gli oppressori e il comandamento dell’amore

il senso dell’amore per gli oppressori

 

«Chi spera in Cristo non si adatta alla realtà così com’è ma comincia a soffrirne e a contraddirla»

(J.Moltmann)

 

“«Alzati, va’ a [Roma] la grande città e in essa proclama che la loro malizia è salita fino a me». Giona però si mise in cammino per fuggire a Tarsis, lontano dal Signore” (¹).

Di fronte all’oppressore assistiamo spesso a tre tipi di comportamento egualmente antievangelici: sostegno esplicito in cambio di privilegi, assenza di contestazione per non alterare il quieto vivere, vendetta e volontà di annientamento.

In genere circola la falsa idea che Gesù, nel proporre l’amore per i nemici (²) intenda, se non proprio un compromesso amorale, almeno una specie di accondiscendenza alle loro malefatte. Invece l’amore, non solo non esclude il conflitto con chi genera situazioni di iniquità, ma lo esige.

La voce contraria, infatti, scalfisce le sicurezze autoassolutorie del prepotente, avviando una riflessione dagli esiti imprevedibili che, nel lungo periodo, potrebbe anche trasformarsi in ravvedimento. L’adulazione e il disimpegno dalla critica agiscono da rinforzi dell’errore, la contestazione coraggiosa e radicale sono, al contrario, un gesto d’amore portatore di nuove possibilità anche in un cuore pietrificato.

Il problema è che si trovano più militanti di una pace ipocrita, senza giustizia, che profeti interpreti della visione di Dio rispetto alla convivenza nel mondo. D’altronde, contraddire il potere umanamente non conviene e non è facile accettarne il destino: l’esilio, l’oblio, la calunnia, l’incomprensione, la morte.

Nonostante i rischi, l’opposizione deve essere condotta tenendo presente due obiettivi: la difesa dei deboli e la conversione del dominatore. Occorre chiudere ogni spazio al rancore, ricordandosi sempre di distinguere la persona dai rispettivi comportamenti. Il profeta è un collaboratore della grazia di Dio, un annunciatore delle prospettive del Regno di Dio, non un tifoso dello sterminio punitivo. Il profeta è un testimone della Giustizia di Dio, che si manifesta in quell’atto di continuo allontanamento dall’umanità devota, per andare a cercare quella perduta(³), creando infinite occasioni di conversione e tenendo conto della gravità delle ferite personali.

(¹) Cfr. Giona 1,2-3

(²) «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Vangelo di Matteo 5,43-48)

(³) «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione» (Vangelo di Luca 15, 4-7)

da ‘altranarrazione’

 

altri nemici per papa Francesco per le sue parole contro l’ accanimento terapeutico

‘fine vita’

l’apertura procura a Francesco nuovi nemici

“è di sinistra ed eretico”

Fine vita, l’apertura procura a Francesco nuovi nemici: “È di sinistra ed eretico”
Reazioni contrapposte nei sacri palazzi, tra chi prova a depotenziare le parole del pontefice e chi lo attacca. Dopo 5 anni di pontificato è sempre più evidente la frattura tra Bergoglio e una parte consistente della Curia. “Ci fa soffrire questo volerci separare da lui – getta acqua sul fuoco monsignor Becciu, sostituto della Segreteria di Stato – dispiace che l’esprimersi liberamente sia interpretato come un esprimersi in contrasto”
In Vaticano Papa Francesco non ha per nulla vita facile. Le sue parole sul fine vita, pronunciate proprio mentre al Senato è bloccato da tempo il ddl sul Biotestamento, hanno suscitato reazioni contrapposte tra gli inquilini dei sacri palazzi, aumentando la fronda, già ben consistente, dei suoi nemici. Da un lato ci sono coloro che vogliono depotenziare la portata storica delle aperture fatte da Bergoglio. “Il Papa si è limitato a ribadire la dottrina della Chiesa. Stop. Non c’è nulla di nuovo. Sono i media che continuano a costruire il ritratto di un Pontefice comunista”, si lascia scappare un alto prelato della Curia romana esperto di bioetica.Dall’altro lato c’è chi, proprio in Vaticano, non sembra per nulla essere della stessa opinione. “Oltre che di sinistra, è pure eretico. Ma questa – sottolinea un arcivescovo coetaneo di Bergoglio – non è una scoperta di oggi. Ai ‘dubia’ sulle aperture ai divorziati risposati il Papa non ha risposto e ora, dopo più di un anno, il cardinale Burke è tornato alla carica chiedendo con forza al Papa di rispondere”. Prova a gettare acqua su fuoco, invece, il sostituto della Segreteria di Stato, ovvero il “ministro dell’Interno” vaticano, monsignor Giovanni Angelo Becciu, precisando che dopo le affermazioni di Francesco sul fine vita “non cambia niente, il rifiuto dell’accanimento terapeutico era già previsto da Pio XII”.Il presule, però, ammette che “le parole del Papa avranno un peso in Italia, ma quando interviene Francesco non può sempre avere di mira l’Italia e i suoi momenti politici. È un discorso a tutto il mondo e questa assemblea dei medici era prevista da tanto tempo, non da quando hanno deciso di progettare la discussione sul fine vita nel Parlamento italiano. La tabella del Papa non si può misurare con i programmi della politica italiana”. Sarà, eppure proprio nella Curia romana c’è chi fa notare che quello sul fine vita non è stato un discorso pronunciato, magari a braccio, da Francesco, bensì un messaggio che si è avuto tutto il tempo di vagliare con cura ed era molto prevedibile la ricaduta politica che ci sarebbe stata soprattutto in Italia.Così come non manca, sempre in Vaticano, chi pone l’accento sullo stridente contrasto tra la bocciatura netta che aveva fatto la Conferenza Episcopale Italiana al ddl sul Biotestamento e le aperture del Papa. Era stato proprio il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, a tuonare: “Una legge che riguarda l’eutanasia, che riguardi questo ambito particolare, la dichiarazione di fine vita, una legge che attribuisce tutto il potere all’autodeterminazione della persona, evidentemente non può essere accettata. Una legge che smonta quella sorta di alleanza tra paziente, medico e famigliari finisce per essere soltanto il trionfo, ancora una volta, dell’individualismo su questa realtà”.  In cinque anni di pontificato è ormai sempre più evidente la frattura tra Bergoglio e una parte consistente della Curia romana. “Un po’ ci fa soffrire questo volerci separare dal Papa, – afferma Becciu – quando noi invece siamo lì a dare la nostra vita per lui. È chiaro che in Curia possiamo esprimere idee diverse, ma è un contributo per rendere la Chiesa migliore. È normale che ci si esprima. Però ho notato che c’è obbedienza totale. Dispiace che l’esprimersi liberamente sia interpretato come un esprimersi in contrasto con il Papa. Ma c’è unità piena in Curia”. Anche se poi aggiunge: “Mi fa male sentire che il Papa è eretico. Non so che cosa sta succedendo ad alcuni”.

