la visione limitata di papa Francesco sulla donna

Francesco e le donne: parole infelici

di Andrea Grillo

lovanio

Poiché ormai da molto tempo si è aperto uno spazio di discussione sul ruolo della donna nella Chiesa, di recente soprattutto a partire dalla decisione di papa Francesco di istituire una prima commissione di studio sulla storia del diaconato femminile, nel discorso agli studenti tenuto sabato 28 settembre a Lovanio  sono emersi in modo chiaro alcuni limiti profondi della visione cattolica di Francesco sulla donna, lettura che si pensa di poter proporre come “dottrina”, quando è costituita solo da pregiudizi culturali verniciati da una patina di Vangelo.

Un esame più accurato di alcuni passi del discorso di ieri permette di identificare bene la radice teorica, diremmo dottrinale, di queste parole infelici. Prima cito il testo pronunciato e poi faccio seguire alcuni miei chiarimenti.

Ecologia umana ed essenzialismo

Pensare all’ecologia umana ci porta a toccare una tematica che sta a cuore a voi e prima ancora a me e ai miei Predecessori: il ruolo della donna nella Chiesa. Mi piace quello che tu hai detto. Pesano qui violenze e ingiustizie, insieme a pregiudizi ideologici. Perciò bisogna ritrovare il punto di partenza: chi è la donna e chi è la Chiesa. La Chiesa è donna, non è “il” Chiesa, è “la” Chiesa, è la sposa. La Chiesa è il popolo di Dio, non un’azienda multinazionale. La donna, nel popolo di Dio, è figlia, sorella, madre. Come io sono figlio, fratello, padre. Queste sono le relazioni, che esprimono il nostro essere a immagine di Dio, uomo e donna, insieme, non separatamente! Infatti le donne e gli uomini sono persone, non individui; sono chiamati fin dal “principio” ad amare ed essere amati. Una vocazione che è missione. E da qui viene il loro ruolo nella società e nella Chiesa (cfr S. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Mulieris dignitatem, 1).

Una “ecologia umana” non si lascia definire soltanto sul piano di “funzioni naturali”. Qui vi è una sorta di cattura del femminile nel naturale. La donna appare, inevitabilmente, come corrispondenza: figlia, sorella, madre, sposa. Si deve notare, come da almeno 200 anni si contesta con autorevolezza, che la definizione della donna accade in un rimando all’uomo. Ha senso solo se ha accanto un uomo.

Da figlia, a sposa, a madre. Proprio questo modo di pensare la cultura tardo-moderna ha saputo rielaborare con finezza, senza negare la differenza, ma non proiettandola anzitutto sul piano della autorità. La donna, come l’uomo, è definita da queste relazioni, ma anche da mille altre dimensioni, che fanno parte anch’esse della sua essenza: la donna, come l’uomo, ha una essenza aperta, storica, libera, non predefinita.

Qui sta la fragilità di questa prima proposizione. D’altra parte, il “genere femminile” della parola Chiesa, su cui insiste Francesco, non serve molto a capire la identità femminile. Ignazio di Loyola diceva che la Chiesa gerarchica, se avesse affermato che una cosa era nera, lui l’avrebbe creduto nera anche se la vedeva bianca.

Questa famosa affermazione era comprovata da un ragionamento che dovrebbe sorprendere un “figlio di Ignazio” come il papa. Egli diceva che la Chiesa gerarchica era “sposa di Cristo” e come tale non poteva sbagliare. Essendo la Chiesa gerarchica composta solo da uomini (tanto più ai tempi di Ignazio), era evidente che il genere femminile della Chiesa poteva bene adattarsi al genere maschile dei vescovi. Non si vede perché non dovrebbe adattarsi, anche meglio, al genere femminile di futuri ministri ecclesiali.

L’oblio dei “segno dei tempi”

Ciò che è caratteristico della donna, ciò che è femminile, non viene sancito dal consenso o dalle ideologie. E la dignità è assicurata da una legge originaria, non scritta sulla carta, ma nella carne. La dignità è un bene inestimabile, una qualità originaria, che nessuna legge umana può dare o togliere. A partire da questa dignità, comune e condivisa, la cultura cristiana elabora sempre nuovamente, nei diversi contesti, la missione e la vita dell’uomo e della donna e il loro reciproco essere per l’altro, nella comunione. Non l’uno contro l’altro, questo sarebbe femminismo o maschilismo, e non in opposte rivendicazioni, ma l’uomo per la donna e la donna per l’uomo, insieme.

Questo secondo passaggio costituisce un rafforzamento teorico del precedente e mostra alcuni problemi piuttosto macroscopici. Da un lato esordisce affidando al “femminile” una essenza indipendente dal consenso e dalle ideologie. Una legge originaria assicura la dignità anche della donna, al di qua e al di là di ogni legge umana.

Ma dove sta qui la ideologia? Non è forse proprio questo modo astorico di pensare il femminile ad aver nutrito, lungo i secoli, una sostanziale discriminazione ed esclusione della donna da ogni sfera di esercizio pubblico della autorità? Perché mai sarebbe ideologico scoprire che la donna può fare sport, può esercitare il diritto di voto, può concorrere a concorsi pubblici, può accedere come violinista, o oboista, alle più grandi orchestre del mondo e anche alla autorità ecclesiale?

Il riconoscimento della autonomia della donna, della sua emancipazione, non è contro la legge naturale, ma è il risultato di una nuova lettura del soggetto, del mondo e dell’ambiente. Siamo esseri storici, sia come uomini, sia come donne: il vangelo non elabora la propria cultura a partire dal pregiudizio essenzialista che blocca la donna in privato, ma contribuisce, con tutte le altre culture, alla scoperta di una dignità in cui comunità e individuo stanno in relazione.

La pretesa del maschile di essere il “punto comune” per giudicare su maschi e femmine, distorce la storia: una legittima autonomia del femminile (come del maschile) è il principio di definizione dell’umano. Perciò “la donna in generale” è un concetto vuoto, utile solo per bloccarne la identità. Come ha detto bene Rahner, che era gesuita, “la donna in generale non esiste”.

Riduzione privata del femminile

Ricordiamo che la donna si trova al cuore dell’evento salvifico. È dal “sì” di Maria che Dio in persona viene nel mondo. Donna è accoglienza feconda, cura, dedizione vitale. Per questo è più importante la donna dell’uomo, ma è brutto quando la donna vuol fare l’uomo: no, è donna, e questo è “pesante”, è importante. Apriamo gli occhi sui tanti esempi quotidiani di amore, dall’amicizia al lavoro, dallo studio alla responsabilità sociale ed ecclesiale, dalla sponsalità alla maternità, alla verginità per il Regno di Dio e per il servizio. Non dimentichiamo, lo ripeto: la Chiesa è donna, non è maschio, è donna.

Anche la terza parte del discorso che consideriamo appare segnata pesantemente da pregiudizi culturali, che la tradizione teologica ha assunto acriticamente e che vengono ripetuti come se fossero parte del “depositum fidei”.

Maria non è “principio mariano”. Maria non è “una donna per tutte”. Maria è esclusa dalla pubblica autorità, esattamente come tutte le altre donne, prima e dopo di lei. La sua esemplarità e santità non parla del sesso, ma della fede. Una parte di quello che proiettiamo su Maria, come se fosse santo, è solo il pregiudizio di un mondo maschile, che vuole tenere la donna chiusa nella sfera privata. Così abbiamo riflettuto per secoli.

Abbiamo anche riconosciuto una autorità alle donne in materia sacramentale, purché fosse delimitata dalla camera da letto, dalla sala da parto, dalla casa. Fuori le donne non potevano né agire sacramentalmente, né fare catechesi. L’essenzialismo che domina molti discorsi ecclesiali proietta sulle donne questo modello limitato a tal punto, da arrivare, come fa Francesco, a pensare che la donna che si sente chiamata all’esercizio di autorità in pubblico “vuole fare l’uomo”.

