un invito ad una radicale conversione – il commento di ‘noi siamo chiesa’ alla ‘fratelli tutti’

“fratelli tutti”

un appassionato messaggio di invito alla conversione
che papa Francesco invia ai cristiani ed all’intera umanità

di Vittorio Bellavite
in “www.noisiamochiesa.org” del 11 ottobre 2020

L’ enciclica “Fratelli tutti” per la complessità e la molteplicità dei temi che tratta meriterà molta
attenzione di volta in volta sui vari blocchi di argomenti. Una prima lettura serve ad averne un’idea
generale senza in alcun modo esaurire la riflessione.

La situazione difficile del mondo

Essa, nelle sue linee generali, riprende ampiamente il messaggio culturale e sociopolitico di papa
Francesco, lo sistematizza e lo arricchisce. In particolare riprende ampiamente il documento di Abu
Dhabi del febbraio del 2019 “sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune”
firmato dal papa con il Grande Imam Abu Al-Tayyeb dell’Università Al-Azhar del Cairo. La prima
parte descrive la situazione del mondo constatandone il peggioramento per i nazionalismi
emergenti, la crescita delle radicalizzazioni e delle disuguaglianze, i razzismi, le nuove povertà, la
pandemia “che ci ha denudati” e ha gravemente penalizzato i più deboli, il rischio del “tutti contro
tutti”, il rifiuto dei migranti, i muri, invece dei ponti, che si costruiscono un po’ dovunque, le forme
ormai consolidate di schiavitù, la guerra mondiale a pezzi, i poteri economici che sovrastano i
soggetti politici che dovrebbero proteggere la “casa comune” dell’umanità. In questa descrizione si
può leggere un contributo abbastanza nuovo (cap. 44 e 45) sulle tante aggressività che si esprimono
mediante la comunicazione online e in tutto il mondo digitale che ha alle spalle interessi economici
enormi e che è capace di forme invasive e sottili di controllo e di manipolazione. In questa
descrizione non nuova delle tante cose negative dello scenario globale non vi è spazio (un solo
cenno) per un approfondimento della specifica condizione della donna che è pesante e diffusa
ovunque. I diversi aspetti della sua condizione di subordinazione fanno parte dei pesanti rapporti di
dominio esistenti al mondo che tutti l’enciclica condanna duramente. Questa assenza ci sembra il
limite principale dell’enciclica ed è coerente con la mancanza nel pontificato di papa Francesco di
un impegno non formale od episodico perché la condizione femminile sia tutelata e promossa nella
società e, a maggior ragione, nella Chiesa. La richiesta che l’enciclica si chiamasse “Sorelle e
fratelli tutti” ci sembrava del tutto giustificata (la citazione esatta delle parole di S. Francesco
poteva essere ripresa e spiegata nel testo). E’ stato anche rilevato che tra i grandi “maestri” citati tra
quelli che hanno ispirato l’enciclica (S. Francesco, Martin Luther King, Desmond Tutu, Mahatma
Gandhi, Charles de Foucauld) non c’è nessuna donna.

Il Samaritano, modello per la vita e per la società

L’enciclica passa poi ad un approfondimento del racconto evangelico del buon Samaritano, che
viene assunto come modello generale per nuovi rapporti tra gli uomini. Il testo è particolarmente
efficace nel descrivere i quattro soggetti presenti nella parabola, assunti a tipologie di
comportamenti diffusi. Partendo da qui si sviluppano le linee portanti dei principali messaggi di
Francesco. Essi riguardano: gli “ultimi”, i migranti, il potere economico che domina la politica, gli
individualismi generalizzati che chiudono le comunità e le società in sé stesse, la proprietà privata
che dovrebbe essere diritto secondario rispetto ai beni comuni ed al bene comune, i nazionalismi
fondati sulla xenofobia e via di questo passo. L’amore si deve praticare da una parte verso le
fragilità individuali nei rapporti interpersonali che ognuno di noi incontra nella propria vita,
dall’altra con quella che Francesco chiama “amicizia sociale” perché la carità si deve esprimere con
l’intervenire sulle situazioni di sofferenza della casa comune (con azioni di tipo sociale, politico,
culturale). Questa è la solidarietà. Poi l’enciclica fa un interessante discorso su Fraternità, Libertà e
Uguaglianza. Le tre parole d’ordine della Rivoluzione francese vengono naturalmente accettate (già
demonizzate dalla Chiesa a suo tempo) ma declinate in questo modo: la fraternità è la condizione
indispensabile perché libertà e uguaglianza siano veramente tali. Tutta l’enciclica ruota attorno alla
tutela e alla promozione dei diritti umani, a partire dagli ultimi, dagli esclusi, dai “non conosciuti”.
Qualcuno ha osservato che la Chiesa mentre li promuove con convinzione dovrebbe essere più
consapevole che al proprio interno essi meritano una ben maggiore tutela (per esempio quelli degli
abusati dal clero pedofilo) e che, in generale, tante strutture della Chiesa dovrebbero finalmente
cambiare nella direzione di quanto dice l’enciclica (per esempio nella gestione delle sue risorse
economiche, argomento di assoluta attualità).

