l’intervento di p. Agostino R. Martir al C.C.I.T. 2018

 

 

 

 

 

C.C.I.T. 2018 – Banneux

 

la pietà popolare quotidiana dei rom

E’ possibile scoprire una fede ordinaria che i Sinti e i Rom vivono anche nella loro vita quotidiana, lontano dai circuiti tradizionali religiosi? Come valorizzare questa fede popolare, perché possa esprimere il meglio di sé e possa evangelizzare anche noi e le nostre comunità? Si tratta di una fede popolare più nascosta (come il santino tenuto nel portafoglio), ma non meno importante, anche se mischiata ai momenti diversi che essi vivono quotidianamente: momenti di gioia, di speranza, di dolore, imprevisti, tragedie, abbandoni, nuovi inizi ..dove ciò che sembra essere profano è avvolto da qualcosa di sacro o viceversa.. non sempre afferrabile a prima vista, al meno ai nostri occhi a volte ci sembra disordinato, a volte superstizioso, confuso appunto: poco catechizzabile” secondo i nostri parametri. E’ ’una fede popolare che scorre al di fuori dagli spazi privilegiati della “zona sacra, con le sue liturgie definite, con i suoi incaricati religiosi. Spesso la fede ordinaria dei Sinti e Rom è trasmessa da generazione a generazione e profondamente ancorata all’interno della famiglia, che nonostante i cambiamenti del mondo esterno, sembra mantenere la sua forza e originalità.

Papa Francesco, nella sua esortazione apostolica, Evangelii Gaudium dedica i paragrafi dal 122-126 alla “forza evangelizzatrice della pietà popolare”.

Seguirà ora la presentazione di un Power Point, dove attraverso delle immagini e frasi siamo invitati a osservare dei momenti di pietà polare dei Rom e Sinti, spazi di culto e di fede ordinaria si alternano, si mischiano. Tocca a noi far emergere nei nostri carrefour, quello che lo Spirito ha seminato nella loro vita, seguendo l’invito di papa Francesco:

Donna, la tua fede ti ha salvata! Va in pace e sii guarita dal tuo male”.

 

Detti- Frasi sulla religiosità Rom

 

  1. O Dol te ciol po milo petute / Che Dio metta la sua Misericordia su di te. (molto usato tra i rom, quando qualcuno è malato)
  2. O Dol si yec / Dio è uno solo. (la nostra vita è nelle sue mani)
  3. Vallay Billjai…Dio è grande in terra.
  4. O Dol taraciol tu/ Dio ti protegga.
  5. O Dol anglal tumen palal, jan e Devlesa / Dio avanti e voi dietro, andate con Dio…
  6. Pasciol Dol / giuro su Dio.
  7. Vavallay/ in nome di Dio dico la verità.
  8. Devla pomoji/ Dio aiuta.
  9. Devel dicma, Devel aracma/ Dio guardami, Dio proteggimi.
  10. O Dol sa diciol/ Dio tutto guarda.
  11. O Dol baro/ Dio è grande.
  12. O Dol te araciole taro giungalipe/ Che Dio ti protegga dal male.
  13. O Dol te aracol savren, napal amen/ Dio protegga gli altri, poi noi.
  14. O Dol, dol saborri/ Dio ci dona la pace.
  15. Devla iklav ce anavesa ani buci/ Dio esco con il tuo nome al lavoro.

 

 

  • La fede popolare nella vita ordinaria dei Rom e Sinti.
  • Frasi comuni sulla religiosità dei Rom.
  • Frase molto usata quando qualcuno è ammalato.
  • La benedizione sui figli.
  • Frase usata quando una famiglia ha dei problemi (carcere, morte, malattia..)
  • Quando qualcuno ci da qualcosa, noi prima ringraziamo Dio, poi chi ci aiuta.
  • Come augurio quando qualcuno parte da casa sua.
  • Frase che si dice al mattino, quando apriamo la porta di casa per uscire a lavorare.



sorpresa: c’è un giudice a Berlino anche per i rom! tutti assolti da gravissim reati

tutti assolti dopo una via crucis di ben otto anni con accuse gravi quali reato di tratta, di riduzione in schiavitù e violenza di gruppo

la gioia dei rom dopo la massima preoccupazione fino all’ultimo momento

la sconfitta di una violenza politica e istituzionale fatta di pregiudizi e manipolazione della realtà 

la soddisfazione incontenibile di p. Agostino che a piena conoscenza dei fatti ha dovuto testimoniare in tribunale tenendo testa perfino alle ‘diffamazioni’ e intimidazioni del pubblico ministero

qualcuno chiederà mai a loro scusa?

di seguito la gioiosa dichiarazione a caldo di p. Agostino Rota Martir immediatamente dopo la sentenza: 

  Finalmente dopo ben otto anni, la vicenda della sposa bambina di Coltano é giunta al suo epilogo. La Cassazione aveva chiesto di ripetere il processo di appello di Firenze, chiedendo espressamente di ascoltare la testimonianza della “sposa bambina”. Mai era intervenuta per l’opposizione del Pubblico ministero, anche per poter continuare a tenere in piedi il suo castello di carta, basato su bugie e falsità belle e buone. Senz’altro la testimonianza dell’interessata (oggi 25 anni, sposata e mamma di 2 bambini), avrebbe fatto precipitare le accuse di tratta, violenza, riduzione di schiavitù … nonostante il P.M. e il presidente della Corte hanno ritenuto procedere senza la sua presenza, disattendendo l’ordine della Cassazione, alla fine la sentenza è arrivata a favore degli imputati: tutti assolti da quelle atroci e assurde accuse … è rimasto il reato di clandestinità. Ma i rom avranno la possibilità di appellarsi.

Gli imputati hanno vissuto otto anni di sofferenze, di soprusi, messi all’ indice da Il Tirreno di Pisa in primis, e anche dalla stessa Amministrazione cittadina.
Assoluzione dal reato di tratta, assoluzione dal reato di riduzione in schiavitù, assoluzione dal reato di violenza di gruppo.
È una sentenza che ristabilisce la verità e che non piacerà a non pochi a Pisa … i rom giustamente ne sono felici e tirano finalmente un fiato di sollievo, fino ad ieri sera erano sfiduciati e paurosi, perché rischiavano dai 15 ai 20 anni di carcere, per delle accuse infamanti e del tutto montate da qualcuno.
Ritrovano anche un po’ di fiducia verso la Giustizia … e non è poca cosa.
Anche da parte mia la soddisfazione di vedere che i dubbi espressi da me fin dal giorno dopo, appunto otto anni fa, oggi con questa sentenza mi danno ragione … nonostante le continue diffamazioni nei miei confronti del Pubblico Ministero.
È un bel giorno per i Rom coinvolti e anche per la Giustizia.



gli auguri natalizi di p. Agostino a partire dagli ‘scarti’

 

Signore, dacci la grazia di sentirci scartati, ma preziosi

per la tua misericordia e bisognosi della tua carezza

Gesù bambino

Chi si sente uno scarto, sa comprendere la bellezza di una porta aperta

Signore aiutaci ad essere porta aperta.