Questa è forse la frase più infelice di tutte. Perché confonde un modello culturale tradizionale e borghese con la verità del vangelo. La donna non è solo “accoglienza feconda, cura, dedizione vitale”: se non usciamo da questo modello naturalistico ed essenzialistico, e lo confondiamo con la rivelazione, non parliamo più del vangelo, ma solo dei nostri pregiudizi. Soprattutto agli studenti questo dovrebbe essere risparmiato, da parte di tutti i cristiani, e a maggior ragione dai papi.




il messaggio di papa Francesco per la giornata mondiale del migrante

papa Francesco:

«Nei migranti assetati e provati incontriamo il Signore»


di Mimmo Muolo 

 il testo per la Giornata del Mondiale del Migrante e del Rifugiato del prossimo 29 settembre

«Anche la Chiesa è migrante verso il Regno. Preghiamo per chi deve lasciare la sua terra»

Il Papa con un gruppo di migranti, durante un'udienza generale

il papa con un gruppo di migranti, durante un’udienza generale 

Vedere nei migranti Cristo stesso e farsi buoni samaritani nei loro confronti. È questo l’invito che il Papa ripete nel Messaggio per la 110a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che sarà celebrata domenica 29 settembre 2024, sul tema: “Dio cammina con il suo popolo”. «L’incontro con il migrante, come con ogni fratello e sorella che è nel bisogno – scrive infatti Francesco -, «è anche incontro con Cristo. Ce l’ha detto Lui stesso. È Lui che bussa alla nostra porta affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, carcerato, chiedendo di essere incontrato e assistito».

Il Pontefice ricorda anche che ogni cristiano può essere considerato un migrante, perché in viaggio verso la Patria celeste. E facendo riferimento al Sinodo di ottobre prossimo ricorda. «L’accento posto sulla sua dimensione sinodale permette alla Chiesa di riscoprire la propria natura itinerante, di popolo di Dio in cammino nella storia, peregrinante, diremmo “migrante” verso il Regno dei cieli. Viene spontaneo il riferimento alla narrazione biblica dell’Esodo, che presenta il popolo d’Israele in cammino verso la terra promessa: un lungo viaggio dalla schiavitù alla libertà che prefigura quello della Chiesa verso l’incontro finale con il Signore«. Il parallelo tra l’Esodo e i viaggi odierni dei migranti è infatti uno dei punti forti del Messaggio. «Le due immagini – quella dell’esodo biblico e quella dei migranti – presentano diverse analogie – spiega Francesco -. Come il popolo d’Israele al tempo di Mosè, i migranti spesso fuggono da situazioni di oppressione e sopruso, di insicurezza e discriminazione, di mancanza di prospettive di sviluppo. Come gli ebrei nel deserto, i migranti trovano molti ostacoli nel loro cammino: sono provati dalla sete e dalla fame; sono sfiniti dalle fatiche e dalle malattie; sono tentati dalla disperazione». 

Ma il Papa ricorda anche che «Dio precede e accompagna il cammino del suo popolo e di tutti i suoi figli di ogni tempo e luogo. La presenza di Dio in mezzo al popolo è una certezza della storia della salvezza». Dio dunque cammina con i migranti. E molti di loro «fanno esperienza del Dio compagno di viaggio, guida e ancora di salvezza. A Lui si affidano prima di partire e a Lui ricorrono nelle situazioni di bisogno. In Lui cercano consolazione nei momenti di sconforto. Grazie a Lui, ci sono buoni samaritani lungo la via. A Lui, nella preghiera, confidano le loro speranze. Quante bibbie, vangeli, libri di preghiere e rosari – nota ancora il Papa accompagnano i migranti nei loro viaggi attraverso i deserti, i fiumi e i mari e i confini di ogni continente».

Ma non solo Dio è compagno di viaggio. Egli si identifica con loro. «Dio non solo cammina con il suo popolo, ma anche nel suo popolo, nel senso che si identifica con gli uomini e le donne in cammino attraverso la storia – in particolare con gli ultimi, i poveri, gli emarginati –, come prolungando il mistero dell’Incarnazione». In questo senso «ogni incontro, lungo il cammino – prosegue il Messaggio -, rappresenta un’occasione per incontrare il Signore; ed è un’occasione carica di salvezza, perché nella sorella o nel fratello bisognoso del nostro aiuto è presente Gesù. In questo senso, i poveri ci salvano, perché ci permettono di incontrare il volto del Signore». Di qui l’invito del Pontefice a unirsi «in preghiera per tutti coloro che hanno dovuto abbandonare la loro terra in cerca di condizioni di vita degne. Sentiamoci in cammino insieme a loro, facciamo “sinodo” insieme, e affidiamoli tutti, come pure la prossima Assemblea sinodale, all’intercessione della Beata Vergine Maria, segno di sicura speranza e di consolazione nel cammino del Popolo fedele di Dio».

Il testo si conclude poi con una preghiera scritta dal Papa che qui riportiamo integralmente:

Dio, Padre onnipotente,
noi siamo la tua Chiesa pellegrina
in cammino verso il Regno dei Cieli.
Abitiamo ognuno nella sua patria,
ma come fossimo stranieri.
Ogni regione straniera è la nostra patria,
eppure ogni patria per noi è terra straniera.
Viviamo sulla terra,
ma abbiamo la nostra cittadinanza in cielo.
Non permettere che diventiamo padroni
di quella porzione del mondo
che ci hai donato come dimora temporanea.
Aiutaci a non smettere mai di camminare,
assieme ai nostri fratelli e sorelle migranti,
verso la dimora eterna che tu ci hai preparato.
Apri i nostri occhi e il nostro cuore
affinché ogni incontro con chi è nel bisogno,
diventi un incontro con Gesù, tuo Figlio e nostro Signore.
Amen.




la micidiale opposizione a papa Francesco

io sto con papa Francesco

di SERGIO DI BENEDETTO

Di fronte all’aumentare di violenti attacchi contro il papa, è importante ricordare cosa Francesco ha fatto in pochi anni per la Chiesa e avere leali sentimenti di gratitudine. Sono aumentati, negli ultimi mesi, gli attacchi contro Papa Francesco. Sempre più violenti, sempre più ideologici e, allo stesso tempo, sempre più sottilmente pervasivi. Ciò che mostra, inoltre, una recrudescenza, è l’ampiezza delle ‘bocche di fuoco’ e degli ambiti da cui giungono tali attacchi: se prima erano frange rumorose ma minoritarie, scomposte, estremiste, molto schierate politicamente ma povere culturalmente, ora vanno via via crescendo i veleni provenienti da voci e settori apparentemente ‘moderati’, che, tuttavia, nella sostanza delle argomentazioni, mostrano una saldatura tra ‘indietrismo’ ecclesiale, tradizionalismo spaventato, acceso conservatorismo politico-sociale, strumentalizzazione evangelica. Si assiste, per certi versi, a una sorta di ‘apocalisse’ del dibattito, che disvela intenzioni di menti e cuori, che palesa ambizioni e frustrazioni, che conduce a impiegare in malo modo gli organi di comunicazione. Come sempre, nessuna trasmissione di notizia è fondamentalmente neutra; insistere su alcuni aspetti tacendone altri è gioco noto nell’arena della comunicazione (l’incattivita matrice populista, sempre pronta ad additare il nemico, in questi anni ha dato prova del suo mortifero ma efficace potere, come dimostra troppa televisione). 