Cosa si debba intendere per popolo

L’enciclica continua su come siano da gestire correttamente i valori di ogni popolo, mantenendo le
radici storiche, culturali, linguistiche ma dialogando con ogni altro paese per capire, accettare e
stabilire rapporti positivi a partire dal fatto che ogni popolo deve sentirsi parte della famiglia umana.
L’accoglienza e l’integrazione dei migranti sono la base per una nuova politica che esiga però
programmi globali internazionali. Il “locale” deve avere l’orizzonte del “globale” ed ogni paese
cerchi alleanze ed integrazioni coi paesi vicini per trattare con le grandi potenze. Il testo esamina
poi in modo critico il populismo e le forme liberali di gestione del potere e vi descrive gli aspetti
positivi del concetto di “popolo”. Ma qualsiasi impegno e soluzione – dice l’enciclica- “potrebbe
avere ben poca consistenza, se perdiamo la capacità di riconoscere il bisogno di un cambiamento
nei cuori umani, nelle abitudini e negli stili di vita. È quello che succede quando la propaganda
politica, i media e i costruttori di opinione pubblica insistono nel fomentare una cultura
individualistica e ingenua davanti agli interessi economici senza regole e all’organizzazione delle
società al servizio di quelli che hanno già troppo potere.”

La carità è l’impegno per il bene comune

Il discorso continua su un versante più direttamente politico. La crisi del 2008 è stata un’occasione
persa, gli Stati nazionali perdono potere e domina la finanza. Soprattutto – passo importante
dell’enciclica- è necessaria la riforma dell’ONU, il rilancio dei rapporti internazionali e del
multilateralismo che è in grave crisi dopo una fase in cui forme importanti di aggregazione si erano
sviluppate, per esempio in Europa e in America Latina. In questa situazione papa Francesco
richiama il ruolo dei movimenti popolari e sottolinea molto l’importanza delle organizzazioni della
società civile che si impegnano per la tutela dei diritti umani e per il bene comune. Questa è carità, è
amore, è l’impegno per il bene comune, per cambiare, per il dialogo, per ogni passo in avanti, anche
con risultati modesti. Ogni azione deve tendere a riconoscere l’altro, deve tendere a un processo
d’incontro tra differenze (senza fermare le rivendicazioni sociali), per una trasformazione degli stili
di vita, per nuovi rapporti sociali. Francesco propone un “artigianato della pace” che parta dal basso
e “lasci aperte sempre altre possibilità, altre considerazioni del reale, altre strade possibili, perfino dinanzi al
peccato e all’errore; sempre è invocata la pluralità, mai il relativismo, sempre il gusto delle differenze,
dell’inedito, del non ancora compreso; il poliedro, mai la torre di Babele, dalla pretesa unificante” (Raniero La
Valle).

La memoria e il perdono

Per completare il quadro l’enciclica parla del perdono e del suo rapporto con la giustizia e poi della
memoria. Non si costruisce per il futuro se non si ha sempre a mente la Shoah ed Hiroshima e
Nagasaki. L’enciclica dice: “E nemmeno vanno dimenticati le persecuzioni, il traffico di schiavi e i
massacri etnici che sono avvenuti e avvengono in diversi Paesi, e tanti altri fatti storici che ci fanno
vergognare di essere umani. Vanno ricordati sempre, sempre nuovamente, senza stancarci e senza
anestetizzarci. È facile oggi cadere nella tentazione di voltare pagina dicendo che ormai è passato
molto tempo e che bisogna guardare avanti. No, per amor di Dio! Senza memoria non si va mai
avanti, non si cresce senza una memoria integra e luminosa. Abbiamo bisogno di mantenere la
fiamma della coscienza collettiva, testimoniando alle generazioni successive l’orrore di ciò che è
accaduto», che «risveglia e conserva in questo modo la memoria delle vittime, affinché la coscienza
umana diventi sempre più forte di fronte ad ogni volontà di dominio e di distruzione” (messaggio
per la Giornata della pace 2020). Papa Francesco è anche esplicito sulla Chiesa e dice: “A volte mi
rattrista il fatto che la Chiesa ha avuto bisogno di tanto tempo per condannare con forza la schiavitù
e diverse forme di violenza.”