  • I profughi, i migranti sanno attraversare e raggirare con coraggio i confini sorvegliati dagli egoismi e dalle diffidenze.

Signore, rendi i nostri passi intrepidi a vivere l’esodo che indichi all’umanità oggi.

  • Chi si sente debole, riuscirà ad accompagnare e dare coraggio a chi si è smarrito.

Signore, fa che ritroviamo le tue tracce nelle nostre fragilità.

  • Solo chi si sente rifiutato, saprà vivere l’accoglienza senza pregiudizi e sotterfugi.

Signore, aiutaci a scoprire e svelare la tua venuta nel volto del profugo, del debole, dello

scartato, del povero che attraversa la nostra vita, sono loro che ci indicano la via che conduce

alla Pace e alla fraternità.

 

 

Auguri di Buon Natale

presepe

 

 




il grido di p. Agostino che fa suo il grido dei rom della Bigattiera

NON SIAMO DA BUTTAR VIA!

agostino

Coltano – campo Rom –

8 Ottobre 2015.

Gli appelli di papa Francesco sono incessanti e molteplici: “Nessun essere umano va trattato come uno scarto” e sottolineerei: anche se non frequenta alcuna scuola! Faccio fatica a vedere il rom di serie A e B. “Chi va a scuola ha la mia comprensione, chi non ci va pazienza!

camper di Agostino

I Rom della Bigattiera di fatto, si sono trovati tutti sullo stesso “treno deragliato”, perché qualcuno già da tempo aveva manomesso i binari dei diritti uguali per tutti.

Esattamente quello che l’’Amministrazione di Pisa sta attuando da tempo verso in Rom in particolare, oggi è toccato ai Rom della Bigattiera.

Una politica che scarta, in nome di calcoli elettorali, perché questa è la motivazione di fondo, ha smarrito quel suo nobile scopo di prevenzione, di messa in campo di azioni in grado di accompagnare e sostenere le fasce più deboli della società, a lungo andare diventa cancerogena e nociva anche per l’intera società.

Da anni purtroppo, con i Rom assistiamo a questo degrado sociale e politico. I Rom sono sistematicamente esclusi da una partecipazione reale e concreta al loro sviluppo, al loro futuro. Le politiche sociali hanno occupato questo spazio in modo invadente, minaccioso e escludente.

Siamo testimoni di atteggiamenti arroganti, falsi e bugiardi da parte di “responsabili” che spesso non esitano a far uso anche di intimidazione, pur di ottenere i loro obiettivi.

Se non fai così gli assistenti sociali ti prendono i tuoi bambini.”

“ Se non fai così, la Questura ti darà l’’espulsione.”

L’’integrazione, strano ma vero rischia di essere minata proprio da quei soggetti chiamati a promuoverla e sostenerla. La pietà è vista come un ostacolo all’integrazione e spesso sono i responsabili del comune che mostrano il disprezzo verso i Rom, la pietà verso la vita dei Rom è bandita. Come mai , in genere oggi sono proprio le donne (assistenti sociali, responsabili, assessori..) che ostentano questa carenza di pietà umana, un tempo tipica del cuore femminile? Così facendo si inietta nell’opinione pubblica l’idea della “normalità del male”, la si accetta senza alcuna reazione, la si giustifica in nome di una falsa e distorta comprensione della realtà dei fatti.

Le vicende del campo Rom della Bigattiera sono un esempio parlante. Anni fà (estate 2012) lo stesso comune ordina la chiusura dell’acqua e della luce, obbligando di fatto una intera comunità Rom, con tanti minori e degli adulti ammalati, a vivere nel disagio.

L’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani.”

Ce lo ricorda papa Francesco in Laudato Sì, n° 30.

Oggi lo stesso comune firma l’’ordinanza di sgombero della Bigattiera, motivandola per le condizioni igienico-sanitarie insostenibili del campo! C’è da rimanere sbigottiti per questi “giochetti”..chissà noi come avremmo reagito se privati per capriccio di qualcosa, di ciò che spetta ad ogni essere umano. Succede questo nel resto d’’Europa?

I Rom li considerate esseri umani? E’ la domanda (non provocatoria!) che rivolgo agli amministratori di Pisa e che molti cittadini oggi si pongono, a motivo delle vostre scelte.

Lo sgombero di persone è condizionato ad una concreta, immediata alternativa percorribile, lo dice la Commissione Europea. Dovrebbe essere sancita anche da una legge che obbliga i responsabili ad agire di conseguenza, diversamente si giustifica la disumanità e si incentiva quel degrado che si dice di voler combattere. Oggi la schiavitù è un reato, come lo stupro, la violenza, lo sfruttamento minorile..ecco vorrei che entrasse anche nella nostra coscienza e soprattutto negli atti amministrativi che sgomberare persone, lasciandole per strada, allo sbando privandole anche di una semplice baracca, è una violazione e in quanto tale illegittima, come è lo sfruttare un lavoratore, abusare o plagiare un minore o ridurre un essere umano schiavo di qualcuno.

Non siamo da buttar via”, mi diceva un Rom qualche giorno prima dello sgombero: è vero qualcuno lo pensa e lo programma.

Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”, dice un proverbio italiano..sarà ancora vero? Quando si tratta della vita dei Rom, oggi a Pisa e altrove, il confine é diventato sottile..non più un mare che ci difenda, ma le ruspe che spianano anche le ormai fragili obiezioni delle nostre coscienze.

p. Agostino Rota Martir




il commento al vangelo della domenica

 IO SONO IL PANE VIVO DISCESO DAL CIELO 

  commento al vangelodella domnica diciannovesima del tempo ordinario 9 agosto 2015) di p. Alberto Maggi  e di p. Agostino Rota Martir