Per non rimanere nel vago: il giornale ‘moderato’ che fa passare per vittima il cardinal Burke, che da anni fomenta con vigore una esplicita fronda antipapale, fino a organizzare convegni contro il Sinodo e scrivendo la prefazione a un libretto contro il Papa mandato ai parroci (tutti particolari omessi), dimenticando quanto tutto ciò attenti all’unità della chiesa e alla funzione del cardinalato. Oppure la notizia del ‘cattivo’ Bergoglio che punisce il vescovo statunitense Strickland, tacendo sulle sue lettere pastorali antipapali, sulle sue manifestazioni apertamente politiche, su una diocesi dilaniata, sul suo sostegno antiscientifico. Il ‘carnefice’ diviene così ‘vittima’, l’incendiario diviene ‘pompiere’: giochi verbali di inconsistente onestà intellettuale che, però, seminano discordia e odio, soprattutto in persone poco misurate e poco attrezzate culturalmente, oggetto prediletto di campagne mediatiche o social che azzannano la pace e spargono finti segni nefasti di nebbie, complotti, distruzioni. Rimangono macerie, morali, intellettuali e spirituali, su cui ballano i fomentatori di discordia.Ma ciò che stupisce riguarda anche alcuni teologi, storici del cristianesimo, giornalisti, che apparivano equilibrati nella critica o nell’apprezzamento, e che ora non perdono un istante nel sottolineare le mancanze del Papa in quell’ambito o un suo errore o una sua incertezza, passando sotto silenzio il bene che c’è e deformando la percezione della realtà. C’è da dire che il Papa stesso ha chiesto parresia e la ridda di voci e attacchi sono parte del cammino che egli ha voluto far intraprendere alla Chiesa; anche la leggenda del ‘Bergoglio dal pugno di ferro’ è appunto priva di consistente appoggio reale, oltre i tratti del carattere di Francesco, per chi abbia un poco di conoscenza delle questioni ecclesiali almeno moderne: nessun Papa ha avuto tanti detrattori come Bergoglio (nemmeno Paolo VI), e nessuno ha tollerato tanto. Non si dimentichi che fino a non pochi anni fa venivano tolte le cattedre a teologi e ricercatori per molto meno. Un’opinione fuori posto, un’idea ‘poco ortodossa’ producevano correzioni e decreti.La fedeltà è solo di facciata, mentre l’infedeltà pericolosa è diffusa, con l’ausilio di siti compiacenti, di pettegolezzi velenosi e truffaldini.Ecco, l’impressione è che il Papa, che forse ha un poco deluso una certa ala progressista e al tempo stesso risulta intollerabile per un cristianesimo ultratradizionalista (delusioni anche legittime, come già scrissi), e che certamente ha commesso qualche errore (chi non ne fa?), sia ormai divenuto una sorta di ‘capro espiatorio’ per ogni cosa che non funziona come vorrebbe chi di volta in volta prende la parola e allestisce il giudizio, magari seguendo la moda che fa passare da una (sbagliata) papolatria al giudizio distruttivo senza remore.Inoltre, mi pare che ci siano due considerazioni da fare, che ritengo utili per inquadrare meglio il tutto. La prima è ovvia: il Papa è anziano, ha problemi di salute e, come in ogni organismo di potere, si muovono le posizioni per il futuro. Tra chi spera che ‘passata la festa, gabbato lo santo’ e chi teme il ritorno di una certa impostazione dirigista, sempre mal tollerando il Vaticano II e la sua eredità, i riposizionamenti sono naturali ed espliciti. Ma qui ci sono una mancanza di finezza, un opportunismo e una volgarità da far cadere le braccia. La seconda: si assiste all’oblio del recente passato. Forse non ci si ricorda più cosa era la Chiesa romana fino a una dozzina anni fa, soprattutto in parte della sua gerarchia, impastata di potere e ipocrisie e scandali insabbiati, di incoerenze taciute e condanne espresse, di punizioni e costosi compromessi, di doppiopesismi concettuali e corruzioni varie, tanto da portare alla dimissioni di un pontefice… e cosa è ora la Chiesa, al di là poi dei talenti e dei limiti dei singoli papi. Papa Francesco ha grandi meriti: ha riaffermato la centralità della misericordia, ha indetto un giubileo sul tema, ha rilanciato l’ecumenismo, ha spronato la chiesa affinchè uscisse da recinti di paura o posture politicamente militanti ed ecclesialmente divisive, ha ridato carne e umanità a molte tematiche teologico-ecclesiali – a partire dalla famiglia, dall’omosessualità, dall’accesso ai sacramenti – su cui pendeva una cappa di piombo e di falso giudizio; ha ridato spazio alla sinodalità e alla comunione ecclesiale come forme privilegiate della vita cristiana; ha posto nuovamente al centro i poveri; ha ricordato che il Vangelo e Gesù Cristo non sono né una morale né un’ideologia (si pensi alla magnifica Evangelii Gaudium); ha posto nuova luce sul tema del creato, che è un’emergenza planetaria; ha ribadito che i lontani hanno qualcosa da dire alla Chiesa; si è sforzato di concedere il primato alla pastoralità, con avversione di molti pastori; ha illuminato nuovamente la fraternità; ha deciso per un ruolo maggiore delle donne nella Chiesa; ha riordinato movimenti, gruppi e prelature personali; ha posso in essere sistemazioni liturgiche, contro gli arbitri personali e i gusti del singolo, provando a evitare che la liturgia sia mezzo per rigettare il Concilio.Contro l’idea di una dottrina castello ‘perfetto’ di norme e regole, che tutto incasella, ma lascia fuori la vita delle persone (e l’incarnazione di Cristo), ha restituito il primato della coscienza. Agisce per la pace, in un mondo in fiamme, oltre gli equilibrismi antichi e moderni. Certo, molto di ciò che dice il Papa tocca il portafogli e i moralismi rassicuranti su cui poggiano poteri e ideologie, e questo spiega la violenza delle reazioni, secondo le quali, in sostanza, sarebbe meglio un cristianesimo moraleggiante e innocuo che un cristianesimo vivo, che tocchi le ferite dell’umanità. Contro una fede rassicurante e quieta, Francesco ha dato spazio a inquietudini e dubbi, alla ricerca del volto di Dio; ha rianimato la profezia come modus evangelico.Contro le buone parole che, però, nei fatti nascondono il potere nelle sue varie forme, tenta di riallineare parole e opere. Ha sopportato non tanto le critiche positive (legittime, anche opportune), ma le accuse false, le violenze verbali, i tranelli che dividono (diabolicamente, direbbe l’etimologia), reggendo a campagne mediatiche livorose, considerando che egli è il primo Papa nell’era dei social anonimi che ha dovuto anche gestire una convivenza non facile con un predecessore ritirato, ma non sempre fedele alla scelta del silenzio di comunione. Per questo, e per altro ancora, mentre l’età avanza e la salute inciampa, voglio dire che, per quello che vale, io sono con Papa Francesco e gli sono grato per il cammino che ha fatto compiere alla chiesa, con tutte le fatiche, gli errori e le incertezze che ci sono stati. Ma il bene compiuto è di gran lunga maggiore; «dai frutti li riconoscerete». A partire dalla propria vita di fede.Papa Francesco, ad multos annos!




i non pochi nemici di papa Francesco …

gli oppositori alla chiesa di Francesco

di Víctor Codina

Victor Codina, autore di questo articolo, è originario della Spagna. Nel 1948 entrò nella Compagnia di Gesù; compì gli studi in filosofia e teologia a Barcellona, Innsbruck, Roma e Parigi. Dopo aver insegnato per qualche tempo teologia a Barcellona, a partire dai primi anni Settanta vive in America Latina. Dal 1982 risiede in Bolivia, dove ha insegnato all’Università cattolica boliva. È autore di numerose opere di carattere teologico tradotte anche in italiano. Il seguente articolo è stato pubblicato su Iglesia viva (1° agosto 2019) redeamazonica.

Introduzione storica

Non è la prima volta né è strano che nella Chiesa ci siano gruppi dissenzienti e oppositori, a partire da Paolo che affrontò Cefa ad Antiochia (Gal 2,14) fino ai giorni nostri.

Ci furono dai primi concili e fino agli ultimi due. Nel concilio Vaticano I (1870) un gruppo di vescovi e teologi furono contrari alla definizione dell’infallibilità pontificia. Alcuni non accettarono il concilio e si separarono da Roma dando origine ai cosiddetti Vetero-cattolici. Altri, senza abbandonare la Chiesa, non vollero partecipare né assistere all’ultima votazione conciliare sull’infallibilità e qualcuno di essi fu così indispettito da gettare tutti i documenti conciliari nel Tevere.

Un secolo dopo (1970) emerse nuovamente la problematica sull’infallibilità, con dispute teologiche tra la voce critica di Hans Küng, da un lato, e Karl Rahner, Walter Kasper e altri teologi tedeschi più concilianti, dall’altro. La controversia proseguì tra storici critici del Vaticano I, come A.B. Hasler discepolo di Küng, e altri storici più ponderati come Yves Congar, Hoffman e Walter Kasper. Küng fu rimosso dall’insegnamento teologico.

Al tempo di Pio XII, quando, nel 1950, pubblicò l’enciclica Humani generis contro la cosiddetta Nouvelle théologie, furono destituiti dalle loro cattedre alcuni teologi gesuiti di Fourvière-Lyon come Henri de Lubac e Jean Daniélou e alcuni teologi domenicani di Le Saulchoir-Paris, come Yves Congar e Dominique Chénu. Più tardi alcuni di costoro divennero gli “esperti” al concilio Vaticano II convocato da papa Giovanni XXIII.

