il veleno nella minestra, o qualcosa di simile, per papa Francesco

L’ATTACCO AL PAPA 
Attento, Francesco: i lupi ora ti mostrano i denti

ALL’OPERA UN BRANCO MODERNO DI INTERESSI TERRENI

LA STAMPA DI DESTRA E QUELLA INTERVISTA DI PADRE GEORG

di Antonio PadellaroPadellaro

Non siamo certo noi che dobbiamo dire a Papa Francesco che è circondato dai lupi. Lo sa perfettamente. Ma oggi quei lupi gli mostrano i denti pronti ad azzannarlo. Per esempio, c’è il titolo (sottolineato in rosso) di un giornale, Il Foglio, che almeno non si nasconde e scrive ciò che i lupi vanno predicando: “Un Papa immobile di fronte al jihad”.
Un Pastore che non muove un dito per difendere i propri fedeli, che resta “immobile” davanti al vecchio parroco sgozzato dalla furia islamista: cosa c’è di più vile? Francesco lo sa meglio di chiunque altro: la vulgata della sottomissione progressiva dei cristiani alla legge coranica, delle chiese soppiantate dalle moschee, del genocidio che arriva in Europa salutato dall’ossequio delle vittime ai carnefici rientra nell’offensiva del partito della sovversione in Vaticano. L’uso mediatico, cioè, del terrorismo jihadista per delegittimare definitivamente il Pontefice che si vorrebbe rispedire alla fine del mondo.
Quando fu eletto forse i lupi pensarono a un Papa Luciani meno cagionevole ma comunque Francesco li fregò alla grande facendosi servire i pasti a Santa Marta onde minimizzare i rischi. Dopo un po’, si sa, questo suo pauperismo neppure tanto ostentato cominciò a stare sulla scatole ai cardinaloni in limousine e Rolex d’oro al polso (beccati) cosicché leggemmo critiche neppure tanto velate a uno stile dimesso che mortificava l’immagine della Chiesa trionfante e quindi la Chiesa stessa.

caduta

Un Papa che gira a bordo di una Fiesta e che si reca come uno qualsiasi dall’ottico di piazza del Popolo a cambiarsi gli occhiali rattoppati: ma chi si crede di essere? Che la cosa sia naturalmente molto più seria, bene ce lo spiega padre Georg Gänswein, segretario del Papa Emerito Benedetto XVI, in un’intervista di pochi giorni fa accolta stranamente senza particolare clamore. Una demolizione di Francesco, dottrinaria e non solo, fatta con il guanto di velluto. “La mia impressione”, dice a un certo punto Georg, “è che Francesco goda di grande simpatia come uomo più di tutti gli altri leader del mondo. Ma riguardo alla vita e alla identità della fede questa sua simpatia non sembra avere grande influenza. I dati statistici, se non mentono, mi danno purtroppo ragione”. Le presenze alle messe “non sono purtroppo aumentate”, così come “le vocazioni e il ritorno alla Chiesa di chi “ha abbandonato” non è in crescita. Insomma, un “effetto Francesco” solo mediatico e non reale.padre Georg
Tutto fa brodo per raccontare di un Papa incamminato verso un rapido declino e se, come accaduto ieri, egli inciampa sulle scale del palco nel santuario di Czestochowa, questo sarà certamente il segno che neppure più si regge sulle gambe. Così quando il Pontefice afferma che non esiste una guerra di religioni ma ribadisce la sua storica definizione di una “Terza guerra mondiale a pezzi” e denuncia i veri interessi di chi getta benzina sul fuoco (finanza, controllo delle risorse naturali, sopraffazione, commercio delle armi), che tutto sono tranne che motivazioni religiose, subito scatta la ritorsione di quegli stessi interessi molto ma molto terreni. E dunque si descrive un Papa codardo di fronte al calvario dei cristiani perseguitati.
I lupi si adeguano. Non serve più il veleno nella minestra, basta e avanza il veleno delle parole.
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il caos in cui versa l’Italia di oggi

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ha ragione da vendere A. Padellaro nel delineare, ne ‘il fatto quotidiano’ odierno la preoccupante situazione in cui versa l’Italia come di barca alla deriva che vede tutti contro tutti fino alla tensione suprema tra chi vuole andare a votare subito, senza prospettive, e chi vuole che tutto resti com’è in un ‘caos immobile’ che ha il fetore dell’acqua stagnante!
così A. Padellaro:

Tutti contro tutti. L’Italia è una barca alla deriva come forse mai nella storia repubblicana. Di drammi, di momenti difficili il nostro paese ne ha vissuti tanti, eppure perfino nei giorni bui del terrorismo si avvertiva l’esistenza di una bussola collettiva politica e morale che orientava le persone e le faceva sentire partecipi di una comunità e non un popolo allo sbando. Oggi su giornali e nei tg compaiono solo scene di battaglia. Al Brennero, dove sulle barricate del made in Italy si agita il ministro De Girolamo di lotta e di governo, magari animata dalle migliori intenzioni, ma che finisce per essere il simbolo di una grottesca confusione dei ruoli. Fino alla Sicilia, dove le truppe furiose dei Forconi annunciano: “Bloccheremo l’Italia” e si preparano a passare lo Stretto con carovane di tir per unirsi alla protesta veneta. Mentre nella Capitale non c’è categoria in rivolta che non cinga d’assedio Montecitorio, il palazzo più odiato d’Italia. La colonna sonora della nazione, del resto, sono le urla delle piazze o gli strilli che escono dai televisori, dove gli ascolti si misurano con i decibel della rabbia.

