, e suo padre secondo la legge, Giuseppe, accolgono Gesù e lo mettono al mondo dandogli quell’amore e quella fiducia indispensabili a un bambino per crescere.

Anche nel rapporto filiale con Maria e Giuseppe, Gesù ha vissuto fatiche, difficoltà, contraddizioni… Certo, Maria era una donna che viveva dell’obbedienza alla parola di Dio, e Giuseppe è detto “uomo giusto”, dunque erano dei buoni genitori, ma questo non risparmia a Gesù le difficoltà quotidiane che si incontrano crescendo in una famiglia umana. In questo modo Gesù si umanizza come ogni essere umano e la sua personalità viene plasmata dalle relazioni con quei precisi parenti (“fratelli e sorelle di Gesù”), in quel preciso villaggio di Nazareth, con quanti frequentavano la sua famiglia e l’officina del carpentiere Giuseppe. Così è cresciuto umanizzandosi, imparando a “diventare un uomo”, a plasmare la sua personalità con il bagaglio ricevuto (la natura) e la storia in cui era immesso (la cultura). Dio, suo Padre, ha saputo rispettare la crescita autonoma di Gesù, senza mai fargli mancare l’ispirazione, la grazia, la fedeltà. La Lettera agli Ebrei lo dice con chiarezza: “Gesù imparò attraverso le sofferenze patite l’obbedienza filiale” (Ebr 5,8).

Purtroppo in molti cristiani questa immagine di Gesù veramente umano, umanissimo, è assente perché la sua qualità di Dio pare potersi affermare solo a scapito della sua qualità umana. L’umanizzazione di Dio ci scandalizza, e d’altronde questa è una verità solo cristiana, aborrita dai monoteismi, sia quello giudaico che quello dell’islam. Resta la verità dei vangeli: Gesù non è stato uomo per finta, non era solo simile a noi, era “della nostra stessa pasta”, come dicevano i primi padri della chiesa. E se i vangeli non ci parlano di Gesù nella crescita e nella giovinezza è perché non c’era nulla da dire, essendo la sua vita così ordinaria e quotidiana. Tuttavia non si finisca per pensare che questa umanissima condizione di Gesù gli impedisse di ascoltare Dio in un modo personalissimo, unico, come unica era la sua venuta nel mondo: unica ma sempre umanissima. “Cresceva in sapienza, in taglia e in grazia presso Dio e presso gli uomini” (Lc 2,52) e quindi sapeva afferrare nella sua esistenza umana ciò che Dio Padre voleva da lui, anche quando Giuseppe e Maria non lo capivano.

 
 

 



gli auguri di natale dei preti del Veneto

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“Vivere la misericordia”

lettera di Natale 2015

la consueta lettera di Natale dei preti del Nordest

Al centro dell’edizione 2015, dal titolo “Vivere la misericordia”, le numerose sfide che l’attualità pone alla comunità cristiana e ai suoi pastori, interrogati anche dai grandi eventi ecclesiali che hanno contraddistinto l’anno: il Sinodo sulla famiglia, il Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, il Giubileo della misericordia e le celebrazioni del cinquantenario del Patto delle catacombe. I preti invitano, in particolare, a riflettere su alcuni temi dirimenti: pace e nonviolenza, migranti, giustizia, detenzione, ambiente e clima.

Ci rivolgiamo a voi per condividere nell’accoglienza e nell’amicizia reciproche esperienze, interrogativi, speranze, per cercare di contribuire con parole e segni a un’umanità più umana e a una Chiesa più evangelica. Condividiamo con tante persone la fede in Gesù di Nazareth e con tutte le donne e gli uomini di buona volontà l’anelito e la dedizione per un mondo di libertà, di giustizia e pace.

Un tempo particolare

Viviamo un tempo di particolare intensità e di cambiamenti straordinari che in pochi decenni renderanno il nostro mondo profondamente diverso, soprattutto per la presenza e la necessaria convivenza fra donne e uomini provenienti da tutti i luoghi del Pianeta e per l’urgenza drammatica di proteggere e custodire la Madre Terra e tutti gli esseri viventi. Come evidenzia papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ in cui il grido dei poveri e il grido della terra “si uniscono in un unico grido” che ci provoca, ci interpella e ci chiede risposte urgenti, non più rinviabili. In tale contesto papa Francesco ha indetto “Il Giubileo straordinario della Misericordia” per la Chiesa come segno per tutta l’umanità, nel 50° anniversario della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II.

La misericordia dimensione e pratica indispensabile per l’umanità

La Misericordia è la rivelazione e l’incarnazione dell’Amore di Dio: la sua presenza, il perdono per ogni persona, per l’umanità intera, con attenzione particolare ai poveri, ai deboli, ai sofferenti. La misericordia di Dio si è rivelata nella storia, nella persona, nelle parole e nei gesti di Gesù di Nazareth, che con la sua quotidiana presenza continua a coinvolgerci e a sollecitarci alla compassione.

Francesco, vescovo di Roma, segno di misericordia

Ancora una volta esprimiamo profonda gratitudine a Francesco per le sue parole e i suoi gesti in un momento particolarmente difficile per lui a causa delle vicende che riguardano il Vaticano e la lontananza di chi nella Chiesa si riferisce al suo insegnamento con distacco e arroganza. Francesco cerca di liberare la Chiesa dal potere nelle sue diverse espressioni, dall’apparato religioso che nasconde incoerenze, infedeltà e corruzione.

Il fondamento è il Vangelo

Nella complessità del momento storico, ribadiamo come fondamento e guida il Vangelo di Gesù di Nazareth, da cui ci sentiamo ogni giorno di ripartire e a cui sempre ritornare, sperimentandone lo straordinario e consolante coinvolgimento nelle scelte della nostra vita.

LA SOLA CHIESA CREDIBILE

La sola Chiesa credibile a cui ci sentiamo di appartenere è quella del Vangelo di Gesù, del Concilio Vaticano II, dei profeti e dei martiri, di tante donne e tanti uomini credenti, umili e credibili, di papa Francesco: misericordiosa perché cerca di seguire il Dio della Misericordia, di cui vive l’esperienza. Desideriamo condividere con voi alcuni momenti significativi di incontro.