NO alla guerra giusta e alla pena di morte

Il papa riprende quanto già detto molte volte sulla ripresa della corsa al riarmo, in particolare per
quanto riguarda le armi nucleari e constata che negli ultimi decenni si è optato “ per la guerra
avanzando ogni tipo di scuse apparentemente umanitarie, difensive o preventive, ricorrendo anche
alla manipolazione dell’informazione. Di fatto, negli ultimi decenni tutte le guerre hanno preteso di
avere una giustificazione”. Di conseguenza la Chiesa ritiene superata la dottrina della guerra giusta
in certe circostanze e rilancia la proposta della Populorum Progressio per un Fondo mondiale
finanziato dalla riduzione delle spese militari per eliminare la fame e per lo sviluppo dei paesi
poveri. Questa posizione netta sulla guerra è una indiretta denuncia di tutti i facili consensi del
mondo cattolico nei confronti delle strutture militari ed addirittura di presenze al loro interno (nel
nostro paese i cappellani militari con l’Ordinario militare!). Ugualmente la Chiesa ha
definitivamente preso posizione contro la pena di morte in qualsiasi circostanza facendo così una
evidente autocritica rispetto alla sua posizione precedente. L’enciclica si conclude sul dialogo tra le
religioni e sull’identità cristiana. La Chiesa, che auspica la convergenza del mondo cristiano e di
tutte le religioni su queste grandi questioni, rivendica l’autonomia della politica ma «non può e non
deve neanche restare ai margini» nella costruzione di un mondo migliore, né trascurare di
«risvegliare le forze spirituali che possano fecondare tutta la vita sociale”. In questo modo si
contribuisce a combattere a oltranza quel terrorismo che strumentalizza la religione e che combatte
la libertà religiosa. Ci lascia però perplessi, al cap. 273 una citazione di papa Wojtyla che dice : “Se
non esiste una verità trascendente, obbedendo alla quale l’uomo acquista la sua piena identità, allora
non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini”. Interpretato alla
lettera questo passo può indicare una “esclusiva” delle religioni nell’indicare le strade per la retta
convivenza sociale (e ciò è del tutto discutibile sia come affermazione di principio sia perché
smentibile osservando la storia).

“Fratelli tutti” completa il messaggio della Laudato Si

Mi pare che “Fratelli tutti” esprima il filone migliore e più universale di un pontificato che viene
ostacolato da tante strutture ecclesiastiche che sono retaggio dei due pontificati precedenti, di una
comprensione mummificata dell’Evangelo da parte di molti di una struttura piramidale
autoreferenziale e di un accentramento eccessivo del potere nella figura del papa. L’enciclica è
quindi “la voce di chi non ha voce” e sfugge anche a un certo dottrinarismo delle precedenti
encicliche sociali perché “morde” nella storia. Infatti nel suo lungo ragionare si leggono sottotraccia
tutte le situazioni di sofferenza esistenti e le potenzialità pure presenti nella Chiesa. Ognuno le può
facilmente vedere. A noi , per esempio, appare evidente quanto i suoi contenuti siano direttamente
in contrasto pesante con la linea della presidenza uscente degli USA (lo ha scritto il “Washington
Post”!) e, nel nostro paese, con l’arroganza della destra che si pretende cristiana perché “ci sono
ancora coloro che ritengono di sentirsi incoraggiati o almeno autorizzati dalla loro fede a sostenere
varie forme di nazionalismo chiuso e violento, atteggiamenti xenofobi, disprezzo e persino
maltrattamenti verso coloro che sono diversi”. L’enciclica fa un appello universale al mondo intero
perché il suo messaggio non sia ininfluente. Ma essa interessa soprattutto i cattolici perché si
impegnino a cercare di fare seguire alle parole i fatti, dando testimonianza dell’Evangelo, maggiore
credibilità alla loro Chiesa e così un forte contributo alla sua vera riforma ed alla sua conversione
che consiste nel seguire l’esempio del Samaritano.

Roma, 11 ottobre 2020 NOI SIAMO CHIESA

anche ‘noi siamo chiesa’ plaude a papa Francesco

Diaconato femminile? Studiamolo. Il papa crea una commissione ad hoc

 

“diaconato femminile? studiamol0” 

da: Adista Notizie n° 19 del 21/05/2016
La creazione di una commissione di studio sul diaconato femminile, annunciata da papa Francesco il 12 maggio scorso davanti a 900 religiose di 80 Paesi, in rappresentanza di mezzo milione di suore, nel corso dell’assemblea triennale dell’Unione Internazionale delle Superiore generali (Uisg), sembra aver aperto una nuova fase nella riflessione sul ruolo della donna nella Chiesa.

