per papa Francesco i migranti sono ‘lottatori di speranza’

l’abbraccio del papa ai migranti

“siete lottatori di speranza. Bologna non abbia paura”

L'abbraccio del Papa ai migranti: "Siete lottatori di speranza. Bologna non abbia paura"

“Siete lottatori di speranza. Qualcuno non è arrivato perché è stato inghiottito dal deserto o dal mare. Gli uomini non li ricordano, ma Dio conosce i loro nomi e li accoglie accanto a sé”

Comincia con queste parole, pronunciate al centro di accoglienza per i migranti di via Mattei, la visita del Papa a Bologna, tra gli ospiti dell’hub in festa che gli danno il benvenuto urlando e chiamandolo per nome, le magliette con la scritta “Welcome” e i cartelli.

Tra le tante tappe di Francesco, l’Angelus in piazza Maggiore, dove ha incontrato il mondo del lavoro (“I disoccupati non sono numeri”) e i familiari delle vittime delle stragi, tra cui Marina Orlandi, vedova di Marco Biagi. Poi il pranzo con i poveri in San Petronio. Code per la messa allo stadio, dove sono andate 40mila persone. Dal punto di vista della sicurezza, la situazione è stata costantemente monitorata in prefettura da un’unità di crisi. In mattinata Bergoglio ha parlato in piazza a Cesena, dove ha lanciato un monito alla politica contro la corruzione.

 “BOLOGNA NON ABBIA PAURA”

Francesco ha lodato Bologna, “città da sempre nota per l’accoglienza, dove qualcuno ha trovato un fratello da aiutare o un figlio da far crescere. Come vorrei che queste esperienze si moltiplicassero, la città non abbia paura di donare i cinque pani e i due pesci. Tutti saranno saziati. Bologna è stata la prima città in Europa, 760 or sono, a liberare i servi della schiavitù. Erano 5.855, tantissimi, eppure non ebbe paura, vennero riscattati dal Comune, dalla città. Forse lo fecero anche per ragioni economiche, perché la libertà aiuta tutti e a tutti conviene. Non ebbero timore di accogliere quelli che allora erano considerate non persone e riconoscerli come essere umani. Scrissero in un libro i loro nomi, come vorrei succedesse anche con i vostri nomi”, ha detto ai migranti che lo ascoltavano.

 

la lettera della comunità musulmana a papa Francesco

Bologna

la comunità islamica scrive al papa

“condividiamo le sue posizioni e condanniamo ogni violenza”

lettera al Pontefice in occasione della visita nel capoluogo emiliano:
«Ci riconosciamo tutti figli di un padre, siamo in prima linea per contrastare il male di questi tempi bui»
salvatore cernuzio
bologna

prima la condanna di «ogni forma di violenza», poi la garanzia di un forte impegno per «contrastarla con tutti i mezzi a nostra disposizione», insieme al rifiuto di «ogni forma di strumentalizzazione religiosa» che «fomenti odio, razzismo» e anche «islamofobia».

La storica Comunità islamica di Bologna, radicata da decenni nel territorio, scrive a Papa Francesco in occasione della visita nel capoluogo emiliano per ribadire la vicinanza di vedute riguardo a tematiche come pace, giovani, creato, lotta al terrorismo e la volontà di proseguire insieme per far sì che possa tornare la luce in questi «tempi bui» agitati da intolleranza, diffidenza, razzismo.   

«Santità, ci riconosciamo tutti figli di un padre, Abramo, che ci ha insegnato il valore della fiducia, della pazienza e dell’amore»,

afferma la Comunità musulmana bolognese nella missiva consegnata al Pontefice dal portavoce Yassine Lafram al termine dell’Angelus in Piazza Maggiore e riportata dai media locali.

«Seguiamo con interesse e attenzione il suo operato – si legge – e non possiamo che condividere posizioni come quelle da Lei espresse sul tema della povertà e dell’accoglienza, e sulla necessità di una riforma sociale, oltre che di una difesa dell’ambiente che implichi una riforma radicale nell’approccio al rapporto tra uomo e Creato».  

I musulmani di Bologna dicono di sentire come proprio «il dovere di sostenere i giovani dando loro spazio e opportunità», come pure «il dovere di contribuire a una riforma sulla legge della cittadinanza e il diritto di vivere ciascuno la propria fede nella pratica quotidiana». 