Il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia

La famiglia e la coppia umana, assunte nella molteplicità delle loro situazioni, sono le vere destinatarie della misericordia: i divorziati risposati non sono più considerati pubblici peccatori, ma “battezzati, sono fratelli e sorelle, lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti” mentre si vedrà come “possono essere superate le diverse forme di esclusione di cui oggi sono gravati” in ambito liturgico e in ogni altra dimensione ecclesiale. Nei confronti dei fratelli e sorelle omosessuali sono stati espressi attenzione, accoglienza, rispetto, valorizzazione.

L’assemblea della Chiesa italiana a Firenze

Il 10 novembre 2015 papa Francesco nella sua riflessione ha delineato le qualità imprescindibili della Chiesa italiana. Il primo sentimento è l’umiltà: l’ossessione di preservare la propria gloria, la propria ‘dignità’, la propria influenza non deve far parte dei nostri sentimenti. Un altro sentimento è il disinteresse: dobbiamo cercare la felicità di chi ci sta accanto. L’umanità del cristiano è sempre in uscita, non è narcisistica, autoreferenziale. “Evitiamo di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli”. (Evangelii Gaudium, 49). Il nostro dovere è lavorare per rendere questo mondo un posto migliore e lottare. La nostra fede è rivoluzionaria, qualsiasi vita si decide sulla capacità di donarsi. Un ulteriore sentimento di Cristo Gesù è quello della beatitudine: il cristiano è un beato, ha in sé la gioia del Vangelo. Due sono le tentazioni che la Chiesa italiana deve affrontare. Coperta dall’apparenza di un benessere c’è la fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte; nell’assunzione di uno stile di controllo, di durezza, di normalità. Davanti ai mali o ai problemi della Chiesa è inutile cercare soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno la capacità di essere significative. La dottrina cristiana non è un sistema chiuso, incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, sa animare. Non ha un volto rigido, ha un corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo. È importante procedere con genio e creatività, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa. La seconda tentazione è quella di confidare nel ragionamento logico e chiaro, il quale però perde la tenerezza della carne del fratello. Bisogna mettere in pratica; se non si conduce la Parola alla realtà, si costruisce sulla sabbia, si rimane nella pura idea, si degenera in intimismi che non danno frutto. Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto. Se perdiamo questo contatto con il popolo fedele di Dio perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte. I due pilastri sono per noi le beatitudini e le parole del giudizio finale: ho avuto fame e sete, ero ammalato, carcerato, forestiero, denudato dai vestiti e della dignità e voi mi avete incontrato se siete stati solidali o non mi avete incontrato se siete stati indifferenti. Due raccomandazioni soprattutto: inclusione dei poveri e capacità di incontro e dialogo. Noi cerchiamo di vivere questa Chiesa.

Il patto delle catacombe

Rinnoviamo anche noi in questo Natale 2015 il patto delle catacombe che il 16 novembre 1965, pochi giorni prima della chiusura del Concilio Vaticano II, una cinquantina di padri conciliari hanno dichiarato nella celebrazione dell’Eucarestia nelle catacombe di Domitilla a Roma. Il 16 novembre 2015 a Napoli gruppi e comunità, donne e uomini fra cui anche padre Alex Zanotelli e don Luigi Ciotti hanno rinnovato questo patto a cui aderiamo e invitiamo ad aderire.

Prima di tutto, Signore, ti vogliamo chiedere perdono. Siamo consapevoli che, attraverso il nostro stile di vita, siamo causa di tanta sofferenza dei nostri fratelli e sorelle, dell’oppressa e devastata terra.

Ci impegniamo a fare l’opzione dei poveri, degli esclusi, degli ‘scarti’ della società, a riconoscere in loro la ‘carne di Cristo’, Sacramento vivo della sua Presenza, “a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro.”

Ci impegniamo, affinché la nostra azione pastorale porti i poveri a sentirsi a ‘casa loro’ nelle nostre comunità, e a essere al centro della nostra attenzione.

Ci impegniamo, davanti a Te, Unico Signore, in questa società che adora l’idolo del denaro, a non arricchirci, a non possedere, a condividere quello che abbiamo.

Ci impegniamo, in questo momento storico, all’accoglienza dei fratelli e delle sorelle, che fuggono da situazioni di ingiustizia e di morte, perché fare spazio a loro è farlo a Cristo: mettendo a disposizione le nostre case, chiese e conventi.

Ci impegniamo quindi, a uno stile di vita sobrio in tutti gli ambiti della nostra vita, nell’abitazione, nel cibo, nell’abbigliamento, nei mezzi di trasporto e nelle nostre chiese: evitando l’usa e getta, privilegiando l’usato e il circuito corto e naturale, riciclando e recuperando i rifiuti.

Ci impegniamo, in solidarietà con i poveri, a rimettere in discussione il nostro sistema economico-finanziario, ‘nuova e spietata versione del feticismo del denaro’, i cui effetti devastanti tocchiamo con mano sostenendo in maniera nonviolenta, nella nostra azione pastorale, i movimenti popolari che si impegnano a favore dei diritti fondamentali dell’essere umano, ‘cibo, acqua, salute, lavoro, casa, terra, istruzione’, ma anche contro le enormi spese militari che producono sempre più guerre.

Ci impegniamo, a utilizzare nella nostra quotidianità fornitori di servizi bancari che scelgono la finanza etica e alternativa, che combattono la speculazione, che non favoriscono il riciclaggio dei capitali nei paradisi fiscali, frutto di criminalità o di evasione e che non investono in attività, come l’industria delle armi, che causano sofferenza e morte.

Ci impegniamo a ‘curare la nostra casa comune’ accettando la sfida di Papa Francesco che, di fronte alla ‘grave crisi ecologica’ causata dall’uomo e che sarà pagata dai poveri, ci chiama a una conversione ecologica basata su relazioni sane ‘con il mondo che ci circonda’.

Ci impegniamo a costruire comunità cristiane ‘in uscita’, aperte alla mondialità, all’inclusione, al dialogo ecumenico e interreligioso, profondamente missionarie e profetiche.

Ci impegniamo a lottare contro ogni forma di violenza, di sopraffazione e di cultura mafiosa che genera criminalità organizzata, corruzione, inquinamento ambientale e morte.

Ci impegniamo a far conoscere questo Patto chiedendo ai nostri fratelli e sorelle di vigilare su questa nostra scelta aiutandoci con la preghiera e la comprensione.

