l’arroganza della ‘tribù bianca’

padre Zanotelli e l’Africa devastata e umiliata dalla «tribù» bianca


di Paolo Lambruschi
il comboniano scrive la storia non ufficiale di secoli di sfruttamento e ingiustizie ponendosi dalla parte delle vittime per aiutarci a capire a cosa stiamo andando incontro se non cambiamo rotta

Padre Alex Zanotell

«Questa mia generazione sarà fra quelle più maledette della storia umana, perché nessun’altra ha mai ha così gravemente violentato e sfruttato il pianeta. Chiedo perdono a voi giovani perché vi consegniamo un mondo gravemente malato e toccherà alla vostra generazione ripensare radicalmente questo nostro sistema»

Padre Alex Zanotelli è stato molti anni in missione in Africa. Dopo 12 anni di permanenza a Korogocho, uno degli slum più duri di Nairobi, la sera prima della partenza, durante una partecipata veglia di preghiera interreligiosa, ricevette in dono una nuova missione: tornare a casa a convertire noi, ovvero la tribù bianca. Nasce qui la Lettera alla tribù bianca (Feltrinelli, pagine 124, euro 12,00) un volume agile e intenso che condensa le battaglie e le motivazioni spirituali e culturali del comboniano trentino, classe 1938, sempre dalla parte degli oppressi e degli ultimi.

Del resto per lui la collocazione naturale del missionario è nelle periferie. Come è andata lo sappiamo dalla sua biografia, l’incarico di partire per una missione solo in apparenza ‘capovolta’, ricevuto dal popolo di una delle periferie estreme della terra, dai suoi baraccati, dai raccoglitori di rifiuti della discarica, dalle ragazze malate di Aids, dai ragazzini e dalle ragazzine di strada, dalle gang e dalle giovanissime che andavano a Nairobi lo ha preso sul serio.

Interessante il risvolto spirituale che si cela dietro il suo attivismo. Confessa che nelle sue battaglie lo ha sostenuto la «spiritualità degli impoveriti». Zanotelli confessa di aver riletto negli anni la Bibbia con altri occhi fino a scoprire la fede nel Dio «che sente la sofferenza inflitta agli oppressi e scende a liberarli». Ieri tramite Mosè, oggi, secondo i dettami della black theology sudafricana e nordamericana, attraverso Nelson Mandela, Desmond Tutu e Martin Luther King.

In questi ultimi 20 anni passati in Italia Zanotelli ha scelto di vivere negli spazi ristretti di una torre campanaria del Rione Sanità a Napoli. Qui ha riscritto in questa “lettera” la storia non ufficiale di secoli di sfruttamento e ingiustizie ai danni dell’Africa ponendosi dalla parte delle vittime per aiutarci a capire a cosa stiamo andando incontro se non cambiamo rotta. Secoli di suprematismo, razzismo e disprezzo sono già racchiusi nel termine “tribù”: perché 80 milioni di hausa nigeriani sono definiti tribù dai bianchi e 8 milioni di svizzeri hanno la dignità di popolo?

Con le solide basi storiche tipiche dei comboniani (ha diretto la rivista Nigizia) spiega le attuali disuguaglianze che affliggono il pianeta. La corsa all’Africa del colonialismo inglese, francese, spagnolo e portoghese che con la schiavitù e la razzia delle risorse hanno posto le basi dello sviluppo capitalista imponendo costi umani altissimi e impoverendo terre ricchissime. Non sono da dimenticare neppure i colonialismi “minori”‘ per durata come quello tedesco che nel 1904 commise il primo genocidio del ’900, quello degli Herero in Namibia e Botswana. O come i massacri e gli orrori imputabili al re del Belgio Leopoldo II in Congo, sua proprietà personale, né la durissima repressione in Libia ed Etiopia con i masscri con il gas e le violenze sui civili degli italiani, prima e durante il fascismo.

Non fa sconti alla Chiesa Zanotelli, non li ha mai fatti anche se oggi è in forte sintonia con la predicazione di papa Francesco che chiede all’umanità una rivoluzione culturale ed etica. E l’arcivescovo di Napoli Mimmo Battaglia, gli ha scritto pochi giorni fa una intensa missiva che gli ha consegnato e letto personalmente durante la presentazione del volume a Napoli: «È per fedeltà a Dio e a tutti i suoi figli, specie i più impoveriti, – scrive don Mimmo – che è cambiato il tuo sguardo e chiedi a noi di fare altrettanto, di rileggere persino le Sacre Scritture, ma pure la storia e la geografia con altri occhi, non con quelli dei dominatori e dei potenti ma degli ultimi e degli sfruttati».

