ha un volto la misericordia?

il volto della misericordia

di Angelo Casati
in “Mosaico di pace” del febbraio 2016

Casati

“non cadiamo nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità. Che il loro grido diventi il nostro e insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza che spesso regna sovrana per nascondere l’ipocrisia e l’egoismo”

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Non posso che spigolare. Spigolare dietro un’abbondanza. L’abbondanza di una lettera. Non sono un esperto di giubilei del passato né delle loro bolle di indizione, sono lettore della lettera che papa Francesco ha scritto, con la quale apre questo giubileo, “Misericordiae vultus”. “Lettera” sta scritto. Mi sono detto che non dovremmo leggerla come un documento, quasi depredandola della sua qualifica di lettera. Un conto è quando leggi un testo, un conto è quando apri e leggi una lettera. La differenza è enorme. Se è lettera, in primo piano c’è un volto e tu ascolti racconti. Le lettere è difficile riassumerle, e forse anche farne commento, forse puoi solo raccontare emozioni. A busta richiusa. Per certe lettere mai chiusa. La premessa va da un lato a dire l’entusiasmo per il genere letterario della “lettera”, ma anche a segnalare l’orizzonte piccolo delle mie riflessioni: saranno emozioni di lettura. Niente di più: sono principiante, per natura un principiante. Una prima emozione è nella titolazione “Misericordiae vultus”. Il volto: confesso che ho passato una vita a cercare volti. Soprattutto volti. Più che ottantenne ancora cerco volti, mi interessano i volti. Volti — diceva Italo Mancini —”da guardare, da rispettare, da accarezzare…”. Ha un volto la misericordia? Starei per dire che il suo volto, la sua identità, la sua passione è “guardare, rispettare, accarezzare i volti”, senza esclusioni. La lettera di Francesco invita a guardare, a toccare con tenerezza: “Non cadiamo nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità. Che il loro grido diventi il nostro e insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza che spesso regna sovrana per nascondere l’ipocrisia e l’egoismo” (n.15). Ebbene, mi sembra di poter dire che il volto, i volti, hanno a che fare con le porte e penso alle porte dell’anno santo. La porta, immagine di una bellezza mozzafiato, la porta, che fa squarcio nell’immobile durezza del cemento armato. È con la misericordia che tu bussi e passi umile e fiducioso la porta dell’altro. Giubileo come aprire porte. Ma non puoi dimenticare la precedenza: se tu passi una porta, è perché Dio per primo l’ha passata per te, verso di te. La tua misericordia, il tuo sguardo di misericordia, il tuo volto di misericordia ha un incipit nella misericordia del tuo Dio. Lui, il primo a passare la porta verso di te, a mostrarti il suo volto. Troppo a lungo abbiamo annunciato un Dio impassibile, distaccato, in alto; meno, un Dio toccato nelle viscere dalla nostra fragilità e dal nostro peccato. Toccato nelle viscere —dice l’Antico Testamento —come succede a una donna quando porta in grembo un piccolo d’uomo. Così Dio. È toccato nelle viscere per noi, quando ancora noi non siamo toccati nella via di una conversione. Ed era lo scandalo del Vangelo. Gesù passava la porta prima che i peccatori si fossero convertiti. Così agendo diventava insopportabile. Insopportabile l’idea che — come successe quel giorno con Zaccheo, ma fu una volta tra le tante — sedesse a pranzare con pubblicani e peccatori. Si badi, non convertiti. Perché nel caso avessero premesso un atto di pentimento, nessuno avrebbe gridato allo scandalo. Quella festa, con quelle voci che giungevano sin sulla strada, era per i benpensanti della religione indecorosa. Ma così è Dio, e così, con questi banchetti, il Figlio lo raccontava. Ed era questo a convertire. A convertirti non è certo uno sguardo inceneritore, bensì la tenerezza che pulsa nello sguardo dell’altro. Che non ti guarda dall’alto in basso. Anche questa è mistificazione della misericordia. Misericordia non significa far piovere dall’alto una sorta di compassione, quasi dicessimo “oh poverini!”. Non è questa la misericordia di Dio. Che va, invece, a riconoscere e a scommettere sulla bellezza che è in te. Dio ti riconosce dignità vestendoti. Lo fece
con Adamo ed Eva, lo raccontò Gesù narrando di un padre che fece una festa da sogno per il figlio che se n’era andato e lo vestì dell’abito più luminoso. dal basso in alto Non dall’alto in basso, ma dal basso in alto. Misericordia è inginocchiarsi. Ancora mi ritorna alla memoria, quasi icona, il Gesù piegato a terra il giorno in cui gli portarono, quasi fosse un oggetto, la donna sorpresa in adulterio. E Gesù, a confronto con gli scribi e i farisei, che, da giudici spietati, volevano la lapidazione della donna, che cosa disse e che cosa fece? “Chi di voi” disse “è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. E poi, dopo aver scritto parole segrete per terra, sulla sabbia, si alzò e disse “Donna, nessuno ti ha condannata? Nemmeno io ti condanno. Va’ e d’ora in poi non peccare più”. Dal loro alto scribi e farisei la condannavano, lui dal basso “faceva misericordia”. Quel giorno sulla sabbia accadde la misericordia. Il Gesù piegato. Piegato fa la misericordia. Se non ti pieghi dici a parole misericordia, ma non fai la misericordia. La donna sentì parole che erano a centimetro di viso, le altre arrivano da grattacieli di spietatezza.
Dio passa la porta inginocchiandosi davanti a te. Messaggio per una Chiesa. Dimenticato? Troppo critici, direbbe qualcuno. Ma la constatazione, se pur preceduta da un incantevole “forse”, è di papa Francesco: nella lettera osa dire che in qualche misura si è smarrito il cuore dell’Evangelo, che si è ampiamente e a lungo declinato la fede con parole marginali, impallidendone la buona notizia, impallidendo il vero nome di Dio che è “misericordia”. Temo che ancora non ci sfiori l’intensità e l’urgenza di questa denuncia del Papa che scrive: “Forse per tanto tempo abbiamo dimenticato di indicare e di vivere la via della misericordia” (n.10). Per tanto tempo! sosta laica Passo di emozione in emozione leggendo, né mi rimane tempo di sostare. Vorrei, prima di consegnare questi pensieri su volti e su porte, fare un accenno alle porte che forse un poco rozzamente chiamiamo “laiche”. Per recensire un altro stupore. Perché per troppo tempo eravamo abituati a giubilei che fossero passare la porta santa in un luogo liturgico, nella sfera del cosiddetto sacro. Ma se in una lettera ti viene sussurrato che l’indulgenza tu la ricevi in dono, anche se fai un’opera di misericordia, tutto cambia. A me sa di rivoluzione. Quasi a dire che ci sono porte sante “laiche”, ci sono porte sante di “non credenti”. Le opere di misericordia, infatti, non sono forse quelle che l’Evangelo in una parabola attribuisce a coloro che non hanno conosciuto il Signore, ma si sono sentiti dire di averlo servito solo perché si sono chinati sulla sofferenza degli umani? Passerò per un sognatore, ma non riesco a non immaginarmi porte sante nelle case e per le strade, vado riconoscendo porte sante anche là dove qualcuno proprio non le metterebbe. Non ha forse chiarito anche questo, Francesco, quando, parlando dei carcerati, ha scritto: “Ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre, possa questo gesto significare per loro il passaggio della Porta santa”. Cammino e vedo porte sante.