ALCUNE QUESTIONI DIRIMENTI

Desideriamo ancora approfondire e condividere con voi esperienze, dolori, speranze, convinzioni su alcune questioni decisive, dirimenti presenti nella storia attuale e anche nei vissuti delle nostre Regioni e delle nostre comunità.

Nonviolenza e costruzione della pace

Rinnoviamo la nostra scelta convinta della nonviolenza attiva e della costruzione lenta, operosa, indispensabile di una cultura e di una pratica della pace. Le armi e i bombardamenti non risolvono le gravi questioni aperte ma invece le alimentano e provocano rancore, odio, determinazione alla vendetta. Il terrorismo è frutto anche della guerra e quindi non può essere risolto con la guerra. Papa Francesco ci guida a giudicare le armi e la guerra come guadagno vantaggioso di alcuni e come morte di tanti altri. La spiritualità, la cultura, la trattativa, la politica, la cooperazione sono le strade della pace. L’isolamento dei terroristi, la perseveranza nella volontà e nelle decisioni di bene, sono state incoraggiate in modo luminoso per tutta l’umanità dagli atteggiamenti e dalle parole di familiari delle vittime di Parigi, all’opposto di altri speculatori perfino del dolore che hanno espresso parole e atteggiamenti indegni di un paese democratico e civile, identificando tutti i fedeli della religione musulmana in terroristi e distanziandosi da ogni possibilità di incontro, dialogo, convivenza. Per noi è fondamentale partire dalle vittime di Parigi e di ogni altro luogo del Pianeta e dal dolore straziante dei loro familiari e amici. Il dolore per tutte le vittime condiviso può favorire la cultura della pace.

I migranti

La questione dei flussi migratori ha assunto dimensioni e presenze di particolare intensità su tutto il Pianeta. Un fenomeno che ci provoca a guardare con verità le cause, cioè: guerre, povertà, cambiamenti climatici e ambientali, che ci sollecita a rompere le nostre complicità con queste cause e a favorire progressivamente situazioni di giustizia: nel contempo a progettare un’accoglienza dignitosa nei suoi diversi aspetti. Constatiamo con amarezza l’inesistenza dell’Europa dei popoli, l’assenza di cultura e di etica e come conseguenza di progettualità e di decisioni politiche e legislative: i muri, i fili spinati, le violenze sulle persone che abbiamo visto in questi mesi, e che continuano, contravvengono a ogni diritto umano. Anche nel nostro Paese è carente e parziale una progettualità sull’accoglienza. Ci sentiamo di esprimere gratitudine alle tante persone che nella Chiesa e nella società in genere in questi mesi hanno dimostrato il volto migliore del nostro Paese e delle nostre comunità cristiane; in particolare per quanto riguarda la Regione Friuli Venezia Giulia alle persone volontarie che a Udine, a Pordenone, a Trieste e a Gorizia durante tutti i giorni e tutte le notti di quest’anno 2015 si sono prodigate in modo ammirevole, con generosità e gratuità per accogliere, sostenere con gesti concreti per rispondere ai bisogni primari delle persone, di centinaia di profughi altrimenti abbandonati a se stessi, a dormire all’addiaccio. Se questa condizione conferma sempre una violazione dei diritti umani fondamentali, ora, con il periodo invernale, si aggrava a causa del freddo, con pericolo per la salute e la vita stessa. La presenza dei volontari evidenzia in modo clamoroso l’assenza delle istituzioni: il progetto di accoglienza diffusa della regione non può configurarsi in un documento scritto e in esortazioni generiche ai comuni ad accogliere maggiormente, ma dovrebbe diventare coinvolgimento di soggetti disponibili e competenti, programmazione sostenuta a livello culturale, etico e organizzativo. Per noi è inammissibile che persone italiane e straniere siano costrette a dormire all’addiaccio, in una regione ricca di possibilità economiche e professionali, di pratiche di buona accoglienza, di luoghi recettivi o da rendere tali in breve tempo. Nello stesso tempo si deve evidenziare con tristezza la scarsa disponibilità all’accoglienza dei comuni della Regione Friuli Venezia Giulia: pare proprio che la memoria storica dell’emigrazione poco o nulla insegni e neanche l’esperienza di solidarietà nel periodo successivo al terremoto, di cui nei prossimi mesi si vivrà il ricordo del 40° anniversario. In posizione difensiva gli esponenti della politica regionale affermano che il problema non esiste, perché le persone non accolte sono quelle che eccedono il numero stabilito dal piano di accoglienza del Ministero. Se questo programma fosse attuato non ci sarebbero persone in strada. Ci si permette di evidenziare l’incongruità umana ed etica di questa affermazione: le persone non sono mai numeri, né eccedenze e come tali devono essere trattate comunque e sempre, in qualsiasi situazione e per qualsiasi periodo. Siamo molto delusi e critici per questa incapacità e per questo atteggiamento difensivo, per la mancanza di confronto e per il rifiuto di suggerimenti. Non entriamo nel merito se e come le comunità parrocchiali della nostra regione abbiano accolto l’invito di papa Francesco rivolto a tutte quelle dell’Europa. Ciascuna, a cominciare da quelle in cui viviamo come preti, risponderà al Vangelo di Gesù: “Ero forestiero e mi avete, o non mi avete accolto”. La nostra società e la nostra Chiesa nei prossimi decenni saranno profondamente diverse soprattutto per la convivenza di tante persone di cultura e fede religiosa diversa: infatti stanno arrivando i rappresentanti non di una o di qualche comunità o popolo, ma dall’umanità intera. Dipenderanno da noi, dalla cultura, dall’etica, dalla politica, dalla legislazione che oggi e nei prossimi mesi e anni sapremo esprimere la configurazione e la qualità di questa convivenza. Un compito immenso, arduo, ma possibile: del resto l’unico degno dell’umanità. Si sono accese nuovamente polemiche sulla presenza di simboli religiosi nelle scuole. Noi esprimiamo la convinzione dell’importanza di affermare la laicità, come dimensione di partenza per tutte le persone nelle scuole, nella politica, nelle istituzioni. L’autentica laicità garantisce il pluralismo delle culture e delle fedi religiose diverse. Consideriamo una grande possibilità storica, in termini religiosi una ‘grazia’ che le aule scolastiche diventino un laboratorio permanente dell’incontro fra le diversità, nella conoscenza, nel rispetto, nella reciprocità che arricchisce. I simboli e i canti religiosi delle diverse culture e fedi possono quindi diventare un’educazione continua, con attenzione a ciascuno di essi nei diversi momenti dell’anno scolastico. Avvertiamo tutto il resto come povertà culturale e spirituale e anche come grossolana strumentalità.