In un momento così difficile, con la sentenza sulla porcata elettorale, la Corte costituzionale ha cercato di richiamare ai propri doveri i partiti e il governo. Oltre ai rilievi in punta di diritto, la Consulta ha trasmesso alle istituzioni di ogni ordine e grado un messaggio chiarissimo: sono anni che non riuscite a mettervi d’accordo su una legge elettorale degna di questo nome, adesso non avete più scuse. Il giorno dopo questo ceffone, una classe politica e di governo degna di questo nome si sarebbe messa al lavoro. E invece la rissa divampa più di prima. Non esiste uno straccio di accordo, ma Camera e Senato trovano il modo di litigare su chi abbia la precedenza nella discussione sulla riforma che non c’è. Dal Quirinale, il presidente Napolitano rassicura sulla totale legittimità dell’attuale Parlamento e di quello precedente, che infatti lo hanno eletto per la prima e per la seconda volta. Tesi discussa e discutibile poiché si obietta che una legge costituzionalmente malata è difficile che dia risultati sani. Senza contare la guerriglia in corso tra chi vorrebbe andare a nuove elezioni subito (Berlusconi, Grillo e forse anche Renzi) e chi invece vuole conservare lo status quo (Napolitano, Letta, Alfano). E tutto resta fermo. Siamo il Paese del caos immobile.

 

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la burocrazia del mare che uccide

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è giustamente arrabbiatissimo A. Padellaro, direttore de ‘il fatto quotidiano’ nei confronti della burocrazia marina (ma non solo) che in nome di protocolli e formalità astratte permette non solo la morte di tante persone non soccorse in tempo utile, ma impedisce a volontari di farlo, pena l’accusa di favoreggiamento dell’emigrazione illegale …

Lampedusa, il protocollo dell’Isola dei Conigli

di Antonio Padellaro 

Ma quali imperdonabili colpe hanno i poveri morti di Lampedusa abbandonati, bruciati, annegati e adesso usati, maneggiati, falsificati ed esibiti come una qualunque, dozzinale merce politica e televisiva? Che dire del ministro Alfano che “unendosi alla vergogna del Papa” ne tradisce il pensiero e lesto se ne appropria avendo, al contrario, Francesco rivolto il grido sdegnato anche e soprattutto a quegli uomini di governo che potevano fare e non hanno fatto. E che poco hanno intenzione di fare visto che Angelino mette le mani avanti e ci comunica che “forse non sarà l’ultima tragedia” come se gli oltre 6mila migranti, che in un decennio hanno concluso la loro traversata in fondo al mare morto siciliano, fossero la conseguenza di una fatalità imperscrutabile e inevitabile. Cosa dunque dobbiamo pensare quando la presidente della Camera Boldrini ci dice che “nulla dovrà essere più come prima”, visto che “prima” c’era lei che per conto dell’Onu si occupava a tempo pieno di quei rifugiati di cui ora non risulta che si occupi più nessuno? E quel tutto che deve cambiare perché nulla sia più come prima come potrà farlo in presenza di leggi infami e imbecilli come quella Bossi-Fini che prevede l’accusa di favoreggiamento anche per chi soccorre in mare persone stremate che stanno per morire? (Senza contare il reato di immigrazione clandestina che sarà contestato ai superstiti, colpevoli forse, di essere rimasti vivi). Come può cambiare la burocrazia vigliacca del nulla impastato col niente che, mentre le barche dei pescatori affondavano stracolme di corpi disperati, avrebbe risposto alla richiesta di trasbordarli sulle motovedette, “non possiamo, dobbiamo aspettare il protocollo”.

Frase talmente abietta che l’unica cosa da augurarsi è che non sia mai stata pronunciata. E se il premio Nobel per la Pace andrebbe giustamente assegnato alla nobile gente di Lampedusa, per il senso profondo che hanno dato alle parole accoglienza e soccorso, quale solenne menzione di biasimo si dovrebbe appuntare sul petto di chi doveva intercettare il barcone con il dispositivo Frontex o per lo meno, avvistarlo con i radar e che avrà per sempre sulla coscienza quella moltitudine implorante e sommersa a poche centinaia di metri dalla costa? Vicino a quell’Isola dei Conigli, dalla notte del 2 ottobre luogo geografico della disperazione e dell’ignavia. Che hanno fatto di male i poveri corpi di Lampedusa per essere esposti infine nei talk show della sera, vittime che i consueti ospiti urlanti si sono rinfacciate nel solito pollaio tra finta commozione e autentica oscenità? Potrebbe non essere l’ultima pena riservata a questi eritrei e somali colpevoli di essere fuggiti dalla fame se, come si teme, il minuto di silenzio loro tributato negli stadi dovesse essere interrotto dai fischi e cori razzisti. Sarebbe la degna marcia funebre per un Paese che è naufragato molto tempo fa.

Il Fatto Quotidiano, 6 Ottobre 2013

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