Durante il Vaticano II si sviluppò una forte opposizione guidata dal vescovo francese Marcel Lefèbvre che respinse il concilio Vaticano II perché lo riteneva neo-modernista e neo-protestante e finì per essere scomunicato da Giovanni Paolo II nel 1988, quando iniziò a ordinare vescovi al di fuori di Roma per la sua Fraternità San Pio X.

Paolo VI, in seguito alla sua enciclica Humanae vitae del 1968 sul controllo delle nascite, fu rispettosamente contestato da numerose conferenze episcopali che, senza negare i valori del suo contenuto, chiedevano una maggiore integrazione e puntualizzazione.

Durante i pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, più di 100 teologi furono indagati, ammoniti, messi a tacere, alcuni rimossi dalle loro cattedre e uno addirittura scomunicato.

Questo preambolo storico serve a non meravigliarsi se anche oggi, davanti alla nuova immagine di Chiesa che Francesco propone, sono sorte delle voci discordi e critiche fortemente contrarie al suo pontificato.

Opposizione a Francesco

Attraverso l’andirivieni della storia si desume che il tipo e l’orientamento dell’opposizione dipendono sempre dal momento storico che si vive: si tratta di voci progressiste e profetiche nei momenti della classica cristianità o neo-cristianità e di voci reazionarie, fondamentaliste e conservatrici nei momenti di una riforma ecclesiale che vuole tornare alle fonti evangeliche e allo stile di Gesù.

Critiche a Francesco

Attualmente esiste un forte gruppo di opposizione contro la Chiesa di Francesco: laici, teologi, vescovi e cardinali che vorrebbero le sue dimissioni o la sua rapida scomparsa e aspettano un nuovo conclave per cambiare il corso della Chiesa attuale.

Non vogliamo qui fare un’indagine socio-storica, e nemmeno uno show mediatico, tipo western, tra buoni e cattivi, perciò preferiamo non citare i nomi e i cognomi degli oppositori che oggi stanno “spellando vivo” Francesco, quanto piuttosto rilevare quali sono le linee di fondo teologiche che soggiacciono a questa sistematica opposizione a Francesco, e sapere qual è il motivo della polemica.

Le critiche a Francesco hanno due dimensioni, una teologica e un’altra piuttosto sociopolitica, anche se, come vedremo più avanti, molte volte entrambe le linee convergono tra loro.

Critica teologica

La critica teologica parte dalla convinzione che Francesco non è un teologo, ma uno che viene dal Sud, dalla fine del mondo, e che questa mancanza di professionalità teologica spiega le sue inesattezze e persino i suoi errori dottrinali.

Questa mancanza di professionalità teologica di Francesco viene messa a confronto con la competenza accademica di Giovanni Paolo II e naturalmente di Josef Ratzinger-Benedetto XVI.

opposizione a FrancescoLa mancanza di teologia di Francesco spiegherebbe le sue pericolose affermazioni sulla misericordia di Dio in Misericordiae vultus (MV), la sua tendenza filocomunista verso i poveri e i movimenti popolari e la pietà popolare come luogo teologico in Evangelii gaudium (EG 197-201); la sua mancanza di teologia morale nell’aprire la porta ai sacramenti della penitenza e dell’eucaristia e, in alcuni casi, previo discernimento personale ed ecclesiale, alle coppie cattoliche separate e risposate, come appare in una nota del capitolo ottavo di Amoris laetitia (AL 305, nota 351); la sua scarsa competenza scientifica ed ecologica si manifesterebbe nella sua enciclica sulla cura della casa comune (Laudato si’); e scandalizza la sua eccessiva enfasi sulla misericordia divina (Misericordiae vultus), che riduce a buon prezzo la grazia e la croce di Gesù.

Davanti a queste accuse, vorrei ricordare un’affermazione classica di Tommaso d’Aquino che distingue tra la cattedra magisteriale, propria dei teologi professori delle università, e la cattedra pastorale che corrisponde ai vescovi e ai pastori della Chiesa. Newman riprende questa tradizione affermando che, sebbene a volte tra le due cattedre ci possa essere tensione, alla fine c’è convergenza tra di esse.

Questa distinzione viene applicata a Francesco il quale, sebbene come gesuita padre Jorge Mario Bergoglio abbia studiato e insegnato teologia pastorale a San Miguel de Buenos Aires, ora i suoi pronunciamenti appartengono alla cattedra pastorale del vescovo di Roma. Non presume di sedersi su questa cattedra come teologo, ma come pastore. Come è stato detto con un certo umorismo, dobbiamo passare dal Bergoglio della storia al Francesco della fede.

Ciò che, in fondo, indispone i suoi detrattori è il fatto che la sua teologia parta dalla realtà, dalla realtà dell’ingiustizia, della povertà e della distruzione della natura e dalla realtà del clericalismo ecclesiale.

Non disturba il fatto che abbracci i bambini e i malati, ma indispone che vada a visitare Lampedusa e i campi profughi e migranti come a Lesbo, indispettisce che dica che non si devono costruire muri contro i rifugiati ma ponti di dialogo e di ospitalità; dà fastidio che, al seguito di Giovanni XXIII, affermi che la Chiesa dev’essere povera e dei poveri, che i pastori devono sentire l’odore della pecora, che la Chiesa dev’essere una Chiesa in uscita che va alle periferie e che i poveri sono un luogo teologico.

Disturba che dica che il clericalismo è la lebbra della Chiesa ed enumeri le 14 tentazioni della curia vaticana che vanno dal sentirsi essenziali e necessari alla smania di ricchezza, alla doppia vita e all’Alzheimer spirituale.

Infastidisce che aggiunga che queste sono anche tentazioni delle diocesi, delle parrocchie e delle comunità religiose.

Importuna che dica che la Chiesa deve essere una piramide rovesciata, con i laici in alto e il papa e i vescovi in basso e che dica anche che la Chiesa è poliedrica e soprattutto sinodale, e che facciamo tutti insieme lo stesso cammino, che dobbiamo ascoltarci e dialogare; dà fastidio che in Episcopalis communio si parli di Chiesa sinodale e della necessità di ascoltarsi reciprocamente.

Irrita i gruppi conservatori che Francesco abbia ringraziato Gustavo Gutiérrez, Leonardo Boff, Jon Sobrino, José María Castillo per i loro contributi teologici e abbia annullato le sospensioni a divinis a Miguel d’Escoto e a Ernesto Cardenal; sorprende che a Küng, che scrisse a Francesco sulla necessità di ripensare l’infallibilità, abbia risposto chiamandolo “caro confratello” (Lieber Mitbruder) e che avrebbe preso in considerazione le sue osservazioni, disposto a dialogare sull’infallibilità.

E infastidisce molti che Francesco abbia canonizzato Romero, il vescovo martire salvadoregno, tacciato da molti come comunista e utile idiota della sinistra, la cui causa era rimasta bloccata per anni.

Infastidisce che dica che non spetta a lui giudicare gli omosessuali, che affermi che la Chiesa è femminile e che, se le donne non vengono ascoltate, la Chiesa resterà impoverita e parziale.

La sua invocazione alla misericordia, una misericordia che è al centro della rivelazione biblica, non gli impedisce di parlare di tolleranza zero contro gli abusi di membri significativi della Chiesa verso i minori e le donne, un crimine mostruoso, del quale si deve chiedere perdono a Dio e alle vittime, riconoscere il silenzio complice e colpevole della gerarchia, cercare di riparare, proteggere i giovani e i bambini impedendo che accada di nuovo. E non gli trema la mano quando degrada e destituisce dai suoi incarichi il colpevole, sia esso cardinale, nunzio, vescovo o presbitero.

È chiaro che egli non è un teologo, ma che la sua teologia è pastorale: Francesco passa dal dogma al kerigma, dai principi teorici al discernimento pastorale e alla mistagogia. E la sua teologia non è coloniale, ma del Sud e questo disturba il Nord.

Critica socio-politica

Di fronte a coloro che accusano Francesco di essere terzomondista e comunista, occorre affermare che i suoi messaggi sono in perfetta continuità con la tradizione profetica, biblica e con la dottrina sociale della Chiesa.