Un invito a “considerare la reale portata del messaggio di Francesco” arriva da padre Carmine Arice, superiore generale della Società dei Sacerdoti del Cottolengo e per cinque anni direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale della salute della Cei. “Il Papa – afferma il sacerdote nominato dal Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, membro della Pontificia Commissione per le attività del settore sanitario – conferma il magistero della Chiesa in materia di fine vita, sia quello suo che dei suoi predecessori con una sottolineatura importante: tenere conto dell’apporto dei mezzi tecnico scientifici che la medicina ha acquisito e dunque non abusare in modo sproporzionato di essi. Inoltre, Francesco dà al paziente la vera centralità nel processo decisionale in dialogo con i medici e con quanti lo assistono anche per quello che riguarda le scelte terapeutiche opportune”. Per Arice, inoltre, è “chiara anche la condanna dell’eutanasia che è, come ha sottolineato il Papa, interruzione della vita procurando la morte”.

chi sono i nemici di papa Francesco

i nemici del papa sono nella chiesa

e stanno combattendo una guerra

in una lunga inchiesta il quotidiano britannico The Guardian analizza chi sono i nemici di Bergoglio in Vaticano e perché contro il pontefice argentino monta un’opposizione sempre più forte

I nemici del papa sono nella Chiesa. E stanno combattendo una guerra

Papa Francesco ha moltissimi nemici. E non tanto tra gli atei, i protestanti o tra i musulmani. Quelli più convinti si trovano all’interno del Vaticano e nelle curie di tutto il mondo perché fanno parte anche loro parte del clero e siedono tra le file dei più convinti conservatori. Sin dalla sua nomina nel 2013 Bergoglio ha mostrato di preferire (a parole e nei fatti) uno stile modesto e umile. Guida una Fiat, porta da solo le sue valige, si reca personalmente in un negozio di occhiali per cambiare le lenti – ma non la montatura – e paga il conto in hotel. Lava i piedi alle donne musulmane rifugiate e dei gay dice “Chi sono io per giudicare?” Le sue parole e i suoi gesti hanno colpito il mondo intero ma dentro le mura di ‘casa’  Francesco ha provocato un contraccolpo enorme tra i conservatori che temono che lo stile ‘francescano’ possa dividere la Chiesa o addirittura mandarla in frantumi. È quanto emerge da un lungo articolo del Guardian scritto dal giornalista Andrew Brown che si è infiltrato nel clero e ha parlato con sacerdoti e non solo. “Quest’estate un prete inglese molto in vista mi ha detto: ‘Non possiamo che aspettare che muoia. Quello che ci diciamo in privato non si può riportare. Ma quando due preti si incontrano parlano di quanto terribile sia Bergoglio… È come Caligola: se avesse un cavallo lo nominerebbe cardinale’”. Poi la raccomandazione al giornalista: “Non devi pubblicare nulla di quello che ho detto altrimenti verrò fatto fuori”. 

I nemici del papa sono nella Chiesa. E stanno combattendo una guerra

perché Bergoglio si è fatto i nemici

Che Bergoglio si facesse dei nemici era già previsto. E per diversi motivi: è il primo papa non europeo ed è stato letto come outsider, tanto per iniziare. Ma nessuno immaginava che i suoi avversari fossero cosi tanti. Forse perché nessuno aveva previsto che, una volta eletto, Bergoglio avrebbe scelto il nome del santo dell’umiltà e che, come lui, (o quasi) avrebbe condotto la sua vita, iniziando col dire no ai fasti del Vaticano. Non sono andate giù nemmeno le sue parole di accoglienza nei confronti dei migranti, i suoi attacchi al capitalismo e, soprattutto, la sua decisione di riesaminare gli insegnamenti della Chiesa sul sesso. “Stando a quanto emerso dall’ultimo incontro mondiale dei vescovi, quasi un terzo del Collegio Cardinalizio ritiene che il papa stia flirtando con l’eresia”.

