il ‘Corriere della sera’ e la sua guerra contro papa Francesco

l’odio del Corriere della sera per papa Francesco e per la modernità

di Michele Prospero 

Viaggio Apostolico in Sud Sudan: la Cerimonia di congedo dal Sud Sudan a Papa Francesco

Troppo forte il Corriere della sera. Nella sua volontà di punire Francesco, come eroe negativo responsabile nientemeno che della rinuncia a contrastare la scristianizzazione, cambia per decreto anche la geografia. A via Solferino ce l’hanno visceralmente col Papa. Sta disarmando il bel cristianesimo, dicono. Invece di raccogliere le insegne di una gagliarda Chiesa “combattente”, egli rende l’occidente remissivo in nome della coscienza di pace. Bisogna farla finita con l’appello alla “pace senza se e senza ma”. E basta con i viaggi apostolici e le civetterie con il terzomondismo vagamente socialista.  

Se potessero, nella scuderia dell’editore Cairo, nominerebbero subito un antipapa. Morto il loro eroe, il Benedetto che però loro stessi giudicano che abbia fallito nella sua strategia di ri-evangelizzazione ostile al relativismo e alla minaccia islamica, al Corriere sparano contro la visione “fortemente universalistica” di Francesco. Ma l’origine di ogni decadenza, più ancora che nel lessico del Papa che viene dai “confini del mondo”, si trova nel Vaticano II. Il Concilio, per il quotidiano che una volta era il foglio della borghesia illuminata lombarda, è il vero epicentro del male assoluto.

Il Corriere della sera guarda più a De Maistre che al Vaticano II. Più alla reazione che al moderno. Più al boia che ai diritti. La genesi della perdizione, per la stampa del molieriano presidente del Toro, risiede nella Roma godereccia dei primi anni Sessanta. Da allora, infatti, i preti parlano il linguaggio dei diritti umani. E, soprattutto, non considerano più la capitale “il centro” della storia mondiale. Non reagiscono alla “ferocia islamista”, come la chiamano in via Solferino, ma aprono alla Cina, inseguono i miti remissivi di un mondo di eguaglianza e solidarietà.

L’urlo del Corriere sculaccia Francesco, il censore dell’occidente, il campione del multiculturalismo, il punto di riferimento dell’irenismo pacifista. Con il suo cosmopolitismo sensibile a un mondo multipolare, il Papa è accusato di dimenticare che l’Europa è, per il vero fedele, l’unico e solido luogo dello spirito. Senza l’esclusivo suolo europeo preso come stabile fondamento, il cristianesimo non può avere identità alcuna. Il legame del sacro con la terra e lo spirito del vecchio continente sono quindi costitutivi.

Per questo il Corriere affida a Galli della Loggia il compito di riscrivere, insieme alla storia del pensiero religioso, anche le carte geografiche dell’antichità. Sulla base delle sue scoperte, tutte le acquisizioni storiografiche vanno gettate alle ortiche. Va preso a calci l’assunto di Werner Jaeger (Cristianesimo primitivo e Paideia greca, La Nuova Italia, 1966) per il quale “tra i fattori che determinarono la forma definitiva della tradizione cristiana, la civiltà greca esercitò un’influenza profonda sul pensiero cristiano”. Questa arcaica tesi, su un mondo unificato dalla cultura e dalla lingua greca come laboratorio della fede, contrasta con la scienza nuova di Galli della Loggia, che vuole celebrare solo la vecchia Europa come il centro geografico del sacro. Quando ha collegato ellenismo ed espansione del cristianesimo, dichiarando che “per lo svolgimento della missione cristiana e per la sua espansione entro e fuori i confini della Palestina questo fu un fatto decisivo”, Jaeger non ha ben capito il retroterra esclusivamente europeo della fede.

Il rasoio di Galli della Loggia taglia le escrescenze extraeuropee come punte di un prurito fastidioso. E così dalla storia della dottrina cristiana recide in un sol colpo la Palestina e Gerusalemme, la Mesopotamia, l’ebraismo tardo, i cosiddetti Rotoli del Mar Morto, con le sette ascetiche che vivevano sulle sue rive, Antiochia e la Turchia, la Siria, l’Algeria. Gran parte degli apostoli e degli scrittori della patristica provenivano da Alessandria, da Nissa, dalla Cappadocia.