Ciò che infastidisce è la sua chiaroveggenza profetica: no a un’economia di esclusione e di disuguaglianza, no a un’economia che uccide, no a un’economia senza volto umano, no a un sistema sociale ed economico ingiusto che si cristallizza in strutture sociali ingiuste, no a una globalizzazione dell’indifferenza, no all’idolatria del denaro, no a un denaro che governa anziché servire, no a una disuguaglianza che genera violenza, e al fatto che nessuno deve strumentalizzare Dio per giustificare la violenza, no all’insensibilità sociale che ci anestetizza di fronte alla sofferenza altrui, no agli armamenti e all’industria della guerra, no al traffico di esseri umani e a qualsiasi forma di morte provocata (EG 52-75).

Francesco non fa altro che aggiornare il comandamento di non uccidere e difende il valore della vita umana, dall’inizio sino alla fine e ripete a noi oggi la domanda di YHWH a Caino: «Dov’è tuo fratello?».

Inoltre, disturba la critica al paradigma antropocentrico e tecnocratico che distrugge la natura, inquina l’ambiente, attacca la biodiversità ed esclude i poveri e gli indigeni da una vita umana dignitosa (LS 20-52).

opposizione a Francesco

Tim Busch

Disturba le multinazionali che egli critichi le imprese forestali, petrolifere, le compagnie idroelettriche e minerarie che distruggono l’ambiente, danneggiano gli indigeni di quel territorio e minacciano il futuro della nostra casa comune. Infastidisce la sua critica ai leader politici incapaci di prendere risoluzioni coraggiose (LS 53-59).

E comincia a infastidire l’annuncio del prossimo sinodo di ottobre 2019 sull’Amazzonia, che è un esempio concreto della necessità di proteggere l’ambiente e salvare i gruppi amazzonici indigeni dal genocidio. Alcuni alti dignitari della Chiesa hanno affermato che l’Instrumentum laboris o Documento preparatorio del sinodo è eretico, panteista e nega la necessità della salvezza in Cristo.

Altri commentatori si sono concentrati esclusivamente sulla proposta di ordinare uomini sposati indigeni per poter celebrare l’eucaristia in luoghi remoti dell’Amazzonia, ma hanno completamente ignorato la denuncia profetica che questo Documento preparatorio fa contro la distruzione estrattiva perpetrata in Amazzonia, che è causa di povertà e di esclusione delle popolazioni indigene, probabilmente mai tanto minacciate come oggi.

A modo di conclusione

Senza dubbio c’è una convergenza tra la critica teologica e la critica sociale nei riguardi di Francesco, i gruppi reazionari ecclesiali si allineano con i potenti gruppi economici e politici, specialmente del Nord. Possiamo anche chiederci se questa recente esplosione di abusi sessuali che colpisce direttamente la figura di Francesco, che è allo stesso tempo pastore riformista ecclesiale e leader mondiale, sia stata una pura casualità e una semplice coincidenza.

opposizione a FrancescoIn definitiva, l’opposizione a Francesco è un’opposizione al concilio Vaticano II e alla riforma evangelica della Chiesa che Giovanni XXIII intendeva promuovere. Francesco si pone sulla linea di tutti i profeti che volevano riformare la Chiesa, insieme a Francesco di Assisi, Ignazio di Loyola, Caterina da Siena e Teresa di Gesù, Angelo Roncalli, Helder Cámara, Dorothy Stang, Pedro Arrupe, Ignazio Ellacuría e il nonagenario vescovo Casaldáliga.

Francesco ha ancora molti argomenti in sospeso per una riforma evangelica della Chiesa. Non sappiamo quale e come sarà la sua traiettoria futura, né cosa accadrà nel prossimo conclave.

I papi passano, ma il Signore Gesù continua ad essere presente e a sostenere la Chiesa fino alla fine dei secoli, quel Gesù che era considerato un mangione e un beone, un amico dei peccatori e delle prostitute, un indemoniato, fuori di sé, sedizioso e blasfemo. E crediamo che lo Spirito del Signore che discese sulla Chiesa primitiva nella Pentecoste non l’abbandonerà mai e non permetterà che il peccato, alla fine, trionfi sulla santità.

E intanto, come chiede sempre Francesco fin dalla sua prima apparizione sul balcone di San Pietro in Vaticano come vescovo di Roma e ancor oggi, preghiamo il Signore per lui, affinché la sua speranza non venga meno e confermi la fede dei suoi fratelli. E se non possiamo pregare o non siamo credenti, auguriamogli almeno che sia in buon forma.




il ‘Corriere della sera’ e la sua guerra contro papa Francesco

l’odio del Corriere della sera per papa Francesco e per la modernità

di Michele Prospero 

Viaggio Apostolico in Sud Sudan: la Cerimonia di congedo dal Sud Sudan a Papa Francesco

Troppo forte il Corriere della sera. Nella sua volontà di punire Francesco, come eroe negativo responsabile nientemeno che della rinuncia a contrastare la scristianizzazione, cambia per decreto anche la geografia. A via Solferino ce l’hanno visceralmente col Papa. Sta disarmando il bel cristianesimo, dicono. Invece di raccogliere le insegne di una gagliarda Chiesa “combattente”, egli rende l’occidente remissivo in nome della coscienza di pace. Bisogna farla finita con l’appello alla “pace senza se e senza ma”. E basta con i viaggi apostolici e le civetterie con il terzomondismo vagamente socialista.  

Se potessero, nella scuderia dell’editore Cairo, nominerebbero subito un antipapa. Morto il loro eroe, il Benedetto che però loro stessi giudicano che abbia fallito nella sua strategia di ri-evangelizzazione ostile al relativismo e alla minaccia islamica, al Corriere sparano contro la visione “fortemente universalistica” di Francesco. Ma l’origine di ogni decadenza, più ancora che nel lessico del Papa che viene dai “confini del mondo”, si trova nel Vaticano II. Il Concilio, per il quotidiano che una volta era il foglio della borghesia illuminata lombarda, è il vero epicentro del male assoluto.

Il Corriere della sera guarda più a De Maistre che al Vaticano II. Più alla reazione che al moderno. Più al boia che ai diritti. La genesi della perdizione, per la stampa del molieriano presidente del Toro, risiede nella Roma godereccia dei primi anni Sessanta. Da allora, infatti, i preti parlano il linguaggio dei diritti umani. E, soprattutto, non considerano più la capitale “il centro” della storia mondiale. Non reagiscono alla “ferocia islamista”, come la chiamano in via Solferino, ma aprono alla Cina, inseguono i miti remissivi di un mondo di eguaglianza e solidarietà.

L’urlo del Corriere sculaccia Francesco, il censore dell’occidente, il campione del multiculturalismo, il punto di riferimento dell’irenismo pacifista. Con il suo cosmopolitismo sensibile a un mondo multipolare, il Papa è accusato di dimenticare che l’Europa è, per il vero fedele, l’unico e solido luogo dello spirito. Senza l’esclusivo suolo europeo preso come stabile fondamento, il cristianesimo non può avere identità alcuna. Il legame del sacro con la terra e lo spirito del vecchio continente sono quindi costitutivi.

Per questo il Corriere affida a Galli della Loggia il compito di riscrivere, insieme alla storia del pensiero religioso, anche le carte geografiche dell’antichità. Sulla base delle sue scoperte, tutte le acquisizioni storiografiche vanno gettate alle ortiche. Va preso a calci l’assunto di Werner Jaeger (Cristianesimo primitivo e Paideia greca, La Nuova Italia, 1966) per il quale “tra i fattori che determinarono la forma definitiva della tradizione cristiana, la civiltà greca esercitò un’influenza profonda sul pensiero cristiano”. Questa arcaica tesi, su un mondo unificato dalla cultura e dalla lingua greca come laboratorio della fede, contrasta con la scienza nuova di Galli della Loggia, che vuole celebrare solo la vecchia Europa come il centro geografico del sacro. Quando ha collegato ellenismo ed espansione del cristianesimo, dichiarando che “per lo svolgimento della missione cristiana e per la sua espansione entro e fuori i confini della Palestina questo fu un fatto decisivo”, Jaeger non ha ben capito il retroterra esclusivamente europeo della fede.