Uno dei principali punti di rottura – secondo The Guardian – è rappresentato dal divorzio: rompendo con la tradizione secolare, Francesco ha incoraggiato i preti cattolici a dare la comunione anche ai divorziati, a coloro che si sono risposati e alle coppie che convivono. “A lungo i suoi avversari hanno cercato di distoglierlo e di convincerlo a rinunciare all’iniziativa. Lui non ha voluto e si è ritrovato a combattere contro il malcontento generale che ora sta montando in una guerra”. Le armi sono le accuse di eresia. “L’anno scorso, un cardinale, appoggiato da alcuni colleghi in pensione, ha fatto emergere la possibilità di una dichiarazione formale di eresia, un peccati punibile con la scomunica. Lo scorso mese, invece, 62 sacerdoti e studiosi cattolici e laici, tra cui figurano un vescovo in pensione e l’ex presidente dello Ior – Ettore Gotti Tedeschi – hanno pubblicato una lettera aperta di 25 pagine che accusa Papa Francesco di 7 eresie per la sua Amoris Laetitia”. Il documento, scritto da Francesco, affronta il dibattito sul divorzio e apre – seppur non direttamente – alla comunione ai divorziarti.

I nemici del papa sono nella Chiesa. E stanno combattendo una guerra

cosa significa essere accusati di eresia

(per un papa)

Si tratta di un’accusa cruciale per un papa perché lo mette con le spalle al muro: secondo la dottrina, un papa non può sbagliare quando affronta temi di fondamentale importanza come quelli legati alla fede. Così, se cade in errore significa che non è degno di essere papa, se invece ha ragione significa che hanno sbagliato tutti i suoi predecessori. In più, quella sulla comunione ai divorziati è una questione più che altro di forma: Bergoglio non ha proposto una rivoluzione ma ha semplicemente riconosciuto quello che accade già in tutto il mondo. E che potrebbe essere essenziale per la sopravvivenza della Chiesa. Se si applicassero le regole alla lettera, nessuno potrebbe più fare sesso con il nuovo partner dopo il fallimento del proprio matrimonio.

La crisi più grave dopo le spaccature degli anni ‘60

L’attuale crisi, ricorda il Guardian, è la più profonda dai tempi delle riforme liberali degli anni ’60 che portarono il gruppo dei conservatori più convinti, guidati dall’arcivescovo Marcel Lefebvre, a staccarsi dalla Chiesa. Furono gli anni del Concilio Vaticano II e dell’apertura di Roma al resto del mondo sotto la guida di Papa Giovanni XXIII. Il Concilio condannò l’antisemitismo, abbracciò la democrazia, proclamò i diritti umani universali e abolì la messa in latino. Il Vaticano ha trascorso la maggior parte del secolo scorso a lottare contro la rivoluzione sessuale, spingendosi su posizioni assolutistiche come, ad esempio, il divieto assoluto di usare contraccettivi. Francesco ha riconosciuto che non è così che agiscono i fedeli. E lo sanno anche i membri del clero ma si comportano come se non lo sapessero. “La dottrina ufficiale non deve essere messa in discussione, ma nemmeno può essere osservata del tutto”.

I nemici del papa sono nella Chiesa. E stanno combattendo una guerra
papa Francesco apre la Porta Santa della Basilica di San Giovanni in Laterano, la terza compiuta personalmente da Bergoglio dopo quelle di Bangui in Centrafrica e di San Pietro 

la ricetta per salvare la Chiesa 

Con oltre un miliardo di fedeli, la Chiesa cattolica è la più grande organizzazione al mondo e molti dei suoi fedeli sono divorziati oppure sono genitori non sposati. Si tratta di un numero in netto calo, soprattutto al di fuori dell’Italia. Negli Stati uniti, ad esempio, la percentuale dei fedeli che vanno regolarmente a messa la domenica è passato dal 55% del 1965 al 22% del 2000. Mentre il numero di bambini battezzati è sceso da 1,3 milioni nel ’65 a 670mila nel 2016. E se per alcuni il motivo dell’allontanamento risiede nell’abbandono delle pratiche più tradizionali, per altri la colpa della Chiesa è quella di non essere riuscita a cambiare abbastanza per essere vicina alle persone. Da parte sua, “Papa Francesco è sicuro che se non riuscirà a far coincidere teoria e pratica le chiese si svuoteranno. Anche i suoi avversari sono consapevoli del fatto che l’istituzione sia nel pieno di una crisi, ma la loro ricetta per salvarla è l’opposto: per loro il fossato tra teoria e pratica è esattamente ciò che dà spessore e senso alla Chiesa”. Ma l’attrito riguarda soprattutto la visione del ruolo dell’istituzione tra chi crede che la Chiesa debba organizzare la sua agenda a seconda delle esigenze del mondo e chi crede l’esatto contrario. 

il nuovo fariseismo clericalista contro papa Francesco

troppi nemici per un papa

di Fabrizio D’Esposito e Carlo Tecce
in “Fq Millennium” del luglio 2017

«Il clericalismo nella Chiesa è un brutto male che ha radici antiche e ha sempre come vittime il “popolo povero e umile”: non a caso il Signore ripete agli “intellettuali della religione” che peccatori e prostitute li precederanno nel regno dei cieli».