Battaglia sottolinea che «quei 12 anni a Korogocho ti tengono ancora in vita, “in piedi” direbbe Tonino Bello, come artigiano di pace e giustizia». E da artigiano e profeta scomodo, come lo chiamava l’indimenticabile leader aclista Giovanni Bianchi, Alex conta sui giovani di ogni età per reinventare insieme il mondo sconvolto da guerre note e dimenticate (la terza guerra mondiale a pezzi), dai mutamenti climatici e da povertà e disuguaglianze economiche e sociali sempre più scandalose. Perché come diceva il vescovo anglicano sudafricano Desmond Tutu così amato da Zanotelli: «Dio verrà perché ha un sogno e questo si realizzerà attraverso di noi».

contro il paradigma antievangelico adottato dal sistema occidentale capitalistico

parusia?

da Altranarrazione

Se si dovesse giudicare dal viso di tanti devoti cristiani e dalla loro non-preoccupazione si potrebbe pensare che la parusia sia già avvenuta. Sono rimasti solo i poveri in fila davanti alle mense, i migranti in fila davanti ai barconi, i disoccupati in fila davanti ai c.d. centri dell’impiego, i precari in fila davanti alle c.d. agenzie per il lavoro (o meglio per i lavoretti) a non essersi accorti del ritorno definitivo del Salvatore e dell’instaurazione del suo Regno di amore, pace e quindi di giustizia.

«Vi sembra questo il tempo di abitare tranquilli nelle vostre case ben coperte, mentre questa casa è ancora in rovina?» (Aggeo 1,4)

Tanti (direi troppi) devoti cristiani sembrano vivere praticamente già nell’eternità, distaccati, al di fuori del tempo e dello spazio. Da consumati professionisti dell’esicasmo rimangono impassibili davanti alla sottrazione di dignità che  tanti fratelli e sorelle subiscono. Allo stesso tempo da consumati professionisti del tifo sportivo perdono il controllo davanti ad una partita di pallone. Scambiano il sonno della coscienza, effetto dell’adorazione degli idoli, con la pace interiore, dono dello Spirito. Confondono il benessere materiale e le rendite di posizione, con la benedizione di Dio e la provvidenza.

«Le mie viscere, le mie viscere! Sono straziato» (Geremia 4,19)

Tanti (ri-direi troppi) devoti cristiani non manifestano nessun disagio nei confronti del paradigma antievangelico adottato dal sistema occidentale. Anzi lo giustificano e si offendono se si critica: lo considerano un parente stretto. Eppure si tratta di un sistema che assicura un riconoscimento sociale in cambio della disponibilità a partecipare all’oppressione, a giustificarla, a difenderla. Un sistema che assorbe, contamina, deforma e che di conseguenza si merita un netto e sereno rifiuto. D’altronde sarebbe sufficiente declinare l’opzione evangelica «o Dio o Mammona» così: o la condivisione o l’accumulo, o la solidarietà o la selezione, o la gratuità o la mercificazione, o la libertà o la schiavitù, per comprendere che questo può essere il paese dei balocchi ma non è certamente il Regno di Dio.

l’Isis non ha l’esclusiva della ‘teologia del terrore’

Isis e Occidente

 la teologia del terrore


di Michele Martelli  (in Micromega)

«Siamo in guerra», dice Hollande. Ma lo siamo già da 15, anzi da 25 anni. Dalle due Guerre di Bush padre e figlio contro l’Iraq, – che sono state la prima causa dell’attuale disordine mondiale che ha il suo epicentro nel Medio Oriente, – alla guerra in Afghanistan. Dalla guerra della Nato nella ex-Jugoslavia a quelle euro-statunitensi contro la Libia (con la Francia di Sarkozy in pole position). Guerre di aggressione in cui a fianco degli Usa si sono schierate ossequienti tutte le sub-potenze europee, a cominciare dall’Uk del tardivamente e inutilmente pentito Tony Blair (troppo comodo, dopo 15 anni di difesa in prima linea delle «guerre etiche»!). Tutte fatte e giustificate, direttamente o indirettamente, con argomenti teologico-politici, e cioè in nome di Dio, del Bene contro il Male, della Giustizia contro il Crimine.  

Ora è Hollande, capo di un paese colpito al cuore dal terrorismo islamista, a chiamare a raccolta cielo e terra in una doppia guerra, interna ed esterna, contro l’Isis. Le sue parole e le sue scelte (stato d’eccezione con modifica della Costituzione, guerra vendicatrice e punitrice del Califfato) si inquadrano nella stessa cornice teologico-politica delle Guerre bushiane ispirate e protette dal «Dio che bacia l’America».

Per Hollande ora il «Nemico» assoluto da distruggere e annientare, dentro e fuori della Francia, è l’Isis, col suo spaventoso corredo di bande terroriste disseminate in Europa. Nessuna sorpresa che in tale clima riprendano fiato le trombe apocalittiche dei teocon, del fallaciano «scontro di civiltà», dell’«armiamoci» a difesa dell’Occidente «cristiano» contro l’Islam confuso col Jihadismo. E che? La patria dell’Illuminismo rischia di degenerare nella patria dell’oscurantismo? Si torna a Poitiers, a Lepanto, o a Carlo Magno e al «Sacro Romano Impero», come Al Baghdadi all’antico Califfato?