Il rasoio di Galli della Loggia taglia le escrescenze extraeuropee come punte di un prurito fastidioso. E così dalla storia della dottrina cristiana recide in un sol colpo la Palestina e Gerusalemme, la Mesopotamia, l’ebraismo tardo, i cosiddetti Rotoli del Mar Morto, con le sette ascetiche che vivevano sulle sue rive, Antiochia e la Turchia, la Siria, l’Algeria. Gran parte degli apostoli e degli scrittori della patristica provenivano da Alessandria, da Nissa, dalla Cappadocia.

Il bello è che dal cupo tramonto della Chiesa come mistico presidio dell’occidente, dal cristianesimo senza Cristo, un non-europeo peraltro, Galli della Loggia salva solo il pontificato breve di Benedetto. Il quale, poi, aveva in Agostino il suo ispiratore, di contro al tomismo mai apprezzato. E però il Doctor Gratiae veniva da Ippona, Algeria, non certo vecchia Europa. Scoprendo quanti turchi, algerini, siriani sono tra i Padri della Chiesa, forse Galli della Loggia rinuncerà a quel suo pasticciaccio teologico che gli fa maltrattare, con la storia, la geografia, e umiliare, con la geografia, la storia quella vera.




i contrasti dentro la chiesa cattolica e l’opposizione a papa Francesco

“la chiesa divisa”
di Enzo Bianch

Questi sono giorni in cui emergono in modo molto più evidente i contrasti, le conflittualità e le “guerre” all’interno della chiesa cattolica. La morte di Benedetto XVI, l’incauta rivelazione postuma di alcune delle sue parole e dei suoi sentimenti da parte del segretario particolare e lo svelamento dell’identità dell’autore del memoriale attribuito al Cardinal Pell – vero grido di allarme sulla situazione della chiesa –, sono fatti che hanno scosso e scuotono i credenti quotidiani, che non sempre comprendono la materia diventata tanto conflittuale, ma soffrono di questa situazione così nuova per “la gente cattolica”, in balìa del chiacchiericcio delle sacrestie e delle denunce fatte dai media.

L’esito – va detto – non sarà il tanto temuto e paventato “scisma” di una porzione di cattolici, perché questo non è più tempo di fondazioni, ma sarà un silenzioso abbandono della chiesa da parte di molti che si sentono frustrati, stanchi e sovente amareggiati da tante liti fraterne che si consumano con schizofrenia ipocrita: da un lato una corsa al dialogo con i non cattolici, con i credenti delle altre religioni, e si realizzano cooperazioni tra chiese mai viste nella storia del cristianesimo; dall’altro lato c’è intolleranza, non sopportazione di chi, pur cattolico, condivide la stessa fede con uno stile diverso nella liturgia o nel modo di collocarsi nel mondo. Qui la lotta, l’antagonismo sono feroci con delegittimazione reciproca e impossibilità di riconoscere la fraternità che pure ha fondamento nell’unico battesimo.

In una vita ecclesiale così attraversata da polarizzazioni c’è però una novità: gli attacchi, il rigetto, l’insulto verso il papa, attualmente Francesco. La critica al papa era già presente nella chiesa degli ultimi tempi, critica aperta almeno dal pontificato di Paolo VI e poi dei suoi successori, ma le accuse o erano morali (e a tanto si giunse con l’integro papa Montini!), o erano critiche per il governo. Con Papa Francesco invece gli attacchi sono diretti alla sua fede, viene attaccato proprio quello che è il suo carisma: confermare nella fede i fratelli, e si arriva fino alla delegittimazione e all’insulto.

Perché ci si spinge fino ad affermazioni che lo dicono papa eretico, idolatra della dea pagana Pachamama, un papa che distrugge la chiesa? C’è una sola risposta: perché papa Francesco ha osato e osa essere solo un servo del Signore, un cristiano obbediente unicamente all’Evangelo, un esperto di umanità, un uomo che non ha paura dei potenti di questo mondo! Quanto più Francesco fa apparire il Vangelo nella sua nudità tanto più scatenerà le potenze avverse contro di lui e contro la chiesa della quale è al servizio della quale è pastore e servo della comunione.

Nessuna adulazione! Anche papa Francesco, come ogni uomo, ha i suoi difetti, il suo carattere che può non piacere, il suo modo di parlare che può essere più o meno attraente, il suo modo di governare la chiesa che può essere criticato, ma per i cattolici è il successore di Pietro, è colui per il quale Gesù ha assicurato di pregare, è l’uomo fragile e limitato che va giudicato solo per come annuncia il Vangelo e presiede alla comunione plurale della chiesa. Lo sappiamo dai Vangeli: colui che è la “Pietra”, cioè il fondamento della fede, può diventare un fuscello, ma sappiamo anche che ci sarà un gallo che canterà e lo richiamerà.




la grande ‘delusione donna’ nella chiesa di papa Francesco

papa Francesco gela il mondo cattolico femminile che chiede parità di genere

«donne prete non previste»

di Franca Giansoldat

 Colpo basso di Papa Francesco alle donne cattoliche tedesche e a quella ampia fetta di sacerdoti e vescovi favorevoli al diaconato femminile, tra cui anche i vertici della conferenza episcopale. «Il principio petrino non prevede che una donna possa accedere al ministero ordinato» ha chiarito il Papa in una intervista ad America, il mensile dei gesuiti americani. Esattamente come hanno fatto i suoi predecessori – da Wojtyla a Ratzinger – anche Bergoglio ha sbarrato la strada ad ogni tipo di riforma, gelando le tante attese che le donne cattoliche tedesche si aspettavano dal pontefice definito sin dall’inizio un riformatore.

Papa Francesco gela il mondo cattolico femminile che chiede parità: «Donne prete non previste»

Sacerdozio femminile nella Chiesa cattolica, «E’ solo questione di tempo» dice il vescovo di Magonza

Papa Francesco ha anche motivato: «La Chiesa è donna. La Chiesa è una sposa. Non abbiamo sviluppato una teologia della donna che rifletta questo. Il principio petrino è quello del ministero. Ma c’è un altro principio ancora più importante, di cui non parliamo, che è il principio mariano, che è il principio della femminilità nella Chiesa, della donna nella Chiesa, dove la Chiesa vede uno specchio di se stessa perché è donna e sposa».

Donne prete, in Germania cresce il fronte cattolico contro il divieto Vaticano, stavolta sono i francescani tedeschi a pronunciarsi

Da tempo in Germania diversi vescovi, teologi, associazioni di cattolici sono decisi a portare avanti questa istanza all’interno del processo di riforma avviato tre anni fa con il cammino sinodale.  

Il presidente dei vescovi tedeschi, monsignor Georg Baetzing ha rassicurato che continuerà a fare pressioni affinchè il ruolo della donna nella Chiesa si possa rafforzare. Si tratta, ha detto, di una questione centrale per il futuro. «Ammettere le donne ai ministeri ordinati dovrà essere facilitato in qualche modo altrimenti il futuro della Chiesa in Germania è difficile da immaginare». Il riferimento di Baetzing riguarda l’emorragia dei cattolici che ogni anno lasciano la Chiesa, motivando questa decisione per la scarsa trasparenza delle strutture ecclesiali, per come sono finora stati affrontati i casi di abusi e per come vengono marginalizzate le donne senza che sia stata una vera parità.

In questo contesto piuttosto acceso c’è anche chi non ha mancato di fare affiorare le contraddizioni di questo pontificato. Per esempio la responsabile dell’organizzazione cattolica Bibelwerk, la teologa Katrin Brockmoeller, che analizzando il modo di predicare di Francesco e i suoi interventi non ha dubbi sulla sua misoginia di fondo. Brokmoeller, per esempio, ha ricordato che spesso il Papa, quando si rivolge al mondo religioso, tira in ballo le donne in modo che da far risuonare «automaticamente un’associazione negativa nei confronti del genere femminile».

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«Siete uomini, comportatevi da uomini, non da zitelle». Un «linguaggio sprezzante nei confronti delle donne» ha affermato la teologa Brockmoeller. «Il pettegolezzo non è una caratteristica specifica del genere, ma ha a che fare con il carattere personale. Se voleva essere divertente, lo scherzo funzionava attraverso la svalutazione e la discriminazione e quindi non era divertente. Questo paragone è patriarcale e indegno del ruolo del Papa».

