per una rifondazione del cristianesimo: un nuovo concilio di Nicea?
E’ il tempo di un nuovo concilio di Nicea
Quando l’imperatore romano Costantino convocò il Concilio di Nicea, nel 325 d.C., tanto la Chiesa quanto l’impero si trovavano in una situazione di incertezza e di instabilità. Poco più di un decennio prima, Costantino aveva legalizzato il cristianesimo, avendo riconosciuto il crescente potere sociale e finanziario dei cristiani all’interno dell’impero. Tuttavia, controversie, tumulti e violenze accompagnavano alcune questioni teologiche irrisolte, a cominciare da quella della relazione tra Dio Padre e Figlio. Come poteva il cristianesimo sostenere che Dio è uno e allo stesso tempo affermare la divinità del Figlio? In questo senso, come poteva il cristianesimo affermare che Gesù, un essere umano, era anche il divino Figlio di Dio?
I circa 300 vescovi che si riunirono a Nicea seguirono un cammino creativo per risolvere le questioni che avevano di fronte.
Per prima cosa, la necessità che coglievano di un’unità tra le diverse comunità cristiane dell’impero li condusse a creare formule del credo che escludessero il dissenso. I vescovi volevano promuovere l’unità nella Chiesa – e aiutare a mantenerla nell’impero – stabilendo chiaramente nel credo chi stava “nella” Chiesa e chi stava “fuori” di essa. Il Concilio optò per un cammino “o-o” per determinare chi potesse definirsi cristiano di fatto. Il messaggio era chiaro: o credete in questo modo, o state fuori.
In secondo luogo, l’ambiguità di certe affermazioni bibliche sulla relazione tra il Padre e il Figlio spinse i padri conciliari a incorporare creativamente nel credo categorie e termini filosofici, il più noto dei quali è homoousious, “consustanziale”, che i vescovi usavano per descrivere la relazione tra il Padre e il Figlio.
In terzo luogo, lo stesso fatto che i vescovi si riunissero rese il Concilio generale un modello per risolvere importanti questioni dottrinali nella Chiesa romana.
Ora, quasi 17 secoli dopo, ci troviamo nuovamente dinanzi a un bivio. I cattolici sono profondamente divisi su questioni relative alla teologia, all’autorità, all’interpretazione biblica, alla tradizione e al diritto canonico. I progressi realizzati in archeologia, nell’esegesi biblica, nella ricerca storica, in psicologia e in altre discipline mi inducono a chiedermi se il Credo Niceno sia sufficientemente elastico da incorporare le verità del cristianesimo così come queste – e i cristiani che lo professano – si sono evolute.
In questo momento della storia cristiana – iniziato con la saggia e coraggiosa rinuncia di papa Benedetto XVI –, abbiamo bisogno di un nuovo Concilio di Nicea, di un nuovo tentativo di unificare il popolo di Dio con coraggio e creatività utilizzando il veicolo di un Concilio generale.
La principale differenza tra il nuovo Concilio di Nicea e quello antico è che, questa volta, la Chiesa può costruire l’unità attraverso un approccio inclusivo “e-e”, anziché una posizione esclusivista “o-o”.
Il mio elenco di punti nell’agenda del nuovo Concilio di Nicea è eccessivamente ambizioso. Ma l’occasione che tale agenda rappresenta per unificare e dare impulso alla Chiesa è ugualmente enorme. Essa comprende:
• Una visione più attualizzata di Dio. La nostra comprensione dell’universo, nuova e in rapido mutamento, la nostra conoscenza sempre più profonda delle immagini di Dio in altre tradizioni religiose, le questioni che così a fondo ci interpellano riguardo alla possibilità che Dio impedisca tanto i mali morali quanto quelli naturali, tutto ciò rappresenta per la Chiesa una sfida a concentrarsi più su Dio come mistero, sconosciuto e inconoscibile, che su Dio come Essere Supremo eternamente immobile, onnisciente e onnipotente del neoplatonismo del IV secolo.
• Una comprensione più ampia di Gesù. Gli studi biblici moderni hanno rivelato molto sulla vita e sul ministero di Gesù – come ebreo, come ribelle, come leader del movimento del Regno di Dio – e ciò deve trovare posto accanto alle affermazioni tradizionali sulla generazione, sulla consustanzialità e sull’incarnazione.
• Una comprensione più estesa della salvezza. L’ortodossia nicena si è concentrata sulla morte e sulla resurrezione di Gesù come eventi soteriologici definitivi. Era implicita in questa posizione la credenza che l’umanità dovesse essere salvata dal peccato mediante la croce e la resurrezione. Ma studi recenti ci hanno mostrato che la salvezza dal peccato mediante la morte e la resurrezione non era l’unico paradigma soteriologico esistente tra i primi cristiani. Allo stesso modo, la filosofia esistenzialista contemporanea e la psicologia clinica hanno fatto emergere un modello di integrità personale centrato sull’autoconoscenza mediante terapia e introspezione come chiave per la salute e il benessere mentali. Sulla base di tali progressi, si deve ampliare la nostra comprensione della salvezza includendo gli insegnamenti di Gesù sulla necessità di superare l’ignoranza su se stessi.
• Una comprensione più profonda della rivelazione. La Chiesa primitiva stabiliva che la rivelazione di Dio in Cristo si era conclusa con la morte dell’ultimo apostolo. Allo scopo di combattere la minaccia degli gnostici, la Chiesa delle origini affermava che gli insegnamenti autentici di Gesù erano stati ricevuti e compresi solo dagli apostoli, e che tali verità continuavano ad essere comunicate accuratamente e con autorità solo dai loro successori, i vescovi. Senza negare la successione apostolica, la Chiesa deve affermare che la volontà divina continua ad essere rivelata oggi a tutti coloro che cercano sinceramente Dio.
• Una comprensione più piena dell’autorità e del ministero. Scritti cristiani primitivi da poco scoperti, come il Vangelo di Maria, evidenziano come le donne svolgessero importanti ruoli di leadership nella Chiesa primitiva, ruoli che vennero soppressi nel corso del tempo. Il nuovo Concilio di Nicea potrebbe generare un nuovo sguardo su come e da chi deve essere esercitata l’autorità nella Chiesa e su chi può essere ordinato per il ministero liturgico.
• Un canone più esteso della Scrittura. Senza alterare il canone attuale, la Chiesa dovrebbe intraprendere un’attenta revisione di quei testi considerati eretici dalla Chiesa primitiva – per ragioni che all’epoca potevano avere un senso – ed espandere il canone delle Scritture cristiane includendo scritti che appaiono coerenti con le rinnovate interpretazioni su Dio, Gesù, la salvezza, la rivelazione e l’autorità sopra descritti.
• Un nuovo credo. Considerando tutto ciò che è stato detto, non sarebbe il momento, per la Chiesa, di formulare un nuovo Credo Niceno, un Credo per il XXI secolo, che articoli gli elementi centrali del cristianesimo nel modo in cui li abbiamo compresi e affermati a partire dalla conclusione del Credo di Nicea nel 381? Di fatto, il nuovo Credo Niceno non sarebbe assolutamente “nuovo”: incorporerebbe la comprensione più profonda e più completa dei misteri cristiani trasmessa da 17 secoli di ricerca, riflessione ed esperienza di vita, sotto l’orientamento e l’ispirazione dello Spirito Santo.
Un nuovo Concilio di Nicea è un’occasione d’oro perché la Chiesa renda i suoi principali insegnamenti più rilevanti, trasformatori e inclusivi. Questo è il momento: la nostra opportunità per costruire una mensa più grande per il banchetto del Signore.
di Mark Etling (da adista documenti 24)