È un papa dallo sguardo corrucciato, con un ghigno di cupo disappunto, quello che la mattina di sabato 4 febbraio 2017 guarda i romani. Alcuni quartieri della Capitale sono tappezzati di manifesti anonimi e abusivi. Sotto campeggia una lunga scritta: «A France’, hai commissariato Congregazioni, rimosso sacerdoti, decapitato l’Ordine di Malta e i Francescani dell’Immacolata, ignorato Cardinali… ma n’do sta la tua misericordia?». Chi è stato? I sospetti vanno subito in una direzione: la destra clericale, incline alla Tradizione e talvolta al fascismo. Sono i nuovi farisei, quelli per cui la fede è solo l’arida Dottrina, con la maiuscola. È stato lo stesso papa Francesco a definirli così, lo scorso 13 dicembre, durante la meditazione mattutina nella cappella di Santa Marta: «Il clericalismo nella Chiesa è un brutto male che ha radici antiche e ha sempre come vittime il “popolo povero e umile”: non a caso il Signore ripete agli “intellettuali della religione” che peccatori e prostitute li precederanno nel regno dei cieli». Clericali come i farisei Sinedrio che condannarono Gesù, «uomini di potere» che «tiranneggiano il popolo strumentalizzando la Legge». La Dottrina, appunto. Il papato rivoluzionario di Francesco circondato da nemici: il mandato ricevuto dal Conclave di ripulire la Curia romana dai tanti mali mondani (a cominciare dalla corruzione) ha provocato sconquassi. Sono tanti i “corvi”, vecchi e nuovi, in tonaca e non, che remano contro Bergoglio per costringerlo a dimettersi. In quasi cinque anni su di lui è piovuto di tutto: la bufala del tumore al cervello; Vatileaks atto secondo; la clamorosa rivolta dei cardinali conservatori sulle aperture ai divorziati; quei manifesti anonimi e le preghiere per farlo dimettere; la costante campagna di alcuni media di destra e le resistenze della Curia romana sulle riforme economiche. Per trovare un precedente del genere bisogna risalire a oltre mezzo secolo fa con Paolo VI. Papa Montini, successore di Giovanni XXIII, fu l’ epicentro dello scontro pesante che si giocò su un’altra rivoluzione: quella del Concilio Vaticano II e che segnò un solco tra clericali e progressisti. Papa Roncalli morì, infatti, durante il Concilio, nel 1963, e toccò a Paolo VI proseguirne l’ opera. Il peso di quei tempi terribili, nove anni dopo, si manifestò in una frase montiniana passata alla storia. La pronunciò il 29 giugno del 1972, solennità dei santi Pietro e Paolo, patroni di Roma: «Da qualche fessura, il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio». Allora, però, non c’erano il web e i social network come oggi. E anche per questo la battaglia antifrancescana risuona diffusamente. Torniamo allo scorso 4 febbraio. Il primo a simpatizzare con i manifesti è lo storico Roberto de Mattei, già consigliere di Gianfranco Fini e animatore della fondazione Lepanto. In un articolo del giorno prima su Corrispondenza Romana, l’agenzia di informazione che dirige, de Mattei anticipa le accuse a Bergoglio che compariranno sui muri romani dopo poche ore. Il 5 febbraio, poi, sul quotidiano Il Tempo, lo stesso de Mattei esalta e derubrica i manifesti a «pasquinata» e «pungente protesta in romanesco». Lo storico della destra tradizionalista si vanta anche di essere un devoto discepolo del professor Plinio Corréa de Oliveira, più noto come il “dottor Plinio”, pensatore cattolico antidemocratico e controrivoluzionario. Morto nel 1995, il brasiliano “dottor Plinio” promosse l’associazione Tfp, Tradizione, famiglia e proprietà, da cui sono nati gli Araldi del Vangelo. A metà giugno il presidente degli Arautos do Evangelho si è dimesso dal suo incarico a causa di un’indagine avviata dal Vaticano. Si chiama Joào Scognamiglio Clà Dias. In un video diffuso dal sito Vatican Insider monsignor Clà riferisce a sessanta sacerdoti la trascrizione di un dialogo particolare: quello tra un prete e un demonio durante un esorcismo. La riunione è del febbraio 2016, dopo il pellegrinaggio di Bergoglio in Messico. Il diavolo, a detta di monsignor Clà, è entusiasta di Francesco: «È mio, è mio, fa tutto quello che voglio, è uno stupido. Mi obbedisce in tutto, è la mia gloria, è disposto a fare tutto per me. Lui mi serve». I sacerdoti che ascoltano ridono convinti. Continua il demonio per bocca del capo degli Araldi del Vangelo: «Il Papa morirà cadendo in  Vaticano. Il dottor Plinio sta incentivando la morte del Papa».

