papa Francesco contro i consevatori e la loro pastorale da custodi di musei

«Guai a chi predica il Regno di Dio con l’illusione di non sporcarsi le mani»

“serve coraggio di gettare il seme cristiano, non stare nelle sicurezze”

Messa del Papa a Santa Marta

domenico agasso jr

Per far crescere il Regno di Dio, bisogna gettare seme cristiano. Per riuscirci, ai fedeli serve coraggio, non una «pastorale di conservazione» che punta solo alle sicurezze. Lo dice papa Francesco nella Messa a Casa Santa Marta di questa mattina, 31 ottobre 2017. Il Pontefice avverte: «Guai a chi predica il Regno di Dio» senza «sporcarsi le mani».   

Jorge Mario Bergoglio – riporta Radio Vaticana – basa l’omelia sul Vangelo odierno, da San Luca, in cui Cristo paragona il Regno del Signore al granello di senape e al lievito: il Vescovo di Roma osserva che entrambi gli elementi sono piccoli, sì, ma «hanno dentro una potenza» che cresce. E così è il Regno di Dio: la Sua potenza proviene dall’interno. 

San Paolo nella Lettera ai Romani, proposta dalla Prima Lettura di oggi, evidenzia le tensioni della vita: sono dolori, angosce e sofferenze che però «non sono paragonabili alla gloria che ci aspetta». Si affronta continuamente «una tensione fra sofferenza e gloria». E nelle tensioni dell’esistenza c’è «un’ardente aspettativa» per una «rivelazione grandiosa del Regno di Dio».  

È un’aspettativa anche della Creazione, che non può sfuggire alla caducità «come noi», ed è «protesa verso la rivelazione dei figli di Dio». Questa è la forza che si ha dentro e che «ci porta in speranza alla pienezza del Regno di Dio»; è l’energia dello Spirito Santo. 

Ed è «la speranza quella che ci porta alla pienezza – spiega – la speranza di uscire da questo carcere, da questa limitazione, da questa schiavitù, da questa corruzione e arrivare alla gloria: un cammino di speranza. E la speranza è un dono dello Spirito. È proprio lo Spirito Santo che è dentro di noi e porta a questo: a una cosa grandiosa, a una liberazione, a una grande gloria». E perciò il Figlio di Dio afferma: «Dentro il seme di senape, di quel grano piccolino, c’è una forza che scatena una crescita inimmaginabile». 

Sottolinea Papa Bergoglio: «Dentro di noi e nella creazione c’è una forza che scatena: c’è lo Spirito Santo», il Quale «ci dà la speranza».  

Il Papa illustra il significato di vivere in speranza: permettere che «queste forze dello Spirito ci aiutino a crescere» verso la pienezza che attende ogni essere umano nella gloria eterna. Ma come il lievito deve essere mescolato e il granello di senape buttato, perché altrimenti quella forza resta lì rinchiusa e non si espande, così è per il Regno di Dio che aumenta «da dentro», e «non per proselitismo», ammonisce il Pontefice. 

Il Regno del Signore «cresce da dentro, con la forza dello Spirito Santo. E sempre la Chiesa ha avuto sia il coraggio di prendere e gettare, di prendere e mescolare, anche ha avuto la paura di farlo. E tante volte noi vediamo che si preferisce una pastorale di conservazione e non di lasciare che il Regno cresca. Ma, rimaniamo quelli che siamo, piccolini, lì, stiamo sicuri… E il Regno non cresce». Affinché «il Regno cresca ci vuole il coraggio: di gettare il granello, di mescolare il lievito». 

Francesco riconosce che se si getta il seme, lo si perde, e che se si mescola il lievito, «mi sporco le mani», perché «sempre c’è qualche perdita nel seminare il Regno di Dio». Ma «guai a quelli che predicano il Regno di Dio con l’illusione di non sporcarsi le mani», esclama. Queste persone sono «custodi di musei: preferiscono le cose belle, e non questo gesto di gettare perché la forza si scateni, di mescolare perché la forza faccia crescere». È il messaggio di «Gesù e di Paolo: questa tensione che va dalla schiavitù del peccato, per essere semplice, alla pienezza della gloria». E la «speranza è quella che va avanti, la speranza non delude: perché la speranza è troppo piccola, la speranza è tanto piccola come il grano e come il lievito. È la virtù più umile, la serva», però, dove è la speranza, c’è lo Spirito Santo, che conduce sempre in avanti il Regno di Dio.




chi sono i nemici di papa Francesco

i nemici del papa sono nella chiesa

e stanno combattendo una guerra

in una lunga inchiesta il quotidiano britannico The Guardian analizza chi sono i nemici di Bergoglio in Vaticano e perché contro il pontefice argentino monta un’opposizione sempre più forte

I nemici del papa sono nella Chiesa. E stanno combattendo una guerra

Papa Francesco ha moltissimi nemici. E non tanto tra gli atei, i protestanti o tra i musulmani. Quelli più convinti si trovano all’interno del Vaticano e nelle curie di tutto il mondo perché fanno parte anche loro parte del clero e siedono tra le file dei più convinti conservatori. Sin dalla sua nomina nel 2013 Bergoglio ha mostrato di preferire (a parole e nei fatti) uno stile modesto e umile. Guida una Fiat, porta da solo le sue valige, si reca personalmente in un negozio di occhiali per cambiare le lenti – ma non la montatura – e paga il conto in hotel. Lava i piedi alle donne musulmane rifugiate e dei gay dice “Chi sono io per giudicare?” Le sue parole e i suoi gesti hanno colpito il mondo intero ma dentro le mura di ‘casa’  Francesco ha provocato un contraccolpo enorme tra i conservatori che temono che lo stile ‘francescano’ possa dividere la Chiesa o addirittura mandarla in frantumi. È quanto emerge da un lungo articolo del Guardian scritto dal giornalista Andrew Brown che si è infiltrato nel clero e ha parlato con sacerdoti e non solo. “Quest’estate un prete inglese molto in vista mi ha detto: ‘Non possiamo che aspettare che muoia. Quello che ci diciamo in privato non si può riportare. Ma quando due preti si incontrano parlano di quanto terribile sia Bergoglio… È come Caligola: se avesse un cavallo lo nominerebbe cardinale’”. Poi la raccomandazione al giornalista: “Non devi pubblicare nulla di quello che ho detto altrimenti verrò fatto fuori”. 

I nemici del papa sono nella Chiesa. E stanno combattendo una guerra

perché Bergoglio si è fatto i nemici

Che Bergoglio si facesse dei nemici era già previsto. E per diversi motivi: è il primo papa non europeo ed è stato letto come outsider, tanto per iniziare. Ma nessuno immaginava che i suoi avversari fossero cosi tanti. Forse perché nessuno aveva previsto che, una volta eletto, Bergoglio avrebbe scelto il nome del santo dell’umiltà e che, come lui, (o quasi) avrebbe condotto la sua vita, iniziando col dire no ai fasti del Vaticano. Non sono andate giù nemmeno le sue parole di accoglienza nei confronti dei migranti, i suoi attacchi al capitalismo e, soprattutto, la sua decisione di riesaminare gli insegnamenti della Chiesa sul sesso. “Stando a quanto emerso dall’ultimo incontro mondiale dei vescovi, quasi un terzo del Collegio Cardinalizio ritiene che il papa stia flirtando con l’eresia”.