p. Maggi

Gv 6, 41-51

In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».
Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Con l’espressione ‘giudei’ nel vangelo di Giovanni, non si indica il popolo, ma i capi religiosi, le autorità religiose, e sono queste che mormorano contro Gesù. Che mormorino contro Gesù i capi si può capire, ma in questo vangelo mormorano contro Gesù sia la folla, ma anche i discepoli.
Gesù è riuscito a scontentare tutti quanti e vedremo in questo vangelo perché.
Qui gli scontenti sono i capi del popolo perché non possono ammettere che Gesù rivendichi la condizione divina. Gesù ha detto “io sono” – è il nome di Dio – “il pane disceso dal cielo”. Che un uomo pretenda di avere la condizione divina per le autorità religiose è un crimine intollerabile. Dio mette tutto il suo intento per avvicinarsi all’uomo e fondersi con lui; le autorità religiose hanno tutto l’interesse e mettono tutto l’intento per separare l’uomo da Dio, perché più Dio e l’uomo sono lontani, più essi si possono inserire quali unici mediatori.
E quindi non accettano la pretesa di Gesù di essere un uomo con la condizione divina.
Ecco perché replicano “ma non è costui il figlio di Giuseppe?” E Gesù dà un importante criterio per avvicinarsi e accoglierlo: “nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato”. Cosa vuol dire per Gesù? Andare a Gesù significa riconoscere Dio come Padre, cioè colui che è a favore dell’uomo, perché Gesù è l’espressione dell’amore di Dio per tutta l’umanità.
Chiunque vede in Dio un alleato per l’uomo si sente poi attratto da Gesù. Ecco perché i capi non avvicineranno mai Gesù e non arriveranno mai a Dio, perché loro non sono interessati al bene dell’uomo, ma soltanto al proprio prestigio. Non conoscono il Padre, ma soltanto il loro interesse.
Questo amore che Gesù comunica è un amore che viene da Dio e quindi è indistruttibile, ecco perché Gesù può assicurare “io vi dico che chi crede”, cioè ‘chi da adesione a questo Gesù, a questo progetto d’amore di Dio per l’umanità, “ha la vita eterna”. La vita eterna per Gesù non è una promessa da conseguire nel futuro, per la buona condotta tenuta nel presente, ma una realtà che si può sperimentare in questa esistenza. Quindi Gesù non dice “chi crede avrà” poi nel futuro la vita eterna, ma “chi crede ha già”, sperimenta già adesso una vita di una qualità tale che è indistruttibile.
Poi Gesù dice quello che non dovrebbe dire, ecco perché riesce a scontentare tutti quanti, e mette il dito nella piaga. Gesù, rivendicando la condizione divina, “Io sono io pane della vita”, dice “i vostri padri”. Gesù avrebbe dovuto dire “i nostri padri”, anche lui è un componente del popolo di Israele, ma Gesù prende le distanze. Lui è mosso e segue il Padre, non i padri, non la tradizione del popolo.
“I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti”. Gesù mette il dito nella piaga del grande fallimento dell’esodo. Tutti quelli che sono usciti dalla schiavitù egiziana sono tutti morti nel deserto. Neanche uno è entrato nella terra promessa; i loro figli sono entrati nella terra promessa. Ma neanche Mosè c’è riuscito e sono tutti morti.
E perché sono morti? Secondo il libro di Giosuè e secondo il libro dei Numeri, sono morti per non aver dato ascolto alla voce di Dio. Allora Gesù dà un monito “come quella generazione morì nel deserto per non aver ascoltato la voce di Dio, anche voi rischiate di non entrare nella pienezza della libertà se non ascoltate questa voce.
Ed ecco allora Gesù che rivendica e conferma “se uno  mangia di questo pane” – che è lui, la sua vita – “vivrà in eterno”. La vita che Gesù comunica è una vita che non viene interrotta dalla morte. E poi questa preziosa indicazione “il pane che io darò è la mia carne”, l’evangelista usa il termine ‘carne’ che indica la debolezza dell’uomo, “per la vita del mondo”. Non esistono doni divini che non si manifestino nella debolezza della condizione umana.

 il commento di p. Agostino Rota Martir:

agostino

 

Gesù dà vita scendendo

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno.”

Gesù è il pane disceso, perché la sua origine è in Dio, ma è anche lo stile costante della sua stessa vita, è il suo incessante comportamento con le persone che incontra, quello di “scendere” per farsi prossimo con il povero, l’ammalato, il lebbroso, con lo straniero, il peccatore..

Gesù attraverso il suo comportamento rivela che Dio manifesta se stesso dal basso, abbassandosi, andando oltre la Legge sacra del tempio. Non più un Dio che chiede all’uomo di salire per adorarlo nel tempio, ma di scendere nelle strade, nei vicoli, nelle case là dove l’uomo vive, lotta, spera per mostrare il suo Amore Liberante verso tutti. Il Dio di Gesù si disloca dal tempio, per scendere, proprio come l’incarnazione di suo Figlio Gesù, non per capriccio, ma per indicare la via capace di rivelare il suo Regno, quella di abbassarsi per fare spazio all’altro.

Donare senza scendere. Tipico di molti di noi, abbastanza diffuso anche dentro le nostre comunità: “Ti aiuto ma resto al sicuro nella mia posizione, possibilmente in alto. Ti dono qualcosa, ma fino ad un certo punto. Ti aiuto quando te lo meriti..” E’ l’aiuto senza relazione con l’altro, a distanza senza voler scendere più di tanto.

“La tentazione dell’essere al centro, nel senso di governare, dirigere, guidare, essere i protagonisti primi e principali di ciò che succede, è comune a tutti noi.” (Stella Morra, Dalle periferie un altro sguardo.)

Due fatti successi ultimamente, opposti tra di loro ma che ci aiutano a comprendere la “logica” del pane vivo disceso.

* Di fronte al bisogno di alloggi per accogliere dei profughi, un vescovo del Nord d’Italia offre i locali di un convento ormai vuoto, ma dei genitori di una scuola cattolica hanno rifiutato la loro presenza perché troppo vicina ai loro figli, mormorando pubblicamente la scelta del loro vescovo..Senz’altro ‘sti genitori “cattolici” sono ben lontani da Dio, anche se assidui frequentatori del tempio: e se invece, il pane vivo disceso dal cielo sta in mezzo a quei profughi rifiutati dai benpensanti timorati di Dio? Che occasione persa!

* Di segno opposto invece, la notizia di un deputato tedesco che sceglie di offrire la sua casa per dei richiedenti asilo, dopo aver ascoltato la loro storia in parrocchia.

Mangiare il pane vivo non significa forse fare spazio, perché l’altro possa crescere in me? Così la mia carne (la mia storia, le mie scelte..) si trasformerà in vita per il mondo, per chi attraversa il mio cammino.

Ecco, ripetersi il miracolo del pane disceso (che si disloca), mette in movimento le nostre certezze, le nostre stabilità.

Mangiare il pane vivo disceso dal cielo non può che portarci a scegliere da che parte stare e soprattutto il come starci.

Campo della Bigattiera (Pisa)

8 Agosto 2015

 




intervento di p. Agostino Rota Martir al C.C.I.T. 2015 in Romania

ccit 2015

SNAGOV-CIOFLICENI 24-26 aprile 2015

 

 foto-linguaggio commentate da p. Agostino

p. agostino

 

 

 

 

ccit Romania

 

 

La nuora e facebook

 

“Cosa stai facendo vicina?”

“Mi cerco una nuora su facebook..”

E’ una immagine che è circolata molto sui telefonini di tanti ragazzi Rom, molto divertiti per quello che raffigura. “Cosa ti fa ridere di questa foto?” Ho chiesto a diversi giovani Rom. “Le vecchie Rom, vestite secondo la tradizione kosovara e che stanno su facebook e che ai loro tempi non avevano neanche il cellulare, ora navigano con il portatile su Facebook. E’ troppo forte!” Tradizione e innovazione qui sembrano convivere: due realtà che si uniscono. A dire il vero qui i “New Media” non scalfiscono gli aspetti culturali di una tradizione Rom, tradizione che a volte è vista anche con diffidenza dalle nuove generazioni Rom, che spesso usano facebook, anche per distaccarsi dalle loro stesse tradizioni e usanze o anche per desiderio di distinguersi. Le vecchie Rom usano Facebook per mantenere ancora vive le loro tradizioni. I giovani Rom, invece utilizzano Facebook anche per staccarsi da quelle stesse tradizioni.