Sotto attacco

La guerra contro Francesco deflagra nell’autunno del 2015. È il 21 ottobre quando il Quotidiano Nazionale spara una bufala clamorosa: «Il Papa ha un tumore al cervello». Dieci giorni dopo, a seguire, la gendarmeria vaticana smaschera i corvi di Vatileaks 2: un monsignore spagnolo che si chiama Lucio Angel Vallejo Balda e una rampante trentenne di nome Francesca Immacolata Chaouqui. Da allora il fronte anti-Bergoglio, che sui siti della destra tradizionalista viene sbeffeggiato come un novello Lutero, una sorta di anti-Papa scelto dal demonio anziché dallo Spirito Santo, viene rimpolpato da altri attacchi, anche di natura teologica. Racconta a Fq Millennium una fonte che frequenta Casa di Santa Marta: «Francesco è serenissimo e andrà avanti nella sua opera di pulizia e di rinnovamento. Le dimissioni? Non ci ha mai pensato a meno che…». La frase s’interrompe. I puntini sospensivi coprono un tono d’improvviso preoccupato. «A meno che?», sollecitiamo. «A meno che non ci sia uno scandalo enorme che investa qualche figura che gode della sua fiducia. Vede, Francesco è sì diffidente ma spesso sceglie di slancio, confidando nel suo istinto e qualcosa può sbagliare». Le dimissioni, dunque, sono il vero obiettivo di chi nella Chiesa combatte questo Papa venuto «dalla fine del mondo». Le similitudini con il primo Vatileaks sono varie, ma la ratio è diversa. Lo scandalo che segnò la fine del pontificato teutonico di Joseph Ratzinger ebbe inizio all’alba del 2012. I1 corvo dell’epoca, il maggiordomo “papale” Paolo Gabriele, agì a fin di bene. Obiettivo, portare alla luce gli intrallazzi del cerchio magico riconducibile al famigerato cardinale Tarcisio Bertone e all’ambizioso Georg Gänswein, e tentare di salvare Benedetto XVI. Ma la slavina sugli affari dello Ior, la banca denominata Istituto per le Opere di Religione, e sul potere temporale della Curia divenne valanga. Un anno dopo, 1’11 febbraio 2013, Benedetto XVI annunciò la sua rinuncia al ministero petrino «per l’età avanzata». Un paio di mesi prima di lasciare il Palazzo Apostolico, Ratzinger ha nominato Gänswein prefetto della Casa Pontificia. Per educazione cristiana, Bergoglio non l’ha rimosso. Ma con tatticismo oseremmo dire parecchio democristiano, l’ha lasciato nel dolce far niente di una carica svuotata dalla presenza discreta di Leonardo Sapienza, il reggente della Casa Pontificia. Ogni giornata di Francesco è sorvegliata da Sapienza, non da Gänswein. Quando Bergoglio intende liberarsi di una presenza ingombrante, suggerisce di tornare a casa, semmai in preghiera, e di abbandonare la vita surreale della città-Stato. A Bertone, il cardinale che abita in un attico del Vaticano ristrutturato con i soldi dell’ospedale Bambino Gesù, Francesco ha consigliato di trascorrere gli ultimi periodi concessi dal Signore a Valdocco, casa madre di Don Bosco, la vera abitazione di un vero salesiano. Per Gänswein, invece, come confermano due importanti prelati a Fq Millennium, Bergoglio ha previsto una diocesi in Germania: «Ma i vescovi tedeschi sono d’accordo?», domanda in maniera retorica un collaboratore di Bergoglio. No, certo che no. I tedeschi, guidati dal cardinale progressista Reinhard Marx, preferiscono che Gänswein resti a Roma accanto all’amico Gerhard Ludwig Müller. Il nome di Müller è sempre citato dai biografi di Bergoglio per indicare un acerrimo nemico che troneggia dal Sant’Uffizio, l’attuale Congregazione per la Dottrina della fede. Müller viene contrapposto all’anziano cardinale Walter Kasper, che condivide appieno le aperture di Bergoglio ai divorziati, agli omosessuali, agli ultimi della società a cui le porte del Signore non vanno sbattute in faccia.