Il bello è che dal cupo tramonto della Chiesa come mistico presidio dell’occidente, dal cristianesimo senza Cristo, un non-europeo peraltro, Galli della Loggia salva solo il pontificato breve di Benedetto. Il quale, poi, aveva in Agostino il suo ispiratore, di contro al tomismo mai apprezzato. E però il Doctor Gratiae veniva da Ippona, Algeria, non certo vecchia Europa. Scoprendo quanti turchi, algerini, siriani sono tra i Padri della Chiesa, forse Galli della Loggia rinuncerà a quel suo pasticciaccio teologico che gli fa maltrattare, con la storia, la geografia, e umiliare, con la geografia, la storia quella vera.

preoccupante l’odio e il razzismo sul web

oltre la metà degli italiani giustifica gli atti razzisti

l’odio in crescita specialmente sul web

 

Il dato è il risultato di un’indagine di Swg. Anche Vox, l’Osservatorio sui diritti, ha analizzato lo scenario dell’odio in Italia, concentrandosi sul web: “L’anonimato e il senso di impunità sono un elemento che scatena gli haters. Ma il trend in crescita è evidente. L’odio contro i migranti registra un +15,1% rispetto all’anno scorso e sul totale dei tweet il 66,7% sono di odio”.

di Annalisa Girardi

“Se il 45% degli italiani è contro ogni atto di razzismo, il 55% in qualche modo, anche con molti distinguo, alla fine li giustifica. Non si può dire che il razzismo sia in crescita, ma i dati illustrano una diminuzione, un affievolimento degli anticorpi”

con queste parole Enzo Risso, direttore scientifico di Swg commenta il risultato dell’indagine dell’Istituto triestino, per cui oltre la metà degli italiani giustifica il razzismo. Anche Vox, l’Osservatorio Italiano sui diritti, ha analizzato questa tendenza sul web, in particolare su Twitter.

La co-fondatrice della piattaforma, la giornalista Silvia Brena, ha spiegato al Corriere della Sera che

“i tweet sugli stranieri sono al 32% xenofobi, quelli islamofobici sono il 15% mentre il 10% sono antisemiti”

Brena ha sottolineato inoltre che questi “dati sono in crescita costante”. E ha aggiunto:

“Solo 4 anni fa, all’inizio delle nostre ricerche, i tweet antisemiti erano l’1%. Si sono decuplicati in 10 anni”.

I social sono i mezzi in cui il sentimento razzista si fa più visibile:

“L’anonimato e il senso di impunità sono un elemento che scatena gli haters. Ma il trend in crescita è evidente. L’odio contro i migranti registra un +15,1% rispetto all’anno scorso e sul totale dei tweet il 66,7% sono di odio. L’intolleranza contro gli ebrei quest’anno sale del 6,4%. Ma il 76,1% del totale dei tweet sugli ebrei sono di odio. Così come in aumento sono i tweet contro i musulmani, +7,4% dei tweet con un totale di 74,1% di odio di tutti i tweet che riguardano i fedeli al Corano”,

ha proseguito la giornalista.

Vox ha anche analizzatto la mappa dell’odio, mettendo in evidenza quali sono le città in cui questo è più diffuso: al vertice troviamo Roma, seguita da Milano, Napoli, Torino e Firenze. La maggioranza degli haters contro i migranti, secondo quanto rilevato dalla piattaforma, si troverebbero a Milano, mentre l’odio verso i musulmani è più diffuso a Bologna, Torino, Milano e Venezia. L’antisemitismo è invece più concentrato a Roma.

“Alla lunga i messaggi degli odiatori legittimano pure l’azione di chi odia”

ha concluso Vox.

continua su: https://www.fanpage.it/politica/oltre-la-meta-degli-italiani-giustifica-gli-atti-razzisti-lodio-in-crescita-specialmente-sul-web/
http://www.fanpage.it/

come si spiega l’odio per i poveri?