  • Apparentemente sembrerebbe un corto circuito, eppure i “New Media” potrebbero svolgere un ruolo di allargamento della comunicazione e conoscenza all’interno delle comunità Rom.
  • Spesso questa trasmissione avviene soprattutto all’interno dei “mondi Rom”, è ancora limitato invece, l’utilizzo di questi mezzi di comunicazione da parte dei Rom, per far conoscere alla società in genere il proprio mondo, le sue richieste, le rivendicazioni o per trasmettere i suoi variegati aspetti culturali e tradizionali. Diffidenza verso il mondo dei gagè e dei suoi mezzi di comunicazione?

                                        

 

                                           Lo smartfhone a pezzi

 

 telefono rotto

 

Sono molti i giovani Rom che fanno uso dello smartphone, tablet con connessione internet. Non è una novità di oggi, avviene da diversi anni.

Ma i giovani Rom di oggi, rispetto ai loro genitori sanno far un ampio uso di Facebook, WhatsApp, Skype e messaggerie di vario genere che l’ampio mercato della comunicazione ci offre oggi. E’ innegabile che i genitori Rom vedono questo uso con curiosità mista a diffidenza. Da un lato tollerano l’uso di Internet, un po’ perché se ne servono anche loro, ma non vedono di buon cuore il fatto che i loro figli trascorrono tanto tempo a “smanettare” dietro i telefonini.. con chi parlano, con chi chattano, cosa si dicono?

Ho assistito varie volte a litigi tra figli e genitori proprio per colpa del telefono, e questo finire a pezzi per terra, rotto dai genitori.

Per tanti giovani rom questi “New Media” è un’occasione per raggirare il controllo della famiglia, sentito ancora forte e determinante. Vedono i “New Media” come una possibilità per ottenere più indipendenza e autonomia, sia rispetto la propria famiglia come verso il mondo Rom in genere. Infatti, sono tanti i contatti sia con i Rom, ma anche con il mondo gagè in genere.

E’ anche un’occasione per tentare di “evadere” da tutta una serie di controlli che in genere la famiglia esercita sui giovani, e in particolare sulle giovani rom, che sentono più forte il desiderio di incontrare e comunicare con altri Rom, in particolare. Per molti giovani Rom è una buona possibilità, se non l’unica per comunicare i propri pensieri, sogni, desideri. Per gli adulti, in genere il discorso è più complesso e articolato. Innanzitutto, c’è il timore che possa capitare qualcosa di spiacevole (cosa ovvia per qualsiasi genitore) ai loro figli, anche attraverso la pubblicazione di foto, che ritraggono ragazzine Rom in pose ammiccanti e a volte osé, e questo porterebbe disonore sull’intera famiglia agli occhi dei Rom stessi. Per gli adulti in genere, la relazione avviene attraverso la vita/corpo (conoscenze, incontri, contatti), ora invece l’uso delle chat (mezzi di comunicazione), in un certo senso sembra allargare il mondo delle conoscenze e i giovani Rom sentono di avere a portata di mano questo cambiamento. I nuovi media stanno mettendo a confronto non solo generazioni diverse tra i Rom, ma anche due conoscenze diverse: quella virtuale e i suoi possibili sviluppi e quella tipica dei Rom, basata soprattutto sui rapporti, conoscenze e equilibri tra famiglie e gruppi Rom. Riusciranno ad armonizzarsi?

Famiglie Rom che a causa di litigi non si parlano più, i figli si comunicano (segretamente) attraverso WhatsApp o FaceBook..creando di fatto le premesse di una possibile riappacificazione..oppure segnano per sempre il destino di un altro smartfhone a pezzi.

P.S. Ho scritto questa riflessione con il contributo di una giovane Rom, che usa molto Facebook. Alla quale ho poi offerto 5,00 € di ricarica per il suo smartfhone per continuare a chattare.

 

messa co cellulare

 

                             Noi/loro: migranti sulle piste dei New Media?

 

Questa foto non riguarda direttamente i Rom, lo si vede. Non vuole essere “dissacrante” verso la Liturgia. Ringraziamo p. Luciano che ha accettato di farsi fotografare. La foto vorrebbe essere uno stimolo, anche una provocazione per proporre una riflessione allargata anche su di noi, sull’uso della tecnologia digitale(telefonini, internet, messaggerie, social network..) E’ un dato di fatto: ormai i mezzi di comunicazione condizionano, nel bene e nel male la nostra esistenza, e sembra non ci siano ambiti intoccabili, esclusi.. Fanno parte della nostra vita, benché riconosciamo l’utilità e i vantaggi di questi strumenti, ma è altrettanto risaputo il rischio del “totalitarismo tecnologico” ?

“Siamo raggiungibili ormai 24 ore su 24, siamo sempre reperibili, non smettiamo mai di consultare le nostre email, di ricevere e inviare sms.. questo ha corrisposto una migliore qualità della vita?..sappiamo utilizzare questa immensa quantità di conoscenza, sappiamo anche selezionare le cose importanti, imporci una gerarchia di valori e priorità? Fare il silenzio attorno a noi? Riflettere? Leggere un libro da cima a fondo? “

“Siamo sicuri che la rivoluzione digitale ci ha reso più liberi? O abbiamo nuovi padroni e non ce ne siamo neanche accorti.” (Rete Padrona di Federico Rampini, ed. Feltrinelli, 2014)

Potenzialità della rete e ambiguità. Conoscenza e inganno. Progresso e rischi. Comodità e dipendenza/schiavitù   

A me è capitato l’anno scorso di dover rimanere per diversi mesi con un semplice telefonino senza Internet, ma alla fine mi sono arreso e ho acquistato uno più quotato, parche non riuscivo più a stare senza una connessione Internet: necessità o dipendenza? Oggi il confine sembra diventare sempre più sottile. Non c’è il rischio, in noi e nei Rom che questo uso diventi talmente essenziale. creando una sorta di dipendenza, fino a diventare un idolo? Incapaci di distinguere l’essenziale dal superfluo. Può suceedere a tutti quelli che tra i Gagè e i Rom hanno una discreta capacità e formazione per gestire questi New Media, figurarsi quelle persone tra i Gagè c i Rum che sono meno preparati per questo. Come è riuscita ad entrare in tanti una certa dipendenza, immaginiamo nelle fasce più deboli ! Infatti, molti hanno lo smardhone o desiderano possedere quello più nuovo, più costoso anche se hanno difficoltà a comprarsi il mangiare per i propri figli o pagarsi le spese di casa. Potenzialità che fmo a qualche anno fa’ ignoravamo, ma che oggi condizionano la nostra e la loro vita. Una potenzialità che sta sul palmo della mano, capace di ricevere e trasmettere dati sul mondo intero, ma non sempre è in grado di comunicare al cuore, anzi c’è il rischio di escluderlo. Questa comunicazione digitale tende ad isolare proprio il “corpo” dalla comunicazionc..succede quando le persone sono più indaffarate a leggere, digitare sms, a chattarc invece di ascoltare, dialogare con chi hai di fronte e a dargli il necessario spazio..sul palmo del tuo cuore. Anche i Rom lo avvertono.