Nel corso dell’assemblea, svoltasi nell’Aula Paolo VI dal 9 al 13 maggio sul tema «Tessere la solidarietà globale per la vita» il papa, infatti, accogliendo le domande fatte da alcune religiose all’assemblea («Perché non creare una commissione che studi la questione?») sembra aver fatto tesoro delle numerose iniziative e delle richieste già provenienti da più parti nella direzione di un’apertura del diaconato alle donne (ne avevamo dato conto sul numero 18/16 di Adista Notizie). Francesco ha accettato la proposta, rispondendo che in passato aveva affrontato la questione con un «buon, saggio professore», esperto dei primi secoli della Chiesa, che gli aveva spiegato come fosse «rimasto un po’ oscuro quale fossero ruolo e statuto delle diaconesse in quel momento» e aggiungendo che sì, «sarebbe fare il bene della Chiesa di chiarire questo punto. Sono d’accordo. Io parlerò per fare qualcosa di simile. Accetto la proposta. Sembra utile per me avere una commissione che chiarisca bene».

Ordinazione diaconale?

La questione centrale, quella destinata a creare perplessità e problemi soprattutto in chi tende a conservare lo status quo di un clero tutto al maschile, è certamente quella di un’equiparazione del diaconato femminile a quello maschile, che rappresenta il primo grado dei ministeri ordinati. Come dire che, con il diaconato alle donne, si apra la strada, in un futuro, al sacerdozio femminile. Sul quale il magistero di Giovanni Paolo II era stato rigido: «La Chiesa non ha alcuna autorità», disse Wojtyla nell’Ordinatio sacerdotalis (1994), di ordinare le donne prete. Eppure, nei primi secoli della Chiesa, il servizio diaconale delle donne nella Chiesa è attestato.

Soddisfazione delle donne

Generale soddisfazione è stata espressa dagli organismi che si occupano di diritti della donna nella Chiesa. La Women Ordination Conference (Woc) «plaude alle religiose della Uisg per aver dialogato in modo franco con papa Francesco sui ruoli ministeriali e di leadership della donna nella Chiesa, compresa l’apertura del diaconato alle donne», si legge in un comunicato. «La creazione di una commissione per studiare il diaconato sarebbe un grande passo per il Vaticano nel riconoscere la propria storia. La ricerca pluridecennale in questo campo è già stata pubblicata da eminenti voci femministe». La Woc suggerisce che la commissione vaticana comprenda teologhe e teologi esperti nel campo, del calibro di Gary Macy, Dorothy Irving, Ida Raming, suor Christine Schenk, John Wijngaards e Phyllis Zagano. «Tale commissione – scrive la Woc – potrebbe cominciare a ristabilire i valori evangelici di uguaglianza e giustizia», ma rifiuta l’affermazione del papa che una donna non possa celebrare la messa in persona Christi: secondo questa «interpretazione molto debole» e «indifendibile», «la condizione necessaria per rappresentare il corpo di Cristo è un corpo maschile». Dunque, se da un lato la Woc accoglie con soddisfazione questo passo del Vaticano, dall’altro ribadisce che «finché tutte le donne non saranno incluse in tutte le strutture decisionali e come preti e vescovi della Chiesa, l’uguaglianza continua ad essere dolorosamente negata».

«Sono felice, piango», è stata la reazione di Deborah Rose-Milavec, direttrice esecutiva di FutureChurch, secondo quanto riporta la rivista statunitense National Catholic Reporter (12/5). «È una svolta storica di portata immensa, le sue implicazioni porteranno lontano, fin dove le donne riusciranno ad arrivare nella Chiesa». Molto sorpreso si è detto l’arcivescovo canadese di Gatineaumons. Paul-André Durocher, che, allo scorso Sinodo sulla famiglia, aveva sollecitato «l’avvio di un processo che possa eventualmente aprire alle donne l’accesso a questo ordine» (v. Adista Notizie n. 35/15). «Visto che i partecipanti al Sinodo e il papa stesso nella sua lettera [post-sinodale] non hanno fatto un chiaro riferimento al ruolo delle donne nella Chiesa, speravo di aver almeno piantato un seme nel terreno», ha detto al Ncr. «Sono felice che il papa ritenga opportuno percorrere questa strada per studiare il tema più a fondo», ha aggiunto il vescovo. «Credo che debba essere studiato e non vedo l’ora di vedere come creerà questa commissione e come verrà descritta e chi ne farà parte, nonché il frutto del suo lavoro». La cosa fondamentale, commenta Kathleen Sprows Cummings, direttrice del Cushwa Center for the Study of American Catholicism della University of Notre Dame, non è tanto se le donne diventeranno o meno diaconesse (aspetto su cui invita alla cautela), quanto «il fatto che il dialogo sia nato da un incontro con le donne. La Chiesa parla molto sulle donne, ma non altrettanto con loro. Hanno fatto una domanda, lui ha risposto». Equiparare il passo del papa all’annuncio che le donne potranno accedere al diaconato «deforma il messaggio», ha avvertito. «In tantissimi hanno già studiato il tema… Viene studiato in continuazione». E poi, non è detto che un eventuale diaconato femminile sia riconosciuto come ministero ordinato: «Certo Francesco vuole un ruolo più forte per le donne, ma questo implica l’ordinazione?». Per ora non è dato saperlo. Dipenderà anche dallo spazio di manovra di papa Francesco in Curia: se non ha cambiato idea nel frattempo, il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede card. Gerhard Ludwig Müller, nel 2002, quando era teologo all’Università di Monaco, si espresse contro l’idea delle donne diacono, definendola «Un divertente anacronismo»: «Ciò che le donne oggi realizzano come docenti di religione, di teologia, agenti pastorali, nonché in innumerevoli attività nelle comunità  – così liquidò la questione – va ben oltre ciò che le diaconesse facevano nella Chiesa delle origini». 