“aporofobia”

perché odiamo così tanto i poveri

“il povero viene a rompere la comodità”

la diagnosi della filosofa Adela Cortina sul nuovo male della nostra epoca: l’odio verso i poveri

Aporofobia, l'odio verso i poveri

aporofobia

l’odio verso i poveri

“ricchi non incontrano i poveri, i ricchi non vedono e non vogliono vedere o ascoltare le storie di vita disperate, il povero è da evitare, è disdicevole, in qualche modo perfino colpevole della propria condizione”

Il tema della povertà rappresenta un problema difficile da affrontare, spesso è pure complessa la definizione di povertà. La povertà intesa non solo come povertà materiale ma anche come assenza di un progetto di vita autonomo scaturente dall’impossibilità o incapacità di utilizzare un reddito o un bene che si possiede per migliorare e assicurarsi una qualità di vita.

Il discorso sul concetto di povertà si sposta verso il significato umano dell’essere poveri riflettendo sulle trasformazioni delle forme di povertà e sulle differenze di percezione dello “stato di povertà” nel passato e nel presente. Un’analisi che conduce al riconoscimento delle vecchie e delle nuove povertà che non godono di ampia visibilità ma che dovrebbero essere continuamente menzionate con maggior attenzione, analisi e approfondimento. Le condizioni di povertà non si misurano a mio parere solo sul reddito perché come diceva il Nobel per la pace Amartya Sen: “è inutile avere un reddito se non hai la capacità, la possibilità di utilizzare un bene o denaro, per migliorare e assicurare una migliore qualità di vita”.

Essere poveri, se dobbiamo sintetizzare, significa trovarci di fronte a persone che non hanno un reddito da lavoro e una casa, dei beni materiali; ma non solo, sono povere anche quelle persone che non sono in grado, pur avendo un reddito e una casa, di servirsene o coloro che non hanno accesso ad un’istruzione sufficiente tale da permettere loro di agire con libertà e autonomia, per esempio nel mercato del lavoro. E, in più, non avere accesso a quelle condizioni di benessere psicofisico per esprimere al meglio tutte le proprie potenzialità in quanto persone.

Nel suo ultimo libro, “Aporofobia, il rifiuto del povero”, Adela Cortina (Valenzia, 1948), cita Ortega per dire quanto segue: ciò che sta capitando è che non sappiamo quello che ci capita. Cosa passa nella testa di un uomo davanti al corpo di un mendicante o di un barbone avvolto nel suo vomito nei pressi di un aeroporto? Che ci capita nella metro quando li rendiamo invisibili affinchè non ci disturbino? Cosa succede a questa donna, mettiamo il caso, cattedratica di Etica, filosofia, intellettuale, laureata e oltre, quando le si avvicina un familiare indigente che non ha un euro, e che le chiede aiuto economico?
Alcune risposte le troviamo dentro il saggio scritto da Adela Cortina sull’avversione viscerale verso coloro che vivono nell’indigenza. “Dopo la crisi – scrive l’autrice –  la gente teme che “gli altri” gli portino via le cose: l’impiego, la casa… “.
Quello che disturba è il povero. Incluso il povero della propria famiglia. Un parente povero è qualcosa da nascondere, perchè a tutti piace presumere che i parenti siano tutti ben sistemati.
Se c’è un rifiuto del povero, l’opposto è che tutti adoriamo il ricco, in qualche modo? E’ una delle frasi del libro. Curiosamente – scrive l’autrice – è di Adam Smith, che si suppone sia l’economista che ha creato il liberismo economico. Nel suo libro “La teoria dei sentimenti morali dice che la corruzione del carattere consiste nell’ammirare i ricchi e disprezzare i poveri, invece di ammirare i saggi e le buone persone e disprezzare gli stupidi. Questa è la corruzione di una società: quando una società disprezza quelli che hanno fallito nella vita, quelli che hanno avuto cattiva sorte, è patologico.