A dare manforte al mondo femminile tedesco c’è anche il vicepresidente della Conferenza episcopale tedesca, monsignor Franz-Josef Bode. L’obiettivo a lungo termine è di aprire il dibattito sull’ordinazione sacerdotale delle donne, ha aggiunto il vescovo.




un papa poco ‘prudente’!

l’esclusione criminale

di  Tonio Dell’Olio

Quando si parla in pubblico bisogna pesare bene le parole. Quando si parla al mondo ancora di più. Quando si rappresenta un’autorità morale che è guida per i credenti e riferimento per tante persone nel mondo, è necessario misurare gli accenti, gli aggettivi e le virgole. Ieri il Papa ha detto:

“L’esclusione dei migranti è schifosa, è peccaminosa, è criminale non aprire le porte a chi ha bisogno!”

 Certo, la prudenza e la diplomazia avrebbero suggerito toni meno perentori e netti. Forse un giudizio più sfumato sarebbe stato più gradito. Ma poi ci si rende conto che il Vangelo di Gesù non è stato redatto né dalle curie né dalle cancellerie dei governi del suo tempo. E allora un papa non può e non deve prendere le distanze né dal merito né dalla forma del Vangelo che è chiamato ad annunciare. E così ieri Papa Francesco ha dato del criminale, peccatore e schifoso a ogni politico di ogni governo del mondo che in questi anni ha contribuito a varare politiche di respingimento e rifiuto di uomini, donne e bambini che chiedevano pane e dignità. Un tono profetico che pesa bene le parole, misura gli accenti, gli aggettivi e le virgole. D’altra parte le ragioni dei governi le diffondono abbondantemente gli uffici stampa ma chi fa sentire le ragioni dei poveri?




migranti come risorsa per le nostre comunità

papa Francesco:

migranti, potenziale enorme

ecco perché sono una vera risorsa


di Paolo Lambruschi
«Lavoro e sacrificio degli stranieri arricchiscono le nostre comunità»
e una ricerca della Fondazione Moressa conferma l’impatto positivo per l’Italia: 28 miliardi di entrate contro 26 di uscite

Papa Francesco: migranti, potenziale enorme. Ecco perché sono una vera risorsa

«I migranti non basta accoglierli: vanno anche accompagnati, promossi e integrati». Con questa frase, a braccio, papa Francesco si è rivolto ai partecipanti alla Conferenza internazionale sui rifugiati e i migranti promossa dalla Facoltà di scienze sociali della Pontificia Università Gregoriana, in collaborazione con Refugee & Migrant Education Network, la Fondazione Being the Blessing. Il Pontefice ha ribadito che le diversità che portano i migranti, nelle società in cui sono accolti, sono «una ricchezza» e il loro contributo ha «un potenziale enorme».

«Il loro lavoro, la loro capacità di sacrificio, la loro giovinezza e il loro entusiasmo arricchiscono le comunità che li accolgono. Ma questo contributo potrebbe essere assai più grande se valorizzato e sostenuto attraverso programmi mirati», ha aggiunto il Papa, che ha poi chiesto di «riflettere sulle cause dei flussi migratori e sulle forme di violenza che spingono a partire verso altri Paesi. Mi riferisco naturalmente ai conflitti che devastano tante regioni del mondo. Ma vorrei anche sottolineare un altro tipo di violenza, che è l’abuso della nostra casa comune – ha detto il Papa –. Il pianeta è indebolito dall’eccessivo sfruttamento delle sue risorse e logorato da decenni di inquinamento».

Quanto al ruolo di chi accoglie, per Francesco «tutte le istituzioni educative sono chiamate ad essere luoghi di accoglienza, protezione, promozione e integrazione per tutti, senza escludere nessuno».

Nonostante il Covid e gli scostamenti di bilancio per le esauste casse dello stato gli immigrati restano una risorsa. Se si ignora la prevalente narrazione mediatica emergenziale concentrata sui barconi e agli sbarchi dal Nord-Africa e la popolazione dei centri di accoglienza in Italia (80 mila presenze a fine 2020) e la si sposta invece sulla realtà dei 5,2 milioni di immigrati regolarmente residenti nel Belpaese la musica cambia. Secondo uno studio sull’impatto fiscale dell’immigrazione in Italia curata dalla Fondazione Moressa – che il 18 ottobre presenterà il rapporto 2022 sull’economia dell’immigrazione – alla voce uscite si registrano 26,8 miliardi di euro contro 28,2 di entrate. Una conferma di quello che affermava tra le polemiche l’Ocse un anno fa: «I migranti contribuiscono in tasse più di quanto ricevono in prestazioni assistenziali, salute e istruzione».

Il metodo di calcolo della “Moressa” si è basato sui “costi medi”, stimando l’incidenza degli stranieri per ciascuna voce della spesa pubblica in base all’utenza presente in quel determinato servizio nel 2020, anno pandemico.

Sfatiamo per l’ennesima volta stereotipi duri a morire. Data la giovane età media della popolazione straniera residente in Italia, li si trova soprattutto nei reparti maternità e nei pronto soccorso ospedalieri. Per fortuna. Una conferma empirica che l’impatto calcolato sulla sanità pubblica dai ricercatori della Fondazione Moressa è solo 6,1 miliardi di spesa per i pazienti immigrati contro i 130 complessivi.

Alla voce scuola, mantenendo il metodo basato sull’incidenza degli utenti, viene considerato un decimo della spesa totale a favore degli alunni nati all’estero e privi di cittadinanza, in tutto 6 miliardi. I curatori delle ricerca sottolineano un aspetto scomodo e non descritto dai numeri, ma che rende ancor più preziosa la risorsa dei minori stranieri per la scuola. Nell’inverno demografico italiano «la maggiore presenza straniera garantisce la sostenibilità del sistema, che altrimenti vedrebbe chiudere molte scuole e ridurre l’organico».

La voce “servizi sociali, servizi locali e casa” raggiunge complessivamente 1,3 miliardi di euro. L’edilizia pubblica vede il 12,5% a livello nazionale di inquilini immigrati nonostante l’alto livello di bisogno per la mancanza di turnover. Insomma, gli italiani restano sempre primi. Ovviamente la ricerca non può considerare le occupazioni abusive degli alloggi gestiti dai racket etnici afferenti alla mafie italiche. E la situazione dei grandi quartieri popolari metropolitani della capitale come di Milano fa media con altre realtà dove gli stranieri non sono numerosi. Una voce di spesa che invece diminuisce è quella per “immigrazione e accoglienza”, legata al progressivo decongestionamento dei centri di accoglienza.

Infine la spesa previdenziale, altra antica polemica. Secondo un report pubblicato dall’Inps nel luglio 2022, la spesa pensionistica riferita ai cittadini non comunitari ammonta a 1,2 miliardi (0,4% del totale). A questa vanno aggiunte disoccupazione, malattia, maternità, assegni nucleo familiare, pari a 6,2 miliardi. In tutto fanno 8,45 miliardi, il 2,6% del totale.

Ma i migranti non sono solo beneficiari, anzi. Sono soprattutto 4,17 milioni di contribuenti che hanno dichiarato 57,5 miliardi di euro di redditi e versato 8,2 miliardi di Irpef nel 2020. La comunità più rappresentata rimane quella romena con oltre 560 mila contribuenti, seguita da Albania (157 mila) e Cina (147 mila).

Sono consumatori che pagano l’Iva, anche se tra i contribuenti nati all’estero, quasi la metà (48,7%) ha dichiarato un reddito annuo inferiore a 10 mila euro. E sono cittadini che versano per rinnovi di permessi di soggiorno e acquisizioni di cittadinanza quasi 800 milioni. I regolari, comparando entrate e uscite del bilancio pubblico, sono una voce in attivo per 1,4 miliardi. Perché gli immigrati continuino ad essere una risorsa portando benefici economici, ammonisce lo studio, devono però proseguire i processi di integrazione. Un cambio di narrazione dei media aiuterebbe gli italiani ad esserne più consapevoli.




una ‘chiesa in uscita’ come la vuole papa Francesco

una chiesa in uscita con la missione nel DNA

padre Ermes Ronchi, dell’Ordine dei Servi di Maria, teologo e volto noto ai telespettatori italiani, ha condiviso con noi i suoi appunti sull’identità missionaria della “Chiesa in uscita”. Una pagina da leggere con il cuore e da meditare, intrisa di poesia e ricca di citazioni bibliche.

«Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade che una Chiesa malata per la chiusura» (EG 49). Fa eco e sponda a questa visione di Papa Francesco una bellissima poesia di Jacques Brel:

Conosco delle barche che restano nel porto per paura
che le correnti le trascinino via con troppa violenza.
Conosco delle barche che arrugginiscono in porto
per non aver mai rischiato una vela fuori.

Conosco delle barche che si dimenticano di partire
hanno paura del mare a furia di invecchiare
e le onde non le hanno mai portate altrove,
il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare.

Conosco delle barche talmente incatenate
che hanno disimparato come liberarsi.
Conosco delle barche che restano ad ondeggiare
per essere veramente sicure di non capovolgersi.

Conosco delle barche che vanno in gruppo
ad affrontare il vento forte al di là della paura.
Conosco delle barche che si graffiano un po’
sulle rotte dell’oceano ove le porta il loro gioco.

Conosco delle barche che tornano in porto lacerate dappertutto,
ma più coraggiose e più forti.
Conosco delle barche traboccanti di sole
perché hanno condiviso anni meravigliosi.

Conosco delle barche che tornano sempre
che hanno navigato fino al loro ultimo giorno,
e sono pronte a spiegare le loro ali giganti
perché hanno un cuore a misura di ocean

In quelle barche, che riportano una metafora antichissima della Chiesa, vediamo descritta la stessa dinamica vitale dell’uscire, salpare, navigare oltre. “Chiesa in uscita” è una espressione diventata virale, una Chiesa che si immerge invece di una che attende; che sa curare le ferite, riscaldare i cuori, piangere e accarezzare invece di rinchiudersi nelle norme.

L’uscita, la strada, la navigazione sono nel DNA della Chiesa. Chiamò a sé i dodici e li inviò dicendo: “strada facendo…”.  Gli apostoli sono gli in-viati, i messi in via. Tutta la Bibbia è attraversata da un comando: alzati, kum in aramaico. Elia, kum; Giona, kum; Mosè, kum, alzati e scendi in Egitto. Per centinaia di volte: alzati e va’. Verbo per chi era a terra, ordine per chi se ne stava chiuso: verbo della risurrezione e di una vita in uscita. Kum verbo degli inizi, di chi ama avviare percorsi, iniziare processi; di chi parte e si fida del percorso. Ogni volta che Dio ti chiama, ti mette in viaggio, è una forza che fa partire. Mette in cammino, e camminare è un atto di libertà e di leggerezza, scoprire se stessi mentre si scopre il mondo. Ma risalendo indietro, verso le sorgenti, verso là dove è nata la Chiesa, vediamo che la prima comunità nasce sulle strade di Galilea, non nelle aule di una scuola, non in una sinagoga, ma sui sentieri attorno al lago di Tiberiade, durante tre anni di itineranza battagliera, libera e felice.

La Chiesa è nata in uscita.

Gesù cammina, ma non da solo; con lui si muove un gruppo vivace di uomini e donne, in una intimità itinerante: proto-struttura della Chiesa. E tutta la simbolica della strada è dentro il DNA del cristiano. Da allora, da subito, la comunità è in uscita, è a suo agio sulle strade e ama gli orizzonti. Prima di essere chiamati con il nome di cristiani, i seguaci di Gesù sono detti “quelli della via”, oi tes odou in greco.

Siamo figli di una beatitudine dimenticata, proclamata dai salmi di pellegrinaggio: «beato l’uomo che ha sentieri nel cuore» (Salmo 84, 6), felice la donna che ha la strada nel cuore. È la spiritualità biblica: Mio padre era un arameo errante. Siamo tutti figli di nomadi, non stanziali ma migratori, passatori di frontiere. La Bibbia fa nascere una fede nomade, incamminata, mai installata.

Vai al largo, ha detto a Pietro…
Le barche, le piccole barche sono al sicuro, attaccate ai loro ormeggi nel porto, ma non è per questo che sono state costruite. Sono fatte per navigare, e anche per affrontare tempeste. Il nostro posto non è nei successi e nei risultati trionfali, ma in una barca in mare aperto, dove prima o poi durante la navigazione della vita verranno acque agitate e vento contrario. La vera formazione che Gesù trasmette ai suoi non consiste nella capacità di costruire una barca o una zattera, oppure nell’insegnare il codice nautico, ma nel trasmettere la passione del navigare, il gusto per il grande mare aperto e infinito. In Dio si scoprono nuovi mari quanto più si naviga. (Fray Luis de Leon). Vera pedagogia, vera pastorale è la consegna amorosa e contagiosa del vangelo-orizzonte, vangelo-oceano. Il vangelo non proclama divieti, offre ali. I veri maestri dello spirito sono quelli che non mettono lacci ulteriori, ma ulteriori ali, le crescono, le accarezzano, le pettinano, le fanno forti, perché possano volare più lontano e più sicuri.

– Andate, guarite, risuscitate, purificate, scacciate, date… (Mt 10,7-15)
Gesù manda i suoi, gli in-viati, verso il mondo, affidando loro cinque opere che disegnano il volto di una Chiesa ospedale da campo. Che come in tutti gli ospedali incontra persone ferite, sangue, sporco, piaghe e anche bestemmie, ma non giudica nessuno, si prende cura di tutti. Istituisce una Chiesa in missione, una Chiesa che sia autorevole non per la dottrina, ma per la misericordia; per la quale di non negoziabile siano non i principi, ma solo l’uomo. Chiesa autorevole perché si abbassa, pulisce, lava, solleva come il samaritano buono. Il mondo non ha bisogno di giudici ma di samaritani. Scrive Papa Francesco: “Desidero una chiesa che non attende ma va incontro; sa curare le ferite e riscaldare i cuori; sa piangere e accarezzare invece di rinchiudersi nelle norme. Una Chiesa che non ha nulla da difendere, ma molto da offrire. Che non si contrappone agli altri in conflitti teorici ma si immerge nelle persone. Sognando la vita insieme (EG 74). Chiesa sognatrice.

– Il distacco di Gesù dai suoi, in Luca, è di una sobrietà incantevole.
«Gesù li condusse fuori verso Betania»: è colui che precede, che indica la via, che avanza sicuro anche quando la meta è il Calvario. Inizia su quell’altura la “Chiesa in uscita”, con un invio che chiede agli apostoli un cambio di sguardo. Devono passare da un gruppo che mette se stesso al centro, ad una Chiesa al servizio dell’uomo, della vita, della cultura, della casa comune, delle nuove generazioni. Voi siete la luce, che non illumina se stessa, ma accarezza le cose e ne fa emergere la bellezza; voi siete il sale, che non dà sapore a se stesso ma al pane dell’uomo.

– Convertite, significa coltivate e custodite i semi divini di ciascuno.
Come Gesù che in Galilea andava alla ricerca delle faglie, delle fenditure nelle persone, là dove scorrevano acque sepolte, come con la samaritana al pozzo, così la Chiesa è inviata al servizio dei germi santi che sono in ciascuno. Per ridestarli. Una Chiesa rabdomante del buono, inviata a captare e far emergere le forze più belle, per la fioritura dell’essere, per la valorizzazione del grammo di luce che è seminato in ciascuno: noi camminiamo, calpestiamo gioielli e non ce ne rendiamo conto.

– Vi precede.
Anche la pasqua è stata una ripartenza. Gli angeli dicono alle donne: non è qui, vi precede, andate in Galilea. Vi precede: è davanti, è sulla strada a prendere in faccia il vento, il sole, il grido d’aiuto e le lacrime. E anche le tempeste; è un Dio da sorprendere nelle strade, come i due di Emmaus. È un passo avanti, e avanza ancora.
Un Dio migratore, abbiamo, che ama gli spazi aperti, che apre cammini. Attraversa muri e spalanca porte. Che non ama i paletti, ma gli orizzonti.
Il regalo che ci fanno la Bibbia e i profeti di ogni tempo: noi come credenti apparteniamo ad un sistema aperto, generativo e non a un sistema chiuso, dove tutto è già definito, proclamato, bloccato. Apparteniamo ad un sistema di ricerca, naviganti e cercatori mai arresi del nome di Dio e del nome dell’Uomo.

Ermes Ronchi