COMUNICATO STAMPA DI ‘NOI SIAMO CHIESA’

Noi Siamo Chiesa
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Benissimo il diaconato femminile ma il sistema ecclesiastico non si opponga. E si vada  oltre       per un protagonismo della donna  che può esprimere nuovi carismi nella Chiesa

Noi Siamo Chiesa condivide in modo incondizionato   la decisione di papa Francesco di aprire concretamente la discussione sul diaconato femminile e quindi sull’accesso della donna ai ministeri ordinati nella Chiesa. Da troppo tempo i movimenti che si ispirano al Concilio hanno chiesto che si andasse in questa direzione. Non si poteva attendere oltre, pena minare la credibilità della Chiesa cattolica. Ci fa piacere che anche i media e l’opinione laica abbiano percepito l’importanza di questo momento che potrebbe veramente essere storico. Sarebbe   anche  l’occasione perché  tutta la teologia dei ministeri possa  essere ripensata secondo le indicazioni  del Concilio.  Le ricerche  ci dicono quale fosse il protagonismo femminile nei primi secoli  anche nella forma dell’imposizione delle mani alle donne incaricate di  particolari ruoli.  In questo modo papa Francesco, con una decisione concreta,  va al di là di  tante sue  affermazioni generali fatte sulla donna nella Chiesa, che avevano però dato l’impressione che egli ignorasse la riflessione della teologia femminista.

Detto ciò, ci rendiamo conto delle forti resistenze presenti nelle strutture ecclesiastiche a  concretizzare l’ipotesi fatta. Sono testimoni  di ciò le due interviste al Card. Kasper di oggi su “Repubblica” e sul “Corriere della sera” . La Commissione, accettata dal papa, per studiare il problema non potrà essere lo strumento per insabbiare la questione nel caso non ci sia largo consenso nell’apparato ecclesiastico . Le riforme non si possono fare senza rotture soprattutto  quando pretende di comandare   una  vecchia cultura maschilista, pronta a usare  belle parole e  argomenti di comodo per non cambiare mai niente.

Noi Siamo Chiesa ritiene che ora non si tratti di decidere “se “ istituire il diaconato femminile ma solo “come” organizzarlo. A questo proposito facciamo delle osservazioni:
si tratta anzitutto di prendere atto del fatto che già oggi le donne guidano in gran parte della Chiesa, soprattutto in certe aree del mondo, non solo gli interventi sociali ed educativi, ma anche momenti di preghiera e di celebrazione della Parola di Dio. Si tratta quindi di dare più autorità a situazioni già ben consolidate, nessuna concessione ma un riconoscimento importante  che arriva in ritardo;

papa Francesco sa che c’è  il rischio che l’ampliamento del ruolo della donna possa finire in una maggiore “clericalizzazione” (questo è il termine da lui usato) in cui migliori apparenze nascondano una situazione ben poco cambiata con  una Chiesa che è maschilista in radice come quella che abbiamo oggi. Questo non può e non deve avvenire;

il diaconato sarebbe un passo in avanti ma   non ci sembra debba essere solo modellato sulla chiesa dei primi secoli. Si può pensare ad andare oltre.   Potrebbero   manifestarsi  modi  nuovi , in luoghi e tempi diversi, mediante i quali  lo Spirito  offre alla comunità cristiana carismi preziosi . Pensiamo per esempio, a quanto il ruolo di mulieres probatae potrebbe essere prezioso nella funzione di accompagnamento spirituale di  chi nella comunità è in ricerca o ha problemi esistenziali di qualsiasi  tipo;

se leggiamo il Vangelo vediamo quanto nel “seguito”  di Gesù fossero presenti le donne contro le convenzioni del tempo  e quanto fossero protagoniste in momenti indimenticabili del suo insegnamento. Oltre che col   diaconato nella Chiesa le donne devono diventare protagoniste degli orientamenti pastorali e delle decisioni gestionali  che presiedono alla vita delle nostre parrocchie e di tutte le strutture della vita cristiana (per esempio dei seminari) .