“Sempre davanti al computer. Tu sei malato di computer. Diventerai pazzo!” Mi sono sentito rivolgere questo richiamo, da una mamma Rom, mia vicina di roulotte in questi giorni, indaffarato a preparare queste schede. Ha avvertito che la sua presenza e quella continua dei suoi bambini in roulotte mi disturbava, e che io di conseguenza, non gli concedevo tempo ed attenzione, perché scomodava il mio spazio, la mia concentrazione. Il mio cuore era lontano da loro. ” Mi onorate con le parole. ma il vostro cuore è lontano da me ..” Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore.”

La comunicazione ha sempre bisogno del corpo (vita, tempo, relazioni..) e di un cuore capace di pulsare..altrimenti va in blocco, carne spesso succede con i tclefonini sul palmo della nostra mano, quando non hanno un buon campo di ricezione.

“Pronto, sei in kampina? Puoi venire da me?” Non siamo a km di distanza, ma a 50 m. di distanza l’uno dall’altro, all’interno dello stesso campo Rorn! Comodità o dipendenza?




gli auguri di buona pasqua da un ‘campo rom’

 

 

 

Buona Pasqua 2015

p. Agostino Rota Martir, dal campo rom di Coltano – Pi, così contempla la croce e la risurrezione di Gesù  sollecitando in particolare i credenti ad attivarsi “a deporre dalla croce i crocefissi di oggi”:

 

croce fiorita
  la ‘croce fiorita’ fatta dai bambini rom del campo di Coltano
La tua Croce continuiamo a vederla anche oggi. L‘esistenza di tanti poveri “appaltati”, strumentalizzati è la Croce che viene caricata ingiustamente sulle loro spalle. Tu vuoi che la nostra Fede in Te, morto crocifisso e Risorto, aiuti a deporre dalla croce i crocefissi di oggi. La Croce dei poveri non si appalta ad altri..
È vero non sempre ci poniamo convintamente al loro fianco, proprio come fece Simone di Cirene, a volte come cristiani scegliamo di stare in disparte,  spettatori indifferenti o sostenitori di quei poteri forti che producono e moltiplicano, oggi come ieri i poveri Cristi, crocefissi sul Golgota dei nostri
 privilegi e interessi. Di fatto complici di miserie e tragedie che ornano le nostre società e giustificano il mito della sicurezza. Fino a poco tempo fa, assistevamo ai drammi di chi fugge dalle guerre e persecuzioni in silenzio, ma partecipi della loro sofferenza. Ora invece il silenzio è sostituito dall’ipocrisia, che è il contrario della “parresia“: parlare con franchezza, con chiarezza.
La Croce dei poveri Cristi di oggi riesce a parlarci con chiarezza? Riesce a rivelarci il tuo Mistero nascosto nella carne dei poveri Cristi di oggi
Solo deponendo i poveri dalla Croce riusciremo a  vedere i fiori colorati e sentire il profumo della tua Pasqua che il Risorto spande ovunque, liberamente ..semi di una nuova umanità in gestazione.
Buon profumo di Pasqua!
Ago
p. agostino
Campo Rom – Coltano (Pisa)

 

 

 




il commento al vangelo della domenica

 

 

 

commento al vangelo della terza domenica del tempo ordinario (25 gennaio 2015):

Mc 1,14-20

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

CONVERTITEVI E CREDETE AL VANGELO 

il commento di p. Maggi:

maggi

L’evangelista Marco denuncia la stupidità del potere. Ogniqualvolta il potente crede di soffocare una voce di denuncia il Signore ne suscita una ancora più forte. E’ quello che ci scrive Marco nel suo vangelo, al capitolo 1, dal versetto 14.
“Dopo che Giovanni fu arrestato”, è il primo conflitto tra il potere e un inviato di Dio. Ma ogni volta Dio suscita sempre una voce ancora più forte. “Dopo che Giovanni fu arrestato”, letteralmente ‘consegnato’, “Gesù andò nella Galilea”. Gesù incomincia nella regione lontana dall’istituzione religiosa giudaica, una regione a contatto con i pagani dove la mentalità poteva essere un poco più aperta.
“Proclamando il vangelo di Dio”, cioè la buona notizia di Dio. E qual è la buona notizia di Dio? Che Dio è diverso da come i sacerdoti l’avevano presentato. E’ un Dio completamente diverso. Non è un Dio che chiede, ma un Dio che dà. Non è un Dio che castiga, ma un Dio che perdona, non un Dio buono, ma esclusivamente buono.
Questo è il contenuto della buona notizia del vangelo di Dio che Gesù proclamerà. Dio è amore e il suo amore viene offerto in maniera incondizionata ad ogni persona. Questa è la buona notizia che Gesù proclama. “E diceva: «Il tempo è compiuto»”. Per esprimere il tempo l’evangelista adopera un termine che significa l’occasione perduta, l’occasione propizia, da prendere al volo perché poi rischia di non ripresentarsi. “«E il regno di Dio è vicino»”.
Per Regno di Dio si intende la signoria di Dio. Nella nuova relazione con Dio che Gesù propone, quella con il Padre, non c’è più una legge, un codice esterno all’uomo che l’individuo deve osservare, ma c’è l’accoglienza e la pratica di un amore simile al suo. Il Dio di Gesù non governa gli uomini emanando leggi che questi devono osservare, ma comunicando loro interiormente la sua stessa forza, il suo stesso Spirito che li rende capaci di amare generosamente come da lui si sentono amati.
Il regno di Dio è vicino, ma per far sì che questo diventi realtà, c’è bisogno di una decisione da parte dell’uomo, la conversione. L’evangelista non adopera il verbo convertire che indica un ritorno alla religione, a Dio, ma indica un cambio di mentalità che incide profondamente nel comportamento, una rinuncia all’ingiustizia e l’orientamento della propria esistenza al bene degli altri.
Questa è la conversione alla quale Gesù chiama, alla quale Gesù invita, perché il regno di Dio diventi realtà. Per regno di Dio in questo vangelo si intende una società alternativa, una società dove anziché il salire ci sia lo scendere, dove anziché comandare ci sia il servire e soprattutto dove anziché l’accumulo dei beni ci sia la condivisione. Allora per far questo ci vuole una conversione, un cambiamento di rotta.
E Gesù invita a credere in questa buona notizia. E qual è la buona notizia? Che Dio governa gli uomini e che è possibile una società alternativa. Ma Gesù per fare questo ha bisogno della collaborazione degli uomini. Ecco perché “passando lungo il mare di Galilea …”. Qui l’evangelista parla di mare di Galilea, in realtà è un lago. Perché l’evangelista adopera il termine “mare”? Perché il mare era il confine con la terra pagana e soprattutto il mare è quello che gli ebrei hanno dovuto varcare per entrare nella terra promessa.
Quindi l’evangelista amplia l’orizzonte del messaggio di Gesù, che non è rivolto soltanto alla Galilea, ma è rivolto a tutto il mondo pagano. “… Vide Simone e Andrea”; sono due nomi di origine greca, quindi una comunità mentalmente più aperta. “Mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro di me»”, questo sarà l’invito che Gesù continuamente farà risuonare nel vangelo ieri e ancora oggi: andare dietro di lui, perché lui sa come realizzare questa società alternativa, il regno di Dio.
“«Vi farò diventare pescatori di uomini»”. Il riferimento dell’evangelista è al capitolo 47 di Ezechiele dove vengono presentate coppie di fratelli che ricevono la terra promessa. Quindi il regno di Dio è una realtà che adesso già sta emergendo attraverso la chiamata dei fratelli. Ma perché Gesà li chiama a diventare pescatori di uomini? Gesù non li invita ad essere pastori, non li invita ad essere guide, non li invita ad essere maestri, ma pescatori.
Qual è il significato? Pescare un pesce significa tirar fuori un animale dal suo habitat naturale per dargli la morte. E si fa per il proprio interesse, si pesca per il proprio beneficio. Pescare gli uomini significa tirarli fuori dall’acqua, ciò che rischia di dar loro la morte; quindi è un ambiente ostile all’uomo, un ambiente nel quale l’uomo può perire, e non si fa per il proprio interesse, ma per l’interesse degli altri.
Questa è la conversione. La conversione alla quale Gesù richiama e invita è: mentre fino ad ora hai vissuto per il tuo interesse, adesso vivi per l’interesse degli altri; mentre fino ad ora hai pescato per te, adesso pesca per gli altri, per comunicare vita agli altri. Allora Gesù li invita a collaborare alla sua azione nel proporre e praticare concretamente uno stile diverso per rendere possibile una società alternativa, quella che viene chiamata regno di Dio, e la prima azione che si fa è quella di togliere gli uomini da ciò che può dar loro la morte. Se ciò che da la vita è la rinuncia al proprio interesse, quello che da la morte è vivere esclusivamente centrati sul proprio interesse, sulla convenienza.
E saranno proprio coloro che sono centrati sulla propria convenienza, sul loro interesse, gli acerrimi nemici di Gesù.
“Subito lasciarono le reti e lo seguirono”, quindi immediatamente questi personaggi, questi primi discepoli, accolgono l’invito di Gesù, ma Gesù continua. E questa volta lo rivolge a due fratelli che hanno nomi ebraici; sono Giacomo e Giovanni, quindi più attaccati alla tradizione e saranno quelli che nel vangelo poi mostreranno delle difficoltà nel seguire Gesù. Ma anche questi al momento lasciano il padre Zebedeo “sulla barca con i garzoni e andarono dietro di lui”.
Quindi l’intento di Gesù è quello di chiamare persone che con lui collaborino facendosi portatori di vita a quanti vivono in un habitat di morte.

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Andarono dietro a lui.”

 

il commento di p. Agostino Rota Martir:

p. agostino

Maestro. Dove abiti?”. Era la domanda dei discepoli di Giovanni Battista, rivolta a Gesù nel Vangelo di domenica scorsa. Domanda semplice, spontanea e del tutto lecita, ma la risposta non stava tanto in un indirizzo anagrafico, ma era in un cammino continuo: da Nazareth a Cafarnao, da lì verso i villaggi della Galilea per annunciare il Vangelo del Regno ormai vicino a tutti, non più asserragliato dentro il tempio santo di Gerusalemme, o nella dimora-scuola stabile di un rabbi, ma ovunque, anche lungo le rive del mare di Galilea, e da lì nelle dimore della gente, nel cuore dilatato dei peccatori e dei poveri.

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il Vangelo di Dio.”

Non fu un semplice trasloco il suo..ma di certo era la conseguenza di un cambio di situazione, nel senso che le cose stavano mettendosi un po’ male a causa della morte del Battista, eppure Gesù non si nasconde, anzi la morte del cugino è la molla che lo spinge a percorrere la Galilea delle Genti: incoscienza, gusto di sfida o altro?

Stattene un po’ buono, lascia che le acque si calmino un pochino..” In genere è il saggio consiglio che spesso offriamo agli amici, quando la situazione si fa un po’ “movimentata”. Gesù, invece se ne va in giro a trovarsi i suoi primi discepoli, come preso dal desiderio di far conoscere al più presto le strade del Regno di Dio.

La situazione è preoccupante, ma non sono un impedimento per le prime chiamate, che avvengono proprio in questo contesto, perché la notizia dell’uccisione del Battista correva sulla bocca di tutti. Anzi: “Venite dietro a me.”

Gesù non aspetta un momento più tranquillo, che passi la bufera per coinvolgere Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni nella sua sequela..penso ai contesti di tante proposte vocazionali, in genere fatte in ambienti asettici, in spazi artificiosi, avvolti da un silenzio suggestivo e volutamente in disparte dalla realtà e dalle sue preoccupazioni, viste più come un disturbo, che un’occasione. Mentre Gesù si mescola nella vita della gente che incontra: Vi farò diventare pescatori di uomini.” E’ proprio nel “mare della vita” che Gesù rivolge la chiamata ad essere pescatori di uomini, non li conduce in “un’oasi spirituale artificiale”. Lo sfondo delle prime chiamate è proprio l’arresto del profeta Giovanni Battista e la sua uccisione.

Mons. Romero, vescovo del Salvador di fronte all’uccisione del suo amico p.Rutilio Grande, ad opera dell’esercito, cambia radicalmente il suo modo di leggere ed annunciare il Vangelo, ponendosi dalla parte dei poveri e oppressi, questo lo porterà a sua volta, ad essere ucciso dagli stessi sull’altare nel 1984, proprio mentre celebra la Memoria di Gesù: Crocifisso e Risorto.

Gesù non chiede l’autorizzazione ad Erode (spazi, favori..) per iniziare la sua missione di annuncio del Vangelo di Dio, si mette in cammino e chiede ai suoi discepoli di fare altrettanto.