Uno dei principali punti di rottura – secondo The Guardian – è rappresentato dal divorzio: rompendo con la tradizione secolare, Francesco ha incoraggiato i preti cattolici a dare la comunione anche ai divorziati, a coloro che si sono risposati e alle coppie che convivono. “A lungo i suoi avversari hanno cercato di distoglierlo e di convincerlo a rinunciare all’iniziativa. Lui non ha voluto e si è ritrovato a combattere contro il malcontento generale che ora sta montando in una guerra”. Le armi sono le accuse di eresia. “L’anno scorso, un cardinale, appoggiato da alcuni colleghi in pensione, ha fatto emergere la possibilità di una dichiarazione formale di eresia, un peccati punibile con la scomunica. Lo scorso mese, invece, 62 sacerdoti e studiosi cattolici e laici, tra cui figurano un vescovo in pensione e l’ex presidente dello Ior – Ettore Gotti Tedeschi – hanno pubblicato una lettera aperta di 25 pagine che accusa Papa Francesco di 7 eresie per la sua Amoris Laetitia”. Il documento, scritto da Francesco, affronta il dibattito sul divorzio e apre – seppur non direttamente – alla comunione ai divorziarti.

I nemici del papa sono nella Chiesa. E stanno combattendo una guerra

cosa significa essere accusati di eresia

(per un papa)

Si tratta di un’accusa cruciale per un papa perché lo mette con le spalle al muro: secondo la dottrina, un papa non può sbagliare quando affronta temi di fondamentale importanza come quelli legati alla fede. Così, se cade in errore significa che non è degno di essere papa, se invece ha ragione significa che hanno sbagliato tutti i suoi predecessori. In più, quella sulla comunione ai divorziati è una questione più che altro di forma: Bergoglio non ha proposto una rivoluzione ma ha semplicemente riconosciuto quello che accade già in tutto il mondo. E che potrebbe essere essenziale per la sopravvivenza della Chiesa. Se si applicassero le regole alla lettera, nessuno potrebbe più fare sesso con il nuovo partner dopo il fallimento del proprio matrimonio.

La crisi più grave dopo le spaccature degli anni ‘60

L’attuale crisi, ricorda il Guardian, è la più profonda dai tempi delle riforme liberali degli anni ’60 che portarono il gruppo dei conservatori più convinti, guidati dall’arcivescovo Marcel Lefebvre, a staccarsi dalla Chiesa. Furono gli anni del Concilio Vaticano II e dell’apertura di Roma al resto del mondo sotto la guida di Papa Giovanni XXIII. Il Concilio condannò l’antisemitismo, abbracciò la democrazia, proclamò i diritti umani universali e abolì la messa in latino. Il Vaticano ha trascorso la maggior parte del secolo scorso a lottare contro la rivoluzione sessuale, spingendosi su posizioni assolutistiche come, ad esempio, il divieto assoluto di usare contraccettivi. Francesco ha riconosciuto che non è così che agiscono i fedeli. E lo sanno anche i membri del clero ma si comportano come se non lo sapessero. “La dottrina ufficiale non deve essere messa in discussione, ma nemmeno può essere osservata del tutto”.

I nemici del papa sono nella Chiesa. E stanno combattendo una guerra
papa Francesco apre la Porta Santa della Basilica di San Giovanni in Laterano, la terza compiuta personalmente da Bergoglio dopo quelle di Bangui in Centrafrica e di San Pietro 

la ricetta per salvare la Chiesa 

Con oltre un miliardo di fedeli, la Chiesa cattolica è la più grande organizzazione al mondo e molti dei suoi fedeli sono divorziati oppure sono genitori non sposati. Si tratta di un numero in netto calo, soprattutto al di fuori dell’Italia. Negli Stati uniti, ad esempio, la percentuale dei fedeli che vanno regolarmente a messa la domenica è passato dal 55% del 1965 al 22% del 2000. Mentre il numero di bambini battezzati è sceso da 1,3 milioni nel ’65 a 670mila nel 2016. E se per alcuni il motivo dell’allontanamento risiede nell’abbandono delle pratiche più tradizionali, per altri la colpa della Chiesa è quella di non essere riuscita a cambiare abbastanza per essere vicina alle persone. Da parte sua, “Papa Francesco è sicuro che se non riuscirà a far coincidere teoria e pratica le chiese si svuoteranno. Anche i suoi avversari sono consapevoli del fatto che l’istituzione sia nel pieno di una crisi, ma la loro ricetta per salvarla è l’opposto: per loro il fossato tra teoria e pratica è esattamente ciò che dà spessore e senso alla Chiesa”. Ma l’attrito riguarda soprattutto la visione del ruolo dell’istituzione tra chi crede che la Chiesa debba organizzare la sua agenda a seconda delle esigenze del mondo e chi crede l’esatto contrario. 




fede e opzione per i poveri

papa Francesco

la fede è tangibile se si concretizza in servizio ai poveri

lo afferma in udienza alla delegazione del Consiglio Metodista mondiale
«Siamo fratelli che, dopo un lungo distacco, sono felici di ritrovarsi e di riscoprirsi a vicenda»
«La fede diventa tangibile soprattutto quando si concretizza nell’amore, in particolare nel servizio ai poveri e agli emarginati»
Lo ha detto il Papa ricevendo in udienza il Consiglio Metodista mondiale. «Quando, Cattolici e Metodisti, accompagniamo e solleviamo insieme i deboli e gli emarginati, coloro che, pur abitando le nostre società, si sentono lontani, stranieri, estranei, rispondiamo all’invito del Signore», ha sottolineato il Papa.  

Parlando del cammino tra metodisti e cattolici, il Papa ha messo in evidenza: «Il dialogo vero incoraggia continuamente a incontrarci con umiltà e sincerità, desiderosi di imparare gli uni dagli altri, senza irenismi e senza infingimenti. Siamo fratelli che, dopo un lungo distacco, sono felici di ritrovarsi e di riscoprirsi a vicenda, di camminare insieme, aprendo con generosità il cuore all’altro. Così proseguiamo, sapendo che questo cammino è benedetto dal Signore: per Lui è iniziato e a Lui è diretto».




la mentalità ottusa di tanti parroci – parola di papa Francesco

papa Francesco

Dio non è “un mucchio di prescrizioni”, ma amore gratuito

Francesco a Santa Marta: i parroci che non battezzano figli di ragazze madri hanno il cuore chiuso; no alla «mentalità ottusa» dell’«autosufficienza della salvezza» con la legge
domenico agasso jr

I parroci che non battezzano figli di ragazze madri hanno il cuore chiuso, senza la «chiave della conoscenza». Il Signore è amore gratuito, non un «mucchio di prescrizioni». Papa Francesco nella Messa di questa mattina, 19 ottobre 2017, a Casa Santa Marta, riflette sulla «gratuità» della salvezza, della vicinanza del Signore e della concretezza delle opere di misericordia che Cristo desidera da ogni uomo. Azioni di bene – materiali o spirituali – con cui si apre «la porta» a se stessi e agli altri. Inoltre mette in guardia dalla «mentalità ottusa» di chi crede «nell’autosufficienza della salvezza» attraverso la legge.    