Il muro del Messico, le frontiere dell’Europa – sottolinea la filosofa – hanno a che vedere più con l’aporofobia rispetto ad altre cose. Totalmente, scrive la docente. Quali stranieri disturbano Trump? I messicani. Ma non solo a lui o a certi americani. Ma anche ad altri messicani che sono lì da tempo installati e hanno paura verso chi viene da fuori. Perchè gli altri sono poveri e vengono per complicare la vita. La salita di Le Pen è un altro esempio chiarissimo, quello che succede in Ungheria con Orban, la Brexit… Tutto quello che si fa – rimarca Cortina –  lo si fa per escludere i poveri. Il povero viene a rompere la comodità. Se sta bene e arriva un altro, bisogna muoversi. Perchè hanno bisogno di lavoro, sicurezza sociale. E gli altri arrivano con necessità ed esigenze.

I bambini e i giovani crescono vedendo come si comportano i personaggi politici, come agiscono. Cresciamo molto per imitazione, è la chiave degli essere umani: i famosi neuroni a specchio, che ci portano a imitare gli altri. Per questo è importante che la gente che sta nella vita pubblica cerchi di essere meno egoista e aporofoba possibile.
L’odio ha molto a che vedere con la paura. Credo – scrive la cattedratica – che si agisca più per paura che per altre cose. La paura è molto pericolosa, molto maneggiabile, molto corta, strumento dei totalitarismi.
La parola aporofobia proviene dai termini greci (dal greco: άπορος (á-poros), indigente, povero; e φόβος, (-fobos), paura).

Trent’anni fa, la frattura sociale tra chi non aveva i mezzi di sussistenza e chi li aveva non era così profonda; penso a chi non aveva la terra, penso alle famiglie contadine numerose, per le quali c’era almeno il riconoscimento del valore della forza lavoro, che consentiva anche a chi non aveva altri strumenti, se non le proprie braccia e testa e salute, di poter sopravvivere dignitosamente, mettendosi a servizio di chi invece aveva beni e ricchezza.
Penso anche ai nostri emigrati che nel passato riuscivano a trovare, seppur con grandi sacrifici, una collocazione, un inserimento.

I ricchi non incontrano i poveri, i ricchi non vedono e non vogliono vedere o ascoltare le storie di vita disperate, il povero è da evitare, è disdicevole, in qualche modo perfino colpevole della propria condizione. In mezzo c’è la televisione che mostra un mondo diverso da quello che è, che ti fa desiderare di ambire a consumi impossibili per i livelli di reddito medi reali, “false necessità” che determinano, per molte famiglie, una maggiore spesa a cui poi non si riesce a far fronte, cadendo improvvisamente nel tunnel del debito e della povertà. Andiamo verso una società e una larga fetta di popolazione addormentata, quasi addomesticata, dove tutto passa e vive nella speranza.

negli USA un ecumenismo che perdica la guerra spirituale

ecumenismo dell’odio negli Usa

Un momento dell'incontro fra il Papa e il presidente statunitense Trump in Vaticano lo scorso 25 maggio

un momento dell’incontro fra il Papa e il presidente statunitense Trump in Vaticano lo scorso 25 maggio

 

un ecumenismo che predica la ‘guerra spirituale’ si sta diffondendo negli Usa:

Manicheismo 
“Negli Stati Uniti, il manicheismo politico-religioso è nato perché il linguaggio teologico ed ecclesiale, negli ultimi trent’anni specialmente, è divenuto molto polarizzato, a causa del sistema politico basato su due partiti. Quindi, su alcune questioni il laicato cattolico tende a identificarsi, anche dal punto di vista religioso, con i cattolici-repubblicani di un partito o i cattolici-democratici dell’altro. E’ un fenomeno che deriva dal sistema politico americano, ma anche dal carattere militante del suo cristianesimo, inclusa la Chiesa cattolica”. Massimo Faggioli, storico del cristianesimo, docente alla Villanova University di Philadelphia, commenta e spiega il saggio su “Fondamentalismo evangelicale e integralismo cattolico” apparso sulla rivista ‘La Civiltà Cattolica’, un articolo che ha suscitato un ampio dibattito.