La cura della Madre Terra

Ci troviamo in un momento critico ed estremo della storia nel quale l’umanità è chiamata a scegliere il suo futuro: o stringiamo un’alleanza globale per prenderci cura della terra e gli uni degli altri o potremo assistere alla distruzione della nostra specie e della biodiversità. Le conseguenze della padronanza assoluta e dell’utilizzo strumentale e devastante da parte dell’uomo sono drammatiche; l’enciclica Laudato si’ di papa Francesco è un messaggio straordinario di denuncia, di proposte, di coinvolgimento personale e comunitario, spirituale e politico per cambiare radicalmente il paradigma da quello della conquista, del dominio, dello sfruttamento a quello ormai imprescindibile, senza alcun alibi o rinvio, della relazione che sollecita alla cura e alla responsabilità. La proposta è di un’ecologia integrale che comprende le questioni sociali economiche ed ambientali, quelle spirituali e politiche, gli stili di vita e l’impegno al cambiamento. Siamo parti di un tutto, in una stretta interdipendenza fra persone e ogni espressione della vita.

La Giustizia

In questa ecologia integrale una dimensione fondamentale è la giustizia che deriva dalla dignità stessa delle persone, delle comunità, dei popoli. Senza giustizia non ci sono pace, libertà, uguaglianza, democrazia. “Ascoltiamo tanto il grido della terra, quanto il grido dei poveri perché i gemiti della terra si uniscono ai gemiti degli abbandonati del mondo” (Laudato si’, 53). La corruzione e l’evasione fiscale sono diffuse e ramificate in modo impressionante: condividiamo con voi tutti l’esigenza di essere noi giusti per pretendere e gridare giustizia per i poveri di questa società e di tutto il Pianeta; gridare contro la cultura dello scarto che non solo impoverisce ma che anche elimina i poveri come scarti: lo scarto delle persone, del cibo e di tanti altri elementi diventano un unico e terribile scarto.

I carcerati

Sentiamo che vivere la misericordia ci coinvolge nella storia di ogni persona che incontriamo, perché è stata ed è usata misericordia dal Dio di Gesù. Nella misericordia trovano un’attenzione particolare i detenuti nelle nostre carceri, proprio perché per loro non c’è misericordia. Nella nostra società si vive tendenzialmente una propensione all’esclusione di chi ha sbagliato, alla reclusione in un mondo separato, al disinteresse per le storie delle persone. Sembrano prevalere piuttosto l’odio, il desiderio di vendetta, la logica del capro espiatorio, la dichiarazione di insignificanza e di mancanza di futuro. Nel constatare il fallimento delle carceri per come sono strutturate condividiamo con voi l’esigenza di una nuova cultura nel rapporto con chi ha sbagliato e con le loro vittime; nel prefigurare e poi attuare pene alternative al carcere, riparative, significative per l’umanizzazione che portano.

La celebrazione del Giubileo

Se la misericordia è costitutiva e permanente l’anno del Giubileo ad essa dedicato può diventare un tempo favorevole di riflessione, preghiera e impegno aperti all’umanità tutta, per comunicare e condividere accoglienza, riconoscimento umano, ascolto, compassione, perdono. Abbiamo colto con gioia il segno di Francesco di aprire la porta del Giubileo nel cuore dell’Africa. E’ l’apertura all’Africa, alle sue popolazioni, alle violenze e alle morti, alle speranze di riconciliazione e di futuro, alla ricchezza delle culture e delle fedi religiose, delle resistenze e dei progetti. Una porta semplice, di legno, profondamente significativa. In questo suo ultimo viaggio papa Francesco ha continuamente esortato a trasformare le negatività in situazioni positive, l’odio in amore, la guerra in pace, il potere in servizio, i muri in orizzonti, gli ostacoli in opportunità. Questo significa aprire le porte agli altri. Nell’anno del Giubileo alcuni simboli chiameranno a riflessione e indicheranno percorsi. Speriamo che siano percepibili, coinvolgenti e comunque provocatori di riflessione, di incontri, di confronti, di scelte operative rispetto alle grandi questioni della giustizia, della pace, della accoglienza, del perdono, della salvaguardia del Creato. Ad esempio sarebbe importante che nelle nostre Diocesi le ‘Porte Sante’ non fossero solo quelle delle cattedrali e delle basiliche, importanti certo, ma prevedibili e quasi ‘scontate’ ma ad esempio quelle di un carcere, di un luogo di accoglienza per i migranti, come a Udine Casa Immacolata fondata da don Emilio De Roja, a Trieste la Risiera di San Sabba e il dormitorio gestito dalla Comunità di San Martino al Campo, a Gorizia il luogo dove passava il confine e quello in cui Franco Basaglia ha iniziato la sua straordinaria rivoluzione della psichiatria; a Pordenone quella di una cooperativa sociale, un’abitazione per disabili e la casa di accoglienza “Oasi 2” per carcerati, la porta della base di Aviano, ora inaccessibile ma indicata come esigenza di costruire la pace; a Vicenza la porta antistante la base militare statunitense di Longare, dove da trent’anni, tutte le domeniche, un gruppo di operatori di pace sosta in silenziosa preghiera per il disarmo, per la cessazione di tutte le inutili stragi e perché possa finalmente fiorire la pace. La Porta Santa può essere dovunque le persone vivono, amano, soffrono, sono disponibili, vivono disperazioni e speranze e sempre desiderio di accoglienza, amore e comprensione. La Misericordia ci viene da Dio ed è per tutte le persone; a noi il compito di esprimere parole e segni credibili, con fiducia e perseveranza. Desideriamo in conclusione, testimoniare ancora una volta la nostra totale adesione al Vangelo di Gesù, perché essa continua a donarci gioia e speranza, sentimenti che, seppur nella difficoltà del tempo presente, continuano ad illuminare la nostra strada. Cammino che vogliamo condividere, nella luce del Natale, con tutti gli uomini e con tutte le donne di buona volontà.