Il Pontefice – informa Radio Vaticana – si basa sull’odierno brano evangelico da Luca, in cui si legge di scribi e farisei che si ritengono giusti, e il Figlio di Dio fa appurare che solo il Signore è giusto. Il Vescovo di Roma nota che i dottori della legge hanno «portato via la conoscenza: conseguenza»: il mancato ingresso «nel Regno», oltre a «neppure lasciare entrare gli altri».  

Spiega Francesco: «Questo portare via la capacità di capire la rivelazione di Dio, di capire il cuore di Dio, di capire la salvezza di Dio – la chiave della conoscenza -, possiamo dire che è una grave dimenticanza. Si dimentica la gratuità della salvezza; si dimentica la vicinanza di Dio e si dimentica la misericordia di Dio». E coloro che «dimenticano la gratuità della salvezza, la vicinanza di Dio e la misericordia di Dio, hanno portato via la chiave della conoscenza».   

Si trascura quindi la gratuità, che è «l’iniziativa di Dio a salvarci», mentre scribi e farisei «invece si schierano dalla parte della legge»: così la salvezza «è lì, per loro», giungendo in tal modo «ad un mucchio di prescrizioni» che di fatto vengono considerate la salvezza. Ma così «non ricevono la forza della giustizia di Dio», sottolinea il Papa.   

La legge è sempre «una risposta all’amore gratuito di Dio», che assume «l’iniziativa» di salvare ogni uomo e donna.  

Quando «si dimentica la gratuità della salvezza si cade, si perde la chiave dell’intelligenza della storia della salvezza», avverte il Pontefice, smarrendo «il senso della vicinanza di Dio».  

Per chi ragiona così «Dio è quello che ha fatto la legge. E questo non è il Dio della rivelazione. Il Dio della rivelazione è Dio che ha incominciato a camminare con noi da Abramo fino a Gesù Cristo, Dio che cammina con il suo popolo. E quando si perde questo rapporto vicino con il Signore, si cade in questa mentalità ottusa che crede nell’autosufficienza della salvezza con il compimento della legge. La vicinanza di Dio». 

 

Quando non si prega, «non si può insegnare la dottrina» e neanche «fare teologia», in particolare «teologia morale»: infatti – ribadisce Francesco – la teologia «si fa in ginocchio, sempre vicino a Dio».

La vicinanza di Dio c’è «al punto più alto di Gesù Cristo crocifisso». Perciò le opere di misericordia «sono la pietra di paragone del compimento della legge», dato che si va a toccare la carne sofferente di Cristo, «Cristo che soffre in una persona, sia corporalmente sia spiritualmente». 

E quando si perde la chiave della conoscenza, si rischia pure di cadere nella «corruzione». 

Francesco poi si concentra sulle «responsabilità» dei pastori nella Chiesa: quando perdono o mettono via «la chiave dell’intelligenza», sbarrando «la porta a noi e agli altri». Racconta Papa Bergoglio: «Nel mio Paese ho sentito parecchie volte di parroci che non battezzavano i figli delle ragazze madri, perché non erano nati nel matrimonio canonico. Chiudevano la porta, scandalizzavano il popolo di Dio, perché? Perché il cuore di questi parroci aveva perso la chiave della conoscenza».  

E senza «andare tanto lontano nel tempo e nello spazio, tre mesi fa, in un paese, in una città, una mamma voleva battezzare il figlio appena nato, ma lei era sposata civilmente con un divorziato. Il parroco ha detto: “Sì, sì. Battezzo il bambino. Ma tuo marito è divorziato. Rimanga fuori, non può essere presente alla cerimonia”. Questo succede oggi. I farisei, i dottori della legge non sono cose di quei tempi, anche oggi ce ne sono tante». 

Perciò «è necessario pregare per noi pastori. Pregare, perché non perdiamo la chiave della conoscenza e non chiudiamo la porta a noi e alla gente che vuole entrare».




mai più la pena di morte

papa Francesco

il Papa partecipa alla Commemorazione dei XXV del Catechismo della Chiesa Cattolica

Venticinque anni da celebrare quelli della stesura del Catechismo della Chiesa cattolica e della firma della Costituzione Apostolica Fidei Depositum da parte di san Giovanni Paolo II.

Il Papa li ha celebrati con un riflessione proposta ai partecipanti ad un convegno promosso dal Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione

Papa Francesco ha ricordato che

“San Giovanni XXIII aveva desiderato e voluto il Concilio non in prima istanza per condannare gli errori, ma soprattutto per permettere che la Chiesa giungesse finalmente a presentare con un linguaggio rinnovato la bellezza della sua fede in Gesù Cristo”.

Da qui due parole “custodire” e “proseguire” che sono state la base del discorso del Papa.

Il Catechismo del 1992 “intende avvicinare i nostri contemporanei, con le loro nuove e diverse problematiche, alla Chiesa, impegnata a presentare la fede come la risposta significativa per l’esistenza umana in questo particolare momento storico. Non è sufficiente, quindi, trovare un linguaggio nuovo per dire la fede di sempre; è necessario e urgente che, dinanzi alle nuove sfide e prospettive che si aprono per l’umanità, la Chiesa possa esprimere le novità del Vangelo di Cristo che, pur racchiuse nella Parola di Dio, non sono ancora venute alla luce. E’ quel tesoro di “cose antiche e nuove” di cui parlava Gesù, quando invitava i suoi discepoli a insegnare il nuovo da lui portato senza tralasciare l’antico”.

Conoscere Dio non è

“un esercizio teorico della ragione umana, ma un desiderio inestinguibile impresso nel cuore di ogni persona” e quindi il catechismo “si pone alla luce dell’amore come un’esperienza di conoscenza, di fiducia e di abbandono al mistero”.

Il tema che il Papa affronta direttamente è quello della pena di morte, già ampiamente dibattuto all’epoca della pubblicazione del Catechismo.

“Problematica – dice il Papa che- non può essere ridotta a un mero ricordo di insegnamento storico senza far emergere non solo il progresso nella dottrina ad opera degli ultimi Pontefici, ma anche la mutata consapevolezza del popolo cristiano, che rifiuta un atteggiamento consenziente nei confronti di una pena che lede pesantemente la dignità umana. Si deve affermare con forza che la condanna alla pena di morte è una misura disumana che umilia, in qualsiasi modo venga perseguita, la dignità personale. E’ in sé stessa contraria al Vangelo perché viene deciso volontariamente di sopprimere una vita umana che è sempre sacra agli occhi del Creatore e di cui Dio solo in ultima analisi è vero giudice e garante”.

Il Papa afferma:

“Assumiamo le responsabilità del passato, e riconosciamo che quei mezzi erano dettati da una mentalità più legalistica che cristiana. La preoccupazione di conservare integri i poteri e le ricchezze materiali aveva portato a sovrastimare il valore della legge, impedendo di andare in profondità nella comprensione del Vangelo. Tuttavia, rimanere oggi neutrali dinanzi alle nuove esigenze per la riaffermazione della dignità personale, ci renderebbe più colpevoli”.

E aggiunge con forza:

“E’ necessario ribadire pertanto che, per quanto grave possa essere stato il reato commesso, la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona”.

Per il Papa la

“Tradizione è una realtà viva e solo una visione parziale può pensare al “deposito della fede” come qualcosa di statico. La Parola di Dio non può essere conservata in naftalina come se si trattasse di una vecchia coperta da proteggere contro i parassiti! No. La Parola di Dio è una realtà dinamica, sempre viva, che progredisce e cresce perché è tesa verso un compimento che gli uomini non possono fermare”. 