 

Una politica soggetta alla religione 
“Gli Usa sono un paese fondato da una comunità di cristiani molto credenti, convinti che fosse necessaria una rifondazione sociale e politica totale per vivere insieme sotto il controllo della religione”, spiega Faggioli. “La Chiesa cattolica ha un atteggiamento più cauto rispetto all’idea del dominio della religione sulla politica, ma negli ultimi anni negli Usa, c’è stata una migrazione d’idee e di persone dalle Chiese protestanti americane verso il cattolicesimo. C’è stata una grande massa di conversioni, anche fra intellettuali importanti, e questi convertiti hanno portato con loro questa idea protestante, essenzialmente calvinista e americana, per cui la politica è soggetta alla religione ed è difficile pensare a una separazione o a una distinzione fra questi due ambiti”. “L’articolo de La Civiltà cattolica, quindi, – continua lo storico – punta in modo corretto la sua attenzione su questo fenomeno, che definisce ‘Fondamentalismo evangelicale’, che è intellettualmente molto interessante, ma provoca alcuni problemi che vanno analizzati, come correttamente fa la rivista dei gesuiti”.

Letteralismo biblico
“Si parla in questo caso di ‘fondamentalismo’ perché è un tipo di cristianesimo che si basa sul testo biblico, sulla scrittura, in modo fondamentale. Cioè ritrova nella Scrittura alcuni passaggi letterali che fondano o rifondano una società, una civiltà o una legislazione, in modo diretto, non mediato dal Magistero della Chiesa, com’è per i cattolici. Questa dinamica è tipicamente americana – spiega Faggioli –  perché il letteralismo biblico in sé è un fenomeno estraneo al cattolicesimo che è più orientato sulla Tradizione della Chiesa piuttosto che direttamente sulla Scrittura. Negli Usa, invece, questa vicinanza alla tradizione calvinista-protestante ha fondamentalizzato alcuni cattolici”.

La Teologia della prosperità 
“Un altro effetto di questo fondamentalismo evangelicale è la ‘Teologia della prosperità’. Si tratta di un messaggio religioso diffuso negli Usa da alcune chiese cristiane neo-protestanti, secondo cui l’amore di Dio si rivela agli individui che sono in buona salute fisica e sono ricchi. Cioè, se uno è sano, è ricco e felice è un segnale che è amato da Dio. Questa è una teologia che è chiaramente eretica o aberrante, ma è molto importante in alcune Chiese protestanti – non solo degli Usa ma anche dell’America Latina e dell’Africa – e trova spazio, anche se in un modo diverso, all’interno del cattolicesimo americano. Questo è un fenomeno preoccupante perché è una diretta negazione del messaggio sociale della Chiesa cattolica sui poveri e la giustizia. C’è dunque un conflitto fra quello che la Chiesa dice sulla giustizia sociale e sui poveri e il ‘Vangelo della prosperità’, secondo cui i poveri sono lontani da Dio. Una posizione che è esattamente il contrario di quella del Magistero”. “Questo articolo – aggiunge Faggioli – fa il punto al momento giusto, perché il fenomeno Trump è l’elevazione della Teologia della prosperità a programma politico”.

I legami con l’ascesa di Trump 
“Il fenomeno dell’elezione di Trump è indubbiamente legato anche al diffondersi di questa teologia. E’ un fatto che i pastori invitati dal presidente americano all’inaugurazione della sua amministrazione, il 20 gennaio scorso, fossero i più importanti rappresentanti della teologia della prosperità negli Usa. Anche all’interno della Chiesa cattolica statunitense, le posizioni contro la Chiesa dei poveri o il messaggio sociale di Papa Francesco sono un effetto delle infiltrazioni di questa teologia. Ed è un fenomeno particolare che non si verifica, mi pare, in altre comunità cattoliche nel mondo”.

L’ecumenismo della trincea
“La Civiltà Cattolica – continua Faggioli – a proposito di questa fusione tra Fondamentalismo evangelico e Cattolicesimo integralista giunge a parlare di ecumenismo fondamentalista e lo definisce ‘dell’odio’. Il motivo sta nel fatto che è un tipo di ecumenismo che non si preoccupa di creare dei ponti con i lontani, ma di identificare i lontani come nemici comuni sia ai cattolici che ai protestanti. E tra questi annovera i musulmani, in alcuni casi addirittura gli ebrei – con una sorta di antisemitismo – e non è quindi finalizzato al dialogo. L’articolo lo chiama ‘ecumenismo dell’odio’, ma sono proprio i sostenitori di questo tipo di fenomeno a definirlo ‘ecumenismo della trincea’. In questa visione il mondo è in guerra contro di noi e noi cristiani di diverse confessioni dobbiamo organizzarci per combattere questa guerra. E’ inutile dire che si tratta di un ecumenismo totalmente diverso da quello che Papa Francesco chiama l’ecumenismo ‘del sangue’, cioè del martirio. E’ un ecumenismo molto diverso che negli Usa ha un rilievo teologico, culturale e politico abbastanza importante, specialmente con la presidenza Trump”.