I preti firmatari:

Pierluigi Di Piazza, Franco Saccavini, Mario Vatta, Pierino Ruffato, Paolo Iannaccone, Giacomo Tolot, Piergiorgio Rigolo, Renzo De Ros, Luigi Fontanot, Alberto De Nadai

 

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gli auguri natalizi di p. Agostino a partire dagli ‘scarti’

 

Signore, dacci la grazia di sentirci scartati, ma preziosi

per la tua misericordia e bisognosi della tua carezza

Gesù bambino

Chi si sente uno scarto, sa comprendere la bellezza di una porta aperta

Signore aiutaci ad essere porta aperta.

  • I profughi, i migranti sanno attraversare e raggirare con coraggio i confini sorvegliati dagli egoismi e dalle diffidenze.

Signore, rendi i nostri passi intrepidi a vivere l’esodo che indichi all’umanità oggi.

  • Chi si sente debole, riuscirà ad accompagnare e dare coraggio a chi si è smarrito.

Signore, fa che ritroviamo le tue tracce nelle nostre fragilità.

  • Solo chi si sente rifiutato, saprà vivere l’accoglienza senza pregiudizi e sotterfugi.

Signore, aiutaci a scoprire e svelare la tua venuta nel volto del profugo, del debole, dello

scartato, del povero che attraversa la nostra vita, sono loro che ci indicano la via che conduce

alla Pace e alla fraternità.

 

 

Auguri di Buon Natale

presepe

 

 




le tre ‘nascite’ o ‘venute’ di Gesù

NATALE

le tre nascite di Gesù

di Enzo Bianchi

La festa di Natale si avvicina e molti cristiani si apprestano a celebrarla, preparando anche i festeggiamenti che essa tradizionalmente richiede. In questa lunga vigilia che ormai è sempre più anticipata, e di conseguenza prolungata, per ragioni commerciali, non certo ‘spirituali’, si levano alcune voci critiche verso il consumismo, che scaturisce dall’ebbrezza connessa alle feste; altre voci richiamano l’attenzione sui poveri, sui senza casa, simboleggiati nei presepi; per altri ancora il Natale è l’occasione di una guerra culturale contro quelli che non sono cristiani; per altri, infine, il modo di vivere questa festa è epifania della stupidità che rinuncia a simboli e segni per non mettere in imbarazzo chi è estraneo alla fede cristiana. Sembra che la vigilia, anziché essere un tempo di preparazione e di maggior consapevolezza di ciò che si celebra, sia un pretesto per altre preoccupazioni.

Va anche registrata una forte caduta della qualità della fede, perché il popolo cristiano, non educato ma anzi sviato, non sa più cosa sia veramente il Natale e cosa è chiamato a celebrare. Lo dimostra la vulgata che ormai si è imposta: «Aspettiamo che nasca Gesù bambino… Ci prepariamo alla nascita di Gesù… Gesù sta per nascere: venite, adoriamo!». Espressioni, queste, prive di qualsiasi qualità di fede adulta e secondo il Vangelo. Perché? Perché Gesù è nato una volta per sempre a Betlemme, da Maria di Nazaret, dunque non si deve più attendere la sua nascita: altrimenti si tratterebbe di un’ingenua regressione devota e psicologizzante che depaupera la speranza cristiana, oppure di una finzione degna della scena di un teatro, non della fede cristiana!

Non ci si prepara alla Natività di Gesù Cristo, perché a Natale – come recita la liturgia – si fa memoria ( commemoratio, dice l’antico martirologio) di un evento del passato, già avvenuto «nella pienezza del tempo» (Gal 4,4). Cosa dunque si celebra a Natale da autentici cristiani? Si fa memoria della nascita di Gesù, della nascita da donna del Figlio di Dio, della «Parola fatta carne» (cf. Gv 1,14), umanizzata in Gesù di Nazaret. A Natale, inoltre, volgiamo i nostri sguardi alla venuta gloriosa di Cristo alla fine dei tempi perché, secondo la promessa che ripetiamo nel Credo, «verrà a giudicare i vivi e i morti e il suo Regno non avrà fine».

Tutto l’Avvento ha il significato di preparazione a questo evento finale della venuta gloriosa di Gesù Cristo, non alla nascita del santo bambino. Infine, a Natale ogni cristiano deve vivere e celebrare la nascita o la venuta del Signore Gesù nel suo cuore, nella sua vita. La grande tradizione della chiesa cattolica, fin dagli antichi padri d’oriente e d’occidente, ha meditato su queste tre nascite o venute del Signore, e proprio in base a questa consapevole percezione dovuta allo Spirito i sacramentari gelasiano e gregoriano introdussero le tre messe di Natale: notte, aurora e giorno. Sono poi stati soprattutto i padri cistercensi del XII secolo a sostare maggiormente sul mistero del Na- tale come giorno delle tre nascite di Cristo: Bernardo di Clairvaux per primo distingue, medita e commenta queste tre nascite, e subito dopo i suoi discepoli, Guerrico di Igny e Isacco della Stella.

Facile la meditazione sulla prima venuta di Gesù, quella dell’incarnazione, illustrata dai ‘vangeli dell’infanzia’ di Matteo e di Luca (cf. Mt 1-2; Lc 1-2): è un evento che si compie nell’umiltà, perché Gesù nasce da Maria nella campagna di Betlemme, non avendo trovato i suoi un alloggio nel caravanserraglio. Di questa nascita avvenuta quando Cesare Augusto era imperatore ed Erode re di Galilea, non si accorgono né i potenti né gli uomini del culto e della legge: sono pastori, poveri coloro ai quali Dio dà l’annuncio della nascita del Messia, il Salvatore.