Non si tratta di un cambiamento di dottrina quindi, ma

“non si può conservare la dottrina senza farla progredire né la si può legare a una lettura rigida e immutabile, senza umiliare l’azione dello Spirito Santo”.

Il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, che ha la competenza del Catechismo della Chiesa Cattolica, ha organizzato  un incontro con la partecipazione di Cardinali, Vescovi, ambasciatori, teologi, rettori e professori, esperti di catechesi, catechisti e catechiste, parroci, sacerdoti, religiosi e seminaristi, così da garantire una rappresentanza eterogenea del panorama verso cui il CCC si rivolge e dal quale allo stesso tempo trae la sua linfa vitale.  Nell’atrio dell’Aula Paolo VI, è stata allestita una mostra dei volumi del Catechismo e del suo compendio nelle diverse lingue in cui sono stati tradotti e diffusi nel mondo




la grande pocrisia di troppi ‘cristiani’

«dirsi cristiani e cacciare i rifugiati è pura ipocrisia»

 il papa riceve in udienza i Luterani in pellegrinaggio a Roma. E invita tutti a cercare una unità basata sulla misericordia, sulla carità, sull’aiuto ai più bisognosi. Poi, rispondendo a una domanda, graffia certi atteggiamenti che di religioso hanno solo la facciata, ma sono lontani dal Vangelo…

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«Il proselitismo è il veleno più forte contro il cammino ecumenico».

Papa Francesco ne aveva già parlato nel corso del suo viaggio in Georgia affrontando il tema dei rapporti tra cattolici e ortodossi. E ripete quasi le stesse frasi anche ricevendo in udienza il pellegrinaggio dei luterani. In attesa di incontrarli in Svezia, a  fine mese, dove parteciperà alle celebrazioni per i 500 anni della riforma, Bergoglio invita tutti a cercare quello che ci unisce e non quello che ci divide, a lasciare a teologi ed esperti il dialogo su questioni dottrinali e a vivere, intanto, da fratelli nella prassi concreta della carità e della condivisione. Sapendo che «è la misericordia di Dio ciò che ci unisce».  Il Papa ringrazia per il cammino fatto, «perché oggi, luterani e cattolici, stiamo camminando sulla via che va dal conflitto alla comunione. Abbiamo percorso insieme già un importante tratto di strada. Lungo il cammino proviamo sentimenti contrastanti: dolore per la divisione che ancora esiste tra noi, ma anche gioia per la fraternità già ritrovata. La vostra presenza così numerosa ed entusiasta è un segno evidente di questa fraternità, e ci riempie della speranza che possa continuare a crescere la reciproca comprensione».

Ripete, come già aveva fatto nella messa a Santa Marta, l’identikit del cristiano che è scelto, perdonato e che è in cammino. E chiama protestanti e cattolici a sentire che, come dice l’Apostolo Paolo «in virtù del nostro battesimo, tutti formiamo l’unico Corpo di Cristo».

Rispondendo alle domande dei presenti che chiedevano cosa non piace al Papa dei luterani e quali siano secondo lui i più grandi riformatori Bergoglio ha chiarito che «non mi piacciono i luterani tiepidi come non mi piacciono i cattolici tiepidi» e che  «i più grandi riformatori della Chiesa sono i santi, cioè gli uomini e le donne che seguono la parola del Signore e la praticano. Questo riforma la Chiesa, Forse non sono teologi, forse non hanno studiato, sono gente umile o sono grandi, questi che hanno l’anima bagnata, che sono pieni del Vangelo questi riformano la Chiesa».

E ancora ha ricordato che «non è lecito convincere della propria fede, bisogna dare testimonianza. La testimonianza inquieta il cuore e dall’inquietudine nasce la domanda e lo Spirito Santo agisce».

E «la testimonianza che il mondo si aspetta da noi è soprattutto quella di rendere visibile la misericordia che Dio ha nei nostri confronti attraverso il servizio ai più poveri, agli ammalati, a chi ha abbandonato la propria terra per cercare un futuro migliore per sé e per i propri cari. Dunque, l’unione delle due Chiese si riflette innanzitutto nella carità e nel mettersi a servizio dei più bisognosi». Il Papa ha incoraggiato i giovani a continuare «a cercare con insistenza occasioni per incontrarvi, conoscervi meglio, pregare insieme e offrire il vostro aiuto gli uni agli altri e a tutti coloro che sono nel bisogno. Così, liberi da ogni pregiudizio e fidandovi solo del Vangelo di Gesù Cristo, che annuncia la pace e la riconciliazione, sarete veri protagonisti di una nuova stagione di questo cammino, che, con l’aiuto di Dio, condurrà alla piena comunione».

Graffiando l’Occidente dei muri e delle muove frontiere, sempre più vittima della paura,  chiuso al prossimo, Jorge Mario Bergoglio ha detto tra l’altro:

 «La malattia o, possiamo dire, il peccato che Gesù condanna di più è l’ipocrisia. E’ un atteggiamento ipocrita dirsi cristiani e cacciare via un rifugiato, uno che cerca aiuto, un’affamato, un assetato, cacciare via quello che ha bisogno del mio aiuto»




il razzismo della chiesa polacca contro papa Francesco

la rivolta della Polonia contro papa Francesco

la deriva razzista dei vescovi di Varsavia

ventidue le diocesi polacche su un totale di 42 vi hanno preso parte. L’iniziativa che ha coinvolto un milione di persone si è mossa in senso contrario all’impegno continuo e lucido di Francesco per l’accoglienza ai profughi e agli immigrati nel bisogno, è stata appoggiata dal Governo polacco da una parte dei vescovi e dal vertice della Conferenza episcopale oltre che dalla potente Radio Maria di stampo tradizionalista e dalla televisione pubblica polacca

Il Papa in Polonia (foto agensir)
Il papa in Polonia 

Uno dei fronti anti Francesco passa per la Polonia dove il solo papa per ora considerato dalla maggior parte dei fedeli cattolici è san Giovanni Paolo II. Il campanello di allarme è suonato lo scorso 7 ottobre, anniversario della vittoria navale dei cattolici contro l’islam a Lepanto del 1571. Per iniziativa di due laici cattolici neoconvertiti e nostalgici di una Chiesa che menava le mani, un milione di cattolici schierato lungo i 3500 chilometri di confini ha recitato in contemporanea il Rosario “per la pace e per salvaguardare la patria e il resto d’Europa dalla secolarizzazione e soprattutto dall’islamizzazione”.

Un modo un tantino articolato e pomposo per nascondere in realtà il vero obiettivo: una parola d’ordine contro immigrati e profughi che in maggioranza musulmana a parere dei singolari cattolici polacchi stanno invadendo l’Europa e mettendo a rischio l’identità cattolica del continente e della stessa Polonia. Ventidue le diocesi polacche su un totale di 42 vi hanno preso parte. L’iniziativa che si è mossa in senso contrario all’impegno continuo e lucido di Francesco per l’accoglienza ai profughi e agli immigrati nel bisogno, è stata appoggiata dal Governo polacco da una parte dei vescovi e dal vertice della Conferenza episcopale oltre che dalla potente Radio Maria di stampo tradizionalista e dalla televisione pubblica polacca.