Vecchi e nuovi nemici

Per alimentare lo scontro tutto tedesco e tutto papalino, si sostiene che Müller sia un pupillo di Ratzinger. In realtà, Benedetto voleva spedirlo all’archivio segreto Vaticano, circondato dai libri certo, ma innocuo. Al contrario, Mülller smania per rimarcare i suoi dissapori verso la segreteria di Stato dove Bergoglio ha collocato l’ex nunzio Pietro Parolin, determinante nell’accrescere il ruolo del Vaticano all’estero, dalla risoluzione di pace in Colombia con le Farc al ritorno degli Stati Uniti nella Cuba ancora castrista. Qualche settimana fa, Müller ha convocato in ufficio quattro assistenti in predicato di ricevere una promozione dalla Segreteria di Stato, che però ne ha concesse soltanto due. Per decoro, di solito si informano i promossi e non i bocciati, ma il tedesco lavora per acuire le distanze, non per debellare i risentimenti. In Segreteria di Stato, però, soprattutto fra le seconde gerarchie, «un coacervo del clero con i laici che seguono ed eseguono» (citazione di una nostra fonte), si arenano le iniziative di Papa Francesco. Come la sezione Migranti e Rifugiati del dicastero per il Servizio allo Sviluppo umano integrale, che Bergoglio ha istituito qualche mese fa con al centro il simbolo della pietà nel mare, un giubbotto salvagente arancione. Il moto perpetuo di desistenza all’interno della Curia ha pure sancito il più grosso fallimento del pontificato: la riforma dell’Economia con la bussola della trasparenza. Il cardinale George Pell, indebolito dall’accusa di aver coperto degli abusi nella sua ex diocesi in Austrialia, doveva guidare la borsa del Vaticano della Segreteria per l’Economia, invece s’è ritrovato bersagliato dalle rivelazioni dell’inchiesta australiana, dai libri di Vatileaks II che hanno tratteggiato il profilo di uno spendaccione tendente al lusso, sopraffatto dal collega Domenico Calcagno, residuo dell’epoca di Bertone, capo della ricchissima Apsa, l’organismo che amministra il patrimonio della sede apostolica. Pell è limitato alla «compilazione» delle buste paga», come ripetono le nostre fonti, e non condiziona le strategie di Calcagno, un cardinale ligure collezionista di pistole. Per arginare Calcagno, nell’autunno del 2013, Bergoglio ha mandato all’Apsa monsignor Mauro Rivella, delegato per la sezione ordinaria della struttura: «Io spero che qualcuno di onesto ci sia lì», sospira un esponente della Curia vicino a Francesco. Un altro risvolto di questo scontro è recentissimo. Con un comunicato di tre righe, il 20 giugno, il Vaticano ha annunciato le dimissioni di Libero Milone, nominato due anni fa Revisore generale dei conti da Papa Francesco. Milone ha fallito: non è riuscito a coordinare e scandagliare le spese della città-Stato, a riprova dei contrasti insanabili tra la Spe di Pell e l’Apsa di Calcagno. Dopo la denuncia di Milone per la violazione del suo computer nell’ufficio vaticano fu avviata l’inchiesta dei gendarmi che sfociò in Vatileaks II. Ora l’addio dell’ex capo di Deloitte può diventare benissimo il prologo di Vatileaks III. Il groviglio dell’anti-bergoglismo si poggia anche su siti, blog e quotidiani come Libero, Il Giornale, Il Tempo e Il Foglio. E raduna firme autorevoli, inorridite dal nuovo corso francescano in materia di Dottrina e Liturgia: lo scrittore Antonio Socci; i vaticanisti Sandro Magister, Marco Tosatti e Aldo Maria Valli; altri saggisti e cronisti come Riccardo Cascioli, Vittorio Messori e Rino Cammilleri. I punti di riferimento di questa galassia minoritaria sono i quattro cardinali che hanno vergato i fatidici Dubia, plurale latino di dubbi. I loro nomi, in ordine alfabetico: Walter Brandmüller, Raymond Leo Burke, Carlo Caffarra e Joachim Meisner. I Dubia sono stati consegnati a Francesco il 19 settembre 2016 e contestano, fondamentalmente, le aperture ai divorziati risposati dell’ Amoris laetitia, l’esortazione apostolica che Bergoglio ha pubblicato dopo il sinodo sulla famiglia. Il Papa non ha mai risposto e nel gennaio di quest’anno il cardinale Burke ha finanche minacciato un atto formale di correzione di errore grave del pontefice. Per Burke, Papa Francesco potrebbe persino essere accusato di “eresia formale”, che lo farebbe decadere automaticamente dal ministero petrino. Dimissioni, decadenza, morte. Sono le strade percorse da quella Chiesa che si vuole liberare di Bergoglio. La speranza della morte torna nelle parole di monsignor Luigi Negri, già vescovo di Ferrara. Il 28 ottobre 2015, su un Frecciarossa partito da Roma Termini, il prelato è al telefono con Renato Farina, firma ciellina di Libero che collaborava con il Sismi di Nicolò Pollari con lo pseudonimo di “Betulla”. Questa la frase di monsignor Negri: «Speriamo che con Bergoglio la Madonna faccia il miracolo come aveva fatto con l’altro». L’altro è Giovanni Paolo I, Papa Luciani, morto nel 1978 dopo soli 33 giorni di pontificato.»
I contrasti coi Cavalieri Raymond Burke è un americano del Wisconsin, diventato l’antipapa dei tradizionalisti. Dice un altro autorevole prelato consultato da Fq Millennium: «Burke è un personaggio folkloristico. In realtà, tra i cardinali dei Dubia, l’unico ad avere un certo spessore teologico è Caffarra, arcivescovo emerito di Bologna». Benedetto XVI nominò Burke a capo della Segnatura Apostolica, supremo tribunale della Santa Sede. Francesco lo ha rimosso, pensionandolo con una poltrona supermondana: patrono dell’Ordine di Malta. I famosi Cavalieri hanno più di dieci secoli di storia.
Sono nati con le Crociate a Gerusalemme. Oggi l’Ordine è un colosso della diplomazia umanitaria: ha relazioni ufficiali con più di cento Stati e alle Nazioni Unite ha lo status di osservatore permanente. La sede del governo è nel Palazzo Magistrale, nella strada più ricca del centro di Roma, in via dei Condotti. Ma il cuore pulsante dell’Ordine batte sull’Aventino, tra i colli più belli ed esclusivi della Capitale: Villa Magistrale, dove il Gran Maestro riceve ufficialmente capi di Stato e rappresentanti dei governi. Ed è dai Cavalieri di Malta, sotto la regia di Burke, che parte un’altra sfida a Bergoglio, alla fine del 2016. Dall’antica riservatezza dell’Ordine trapela una notizia importante: il Gran Maestro Fra’ Matthew Festing, inglese, ha sospeso dalla carica di Gran Cancelliere il barone tedesco Albrecht von Boeselager. Il vertice dei Cavalieri è strutturato come un governo. Il Gran Maestro è eletto a vita ed è il capo assoluto. Il Gran Cancelliere, invece, assomma le funzioni di ministro dell’Interno e degli Affari Esteri. La colpa di Von Boeselager risale a quando gestiva gli imponenti aiuti sanitari, da Grande Ospedaliere. Durante il suo mandato sono stati distribuiti preservativi in zone del mondo martoriate dall’Aids, in vari Stati africani e asiatici. Una colpa grave. I Cavalieri più alti in grado devono da Costituzione essere nobili e religiosi professi. Aver fatto, cioè, professione dei voti solenni di castità, povertà e obbedienza. Von Boeselager è ritenuto un cattolico liberal. Suo padre Philipp, nel luglio del 1944, fu tra i militari congiurati dell’Operazione Valchiria, il tentativo fallito di rovesciare il regime di Hitler. Il fratello di Albrecht, invece, di nome Georg, è stato nominato da Francesco nel board laico dello Ior. Dopo la sospensione, Papa Bergoglio apre un’inchiesta sull’Ordine. La prima clamorosa decisione scuote i Cavalieri alla fine di gennaio. La commissione d’inchiesta voluta dal pontefice ha due conclusioni: Von Boeselager deve ritornare Gran Cancelliere e Fra’ Festing si deve dimettere da Gran Maestro. In attesa del “conclave” per il successore, l’Ordine viene affidato a un Luogotenente interinale e a un Delegato speciale della Santa sede. Ma la guerra prosegue, alimentata anche da Burke. La svolta finale, non senza altre sorprese, alla fine di aprile. Il 29 viene eletto il nuovo capo. Non un Gran maestro, ma, come ha suggerito lo stesso pontefice, un Luogotenente generale: l’italiano Fra’ Giacomo Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto. A Roma si presenta, nonostante l’esplicito divieto del Vaticano, anche Fra’ Festing. Vuole ricandidarsi. Questa è la prima volta, in mille anni di storia, che un Cavaliere non obbedisce al pontefice. Il mandato del nuovo Luogotenente è quello di riformare l’Ordine. I Cavalieri vantano un patrimonio astronomico: 1,7 miliardi di euro. E alla faida interna tra tedeschi e inglesi viene ricondotta la vicenda di una controversa donazione di 30 milioni di franchi svizzeri da parte di un trust di Ginevra. Soldi di misteriosa provenienza sui cui indaga la magistratura svizzera per appropriazione indebita.