I nostri presepi la rappresentano bene, ma questo ‘memoriale’ di un evento avvenuto nella storia autorizza la lettura di due ulteriori nascite-venute del Signore. In primo luogo la venuta del Signore nella gloria alla fine dei tempi: colui che è venuto nell’umiltà della carne fragile e mortale degli umani verrà con un corpo spirituale, glorioso, vincitore della morte e di ogni male, per instaurare il suo Regno. Questa è la parusia, la manifestazione di Gesù quale Signore di fronte a tutta la creazione. L’Avvento insiste soprattutto su questa venuta per chiederci di vigilare, di essere pronti, di pregare per affrettarla, perché egli viene e viene presto! Purtroppo a tale venuta si fa sempre meno cenno nella chiesa e la predicazione spesso è muta su questo tema. Eppure ciò è decisivo per la fede: se Cristo non viene nella gloria quale giudice e instauratore definitivo del Regno, allora vana è la nostra fede, vana la nostra affermazione che egli è risorto, miserabile la nostra vita di sequela (cf. 1Cor 15,19).

Purtroppo nella vita secolare della chiesa attraversiamo raramente periodi di ‘febbre escatologica’ e quasi sempre restiamo nel torpore di chi è spiritualmente sonnambulo e non attende più nulla. Non è un caso che Ignazio Silone, questo grande cristiano, a chi gli chiedeva perché non entrasse a far parte della chiesa, dal momento che aveva ritrovato una fede profonda in Gesù e nel Vangelo, rispose: «Per far parte di quelli che dicono di aspettare il Signore, e lo aspettano con lo stesso entusiasmo con cui si aspetta il tram, non ne vale la pena!». Infine, il Natale è l’occasione per rinnovare la fede nella terza nascita di Gesù: la venuta di Gesù in noi che può avvenire ogni giorno, hic et nunc, qui e adesso. Il cristiano sa che il suo corpo è chiamato a essere dimora di Dio, tempio santo.

Ecco allora l’importanza che il Signore Gesù venga, nasca in noi, nel nostro cuore, in modo che la sua vita sia innestata nella nostra vita, fino a poter dire nella fede: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gal 2,20). È una venuta che ciascuno di noi deve invocare – «Marana tha! Vieni, Signore Gesù!» (1Cor 16,22; Ap 22,20) -, deve preparare, predisponendo tutto per l’accoglienza del Signore che viene nella sua Parola, nell’Eucaristia e nei modi che egli solo decide, in base alla sua libertà e alla potenza dello Spirito santo. Occorre essere vigilanti, in attesa, pronti, con il cuore ardente come quello della sentinella che aspetta l’aurora. Qui occorrerebbe ascoltare san Bernardo che ci parla delle «visite del Verbo, della Parola», in cui il Signore Gesù Cristo viene in noi: evento spirituale, nascosto, umile, ma sperimentabile.

Ecco solo due stralci delle sue meditazioni: «Conosciamo una triplice venuta del Signore. Una venuta nascosta si colloca infatti tra le altre due, che sono manifeste. Nella prima il Verbo ‘è apparso sulla terra e ha vissuto tra gli uomini’ (Bar 3,38)… Nell’ultima venuta ‘ogni carne vedrà la salvezza di Dio’ (Lc 3,6) e ‘volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto’ (Gv 19, 37; cf. Zc 12,10). La venuta intermedia è invece nascosta… Nella prima venuta, dunque, ‘venne nella carne’ (1Gv 4,2) e nella debolezza, in questa intermedia viene ‘in Spirito e potenza’ (Lc 1,17), nell’ultima ‘verrà nella gloria’ (Lc 9,26) e nella maestà… Quindi questa venuta intermedia è, per così dire, una via che unisce la prima all’ultima: nella prima ‘Cristo’ fu ‘nostra redenzione’ (1Cor 1,30), nell’ultima ‘si manifesterà come nostra vita’ (Col 3,4), in questa… è nostro riposo e nostra consolazione». ( Discorsi sull’AvventoV, 1); «Confesso che il Verbo mi ha visitato più volte. Benché sia spesso entrato in me, non l’ho mai sentito entrare. Ho sentito che era là, mi ricordo della sua presenza… Ma da dove sia venuto nella mia anima, o dove sia andato nel lasciarla, da dove sia entrato e uscito, confesso che oggi ancora lo ignoro… È solo grazie ai moti del mio cuore che mi sono reso conto della sua presenza… Finché vivrò, non cesserò di invocare, per richiamare in me il Verbo: ‘Ritorna!’ (Ct 2,17). E ogni volta che se ne andrà, ripeterò questa invocazione, con il cuore ardente di desiderio». ( Discorsi sul Cantico dei cantici LXXIV, 5-7)

Ecco il vero Natale cristiano: noi ricordiamo la tua nascita a Betlemme, Signore, attendiamo la tua venuta nella gloria, accogliamo la tua nascita in noi, oggi. Per questo il mistico del XVII secolo Angelo Silesio poteva affermare: «Nascesse mille volte Gesù a Betlemme, se non nasce in te… tutto è inutile».

© riproduzione riservata



dove nascerà Gesù bambino secondo Erri De Luca

NATALE

di Erri De Luca

Erri-De-Luca

Nascerà in una stiva tra viaggiatori clandestini.
Lo scalderà il vapore della sala macchine.
Lo cullerà il rollio del mare di traverso.
Sua madre imbarcata per tentare uno scampo o una
fortuna,
suo padre l’angelo di un’ora,
molte paternità bastano a questo.
In terraferma l’avrebbero deposto
nel cassonetto di nettezza urbana.
Staccheranno coi denti la corda d’ombelico.
Lo getteranno al mare, alla misericordia.
Possiamo dargli solo i mesi di grembo, dicono le madri.
Lo possiamo aspettare, abbracciare no.
Nascere è solo un fiato d’aria guasta. Non c’è mondo
per lui.

presepe 2
Niente della sua vita è una parabola.
Nessun martello di falegname gli batterà le ore dell’infanzia,
poi i chiodi nella carne.
Io non mi chiamo Maria, ma questi figli miei
che non hanno portato manco un vestito e un nome
i marinai li chiamano Gesù.
Perché nascono in viaggio, senza arrivo.
Nasce nelle stive dei clandestini,
resta meno di un’ora di dicembre.
Dura di più il percorso dei Magi e dei contrabbandieri.
Nasce in mezzo a una strage di bambini.
Nasce per tradizione, per necessità,
con la stessa pazienza anniversaria.
Però non sopravvive più, non vuole.
Perché vivere ha già vissuto, e dire ha detto.
Non può togliere o aggiungere una spina ai rovi delle
tempie.
Sta con quelli che vivono il tempo di nascere.
Va con quelli che durano un’ora.