 L’iniziativa è stata pubblicamente criticata dal vescovo Tadeusz Pieronek, ex segretario della Conferenza episcopale che intervistato da “Famiglia Cristiana” ha voluto precisare che il rosario “non è un’arma ideologica” denunciando l’appoggio di una parte dei vescovi alla deriva razzista del Governo di Varsavia. A suo parere sembra che i vescovi non si accorgano” della strumentalizzazione della Chiesa da parte del Governo” e che una parte della Chiesa è stata per lo meno gravemente ingenua in questa circostanza. A parere del presule tutti i polacchi che hanno partecipato al rosario “sono contro il pensiero e l’insegnamento di papa Francesco” rilevando che in Polonia “è in atto una battaglia per persuadere la gente che ogni profugo è un bandito che attenta all’identità polacca ed è una minaccia grave e reale per la salute e la vita dei polacchi”.

Laici cattolici progressisti che sono una minoranza sono entusiasti per papa Francesco e sono preoccupati per la furbizia con cui tanti preti e vescovi del paese lasciano intendere di essere d’accordo con Francesco ma poi predicano e operano contro le sue direttiva pastorali e dottrinali. Si nascondo dietro una finta preoccupazione secondo cui la cosa migliore da fare è aiutare i profughi a casa loro. Molta parte della gente segue i vescovi ma sembra quasi che i conservatori più determinati stiano tra i laici. Eppure la Chiesa in Polonia dispone di un benessere economico notevole dal momento che alla disponibilità di denaro si è aggiunta la restituzione del patrimonio immobiliare sequestrato sotto il comunismo. Anche in Polonia è tempo di nazionalismo che si nutre con il populismo che – secondo alcuni – sposta l’asse del Paese e della Chiesa su una china pericolosa per la stessa democrazia.

A più riprese, ormai da tempo, ci si chiede dove siano i critici di papa Francesco. In Polonia sono venuti allo scoperto con l’equivoco di una preghiera chiaramente e tranquillamente strumentalizzata. Analoghe resistenze si possono registrare in altri Paesi specialmente occidentali. Il papa né è cosciente ma non demorde dall’impegno a cambiare il paradigma della coscienza che la Chiesa ha di sé e della tradizionale presenza pastorale. Opera gigantesca avviata dal concilio che il papa intende portare avanti senza tentennamenti e tuttavia (in ottemperanza alla misericordia) con guanto di velluto, lasciando ai suoi critici inutili polemiche e chiarendo sempre più decisamente la necessità di passare da una Chiesa che celebra la battaglia di Lepanto a una Chiesa che manifesta con chiarezza e sempre la misericordia di Dio. Con tutte le conseguenze anche nei tradizionali rapporti con il potere politico ed economico.




papa Francesco preoccupato per i cattolici reazionari e razzisti europei

migranti

papa Francesco critica i cattolici razzisti

papa Francesco riceve in udienza i direttori degli Uffici della pastorale per le migrazioni e si dice preoccupato per i sentimenti di intolleranza e xenofobia diffusi anche tra i cattolici e giustificati, spiega, «da un non meglio specificato “dovere morale” di conservare l’ identità culturale e religiosa originaria»

Denuncia l’ incoerenza di molti credenti e di alcune Chiese locali di fronte al problema delle migrazioni in Europa. Papa Francesco, nel discorso direttori degli Uffici per i migranti delle Conferenze episcopali d’ Europa, è molto severo nella critica e parla apertamente di “reazione di difesa e di rigetto”, veri e propri atteggiamenti razzisti in molti cattolici. L’ incontro è avvenuto venerdì 22 settembre e i direttori erano accompagnati dal cardinale Angelo Bagnasco, ex-presidente della Cei e attuale presidente dei vescovi europei. Il Papa ha confidato:

“Non vi nascondo la mia preoccupazione di fronte ai segni di intolleranza, discriminazione e xenofobia che si riscontrano in diverse regioni d’ Europa. Esse sono spesso motivate dalla diffidenza e dal timore verso l’ altro, il diverso, lo straniero. Mi preoccupa ancor più la triste constatazione che le nostre comunità cattoliche in Europa non sono esenti da queste reazioni di difesa e rigetto, giustificate da un non meglio specificato ‘dovere morale’ di conservare l’ identità culturale e religiosa originaria”.

I rimproveri di Francesco riguardano il settore orientale dell’ Europa e le posizioni tiepide degli episcopati di Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca nei confronti delle politiche nazionali dei loro governi che hanno ripetutamente negato l’ accettazione delle quote di migranti previste dall’ Unione Europea. La maggior parte dei cattolici è d’ accordo con i governi sul contrasto all’ immigrazione e sull’ ingresso dei migranti in quei Paesi. La situazione più delicata appare quella polacca. Qualche mese fa monsignor Krzysztof Zadarko, vescovo ausiliare di Koszalin-Kołobrzeg e responsabile della conferenza episcopale polacca per l’ immigrazione, ha affermato che è “necessaria una maggiore apertura verso il prossimo in difficoltà”, riferendosi ai dati di un sondaggio secondo cui solo il quattro per cento dei polacchi è “decisamente favorevole” all’ accoglienza dei profughi provenienti dal Medio Oriente. 

Lo studio, dell’ istituto polacco Cbos (Centro di analisi dell’ opinione pubblica), indicava una costante crescita della porzione della popolazione, fino al 74 per cento, contraria alla ricollocazione dei profughi, secondo le quote previste dall’ Unione in Polonia. Da dicembre del 2015 ad oggi il numero di polacchi che rifiutano gli immigrati mediorientali e africani supera stabilmente i favorevoli all’ accoglienza. Tuttavia, il 55 per cento della popolazione polacca accetterebbe i profughi ucraini senza distinzioni di fede o di etnia. Monsignor Zadarko aveva detto di essere “profondamente rattristato”. E’ la stessa amarezza che si coglie nelle parole del Papa, che invece sostiene che “riconoscere e servire il Signore in questi membri del suo ‘popolo in cammino’ è una responsabilità che accomuna tutte le Chiese particolari nella profusione di un impegno costante, coordinato ed efficace”.

Beroglio ha denunciato anche una “sostanziale impreparazione delle società ospitanti e da politiche nazionali e comunitarie spesso inadeguate”. E ha aggiunto anche una critica ai “limiti dei processi di unificazione europea” e agli “ostacoli con cui si deve confrontare l’ applicazione concreta della universalità dei diritti umani, dei muri contro cui si infrange l’ umanesimo integrale che costituisce uno dei frutti più belli della civiltà europea”.




papa Francesco è il papa che Lutero avrebbe voluto 500 anni fa

 

Lettera a papa Francesco. Il papa che Lutero avrebbe voluto

lettera a papa Francesco

il papa che Lutero avrebbe voluto

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 35 del 14/10/2017

Caro papa Francesco

lo sai, il 2017 è un anno importante per i luterani. In molti siamo elettrizzati nel commemorare l’audacia di un monaco agostiniano del XVI secolo, che il 31 ottobre 1517 affisse le sue 95 tesi al portone della cattedrale di Wittemberg. Le dita volano sulla tastiera per celebrare o discutere in modo febbrile contributi e punti deboli di Martin Lutero. Io, però – “marinata” nel luteranesimo americano per quasi tutta la vita – mi trovo a scrivere a te, il capo della Chiesa cattolica.