Netto contrasto col Magistero 
“E’ un fatto oggettivo che questo ecumenismo che predica la ‘guerra spirituale’, che si sta diffondendo negli Usa, sia in diretto contrasto con il Magistero del Papa. Si fa spazio con diversi linguaggi: ma, per esempio, molte delle recenti conversioni dalle Chiese evangelicali a quella cattolica, negli Usa, nascono nel riconoscimento di quest’ultima come una Chiesa più forte e cioè capace di combattere il nemico: in quella visione gli asiatici, i musulmani e altri. E’ una visione ideologica che accomuna diverse chiese che si ritrovano sulla stessa lunghezza d’onda ma non è quella del Magistero cattolico degli ultimi cinquant’anni”.

(Fabio Colagrande)

sessismo e razzismo, odio e militarizzazione ottengono consenso maggioritario

quelle urne sommerse da sessismo e razzismo

un commento inedito della filosofa statunitense a proposito dell’elezione presidenziale di Donald Trump. «Con quali condizioni abbiamo a che fare se l’odio più scatenato e la più sfrenata smania di militarizzazione riescono a ottenere il consenso della maggioranza?»

di Judith Butlerjudith-butler

Due sono le domande che gli elettori statunitensi che stanno a sinistra del centro si stanno ponendo. Chi sono queste persone che hanno votato per Trump? E perché non ci siamo fatti trovare pronti, davanti a questo epilogo? La parola «devastazione» si approssima a malapena a ciò che sentono, al momento, molte tra le persone che conosco. Evidentemente non era ben chiaro quanto enorme fosse la rabbia contro le élites, quanto enorme fosse l’astio dei maschi bianchi contro il femminismo e contro i vari movimenti per i diritti civili, quanto demoralizzati fossero ampi strati della popolazione, a causa delle varie forme di spossessamento economico, e quanto eccitante potesse apparire l’idea di nuove forme di isolamento protezionistico, di nuovi muri, o di nuove forme di bellicosità nazionalista. Non stiamo forse assistendo a un backlash del fondamentalismo bianco? Perché non ci era abbastanza evidente? Proprio come alcune tra le nostre amiche inglesi, anche qui abbiamo maturato un certo scetticismo nei riguardi dei sondaggi. A chi si sono rivolti, e chi hanno tralasciato? Gli intervistati hanno detto la verità? È vero che la vasta maggioranza degli elettori è composta da maschi bianchi e che molte persone non bianche sono escluse dal voto? Da chi è composto questo elettorato arrabbiato e distruttivo che preferirebbe essere governato da un pessimo uomo piuttosto che da una donna? Da chi è composto questo elettorato arrabbiato e nichilista che imputa solo alla candidata democratica le devastazioni del neoliberismo e del capitalismo più sregolato? È dirimente focalizzare la nostra attenzione sul populismo, di destra e di sinistra, e sulla misoginia – su quanto in profondità essa possa operare. Hillary viene identificata come parte dell’establishment, ovviamente. Ciò che tuttavia non deve essere sottostimata è la profonda rabbia nutrita nei riguardi di Hillary, la collera nei suoi confronti, che in parte segue la misoginia e la repulsione già nutrita per Obama, la quale era alimentata da una latente forma di razzismo. Trump ha catalizzato la rabbia più profonda contro il femminismo ed è visto come un tutore dell’ordine e della sicurezza, contrario al multiculturalismo – inteso come minaccia ai privilegi bianchi – e all’immigrazione.