il presepe: un invito a a cambiare il mondo con una ‘tenerezza combattiva’

il presepe è una casa accogliente non escludente

presepe-tuttacronaca

è giusto difendere pubblicamente il Natale (e ogni altra festa). Negli spazi pubblici, e quindi anche a scuola, le feste religiose possono essere tutte vissute e raccontate in un clima formativo come scambio di esperienze e ricerca comune. La laicità è inclusiva, espressione delle identità (in dialogo). E’ giusto, quindi, esporre pubblicamente il presepio (o il crocifisso) come segno di un’identità relazionale-universale

Ma i militanti di alcuni partiti o gruppi lo usano per scopi ristretti, contrari al suo significato. Manifestano con uno stile rivendicativo di contrapposizione escludente. Non si può pensare di affondare i barconi di disperati, di gridare contro l’islam, di chiamare alle armi, tenendo il presepe (o il crocifisso) in mano.
presepi Tra l’altro, molte esibizioni sono del tutto esterne, agitatorie, estranee alle dinamiche della scuola e del paese. Troppe sono le polemiche strumentali: a  Rozzano c’è un bravo preside come un bravo vescovo è quello di Padova, strapazzato da troppe persone superficiali, mentre cerca di far riflettere sul significato dei simboli.
Il presepe racconta una storia di povertà (abissale), di accoglienza (mancata) e di vita (gioiosa). Ai cristiani ricorda il mistero di un amore infinito.
Salvini ruspa Non è una “diga identitaria” ma una casa accogliente aperta allo stupore dei “piccoli” (pastori) e dei “popoli” (magi). E’ l’invito a cambiare il mondo con una “tenerezza combattiva” (Evangelii gaudium 85).
Sergio Paronetto



quale natale? quello di Salvini?

il presepe che Salvini non conosce

di Piergiorgio Cattani
in “Trentino” del 13 dicembre 2015

Salvini1

Natale è ormai una festa globale. La prima festa globale. Da non confondere con un altro Natale, quello religioso cristiano, ormai ricordato da sempre meno persone. Intendiamoci, la ricorrenza cade nello stesso giorno, il 25 dicembre. Una data fissa, circostanza indispensabile per programmare il marketing, per organizzare i pacchetti vacanza, per addobbare i centri commerciali. I due natali si sovrappongono e qualche eco dell’eco dell’antica festa religiosa permane ancora. Tuttavia, sempre di più, l’idolo del Natale, un vecchio nonno ciccione, opulento, vestito di rosso, ricco di regali sfarzosi, spodesta l’inerme, povero, avvolto in fasce neonato Gesù

presepi

Babbo Natale è simbolo della società globalizzata, del consumo globalizzato. Del bene assoluto, ossia la crescita economica, quella misurata tramite il PIL. Anche in Cina si festeggia il Natale del consumo. Ma tra la gente questo giorno di spese in cui si fanno i regali non è ancora molto sentito. Il governo ha cercato di introdurre una “festa dei regali”: in stile americano, i grandi magazzini vorrebbero cogliere l’occasione per moltiplicare gli affari, per dare slancio a quel consumo interno che per ora non mantiene il passo del boom economico del Dragone. Le feste tradizionali, come quella di primavera (in cui si scambiano i regali), resistono; ma tutti scommettono che sarà per poco. Così come Halloween, anche il Natale del consumo comincia a farsi strada. Bene o male, in maniera massiccia o ancora poco presente, Babbo Natale – figura di cui non si possono dimenticare i legami con la Coca Cola – è noto ai quattro angoli del pianeta. In Africa ci sono addirittura monumenti alla Coca cola. E anche in quei due “nuovi continenti” virtuali che sono Google e Facebook.

Salvini ruspaHa sicuramente soppiantato Gesù bambino che un tempo portava qualche povero dono, sempre una cosa utile, un pennino per scrivere, un quaderno, qualche indumento. Eppure si discute ancora intorno al presepe. In Francia, la “cattolica” Marion Le Pen vuole difendere le tradizioni religiose, quando, secondo un recente sondaggio, solo il 4% dei francesi va a Messa la domenica: forse a Natale qualcuno di più ci andrà, ma la percentuale è in costante discesa. Poi arriva Salvini, devoto del presepe solo quando pensa di finire in televisione per difendere le “radici cristiane” dell’Italia. Del presepe, della sua simbologia e del suo inventore, Salvini non sa ovviamente nulla. Non sa nulla di quel San Francesco che ha varcato il mare con grande pericolo per incontrare il sultano d’Egitto Al Malik Al Kamil, nipote del più noto Saladino. E non va d’accordo con un altro Francesco, il vescovo di Roma, che parla di povertà, accoglienza, sobrietà, misericordia, pace. Intanto salta fuori la solita scuola che vuole festeggiare il Natale a modo suo, per non “offendere” i bambini non cristiani, con bizzarrie al limite del ridicolo, anch’esse scaturite da un’ignoranza diffusa. Da anni si ripete il rito leghista, che torna puntuale come l’inverno, nonostante la svolta nazionalista e post fascista impressa dal “giovane” Matteo (non bastava Renzi). Una scuola aveva però pensato a qualcosa di davvero originale: posticipare la festa al ritorno dalle vacanze. Apriti cielo. Ma in fondo l’idea era buona. In questo modo magari il Natale dei consumi, rimasto al 25 dicembre (data super convenzionale per la nascita di Gesù, non certo dedotta dai racconti evangelici, ma scaturita da una antecedente festa pagana del Sol Invictus), non offuscherebbe il Natale religioso. Pensate se venisse spostato al 20 gennaio, o prima, al 20 novembre quando non c’è neppure la neve (artificiale)… Probabilmente lo celebrerebbero soltanto i credenti. È ormai consuetudine che il carnevale si protragga anche in Quaresima. Nessuno dice nulla, non ho mai visto una manifestazione leghista per marcare questa “gravissima” offesa alla religione, o ai tempi liturgici che con tutta evidenza non sono conosciuti dalla maggior parte dei difensori della fede. “Padania cristiana, mai musulmana”. Uno slogan sempre verde, come il simbolo del Carroccio. E così si propaganda la bufala dei musulmani che impedirebbero l’allestimento del presepe, notizia inventata simile a quella degli “zingari che rapiscono i bambini”. Tranquilli però, in Regione Trentino Alto Adige, i segni natalizi non mancheranno. Si dà il caso però che proprio i fedeli musulmani siano più vicini allo spirito del Natale vero, rispetto a tanti occidentali ormai ignari della stessa narrazione biblica della nascita di Gesù. Si dà il caso che proprio gli islamici abbiano una grande devozione per Maria (assente nel presepe leghista). Ma forse proprio questo infastidisce i presunti guardiani della tradizione, essere “sorpassati” da quanti si vogliono dipingere come pericolosi sovvertitori, invasori pronti a “convertirci” con la spada (cioè con i kalashnikov). Magari invece potrebbe accadere che proprio loro ci facciano comprendere quando è davvero il Natale.

a Salvini forse farebbe bene rileggere queste parole di S. Giovanni Crisostomo:

Vuoi onorare il corpo di Cristo?