Forse è un momento particolare per le lettere degli ammiratori luterani. Eppure,

da quando sei diventato vescovo di Roma nel 2013, sono sempre più convinta che sei il papa che Lutero avrebbe voluto 500 anni fa.

Ecco quattro motivi.

1. Ci aiuti a vedere Cristo nel prossimo. 

Lutero ha sempre insistito sull’“amore per il prossimo” come nodo decisivo per amare Cristo e rispondere a un mondo che fa del male. Identificava il prossimo nel sofferente, chiunque esso fosse. Inveiva contro il disprezzo del povero e dell’affamato. Invocava la creazione di una cassa comunale per l’assistenza sociale. Aborriva le pratiche dell’usura e la vendita delle indulgenze.

Una volta hai detto: «Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!», e hai dato al mondo innumerevoli esempi di una Chiesa del genere. Il tuo primo viaggio pastorale fuori Roma è stato per incontrare i migranti che fuggivano dalla povertà e dalla violenza. Hai lavato i piedi a musulmani, a donne, a detenuti. Hai fatto installare bagni e docce in Vaticano per coloro che vivono per le strade di Roma. Dopo il tuo discorso storico del 2015 a una seduta congiunta del Congresso Usa, hai pranzato non con l’élite di Washington, ma con gli ospiti di un centro per senzatetto.

2. Ci aiuti a vedere Dio nella creazione.

Lutero amava la vita nelle sue forme variegate e affascinanti: le sue acque vivificanti, le sue creature, i paesaggi. Nei suoi scritti faceva continuamente riferimento alla creazione e alla vita quotidiana. Assaporava il piacere di condividere il cibo, il vino e la conversazione, connettendo questa sorta di comunione con il sacramento. In breve, Lutero individuava il divino “in, con e sotto” tutto il creato.

Tu hai scelto il nome di Francesco d’Assisi, che amava la Terra e tutte le sue creature. La tua prima enciclica, Laudato Si’, mette a nudo il fatto che il cambiamento climatico aggrava ogni altro male sociale e la crudele ironia per cui coloro che meno contribuiscono al degrado della nostra casa comune ne stanno pagando il prezzo più alto. Ci chiedi di affrontare non solo queste dure realtà del pianeta, ma anche le parti di noi che non vorremmo vedere: egoismo, indifferenza e intenzionale ignoranza.

Ma la Laudato si’ esprime anche una profonda speranza. Hai scritto: «Essendo [l’essere umano] stato creato per amare, in mezzo ai suoi limiti germogliano inevitabilmente gesti di generosità, solidarietà e cura» (n. 58). Il cuore della storia cristiana è in un richiamo profetico a una nuova vita, una resurrezione che non riguarda semplicemente la salvezza delle anime, ma atti concreti che restaurino e rinnovino la vita qui ed ora. Significa scongelare i nostri cuori e aprirli all’esterno in un autentico amore di sé, del prossimo, del pianeta e di Dio.

3. Coniughi umiltà e audacia.

Lutero accusava la Chiesa di papa Leone X di essere “gonfia” di superbia opulenta e di avidità. Lo faceva infuriare vedere chierici ordinati abusare della fiducia, delle risorse finanziarie, della fede e del timore del loro gregge. Voleva profondamente che i cristiani, ordinati e laici, comprendessero che siamo paradossalmente liberi in Cristo e allo stesso tempo chiamati a essere “servi di tutti”.

La tua testimonianza nel mondo è di grande umiltà, a partire dalla decisione di vivere in un semplice appartamento invece che nel palazzo apostolico. Non hai paura di chiedere scusa. Comprendi la visione di Lutero per cui l’essere umano è allo stesso tempo santo e peccatore, che ogni persona è sempre sia amata sia incompleta, capace di esprimere grazia e riconciliazione ma sempre bisognosa di riconciliazione e perdono.

Allo stesso tempo sei una rockstar. Sei apparso sulla copertina di Rolling Stone e sei stato nominato da Time “persona dell’anno”. Come Lutero, hai raggiunto la fama internazionale in una cultura dell’immagine e utilizzi strategicamente le sue tecnologie. Lutero usava Facebook e Snapchat dei suoi tempi: incisioni su legno, stampa, affissione pubblica di documenti. Attraverso interviste a braccio e conferenze stampa, Twitter e programmi di divulgazione, tu fai uso della tua posizione privilegiata per focalizzare la nostra attenzione su temi che spesso vogliamo evitare: disuguaglianza inaccettabile, fame cronica, abusi dei diritti umani, devastazioni della guerra.

4. Ispiri una speranza e un’azione creativa.

Lutero non aveva intenzione di rompere con la Chiesa cattolica, ma la sua fiera oratoria e il suo esempio audace innescarono un movimento e un rinnovamento della fede che non riuscì a anticipare pienamente né a contenere. La sua traduzione della Bibbia in tedesco la rese disponibile al pubblico per la prima volta e i suoi inni contribuirono ad accrescerne la partecipazione più piena alla liturgia. Il suo humour e la sua passione attirarono la gente in un’azione coraggiosa e in una comunità creativa.

Anche tu sei fonte di ispirazione per molti nel pianeta. Nella parola e nell’azione rendi quanto mai chiaro che ciascuno ha un contributo da offrire. Insieme, abbiamo molto da fare: scienziati, capi religiosi, manager, artisti, ingegneri, insegnanti, imprenditori, avvocati, teologi, politici. Ora è il momento per noi di essere, come direbbe Lutero, “il sacerdozio di tutti i credenti” (e, aggiungo io, dei non credenti).

Tu sei fonte di ispirazione per me, papa Francesco. Mi aiuti a trovare il coraggio di vivere con uno scopo. Quindi, con coraggio, chiudo questa lettera con una fervente richiesta: che tu preghi per gli Stati Uniti e il mondo in questi tempi tumultuosi e confusi, che troviamo la nostra strada con il minimo danno a noi stessi e agli altri. Ti chiedo di pregare senza sosta perché l’umanità si svegli ascoltando la miriade di grida della creazione per fare in tempo qualcosa di significativo.

Dio ti benedica, Santo Padre. Sappi che prego con e per te.

* Aana Marie Vigen è membro della Chiesa evangelica luterana in america, è docente associata di Etica sociale cristiana presso la Loyola University Chicago. Articolo apparso su “America magazine” (19/9). Testo originale: https://www.americamagazine.org/faith/2017/09/19/lutherans-love-letter-pope-francis

 




piena sintonia tra il giornale ‘il manifesto’ e papa Francesco

terra, casa, lavoro

perché sentiamo nostro il messaggio del papa

di Luciana Castellina
in “il manifesto” del 4 ottobre 2017

Le parole del Papa veicolate da il manifesto: uno scandalo? Saranno in molti a gridarlo. Già parecchi hanno cominciato minacciosamente a chiamare Bergoglio «comunista in tonaca bianca», figurarsi quando scopriranno che i suoi discorsi agli Incontri Mondiali dei Movimenti Popolari (EMMP) – Roma 2014; Santa Cruz in Bolivia 2015; di nuovo Roma 2016 – vengono addirittura distribuiti in abbinamento al quotidiano dei comunisti senza tonache quali siamo noi.