In tal senso si ribadisce nella lettera l’apprezzamento per «il percorso intrapreso sulla via del dialogo interreligioso» che ha permesso di «instaurare ottimi rapporti con le comunità religiose della città, in primis con la Chiesa locale», nella persona dell’arcivescovo Matteo Zuppi. «Lo facciamo convinti della necessità di costruire ponti per permettere a tutti di ascoltare ed essere ascoltati». 

«Mai come oggi – afferma la Comunità islamica – è necessaria una forte operazione culturale che spinga le persone a cercare nell’altro se stessi, perché l’incontro con l’Altro, tanto temuto da molti, è uno sforzo per cercare risposte alle domande spesso celate nel profondo di ognuno. Domande che, se non trovano risposte, diventano terreno fertile per sentimenti come la paura, la diffidenza e – in casi estremi – anche la violenza».  

Da qui l’invito ad una più approfondita conoscenza reciproca «come miglior via di pace» per questi «tempi bui come quelli che stiamo vivendo» in cui «l’intolleranza cresce». «Vogliamo metterci in prima linea per contrastare questi mali nati dal deprezzamento del valore della vita e da una concezione del mondo che mette al centro delle priorità il denaro, tralasciando ogni etica e morale», recita la lettera.

E si conclude con una promessa: «Come musulmani, vogliamo lavorare per contrastare ogni forma di mistificazione del vero significato dell’Islam, la religione del saluto che augura la pace. Il tradimento del messaggio divino e profetico è inaccettabile».

contro papa Francesco – chi si propone l’obiettivo di danneggiare l’immagine del papa e la sua credibilità nella società dell’immagine

leggere questo contributo è importante, non perché si debba essere dei “pretoriani” di Papa Francesco o dei mitizzatori della sua figura o persona (per es. certe nomine episcopali sue degli ultimi due anni in Italia sono davvero deludenti), ma perché si tenga alto il livello di attenzione contro tutte le opposizioni anti-evangeliche che egli sta incontrando, anzitutto all’interno delle gerarchie curiali vaticane ed ecclesiastiche in genere, tutte nemiche di libertà di coscienza e di ricerca della verità senza ritenersi i detentori di essa…D’altra parte i trentacinque anni polacco-tedeschi non sono stati certo un periodo in cui questi due valori siano stati perseguiti e proposti nella formazione di preti,religiose/i, laiche/i come obiettivi centrali…

esiste una strategia per colpire Papa Francesco e il suo rinnovamento

negli ultimi giorni ci sono stati nella Chiesa cattolica episodi in Vaticano che hanno sorpreso l’opinione pubblica, fatti apparire ad arte come voluti dal Papa. Un modo per creare confusione e minare la sua popolarità

Papa Francesco

Nella storia di proclamare Papa Giovanni patrono presso Dio dell’esercito italiano cogliendo di sgradita sorpresa fedeli e opinione pubblica, i promotori dell’operazione hanno lasciato intendere che anche papa Francesco sapeva, come sapeva il defunto cardinale Capovilla, segretario e familiare di Roncalli. In realtà Francesco ha appreso con meraviglia la notizia  di questa storia conclusa a sua insaputa. Come del resto non ha svolto alcun ruolo la Conferenza dei vescovi italiani pur avendone canonicamente il diritto.  

Sembrava un episodio, ma il sottile tentativo di far credere che ci sia il papa dietro alcune decisioni di sapore politico e di pastorale conservatrice si è visto anche in altri episodi in materia importante come gli immigrati e la pedofilia del clero. Forse non si deve pensare a un disegno preordinato e finalizzato a resistere al vento di cambiamento portato da papa Bergoglio che ha investito la Chiesa con forza analoga a quella di papa Giovanni. Ma c’è da chiedersi se gli autori di certe iniziative abbiano completa cognizione del danno di immagine che certe iniziative possono produrre in primo luogo al papa. Sarebbe anche interessante trovare conferme che sia proprio questo l’obiettivo: danneggiare l’immagine del papa e la sua credibilità nella società dell’immagine. Il conseguente calo di consenso verrebbe da sé.

L’episodio più recente è stato l’allontanamento dei senza fissa dimora da piazza san Pietro e dai dintorni immediati del Vaticano per tutto l’arco del giorno con il motivo della sicurezza. Ai giornali è stato detto che il papa è stato informato dell’iniziativa di ordine pubblico portata avanti dalla gendarmeria pontificia e dal commissariato di polizia di zona, con il parere favorevole dell’elemosiniere del papa divenuto famoso proprio per la sua sensibilità verso i clochard. Queste persone povere per la notte possono invece tornare a dormire sotto il colonnato e zone adiacenti. Con i loro pacchi, pacchetti, buste, cartoni, possono – a parere dei preposti alla sicurezza – creare problemi e facilitare infiltrazioni di male intenzionati terroristi. Ma c’è da chiedersi se lo stesso problema non sussista per la notte anche se manca l’ininterrotto flusso di persone, fedeli e turisti in visita a san Pietro.