trump E la vuota retorica di una falsa potenza ha infine trionfato, segno di una disperazione che è molto più pervasiva di quanto riusciamo a immaginare. Ciò a cui stiamo assistendo è forse una reazione di disgusto nei riguardi del primo presidente nero che va di pari passo con la rabbia, da parte di molti uomini e di qualche donna, nei riguardi della possibilità che a divenire presidente fosse proprio una donna? Per un mondo a cui piace definirsi sempre più postrazziale e postfemminista non deve essere facile prendere atto di quanto il sessismo e il razzismo presiedano ai criteri di giudizio e consentano tranquillamente di scavalcare ogni obiettivo democratico e inclusivo – e tutto ciò è indice delle passioni sadiche, tristi e distruttive che guidano il nostro paese. Chi sono allora quelle persone che hanno votato per Trump – ma, soprattutto, chi siamo noi, che non siamo state in grado di renderci conto del suo potere, che non siamo stati in grado di prevenirlo, che non volevamo credere che le persone avrebbero votato per un uomo che dice cose apertamente razziste e xenofobe, la cui storia è segnata dagli abusi sessuali, dallo sfruttamento di chi lavorava per lui, dallo sdegno per la Costituzione, per i migranti, e che oggi è seriamente intenzionato a militarizzare, militarizzare, militarizzare? Pensiamo forse di essere al sicuro, nelle nostre isole di pensiero di sinistra radicale e libertario? O forse abbiamo semplicemente un’idea troppo ingenua della natura umana? Con quali condizioni abbiamo a che fare se l’odio più scatenato e la più sfrenata smania di militarizzazione riescono a ottenere il consenso della maggioranza?
Chiaramente, non siamo in grado di dire nulla a proposito di quella porzione di popolazione che si è recata alle urne e che ha votato per lui. Ma c’è una cosa che però dobbiamo domandarci, e cioè come sia stato possibile che la democrazia parlamentare ci abbia potuti condurre a eleggere un presidente radicalmente antidemocratico. Dobbiamo prepararci a essere un movimento di resistenza, più che un partito politico. D’altronde, al suo quartier generale a New York, questa notte, i supporter di Trump rivelavano senza alcuna vergogna il proprio odio esuberante al grido di «We hate Muslims, we hate blacks, we want to take our country back». (traduzione di Federico Zappino)

l’odio non è la al terrorismo

 

Tonio Dell’Olio

le reazioni di odio alimentano il terrorismo

intervista di Emanuela Citterio
Il presidente di Pro Civitate Christiana (nella foto accanto al Papa), spiega perché lavorare per la pace ha ancora senso, dopo l’attentato di Nizza. E racconta di quando ne parlò con Papa Francesco.
 
«Vivo ad Assisi e anche qui ci sono basiliche presidiate. Ci sono le transenne, la perquisizione, il mitra. Ma il terrorismo ha assunto modalità tali che pensare di affrontarlo con le armi è quanto meno una scelta miope. Ieri ne abbiamo avuto la prova eclatante, a Nizza». A parlare è Tonio Dell’Olio, sacerdote da sempre impegnato sul fronte della non violenza e dell’educazione alla pace. In questi giorni è stato nominato presidente della Pro Civitate Christiana di Assisi, associazione laicale che opera ponendo la centralità del Vangelo di Gesù come chiave interpretativa della piena realizzazione dell’umano. Dell’Olio è stato responsabile del settore internazionale di Libera – associazioni nomi e numeri contro le mafie, coordinatore nazionale (1993 – 2005) e membro del consiglio nazionale (1993 – 2009) di Pax Christi – movimento cattolico internazionale per la pace. Ma ciò di cui porta ricordi incancellabili è la sua collaborazione, tra il 1985 e il 1993, con Tonino Bello, vescovo di Molfetta e presidente di Pax Christi.
 
Il Papa, di fronte alla strage di Nizza di ieri sera ha detto che si è trattato di un attacco alla pace. È ancora possibile, oggi, parlare di pace senza essere tacciati di buonismo? Di fronte a quanto accaduto ieri c’è chi invoca le “maniere forti” e la guerra…
 
In realtà siamo di fronte a un terrorismo che non colpisce obiettivi sensibili e non usa più nemmeno le armi. E nel momento in cui i terroristi sono identificati come persone che vivono in Europa, che non agiscono nemmeno seguendo ordini di catena con l’Isis, ma in modo autonomo se non spontaneo, bisogna ammettere l’evidenza, e cioè che il terrorismo non può essere affrontato “esclusivamente” con le armi e con mezzi tradizionali. Dovremmo invece cercare di tagliargli l’erba sotto i piedi.
 