Di comunisti (o simili) in effetti agli incontri ce ne sono stati e anche importanti: all’ultimo Pepe Mujica, guerrigliero coi Tupamaros e quindi presidente dell’Uruguay, calorosamente salutato da Papa Francesco; con Evo Morales, presidente indio della Bolivia, c’era stata quasi una cogestione della conferenza. E poi, con i movimenti, provenienti da 68 paesi diversi, ce ne sono stati molti altri, ancorché non presidenti, ma a capo di assai importanti organizzazioni di sinistra: João Pedro Stedìle, leader dei Sem terra brasiliani e il coordinatore della rete internazionale Via campesina tanto per fare un esempio, ambedue – fra l’altro – membri del comitato internazionale del Forum Sociale Mondiale, con cui la EMMP ha molti tratti comuni nonostante qualche dissenso. Era stato peraltro invitato anche Bernie Sanders che poi non è potuto venire e a seguire i lavori ci sono stati Indignados, Confederazioni sindacali, persino il Leoncavallo. Rivoluzione in Vaticano, dunque (e al manifesto)? No, ma per la Chiesa certamente una discontinuità forte, pratica e teorica. Il comunismo non c’entra ma il focus significante delle parole del papa ha certo a che fare con i movimenti rivoluzionari: per via dell’insistente richiamo alla soggettività, al protagonismo delle vittime, che debbono prendere la parola e non solo subìre. Perciò occorre dar valore alla politica con la P maiuscola, di cui «non bisogna avere paura, perché è anzi la forma più alta della carità cristiana». Non politica «per» i poveri, però – che «è carro mascherato per contenere gli scarti del sistema» (Francesco parlava dei «bonus»?), ma politica «dei» poveri, e cioè praticata direttamente da loro. Questo significa «rifondare la democrazia», che è oggi recinto dai «confini ristretti», è solo quella èlitaria, ufficiale, inservibile. Alla denuncia dell’ingiustizia da parte della Chiesa – espressa sia pure con maggiore prudenza di quanto accade oggi che si condanna senza mezzi termini la globalizzazione neoliberista, la corruzione della finanza, il terrorismo del danaro – qualche papa ci aveva già abituati. In questo senso il Concilio Vaticano II è stato una straordinaria porta spalancata su un pensiero cristiano fino ad allora per i più inimmaginabile. Colpì anche noi comunisti che del Vaticano, e non senza ragioni, eravamo abituati a sospettare. Nelle tesi per il IX congresso del PCI fu inserita una affermazione significativa: la religione sentitamente vissuta può essere un contributo importante alla critica anticapitalista. Un concetto su cui Togliatti tornò in modo più netto nel discorso, diventato famoso, tenuto al primo convegno su cattolici e comunisti promosso da una organizzazione comunista: dalla federazione della «bianchissima» Bergamo (di cui mi piace ricordare che era segretario uno dei fondatori de Il Manifesto, Eliseo Milani).


E poi c’erano stati in America Latina, negli anni ’70, Puebla e la Liturgia (ndr.:?) della Liberazione. Ma la grande innovazione di cui Papa Bergoglio si fa ora paladino (non) sta nel dire che i poveri bisogna amarli e aiutarli e che poi andranno in paradiso, ma che devono alzare la testa e combattere qui e oggi, su questa terra e in questo tempo. E nel chiedere ai movimenti, e cioè alla politica, di farsi carico di generare i processi necessari. Se il manifesto veicola i discorsi di papa Francesco, non è per ospitalità, o per strumentale ammiccamento. È perché questo suo messaggio lo sentiamo nostro. Utile anche ai nostri lettori. Molti generosamente impegnati nella solidarietà, e però spesso, per disillusione, ormai scettici verso la politica.
Da domani, 5 ottobre, in edicola con il manifesto «Terra, casa, lavoro. Discorsi ai movimenti popolari» di papa Francesco. Un libro edito da Ponte alle Grazie curato da una delle nostre firme Alessandro Santagata. Introduzione di Gianni La Bella.

 

terra, casa, lavoro

un progetto politico con al centro gli esclusi

di Luca Kocci
in “il manifesto” del 5 ottobre 2017

I futuri storici della Chiesa e del papato, ma forse anche quelli della società, non potranno ignorare le date del 27-29 ottobre 2014, 7-9 luglio 2015 e 2-5 novembre 2016, quando, convocati da papa Francesco, si sono svolti i tre Incontri mondiali dei movimenti popolari (Emmp, Encuentro mundial de movimientos populares). Rappresentanti di centinaia di organizzazioni, sindacati e movimenti di base di tutto il mondo, la maggior parte dei quali dell’area della sinistra – dai Sem terra del Brasile agli operai delle “fabbriche recuperate”, da Via Campesina ai metallurgici della United Steelworkers, fino al Centro sociale Leoncavallo – hanno varcato le mura leonine e si sono ritrovati in Vaticano (primo e terzo incontro) e a Santa Cruz de la Sierra (durante il viaggio del papa in Bolivia nel luglio 2015) per discutere, confrontarsi ed elaborare linee comuni di azione a partire da tre parole chiave lanciate e declinate da Francesco, le 3T di Tierra, Techo, Trabajo (Terra, Casa, Lavoro). «Folclore», appuntamenti eversivi promossi dal «papa comunista», i commenti della stampa di destra. Generale silenzio da parte dei media filo-Francescani, attenti a non spingersi al di là del recinto dell’ordine sociale costituito. La verità sta nel mezzo: gli incontri sono stati capitoli importanti del pontificato di Bergoglio che con essi – e con l’esortazione apostolica “programmatica” Evangelii gaudium e l’enciclica socio-ambientale Laudato si’ – ha aggiornato la Dottrina sociale della Chiesa, valorizzando il protagonismo dei movimenti popolari; ma non è nata una sorta di “internazionale vatican-socialista”, come i detrattori, da destra, vorrebbero avvalorare, anche perché il papa resta il pontefice romano non un «bolscevico in tonaca bianca» e nemmeno un teologo della liberazione, che anzi ha collaborato a ricondurre all’ovile della più rassicurante e interclassista Teologia del popolo; né possono essere sbrigativamente ridotti a «colore». Vanno invece analizzati, anche per capire in che direzione sta andando la Chiesa cattolica. È allora di grande utilità il volume, “firmato” papa Francesco, Terra, Casa, Lavoro. Discorsi ai movimenti popolari (prefazione di Gianni La Bella, a cura di Alessandro Santagata, collaboratore del nostro giornale), edito da Ponte alle Grazie (pp. 176, euro 12), da oggi, e per due settimane, in abbinamento con il manifesto (10 euro + il prezzo del quotidiano). Il libro raccoglie i tre discorsi di papa Francesco ai movimenti (contestualizzati da un’ampia postfazione di Santagata) che seguono il filo rosso delle 3T: la diseguaglianza e l’esclusione sociale, la pace e i cambiamenti climatici il primo; la sovranità alimentare, la democratizzazione della terra, il lavoro e la casa come diritti umani fondamentali il secondo; i muri, le migrazioni e la politica, con un forte appello a fare politica «senza lasciarsi imbrigliare» e «senza lasciarsi corrompere». È stato possibile «portare nel cuore del Vaticano, da protagoniste, le organizzazioni dei poveri che non si rassegnano alla vita miserabile imposta loro da questo sistema», spiega in un’intervista inedita contenuta nel libro Juan Grabois, componente della direzione nazionale della argentina Confederación de trabajadores de la economía popular nonché uno dei registi dell’Emmp, insieme a Joao Pedro Stédile, leader del Movimento Sem terra del Brasile, e, per parte vaticana, al card. Peter Turkson, presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace, poi diventato Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. «Obiettivo dell’Emmp – prosegue Grabois – è stato offrire uno spazio di fratellanza alle organizzazioni di base dei cinque continenti, un luogo in cui i movimenti avrebbero potuto costruire una piattaforma per fare in modo che gli esclusi siano protagonisti dei processi di cambiamento» e poi, nei successivi incontri, «promuovere l’organizzazione comunitaria degli esclusi per costruire dal basso l’alternativa umana a una globalizzazione emarginatrice che aggredisce persino il diritto inviolabile alla terra, alla casa e la lavoro».
Dopo tre incontri, che fare? La domanda resta aperta. Il rischio, inevitabile, è che anche l’Emmp, se continuerà (a marzo è in programma un nuovo incontro, a Caracas, senza il papa) si trasformi in una sorta di “liturgia” ripetitiva, generica e sterile. Da parte di Francesco è il tentativo, nota Santagata, di «spostare il centro della missione evangelizzatrice sulla questione sociale» e «di impegnare la più grande e strutturata organizzazione religiosa del mondo in un progetto politico che si propone di incidere in alcune vertenze specifiche», come l’acqua pubblica, il reddito, il diritto alla casa. Resterà da vedere se la Chiesa cattolica si incamminerà su questa strada.