Al popolo cristiano spetta adesso entrare dalla porta che papa Francesco ha iniziato ad aprire. Anche il percorso ecumenico ne sarebbe molto avvantaggiato.

Roma, 13 aprile 2016                                                             NOI SIAMO CHIESA

papa Francesco sette mesi dopo

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un bilancio provvisorio del pontificato di papa Francesco dopo sette mesi fatta da ‘noi siamo chiesa’:

Papa Francesco sette mesi dopo

Il nuovo papa si è posto al centro dell’attenzione della cultura laica e del mondo cattolico in modo che nessuno poteva prevedere. I sistemi chiusi, almeno nelle dimensioni di vertice (in questo caso il Vaticano, il collegio dei cardinali e molti vescovi) hanno spesso, quasi per loro natura, rotture improvvise e inattese. Molte opinioni circolano underground, sono magari condivise ma poco proclamate. Mi rendo conto che si tratta di un meccanismo poco comprensibile dall’esterno e poco piacevole per chi, dall’interno della Chiesa, chiede sempre trasparenza, discussione aperta, in poche parole democrazia ( parola aborrita dall’establishement ecclesiastico, che preferisce parlare di “comunione”). Evidentemente la circolazione sotterranea è avvenuta se molte delle sensibilità e dei punti di vista dell’area “critica” del cattolicesimo (tra queste, in primis, quelle espresse dal movimento “Noi Siamo Chiesa”) vengono ora a galla con papa Francesco e trovano legittimità e ascolto quando, solo fino a qualche mese fa, erano silenziate con le buone (con la censura) o con le cattive (provvedimenti canonici) maniere.
E l’autorità morale del papa nella Chiesa cattolica ha una tale forza che le sue sole parole, anche se non seguite subito dai fatti, danno la linea.
Ma tutto ciò non basta a spiegare il ciclone Francesco. Il secondo fattore determinante della nuova situazione è dato dalla crisi (diciamo pure dal fallimento) del pontificato di Benedetto XVI, anche per la sua evidente incapacità di governo con la delega disastrosa a Bertone. Non è necessario essere degli informati vaticanisti per affermare che i fatti recenti, da tutti conosciuti e oggetto di uno scandalo conosciuto in tutto il mondo, hanno contato molto. Il Bergoglio candidato bruciato nel conclave del 2005 dalla personalità di Ratzinger e dalle incertezze e paure dei cardinali che volevano continuità dopo papa Wojtyla, si è presentato come la soluzione ottimale per una situazione di emergenza. Uomo del terzo mondo, lontano ed estraneo ai circuiti vaticani e italiani, sempre più torbidi, con una immagine accattivante e impegnato in un approccio pastorale, e non dottrinale, ai problemi, egli ha fatto l’unità della destra e della sinistra e, a quanto si capisce, soprattutto dei cardinali sparsi nel mondo. Per capire veramente la situazione bisogna tenere ben presente che il candidato alternativo era Scola; sarebbe stata una soluzione meno che mediocre, forse capace di un po’ di pulizia interna ma autoritaria, autoreferenziale e continuista. Questa candidatura, si suppone, non è veramente decollata sia perché troppo sponsorizzata da Ratzinger (col trasferimento da Venezia a Milano) sia perché percepita come, comunque, italo-vaticana, e quindi, nella situazione del marzo 2013, da contrastare.

Francesco e l’opinione laica
La prima evidente reazione di quella opinione laica che segue distrattamente l’universo cattolico è stata di meraviglia per la rapidità e l’efficienza dell’esito del conclave. La contraddizione con la situazione della politica italiana, impantanata dopo le elezioni di febbraio, ha creato invidie a non finire. Ma la sorpresa, dopo la percezione che qualcosa di sostanza cambiava veramente in campo cattolico, è stata la lettera di papa Francesco a Scalfari e la successiva intervista. La differenza dalla situazione di prima è più che evidente: basta relativismo, basta radici cristiane dell’Europa, primato della coscienza, nuovo rapporto con la modernità, nessuna pretesa di pretendere una verità assoluta, dialogo alla pari con i non credenti, la figura di Gesù come dominante e la Chiesa come comunità e via di questo passo. Niente di eretico ma ispirazioni e verità che furono riscoperte dal Concilio Vaticano II e che ora sono rilanciate da Francesco (si tratta della “brace sotto la cenere” di cui parlava l’ultimo Martini) .
Lo sconcerto del mondo cattolico ufficiale è testimoniato dal fatto, sfuggito agli osservatori, che l’Avvenire (il giornale dei vescovi) relegava la notizia della lettera e dell’intervista in un modesto articolo nelle pagine culturali. Ora la cultura laica è da una parte spiazzata, abituata com’era alla ripetitività del contrasto e delle polemiche,dall’altra è messa alla frusta, deve accettare la sfida e, a sua volta, ripensare ai suoi tradizionali criteri critici di giudizio sul rapporto tra la Chiesa e la modernità, sulla religione come causa di sterilizzazione dell’azione dei credenti nel mondo, sulla sua permanente diffidenza nei confronti della scienza e via di questo passo.