Suvvia, non scherziamo! Cerchiamo piuttosto di riflettere seriamente sul dramma presente. A cominciare dal terrorismo islamista. Quando è nato? La storia non si fa con i «se», ma i «se» aiutano a capirla, per non cadere negli stessi errori. Non è difficile ammettere (lo fanno oramai anche dirigenti e generali americani) che senza le due Guerre di Bush padre e figlio, che hanno sprofondato l’Iraq e l’intero Medio Oriente nella notte di un’orrenda infinita carneficina tra sunniti e sciiti: finora solo in Iraq un milione circa di morti civili, – probabilmente non sarebbe nata né Al-Qaeda né l’Isis.

E non ci sarebbe stato forse né l’evento tragico delle Torri Gemelle, né la catena di attentati islamisti che, come conseguenza e contraccolpo a quelle due Guerre scellerate, hanno poi insanguinato sia il Medio Oriente sia l’Europa, fino al recente ignobile massacro di Charlie Hebdo e all’orrenda strage del Venerdì nero di Parigi.

È noto che la «formazione» jihadista di Osama bin Laden e della futura Al-Qaeda è avvenuta tra i mujaheddin armati dagli Usa contro gli occupanti russi, durante la lunga guerra in Afghanistan. Similmente, quella del futuro califfo Al Baghdadi e di molti dei suoi seguaci si è svolta nelle carceri irachene costruite dagli Usa, alla scuola di altri detenuti, militanti al-qaedisti ed ex- militari di Saddam Hussein). «L’Isis l’abbiamo creato noi», ha rivelato Hilary Clinton. L’Isis, il mostro che con i suoi tentacoli, le cellule terroriste clandestine, si è infiltrato terribilmente minaccioso anche nelle nostre città. Vien da chiedersi se chi crea il mostro non lo crea a propria immagine e somiglianza.

Fatto sta che dalle Guerre bushiane in poi, nei paesi islamici e poi in quelli europei, massacri si sono susseguiti e contrapposti a massacri. Da una parte e dall’altra. E da ambedue le parti giustificati col Dio del Terrore, o col Terrore di Dio.

Papa Bergoglio ha detto: «Chi usa Dio per uccidere bestemmia». Vero! Ma è vero solo per chi usa Dio non per uccidere, ma per amare, perdonare, aiutare. Purtroppo nei testi sacri, dalla Bibbia al Corano, c’è sì un Dio dell’amore, della pietà, della misericordia, ma c’è anche un Dio dell’odio, della violenza, della guerra. Ognuno si costruisce Dio a propria immagine e somiglianza. E per ognuno il vero autentico Dio è il proprio Dio («Non avrai altro Dio all’in fuori di me!»). Quello degli altri è falso, un non-Dio, un Anti-Dio, da combattere e annientare con i suoi fedeli, incarnazione vivente del Nemico, del Male, del Diavolo. Onde si ritiene sacrosanta la folle uccisione dei miscredenti nel nome di Dio («Dio lo vuole», «Deus nobiscum»).

Una storia vecchia, che ha contraddistinto da secoli l’Occidente, nei suoi conflitti e guerre intestine come nelle conquiste coloniali. Negli ultimi decenni è stata rinverdita dagli Stati Uniti. «Empire of Evil, Impero del Male»: così definiva il cristiano Reagan la ex-Urss. «Axis of Evil»: così il cristiano Bush jr definiva i nemici degli Usa, ossia «gli Stati canaglia» di cui l’Iraq di Saddam Hussein era il primo della lista. Oggi gli ha fatto flebile eco il presidente Obama: l’Isis è «the Face of the Devil, il volto del diavolo» (dal G20 di Antyala, Turchia). Un linguaggio che sta tornando di moda tra i teocon («Bastardi islamici»: dove «bastardi» sta per figli illegittimi di un falso Dio).

Analogo, e opposto, il linguaggio degli islamisti, che identificano l’Occidente col regno di Satana. «Ecco l’America colpita dal Dio altissimo» (Bin Laden dopo l’11 settembre 2001). «Il verdetto di Allah è stato eseguito» (il binladista Al-Zarqawi dopo ogni decapitazione di prigionieri). Colpito al cuore il regno idolatrico «dell’abominio e della perversione» (l’Isis dopo la strage di Parigi). «Chiediamo ad Allah di sostenere i mujaheddin contro i crociati finché la bandiera del Califfato non sarà issata sulla Città del Vaticano» (ancora l’Isis in questi giorni). «Allah Akbar, Allah è grande» (l’urlo dei fanatici autori delle stragi di Parigi; lo stesso che è risuonato ieri nello stadio di Instanbul). «Difendiamo il Crocifisso, segno della nostra civiltà, e sterminiamo il Nemico» (questa più o meno la reazione dei novelli teocon lega-forzisti italiani).

Fare la guerra in nome di Dio, da una parte e dall’altra, è la via migliore per sprofondarci tutti nell’Inferno, per chi ci crede. Meglio per tutti, credenti e non, opporre l’analisi fredda e lucida dei fatti e la valutazione delle conseguenze delle proprie scelte e azioni. Ovvero pensieri e comportamenti conformi all’etica della responsabilità.

 

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