 

sul lavoro le parole di un profeta che non usa la fede come ammortizzatore sociale

di Nichi Vendola
in “il manifesto” del 5 ottobre 2017

La radicalità evangelica del magistero di Papa Francesco è, in tutta evidenza, il contrario di una deriva integralistica o mistica. E, nel contempo, a differenza da ciò che lamenta l’ala tradizionalista del cattolicesimo, non ha alcuna soggezione verso le seduzioni della secolarizzazione. Le sue parole vanno diritte al cuore delle cose ed esibiscono fastidio per gli eufemismi che spesso le cose le manipolano o le anestetizzano. Quella radicalità coglie la radice dei mali del secolo e non usa la fede come «ammortizzatore sociale». Anzi. Nelle sontuose sale vaticane o nelle polverose periferie del pianeta, la «buona novella» che il pontefice annuncia non è una sublimazione mistica delle cattive notizie che dicono della miseria di un’epoca di guerra globale, una guerra che si presenta persino in forme pulviscolari: la guerra come terrore industriale o come artigianato dei «lupi solitari», la guerra alla bio-sfera nel nome della mercificazione di tutto il vivente, la guerra sociale contro il lavoro e i suoi diritti, la guerra degli uomini contro le donne, la guerra dei più ricchi contro i più poveri, la guerra e i suoi derivati culturali che elevano muri e partoriscono paure individuali e fobie collettive. La radicalità di Bergoglio a me appare tutta giocata sul terreno del discernimento e dell’analisi antiretorica della malattia sociale e antropologica che affligge la nostra post-modernità, a partire dall’Occidente: la disumanizzazione della vita, alienata e desacralizzata in nome della religione del profitto economico, ridotta a oggetto di veloce consumo, spesso considerata scarto o eccedenza da chi non vede il volto delle persone al di là delle asettiche statistiche con cui ci raccontiamo o con cui ci nascondiamo. Colpisce la vividezza dell’affresco con cui, nei discorsi ai movimenti popolari, il Papa «venuto dalla fine del mondo» racconta il vivere concreto, amaro, spoglio, degli poveri: a cui non offre consolazione, bensì esortazione alla lotta, direi alla resilienza; colpisce la precisione puntigliosa con cui evoca ciascun tassello del mosaico, ciascun soggetto sociale, non riducendolo mai a mera sociologia, a oggetto di studio o di terapie riparative. Il suo incontro con gli «ultimi» diviene scontro con i «primi», ovvero conflitto aperto con quelle gerarchie socio-economiche che presentano la diseguaglianza come natura e che, nel migliore dei casi, prevedono «politiche sociali» di contenimento neo-caritatevole della povertà. Ed è non generica la povertà di cui parla e per la quale non chiede l’elemosina. È quel non avere né tetto né legge dei migranti, oggi rappresentati e repressi come disturbatori della quiete pubblica o propagatori di malattie o competitori nel mercato del lavoro servile. È il non aver casa, ancora oggi mentre cerchiamo alloggi su Marte, proprio come accadde a quella coppia che trovò riparo in una grotta per dare alla luce un bambino, prima di migrare da rifugiati in un Paese lontano. È il non avere terra da coltivare, non poter essere biblici «custodi del creato», perché la terra è bruciata dai pesticidi e dalla mutazione climatica e dalla violenza predatoria delle grandi multinazionali. È il non avere lavoro, o avere un lavoro precario o saltuario, senza reddito decente, senza tutela sindacale, senza rispetto della dignità e del singolare talento di ciascun essere umano. Quanto distante questo «magistero del lavoro» dalle chiacchiere moderniste sulla flessibilità che alimenterebbe lo sviluppo economico e che invece semplicemente flette e spezza la carne e l’anima delle persone, che differenza con gli anglicismi con cui il lavoro viene parcellizzato, umiliato, svuotato di senso e ridotto a merce o a osso di seppia, che alterità rispetto all’emergenzialismo dei piani di assistenza che distribuiscono briciole di lavoro che è sempre una grande fatica ma non è mai un vero lavoro, quello che offre «la vera inclusione»: «quella che dà il lavoro dignitoso, libero, creativo, solidale e partecipe», come scandisce il Papa in uno dei suoi discorsi più belli. In questa prospettiva la «conversione ecologica» che annuncia Bergoglio – che volle non a caso chiamarsi col nome del poverello di Assisi – è propedeutica a un modo di produzione che ha l’ambizione di capovolgere la piramide sociale che ci schiaccia: affinché non si estragga ricchezza dalla povertà, ovvero dall’impoverimento della natura, della cultura, della bellezza, dei diritti, della vita e delle sue prerogative. Questa a me appare la grande profezia di Bergoglio: non la fuga dalla storia, ma la ricerca nella storia umana di quel filo rosso che lega il dolore alla salvezza, la demistificazione del male e della sua banalità, ma anche la costante indicazione del varco che lascia intravvedere la luce del bene. Questo fanno i profeti: dicono la verità, la gridano anche quando è scomoda e rischiosa, la rappresentano dinanzi al popolo, non sono Cassandre che spingono alla rassegnazione o alla depressione, ma sono testimoni di una verità che esorta all’azione, all’assunzione di responsabilità, a diventare «seminatori di cambiamento». E qui i poveri non sono solo vittime, ma sono anche protagonisti del possibile riscatto di tutti: perché possono insegnarci l’economia del riuso e del riciclo contro quella del consumismo onnivoro e degli scarti, perché i lavoratori poveri, che sono contadini o artigiani o manovali o pescatori o trasportatori o venditori ambulanti o cartoneros, sono portatori di un bisogno universale di salvezza del mondo, per andare oltre quella dittatura del presente che colonizza i popoli, atomizza gli individui, rompe i legami sociali, disobbedisce al Dio che danza la vita, al Dio che non ci chiede di essere reclute del clericalismo ma sentinelle che scrutano la notte in attesa di una nuova alba.