In che modo?
 
Tutti gli sforzi di dialogo con il mondo islamico – o meglio, con i mondi islamici, che sono tanti e diversi – sono destinati a lungo termine a dare risultati maggiori.
 
Non è illusorio parlare di dialogo?
 
Sinceramente non vedo altra via. Le modalità dell’attentato di ieri sera ce ne hanno dato una prova eclatante. Va detto che nemmeno il pacifismo più radicale è contrario alla difesa, a un ordine pubblico che abbia il compito di contenere la violenza. Ma l’errore è alimentare la violenza con altra violenza, non provare a cercare vie alternative.
 
Oggi si sono scatenate le reazioni di odio nei confronti dell’Islam e degli immigrati, da parte di politici e della gente comune…
 
Per quanto possa sembrare paradossale queste reazioni danno carburante al terrorismo. Sia le reazioni istintive di pacia sia quelle che partono da un’analisi per arrivare alla condanna dell’Islam in quanto tale non fanno che offrire ragioni e motivazioni al terrorismo stesso. La vera alternativa è agire sul piano educativo, cercare di approfondire nelle scuole e nelle parrocchie, cominciare a costruire la convivenza da lì. E poi bisogna chiedere con forza alle moschee e gli imam parole ferme di condanna: questa potrebbe essere una delle chiavi di volta nel percorso di sconfitta del terrorismo, che durerà anni.
 
Il Papa è stato il primo a parlare di “Terza guerra mondiale a pezzi” fornendo un’interpretazione di tante guerre ed episodi di terrorismo di questi anni. Ma la sua sembra spesso una voce isolata.
 
Sento spesso papa Bergoglio. Siamo amici sin da quando era cardinale a Buenos Aires, continuiamo a sentirci e a confrontarci su questi temi, sul potere delle mafie, sulla non violenza. Sì, è stato lui a parlare di “terza guerra mondiale a pezzi”, ed è martellante la sua condanna sul traffico delle armi, su chi trae profitto dalle guerre e dal terrorismo. Ma molte cose le dice anche con la scelta dei suoi viaggi apostolici. Nei suoi confronti, del Papa, abbiamo un difetto di analisi: siamo attenti a quello che dice, perché siamo abituati così, e facciamo più fatica a leggere i segni. Una volta, chiacchierando con lui, gli ho citato una frase di don Tonino Bello, che diceva: “Di fronte a coloro che ostentano i segni del potere dobbiamo opporre il potere dei segni». «Esto me gusta!» esclamò d’un tratto. E dal viaggio a Lampedusa in poi sono stati tanti i segni fatti dal Papa. Credo che questa possa essere un’indicazione anche per noi. Opporre i segni alla violenza, metterli prima delle parole.
 
Ci può fare un esempio?
 
Di fronte alle prese di posizione a priori sugli immigrati, per esempio, ho constatato che non c’è altra via che la conoscenza personale. Da lontano sono stranieri, hanno un altro colore della pelle, ci rubano il lavoro, disturbano la nostra sicurezza e la nostra salute. Quando ne conosci uno, che ti dice dove stava, ti descrive il suo Paese raccontandoti anche le sue bellezze, un altro stile di vita, e quando ti dice il disagio di un viaggio nel deserto… Ho visto persone arrivate con idee ben precise e molto prevenute sciogliersi in lacrime. Credo che l’antidoto all’odio e alla paura nei confronti degli altri sia solo la conoscenza dei volti, delle biografie, delle storie dei migranti. Tra l’altro riconosceremmo la nostra, di storia. Se facessimo questo in tutte le parrocchie e le scuole credo che la convivenza con gli immigrati in Italia sarebbe molto diversa.
(Fonte: Mondoemissione)
NIZZA – Non dobbiamo cadere nella trappola dello scontro delle civiltà
Intervento di p. Giulio Albanese, missionario comboniano e giornalista
(estratto “Agorà-Estate” Raitre del 15.07.2016)
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