San Giovanni Crisostomo

la saggia posizione del vescovo di Padova sul presepe a scuola

reazioni scalmanate invece a proposito delle sue parole …

gesù bambino

è stata volutamente mal interpretata la proposta, – invece, molto saggia e per niente rinunciataria (‘un passo indietro’) – del vescovo di Padova a proposito del presepe e dei segni religiosi a scuola né può interpretarsi come un’autocorrezione la precisazione che ha rilasciato in seguito alle reazioni scalmanate e ultrastrumentali che sono seguite alle sue parole

presepe

lui stesso precisa:«Non ho mai detto “rinunciamo al presepe” e non ho fatto riferimento ad alcun luogo specifico». E chiarisce: «Fare un passo indietro non significa creare il vuoto o assecondare intransigenze laiciste, ma trovare nelle tradizioni, che ci appartengono e alimentano la nostra fede, germi di dialogo…” ( qui peraltro si può scorgere il vero rispetto per le tradizioni: non ripeterle come qualcosa di mummificato, ma di ripensarle e ritradurle nell’oggi in un contesto di dialogo e di arricchimento e di modificazione reciproci)

di seguito alcuni articoli (con i rispettivi link) di rassegna stampa che il sito ‘rassegna stampa – finesettimana’ ha raccolto:
  • Di fronte al “significato” del presepe, è chiaro che quello evocato dal Vescovo di Padova è un passo avanti e non un passo indietro. Mentre ciò che il Governatore del Veneto difende come un soprammobile, è la propria più clamorosa smentita e contestazione.
“la ricetta prospettata dal vescovo – “i tanti passi indietro”… (non  sembra che il vaticanista de il Foglio colga il senso di quanto detto dal neovescovo di Padova: più che di passi indietro parla di passi da compiere insieme e quindi rivedendo le proprie tradizioni con uno sguardo diverso…)
«Non ho mai detto “rinunciamo al presepe” e non ho fatto riferimento ad alcun luogo specifico». E chiarisce: «Fare un passo indietro non significa creare il vuoto o assecondare intransigenze laiciste, ma trovare nelle tradizioni, che ci appartengono e alimentano la nostra fede, germi di dialogo…” (ndr.: ecco il vero rispetto per le tradizioni: non ripeterle come qualcosa di mummificato, ma di ripensarle e ritradurle nell’oggi in un contesto di dialogo e di arricchimento e di modificazione reciproci)



una pacata riflessione sul presepe a scuola in tempi di Isis

scuola pubblica

fare o non fare il presepe?

È giusto o meno fare il presepe nelle scuole italiane? Dopo la polemica sui canti di Natale a Rozzano, la domanda non è senza senso. Mentre noi ragioniamo in astratto, però, nelle scuole il conflitto si vive direttamente ogni giorno. E gli educatori sono costretti a prendere decisioni molto concrete, come quella del dirigente dell’Istituto Garofali. Se hai il venti per cento di bambini musulmani e magari la metà senza nessuna educazione religiosa (mai dimenticare che l’Italia i praticanti sono una piccola minoranza) è più che sensato chiedersi se un canto di Natale che racconta episodi del Vangelo sia realmente comprensibile, o se – soprattutto – il presepe stesso sia una rappresentazione adatta per tutti.

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A mio avviso, una scuola dovrebbe sempre mantenere un profilo rigorosamente laico, come nel caso del crocifisso sul muro – ormai la maggioranza dei bambini non sa di che si tratti ed è difficile spiegare loro cosa significa quell’uomo appeso a una croce e sanguinante. Potrebbe anche trattarsi però, di una laicità non tanto per sottrazione, ma per moltiplicazione. Nel caso del Natale, ad esempio, si tratterebbe non di togliere tutti i simboli, ma accostarne diversi. Se è difficile trovare un equivalente musulmano del presepe, non sarà complicato invece trovare – rinunciare al bellissimo canto corale è un peccato – canti musulmani da cantare insieme agli altri. E se non si trovano, o se non si è capaci di spiegarle, meglio adottare canzoni che celebrino altri simboli del natale più neutri, come l’albero di Natale. Ma non solo per i bambini immigrati musulmani, anche per gli italianissimi bambini che di religione non sanno più nulla. Altre sono le sedi per imparare la religione: l’ora di religione, per chi la sceglie (da noi c’è fin dalla scuola materna, mentre non c’è l’ora di inglese) oppure la famiglia.   Chi sostiene come Matteo Salvini, più presente in tv che in Chiesa, che così ci indeboliamo di fronte all’Isis, non capisce che la laicità vera – sia nella variante per sottrazione che per moltiplicazione dei simboli – porta con sé un universalismo etico forte e insieme inclusivo. Non fare il presepe dunque non ci rende più deboli. Né quella del dirigente scolastico è una scelta di comodo, anzi. Esprime voglia di inclusione, di integrazione reale e di eguaglianza tra bambini provenienti da tradizioni troppo diverse perché se ne celebri una sola. Meglio sarebbe celebrarle tutte. Oppure nessuna, se mancano gli strumenti culturali che gli insegnanti dovrebbero cominciare ad avere. E pure gli alunni, magari in quell’ora di religione che dovrebbe diventare un’ora di storia delle religioni, se potesse essere sottratta all’intoccabile dominio della Chiesa cattolica sulla scuola italiana. In tempi di Isis, sarebbe davvero un’ora preziosa.