Andarono dietro a lui..” Questo cammino continua, è presente ancora oggi, anche grazie a tanti profeti che camminano lungo le strade del mondo, sparpagliando nei solchi della storia semi di Vangelo, semi di pace, di Giustizia e di Beatitudine..incuranti degli Erode di oggi.




carissimi magi, anzi carissimi cercatori nomadi di Dio …

 

 

una lettera aperta di p. Agostino Rota Martir ai ‘magi’ ‘nomadi di Dio’ in commento al vangelo dell’Epifania:

agostino

 Nomadi di Dio

Carissimi Santi Cercatori, non ne avrete a male se non vi chiamo Magi, parola che spesso vi circonda con un alone di leggenda infantile, da lungo tempo, forse fin dalle origini del vostro andare per il mondo, a cercare, a interrogare, a domandarsi. Non è forse questo il messaggio che ci annunciate per noi oggi, quanto mai valido e carico di novità: Gesù, Figlio di Dio ignorato dai suoi, ma cercato dagli estranei, dai lontani, dai disprezzati. E voi probabilmente eravate tutto questo! Disprezzati perché stranieri, perché indovini, cercatori di cosa? Costretti a muovervi in continuazione, un po’ per professione e un po’ per opportunità.  

Ma voi Lo avete adorato. Solo chi è in cammino saprà adorare la Luce del mondo, non chi vive fermo, cullato da verità che crede di avere in tasca e che vorrebbe imporre ad altri.

Voi, stranieri, migranti e nomadi in continuo movimento .. ci svelate il Mistero del Vangelo, senza di voi la nostra fede rischia di diventare un artiglio che ferisce e incapace di suscitare la Gioia.

E’ anche per questo che vi considero più reali di una leggenda che alimenta menti infantili.  

Ovunque, immagino siete stati visti con sospetto e diffidenza, anche per questo vostro incurante attraversamento di confini; d’altronde, un cercatore non è colui che osa spingersi sempre oltre, indifferente alle frontiere?

Raccoglitori di semi di verità senza tempo, sparpagliati ovunque nei solchi dei popoli. Solo voi mendicanti clandestini a seguire tragitti non segnati dalle mappe ufficiali, solo voi potevate raccogliere quei frammenti di luce di una stella, che appare e dispare lassù in cielo e custodirla pura nell’oceano del vostro cuore.  

Voi siete gli “zingari” di Dio, in grado di sconvolgere i piani dei “controllori” e di raggirare la menzogna dei loro tranelli, e che nel tempo assumono volti diversi: sicurezza, controllo, sgomberi, regole, integrazione..il seme di Erode mai si è estinto del tutto e trova ancora oggi grembi pronti ad accoglierlo. Capace, ieri come oggi, di presentarsi con le buone intenzioni: “Ripristinare regole e legalità..per avviare progetti di inclusione più efficace”.

Ma la stella non brilla su Gerusalemme, la città santa e di potere, appare solo quando le voltate le spalle e osate cercare fuori, sempre oltre..Lo avete intuito anche voi: non si può essere cercatori di Luce e nello stesso tempo assecondare le trame dei grandi.  

Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono.”

Immagino il vostro smarrimento, misto a meraviglia: dopo tanto viaggiare, con tutte le difficoltà affrontate, con gli occhi quasi infiammati dallo scrutare di notte una semplice stella ..ora come meta finale del vostro ricercare, trovarvi davanti ad una semplice casa, una normale mamma con il suo neonato. Una famigliola (non tanto in regola), al margine di villaggio, in un rifugio di fortuna, immagino la domanda che vi sarete fatti: “Può forse essere questa la meta del nostro viaggiare?”  

Ci vuole Fede, riuscire a prostrarsi e adorare nel neonato quella stessa Luce che guidava i vostri passi, ed ora riconoscere finalmente che anche Dio stava rispecchiandosi negli occhi di un semplice bambino, bisognoso di tutto.

Non è da tutti farcela a fare questo salto e a tenere dentro di voi, in silenzio questo immenso segreto: Dio si è fatto uomo e non si è rivelato attraverso i decreti dei potenti, ma nel sogno degli esclusi, ai semplici di ogni popolo e cultura, è un Dio che si fa clandestino sulle piste della speranza, incurante degli Erode di turno.  

Grazie, voi in un certo senso avete anticipato la Pentecoste (Chiesa in uscita), siete stati i germi di una Chiesa aperta e sparpagliata nel mondo e che porterà i suoi frutti..nonostante le paure e le trame di chi vorrebbe una Chiesa forte e ripiegata su se stessa, magari con gli Erode disposti a difenderla.

Per un’altra strada fecero ritorno.”   

Campo Rom di Coltano (PI)

5 Gennaio 2015

 

 

 

 

 




il vangelo della domenica

SIEDERÀ SUL TRONO DELLA SUA GLORIA E SEPARERÀ GLI UNI DAGLI ALTRI

Mt 25,31

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:  «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.  E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

p. Maggi il commento di p. Maggi:

Nel vangelo di Matteo che commentiamo, cap. 25, versetti 31-46, viene riportato l’ultimo importante insegnamento di Gesù. Per questo insegnamento Gesù si rifà ad un’immagine conosciuta nel mondo ebraico e la troviamo nel Talmud dove si legge che nell’aldidà il Santo, che benedetto sia, prenderà un rotolo della Torah, la Legge, se lo poserà tra i ginocchi e dirà: “Chi se ne è occupato venga e riceverà la sua ricompensa”.
Ebbene Gesù prende come modello questa descrizione, ma ne cambia i contenuti. Quello che determina la realizzazione dell’individuo non è il rapporto che avrà avuto con la legge, con Dio, ma la relazione, il rapporto che avrà avuto con le altre persone. Perché questo? Con Gesù, Dio – come descrive Matteo all’inizio del suo vangelo – è il Dio con noi. Allora con Gesù la direzione dell’umanità non è più verso Dio, ma con Dio e come Dio verso gli uomini.
Il Dio di Gesù non chiederà mai se si è creduto in lui, ma se si è amato come lui.
Vediamo allora l’insegnamento di Gesù. Gesù si presenta come il figlio dell’Uomo che appare nella sua gloria, e divide i popoli pagani. Non è un giudizio universale. Israele è già stata giudicata in questo vangelo, è il giudizio di quanti non hanno conosciuto Dio.
Ebbene, come il pastore separa le pecore dalle capre dividerà le persone. Così come il contadino distingue i frutti buoni dai frutti fradici, come il pescatore in questo vangelo ha saputo distinguere i pesci buoni e scartare quelli marci, così il Signore riconosce subito chi ha orientato la propria vita per il bene degli altri.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti dal Padre mio”, li benedice perché sono quelli che hanno realizzato il progetto di Dio sull’umanità. E poi elenca sei azioni di bisogno, di sofferenza, di necessità da parte dell’umanità con le risposte che sono state date.
Di queste sei azioni nulla riguarda l’atteggiamento verso la religione, nulla riguarda il comportamento verso Dio, ma quello avuto nei confronti dei bisogni dei bisognosi dell’umanità. Quello che consente la vita eterna non è quindi il comportamento religioso, ma un comportamento umano.
Quello che distacca in queste sei situazioni è il carcerato. “Ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. A quel tempo il carcerato non suscitava la compassione, non suscitava pietà, ma soltanto disprezzo. Andare a trovare un carcerato significava anche alimentarlo, visto che i carcerieri certo non provvedevano alla sua alimentazione. La sorpresa di queste persone alle quali Gesù ha detto che hanno fatto tutte queste cose a lui … “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, ecc”.
Ebbene la risposta di Gesù: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli …” Chi sono i fratelli più piccoli? Sono gli invisibili della società, sono i bisognosi, gli emarginati, gli esclusi. Ebbene Gesù lo considera fatto a lui. Questo non significa che bisogna amare gli altri per Gesù, ma amarli con Gesù e come Gesù.
E poi ecco il rovescio della medaglia. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti …” E’ importante sottolineare questo. Mentre prima Gesù ai giusti li ha chiamati 
“benedetti dal Padre mio” qui li dichiara “maledetti”, ma non dal Padre suo; Dio non maledice, Dio è soltanto benedizioni. Questa maledizione – è l’unica volta in cui appare nel vangelo – richiama la prima maledizione presente nella Bibbia, nel libro del Genesi, scagliata su Caino che ha assassinato il proprio fratello.
Allora Gesù è molto severo. Non offrire aiuto, non rispondere agli elementari bisogni, alle sofferenze, alle necessità degli altri, equivale a un omicidio. Sono maledetti non da Dio, ma il loro egoismo, la loro chiusura ai bisogni degli altri, li ha come maledetti. Chiunque si chiude alla vita si maledice.
“Maledetti, nel fuoco eterno”, il fuoco eterno significa quello che distrugge tutto, “preparato per il diavolo”. E’ l’ultima volta in questo vangelo che compare il diavolo nella sua distruzione finale, significa la sua sconfitta definitiva perché va a finire nel fuoco eterno che ha l’immagine di quello che distrugge tutto, “e i suoi angeli”, cioè i suoi emissari, quelli che si sono fatti strumenti di morte. Queste persone Gesù non le rimprovera per aver fatto qualcosa di male, ma sono diventati strumenti di morte perché non hanno fatto il bene in occasioni di necessità, in occasioni di sopravvivenza.
Anche questi rispondono – e lo fanno riassumendo tutte le situazioni di disagio dell’umanità, la fame, la sete, ma è interessante il finale “e non ti abbiamo servito?” che i giusti non lo dicono. Loro ovviamente credono di aver servito il Signore, di averlo servito nella liturgia, nel culto, non hanno compreso che con Gesù Dio non chiede di essere servito, ma lui che è Dio si mette a servizio degli uomini perché gli uomini con lui e come lui si mettano a servizio degli altri.
Ed ecco la sentenza di Gesù: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. Quindi, ancora una volta, quello che determina la riuscita nella vita e il comportamento della persona non è il rapporto avuto con Dio, ma il rapporto avuto con gli altri. Quando ci si chiude agli altri ci si chiude a Dio.
E se ne andranno questi al supplizio eterno, questa è un’immagine tratta dal libro del profeta Daniele, capitolo 12, versetto 2, che significa il fallimento definitivo della propria vita. Il termine tradotto con “supplizio” in greco significa “mutilare”. La punizione quindi non è dovuta al Padre, ma sono essi stessi che si sono puniti in quanto la loro è una vita mutilata, una vita che non è giunta alla pienezza.
Quindi non è un castigo, ma il fallimento totale, quello che nell’Apocalisse verrà definito “morte seconda”. Ma il vangelo termina con un’immagine positiva, “I giusti invece alla vita eterna”. Quanti hanno vissuto facendo del bene, comunicando vita a chi ne aveva bisogno, questi hanno realizzato la propria esistenza e soprattutto realizzato il progetto di Dio sull’umanità.

CRISTO, RE DELL’UNIVERSO

   il commento di p. Agostino:p. agostino

La Regalità di Gesù’ ha come orizzonte, non la forza, il controllo, la minaccia, ma ciò che ci appare fragile, inutile. La si misura dallo spazio concesso al povero: “dall’affamato, dallo straniero accolto, dal malato e dal carcerato che abbiamo visitato”. I poveri sono la porta d’ingresso principale di questo Regno. Non ci verrà chiesto se siamo stati fedeli a delle prescrizioni morali, se abbiamo rispettato i precetti liturgici, quanti pellegrinaggi fatti a Lourdes o Medijugore.. No, di tutto questo.   

I cittadini di Tor Speranza che hanno cacciato quei poveri ragazzi, colpevoli di essere stranieri a casa nostra, questa domenica hanno diritto di partecipare alla Messa? Coloro che dichiarano apertamente di non essere razzisti, ma che vorrebbero tutti i Rom dentro i forni crematori, come potranno accostarsi tranquillamente all’altare per ricevere l’Eucarestia? Hanno forse più diritto loro di ricevere la comunione, rispetto a un divorziato/a o a dei conviventi, ma capaci di porsi al fianco dei poveri nello stile del Vangelo?   

La Regalità di Gesù’ la riconosciamo guardando il volto del povero, del malato, dell’escluso, dello straniero. Perché è attraverso i loro occhi Dio guarda il mondo e l’intero universo. Il tempo dato al povero è sacro, in un certo senso consacra anche la nostra esistenza, anche senza saperlo “assomigliamo” a Dio: ” Quando Signore ti abbiamo visto affamato..?”

Ecco la regalità di Cristo, ha i volti dell’escluso ed e’ una regalità che ci da noia e che sgomberiamo volentieri in nome della sicurezza, come sta avvenendo in questi giorni anche qui a Pisa. Siamo sempre più affascinati dai lineamenti del vincitore, del suo luccichio, del profumo di incenso, perché convinti che l’ odore del povero, del Rom, del migrante, del disgraziato non può rendere gloria a Dio. Sarebbe una bestemmia per tanti cristiani e bravi sacerdoti.

Ed e’ un atteggiamento che hanno non solo i preti, i vescovi, ma anche i fedeli. Un modo di comportarsi che porta a dire: Ma noi siamo quelli che stanno con Signore. E da tanto guardare al Signore, finisce che non guardiamo le necessità del Signore, non guardiamo al Signore che ha fame, che ha sete, che e’ in prigione, che e’ in ospedale. In pratica non guardiamo il Signore nell’emarginato e questo e’ un clima che fa tanto male.” (papa Francesco, 17 nov. 2014)   

Ma mi chiedo come l’attenzione al povero, può essere anche una garanzia di salvezza fin da ora, non solo riservata al momento del nostro definitivo incontro con Dio?

Ti ringrazio o Padre, perché hai tenuto nascoste queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli.”  Le cose che i poveri (affamati, malati, carcerati, stranieri..) rivelano, ieri come oggi è che attraverso la loro esistenza fragile ci svelano la profezia di Dio. Le nostre vite cambiano non tanto perché facciamo qualche elemosina qua e là, ma perché loro sono la fonte del nostro cambiamento. E’ un Dio che ci umanizza attraverso la debolezza.

E’ una Regalità a portata di mano di tutti: “ L’affamato è lì, all’angolo della strada, e chiede diritto di cittadinanza.”  

 

Campo Rom dio Coltano (PI)  –  21 Novembre 2014