Francesco e i vescovi italiani
Ma c’è un problema evidente: in Italia? E’ forse sfuggita la notizia, sostanzialmente censurata dalla stampa cattolica, ma veicolata dall’autorevolissima penna di Massimo Franco (“Corriere” del 29 settembre) di un rapporto nuovo che Francesco ha aperto coi vescovi italiani . Essi sono stati sollecitati ad uscire dalla gestione autoritaria di Ruini (continuata, nella sostanza, da Bagnasco) e a prendersi le loro responsabilità, ad organizzare il ruolo delle Conferenze episcopali regionali, a fermare “l’elefantiasi che ha reso l’episcopato burocratico e autoreferenziale”, a ridurre il verticismo, ad occuparsi delle questioni politiche senza passare dalla segreteria di stato, a pensare a ridurre il numero delle 224 diocesi e via di questo passo. Sullo sfondo c’è la possibilità che i vescovi debbano in futuro eleggersi il proprio Presidente (ora è nominato dal papa, caso unico in tutta la Chiesa). Adesso i vescovi si trovano, a loro volta, spiazzati. Devono incominciare ad abbandonare l’abitudine di essere privi di opinioni generali (o di non manifestarle) sulle grandi questioni pastorali (finora tutte demandate a Roma, o al Vaticano o alla CEI) per occuparsi solo dell’ordinarissima amministrazione diocesana.

Tutto è rimesso in movimento nella Chiesa
Ma le conseguenze più importanti dell’arrivo di Bergoglio interessano il corpo della Chiesa, tanto strutturato e verticistico ma, per questo motivo, anche tanto capace di recepire stimoli che rispondano a bisogni profondi, a sensibilità inespresse e che siano omogenei con prassi già silenziosamente diffuse in tante parti vicine o lontane dell’universo cattolico, come quelle che riguardano l’amministrazione dei sacramenti, la liturgia ecc…
Il messaggio di Francesco ignora o trascura i principi, le definizioni, le identità, le appartenenze e mette in primo piano le sofferenze e le gioie, i sentimenti, la solidarietà, lo spirito di comunità….. Si tratta del cd approccio “pastorale” che dovrebbe costituire il senso stesso dell’essere chiesa, la costante dell’intervento di quanti hanno la responsabilità di gestire le comunità (parrocchie, scuole cattoliche, interventi caritativi…).
Prendono allora importanza nella Chiesa quelli che ordinariamente non hanno voce, ci si preoccupa delle “periferie esistenziali” mentre la gestione del denaro, che impegna troppe energie quotidiane nella Chiesa, deve diventare un problema di serie B o di serie C . Di Chiesa povera e dei poveri bisogna non solo parlare, tutte le strutture della Chiesa devono diventare più protagoniste e il dispotismo papale viene indirettamente messo in discussione, la guerra e la pace ritornano al centro delle preoccupazioni della chiesa universale. La linea non è “rivoluzionaria” , è sostanzialmente quella indicata dal Vaticano II, è abbastanza la linea del Card. Martini.

Il “dissenso” e la destra
Anche se se ne parla poco, sono in tanti nella Chiesa a cercare di capire come posizionarsi. Francesco corre, probabilmente si rende conto che non ha tempi indefiniti per realizzare una svolta, morbida fin che si vuole, ma svolta. L’area che da anni critica e propone, rifacendosi da una parte al Concilio e dall’altra a prassi e forme di vita cristiana dei primi tre secoli e che ha dato vita alla teologia della liberazione, ha già assunto una, quasi generalmente condivisa, posizione di accettazione, a volte entusiasta, della nuova linea. Essa continua a proporre cercando di alzare il tiro, per esempio chiedendo in tempi rapidi il superamento del sistema attuale di nomina dei vescovi che è ora riservata in modo esclusivo al papa per le diocesi di tutto il mondo. Si aspetta di avere una esplicita riabilitazione della teologia della liberazione, dopo che Bergoglio ha ricevuto il suo principale ispiratore Gustavo Gutierrez.
Per i fondamentalisti ed i movimenti, la situazione è opposta. Secondo logica, la loro è una condizione di disagio con il nuovo pontificato, tanto sono distanti i nuovi input dalle loro culture. Come reagirà la destra cattolica? Premesso che i lefevriani sono completamente fuori gioco fino ad ora le reazioni più pesanti sono state marginali anche, si pensa, perché è stata presa in contropiede dopo avere avute tutte le porte aperte sotto gli ultimi due papi. Non è pensabile che la svolta sia indolore e non ostacolata. Si tratterà di vedere come e quando nasceranno gli ostacoli principali per papa Francesco, quanto questa opposizione sia forte nelle strutture organizzate della Chiesa e quanto riesca a contare a fronte di un’opinione pubblica cattolica di base che pare, a oggi, largamente favorevole al nuovo corso. Certamente conteranno i tempi. Più saranno rapidi meglio sarà. Credo che Francesco sia del tutto consapevole di questa necessità e che si stia comportando in modo conseguente, come si può dedurre anche dagli interventi sulle questioni che riguardano tutte le strutture della finanza vaticana.