Bisignani e il “tumore”

Negli ambienti clericali dei farisei di destra, la sconfitta patita sull’Ordine di Malta è percepita come l’ennesimo golpe mancato contro Bergoglio. È lo stesso spartito che i conservatori suonano ormai dall’autunno del 2015, quando viene diffusa la bufala del tumore al cervello di Francesco e si evoca per la prima volta la morte salvifica del pontefice. Sulle pagine di Avvenire, quotidiano ufficiale della Cei, la Conferenza dei vescovi italiani, è addirittura il direttore Marco Tarquinlo a indicare la fonte della bufala: «Qualunque immondizia venga sterilmente messa in circolo, il cammino della Chiesa procede (. ..). Possiamo dirlo? Ma, sì, diciamocelo: siamo semplici e siamo francescani, non “bisignani”». Scritto sprezzantemente con la minuscola, come un sostantivo e non un cognome, Tarquinio si riferisce a Luigi Bisignani, faccendiere con due condanne definitive, per il tangentone Enimont transitato sui conti dello Ior e per la loggia paramassonica P4. Allievo riconosciuto di Licio Gelli, venerabile della loggia P2, il pregiudicato Bisignani da semplice postino andreottiano, nella Prima Repubblica, diventa uno degli uomini più potenti e invisibili del berlusconismo, grazie al suo antico legame con Gianni Letta. Tra il faccendiere e la bufala c’è un indubitabile filo nipponico: l’oncologo Takanori Fukushima, che Bisignani conosce per vicende familiari. Fukushima avrebbe visitato il Papa, viene fatto trapelare, ma non è vero nulla e il medico arriva persino a taroccare una sua foto che lo mostra in compagnia di Bergoglio. Da esperto conoscitore delle tecniche depistatorie, il piduista e piquattrista tenta anche di incolpare, senza successo, Joaquín Navarro Valls, ex portavoce di Giovanni Paolo II e potente membro dell’Opus Dei, di essere il propalatore della falsa notizia. Lo fa con un articolo sul Tempo, quotidiano spesso al centro della battaglia al bergoglismo. Quello che poi accade dieci giorni dopo, agli inizi di novembre, offre un quadro più chiaro: la gendarmeria vaticana arresta monsignor Lucio Angel Vallejo Balda e la pierre Francesca Immacolata Chaoui, che tra l’altro si vanta di essere amica di Marco Carrai, fedelissimo di Matteo Renzi. Entrambi, il monsignore e la pr, fanno parte della Cosea, la commissione simbolo del rinnovamento di Francesco per le finanze, e sono accusati di aver fornito a due giornalisti, Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, documenti riservati. Pure stavolta si staglia l’ombra sinistra di Bisignani. Monsignor Balda lo accusa di essere “il capo” di Chaouqui, sic et simpliciter. Le inchieste sono due: una vaticana, l’altra italiana, poi trasferita da Terni a Roma e ancora non chiusa. Sullo sfondo emerge l’eterno profilo della cattomassoneria e della nobiltà nera papalina incline alla Tradizione. Chaoqui ostenta infatti credenziali avute dalla contessa Marisa Pinto Olori del Poggio, Sua Eccellenza Dama di Gran Croce e Giustizia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio. La contessa è stata vicepresidente della Fondazione Gerusalemme, quando questa era guidata da Giancarlo Elia Valori, manager e altro nume della catto-massoneria iscritto al Grande Oriente d’Italia, la maggiore obbedienza italiana, e alla loggia deviata della P2. È un mondo che vuole resistere alla rivoluzione francescana di Bergoglio. Lo stesso Bisignani, nell’era Ratzinger, è stato pubblicamente riconosciuto come «grande amico» da Marco Simeon. Monsignor Carlo Maria Viganò, in una feroce lettera a Benedetto XVI descrisse Simeon come simbolo della lobby gay protetta dal cardinale Bertone. Testuale. Il processo vaticano ha condannato Balda a diciotto mesi e Chaouqui a dieci. A distanza di due anni, il monsignore è ritornato nella natia Spagna, ma le nostre fonti riferiscono di averlo visto di nuovo in Italia, impegnato a organizzare una fondazione. Peraltro il sacerdote dovrebbe essere ridotto allo stato laicale. Fq Millennium ha contattato l’avvocato rotale Emanuela Bellardini, legale di Balda, che si è rifiutata di confermare o meno le due notizie. Chaouqui si è messa in proprio con una piccola società di comunicazione e ha scritto un libro sulla sua vicenda. In un’intervista al Fatto ha alluso andreottianamente ad altri documenti esclusivi custoditi in un caveau. Bisignani, infine, sebbene radiato dall’ordine dei giornalisti, continua a scrivere di Bergoglio sul Tempo. Sperando in un clamoroso scisma nella Chiesa.