Milano, 12 ottobre 2013 Vittorio Bellavite

accorato appello a papa Francesco di ‘noi siamo chiesa’

 

empatia

a Francesco
pastore della Chiesa che è in Roma
ai fratelli e alle sorelle, popolo di Dio in Roma.

Sabato scorso un nostro giovane fratello Roberto si è ucciso travolto dal silenzio, dalla emarginazione, dalla non comprensione e accettazione, dalla solitudine, dalla mancanza di qualcuno
che ascoltasse e comprendesse la sua vita più grande e problematica della sua adolescenza, e la sua modalità di amore.
Ogni gesto così violento esige silenzio e rispetto.
Ma a noi credenti impone anche degli interrogativi.
Come popolo di Dio, come fratelli a cui Roberto era stato affidato, dobbiamo interrogarci sulla sua morte!

Non possiamo più tacere, non possiamo più essere complici di questa violenza che testimoniano solo la sconfitta del messaggio di accoglienza e di attenzione agli “ultimi” della nostra città.
Ogni vita persa, ogni suicidio è una sconfitta per noi tutti. La solitudine di Roberto è una solitudine che uccide, uccide il tessuto umano della nostra città,
uccide il tessuto di amore della nostra comunità di fede.
E’ una sconfitta. Sconfitta per non esserci presi cura del fratello. Sconfitta perchè non siamo riusciti a vederlo, a capirlo, ad aiutarlo, ad accoglierlo. Ad essere suo compagno di strada.
Non possiamo più solo piangere, solo confortare, solo dare l’ultimo saluto a chi ha vissuto, anche per colpa nostra, l’emarginazione, la derisione, l’umiliazione per un’orientamento sessuale differente.
Non possiamo sempre arrivare dopo!
Dobbiamo dire basta!
Sulle strade della Galilea, Cristo andava incontro. Anticipava. Sapeva interrogarsi dei mali e delle sofferenze dell’umanità ferita e offriva accoglienza. Sapeva accogliere e valorizzare le differenze
e amarle.
La morte di Roberto invece ci ricorda la nostra dimenticanza. Ancora una volta ci siamo dimenticati.
E le nostre dimenticanze diventano giorno dopo giorno assuefazione, routine, solo titoli di giornali e non più indignazione.
Non abbiamo visto, anzi abbiamo cercato di nascondere ed emarginare ai confini delle nostre città, non abbiamo condiviso e capito.
È ora di dire basta!
Come pastore soprattutto di questi fratelli e di queste sorelle che maggiormente oggi soffrono per un orientamento che è ai più giudizio e condanna, Francesco, ti chiediamo un segno forte, evangelico,
di amore e accoglienza.

E’ giunto il momento di aprire un dialogo vero nelle nostre chiese, nelle nostre comunità. Aprirsi a un dialogo profondo
perché il suicidio di Roberto sia davvero l’ultimo. O almeno sia ultimo con il nostro silenzio complice.
La comunità deve iniziare un percorso per andare incontro, per conoscere i vissuti, per abbracciare e condividere le sofferenze e le diversità, e accoglierle nella ricchezza del nuovo che vivono.

Come Noi Siamo Chiesa, nodo romano ti chiediamo di iniziare questo cammino di ascolto, dialogo, accoglienza verso i nostri fratelli e le nostre sorelle omosessuali
che vivono e soffrono l’emarginazione proprio nella comunità dei figli e delle figlie di Dio quotidianamente, perché la morte di Roberto non si vana.

Chiediamo a tutta la chiesa di Roma di chiedere perdono nelle prossime celebrazioni comunitarie domenicale per questa morte, per il silenzio e la solitudine di Roberto
perché tutti siamo responsabili di questa morte.
E chiedere perdono è ricominciare da dove si è fallito perché nessuno viva più la solitudine, la sofferenza e il dolore di Roberto. Ma soprattutto per non dimenticare.

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