un quasi complotto contro papa Francesco

dai petrolieri ai tradizionalisti ecco la rete internazionale che trama

contro papa Francesco

papa3

di Marco Ansaldo
in “la Repubblica”

una costellazione internazionale contro Papa Francesco. È questo il quadro che emerge, e dai contorni sempre più precisi, mentre gli inquirenti del caso Vatileaks procedono con le loro indagini sui corvi e sui vari filoni dell’inchiesta. Un’idra a più teste. Composta da una cerchia interna al Vaticano, ma attiva pure in Italia, che riunisce pezzi di ecclesiastici di mezzo livello «capaci di prendere la forma dell’acqua » (copyright di un anonimo cardinale), strati di massoneria, ombre di funzionari e faccendieri di vario tipo. E da un vasto gruppo internazionale, fatto di chierici conservatori legati alla dottrina, di confraternite tradizionaliste, di siti agguerritissimi, e di servizi segreti di alcuni importanti Stati. Un assembramento minaccioso, unito dall’avversione per l’azione riformista di Francesco, che lo giudica come fuori controllo e pericoloso per i propri interessi

Ci sono alcune domande che la Segreteria di Stato, cioè l’organismo di governo vaticano che coadiuva il Papa e presiede alle indagini attuali, si sta ponendo. Per chi lavorava, in realtà, Francesca Chaouqui? Chi l’ha mossa nel fornire informazioni, come si sospetta, a giornalisti interessati al Vaticano? E soprattutto, a quale risultato punta chi muove i corvi, il maggiordomo di Benedetto XVI, Paolo Gabriele, e il monsignore spagnolo esperto di economia Lucio Vallejo Balda? Giù fino alle persone terminate ora sotto i riflettori, come il marito della Chaouqui, Corrado Lanino, e il funzionario di Palazzo Chigi con ottime conoscenze in Vaticano, Mario Benotti? C’è un disegno sempre più chiaro nelle diverse fasi dell’operazione anti-Bergoglio. Quello che alcuni definiscono “prove tecniche di golpe”. Ma per arrivare all’oggi occorre fare un passo indietro, e vedere come si è sviluppata l’azione dei corvi sotto Benedetto XVI. Allora, sempre con la scusa di «agire per aiutare il Papa», come aveva detto nel processo del 2012 il maggiordomo Paolo Gabriele, prefigurando le intenzioni della ventina di persone dietro di lui, uno degli obiettivi era la rimozione del Segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, giudicato come troppo potente a discapito del Papa teologo. La successiva amarezza e la clamorosa rinuncia al Pontificato da parte di Benedetto XVI avevano rimescolato le carte, e l’arrivo di un Papa del tutto inatteso come Jorge Bergoglio aveva infine calmato l’azione dei corvi, alcuni già colpiti dalla Giustizia vaticana, altri però entrati nei meccanismi di governo della Santa Sede e forse in Italia. Da subito Francesco si è rivelato quello che nemmeno alcuni cardinali americani — fra i suoi grandi sponsor dopo le Congregazioni generali pre Conclave in cui si era distinto — avevano previsto: un riformista capace, magari facendo “lio” (cioè, casino, movimento, come rivendica lui stesso), di tentare la pulizia interna di uno Stato con non pochi gradi di incrostazione. La sua rivoluzione è passata attraverso decine di colpi di scena. Ma la mossa che in alcuni ambienti ha provocato la maggiore indignazione è stata l’Enciclica verde Laudato Si’, causa di malumori e insofferenze fra i conservatori e i petrolieri degli Stati Uniti. I gruppi di pressione hanno così ricominciato la loro azione. Prima in sordina, poi allo scoperto con i tentativi maldestri nel recente Sinodo dei vescovi: il cronometrico coming out pre-lavori del monsignor Charamsa, la lettera critica con il Papa di 13 cardinali, e il falso scoop della malattia nella testa di Bergoglio. Il salvataggio di Francesco al Sinodo si doveva alla maestria del Pontefice Emerito Benedetto, che dietro le quinte riusciva a mettere d’accordo porporati conservatori e riformisti nell’influente e decisivo Gruppo Germanicus sulla questione centrale della comunione da dare ai divorziati risposati (proposta vinta per un solo voto), e l’assemblea si chiudeva con un successo. Ma i corvi avevano cominciato a lavorare prima. Lo stesso gruppo, già sperimentato sul campo. La diffusione di documenti nei libri, per i tempi di lavorazione dei volumi, com’è ovvio era cominciata precedentemente alla convocazione del Sinodo. Gli effetti sono arrivati subito dopo.
Diverse organizzazioni influenti e vari gruppi all’interno di alcuni Paesi manovrano per far cadere Francesco. E non hanno l’intenzione di fermarsi. Ecco perché i viaggi all’estero di alcune delle persone sotto osservazione, fra Stati Uniti e Israele, America Latina ed Europa, sono al vaglio degli inquirenti: proprio per comprendere il filo rosso che a livello internazionale può chiarire il quadro di un tentativo che non è per nulla locale, ma la risultante di un’azione ampia con attori diversi. L’altro giorno, sul quotidiano Il Tempo, Luigi Bisignani, definito come “il manager del potere nascosto” e uomo sempre ben informato sugli intrighi politici, prefigurava uno scenario con “tre pontefici”. Come a dire: presto Bergoglio si dimetterà. Il quale Francesco, tuttavia, ha un’altra età rispetto al suo predecessore Benedetto, mostra un piglio più battagliero, e soprattutto gode di una cerchia di amici più solida di un Papa teologo alla fine rimasto isolato.

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