Le dinamiche della decisione non sono state rese pubbliche ufficialmente ma si pensa che l’iniziativa sia partita dai responsabili della sicurezza e sia stata mediata dalle autorità vaticane. Molta gente si è chiesta e si chiede come possa essere possibile che lo stesso papa che tanto ha fatto per dare dignità di persone ai senza fissa dimora decidendo per loro bagni, docce, barbiere, sacchi a pelo, invito ai concerti, poi decida di allontanarli per motivi di decoro.

Ma a pensarci bene, un’operazione del genere l’immagine di chi danneggia? La polizia fa il suo mestiere e anche la gendarmeria. La decisione ultima ha l’assenso delle autorità vaticane. Ma di quale autorità si parla esattamente? Se il papa sapeva e avesse voluto – ragionano i più – poteva fermare l’iniziativa. Non lo ha fatto, dunque è il massimo responsabile. Nella poca chiarezza con la pubblica opinione si possono avere danni gravi senza averne la colpa.

Il terzo episodio si è avuto sulla questione immigrati nella quale si è fatto credere a un certo punto che la posizione del governo italiano collimasse con quella del papa. In realtà il papa ha incoraggiato ogni passo positivo e quanto di buono si opera in favore degli immigrati, ma la sua è una visione ampia, nuova, aperta sull’immigrazione e nessun Paese finora può riconoscersi totalmente in questa visione. Al massimo si può condividere come utopia ma non come progetto di politiche governative, neppure nei Paesi a maggioranza cattolica. Le prospettive umanitarie di Francesco sugli immigrati mettono la politica a dura prova perché esigono un cambio della politica stessa e del modo di farla: non una politica per sé stessi e per gli interessi di minoranze potenti e benestanti, ma per il bene comune, in primo luogo in favore dei più poveri ed esclusi dalla dignità di esseri umani.

Non sempre le sacche di resistenza curiale sono alla persona di Bergoglio che si trova pure simpatica, ma ad atti di governo che in particolare dai dipendenti vengono percepiti come peggiorativi della loro condizione lavorativa e delle retribuzioni. Non faticano alcuni dipendenti laici a dire che Francesco piace fuori ma non dentro le mura leonine perché con lui non si è avuto alcun beneficio economico aggiuntivo. La resistenza dottrinale e pastorale degli ecclesiastici è meno evidente, ma più felpata.

Coloro che rimpiangono o si riconoscono in una tradizione fissa della fede cristiana vedono nella pastorale di Francesco un vero pericolo. Ma il papa non demorde. Anche sulla questione della pedofilia è stato capace di autocritica e pensa si debba andare speditamente lasciando al passato tutta una serie di misure prudenziali ma inefficaci per testimoniare il vangelo. E cosa chiede anzitutto su ogni questione importante? Un cambio di mentalità per rendere efficace la testimonianza che la Chiesa è chiamata a portare nelle società e agli uomini di oggi. Cambiare mentalità non è facile e che ci siano resistenze è del tutto prevedibile.

papa Francesco chiede ancora perdono

«chiedo perdono per i preti pedofili»

di papa Francesco


 “Corriere della Sera” del 17 agosto 2017

papa Francesco nell’introduzione al libro ‘Mon père je vous pardonne’ di Daniel Pittet abusato da giovanissimo da un sacerdote:

Per le vittime di violenza pedofila è una sfida davvero grande prendere la parola e raccontare quanto abbiano dovuto patire, riuscire a descrivere come le esperienze traumatiche di anni addietro continuino a tormentarli anche a distanza di tempo. Per questo motivo la testimonianza di Daniel Pittet è così necessaria, preziosa e coraggiosa. Ho conosciuto Daniel Pittet in Vaticano nel 2015, anno della Vita Consacrata. All’epoca Daniel era tutto preso dalla pubblicazione di un libro dal titolo Vivere vuol dire dare tutto .

All’interno di quel libro erano state raccolte testimonianze di religiosi di ambo i sessi, sacerdoti e monaci. Che questo cristiano così fervente fosse stato oggetto di abuso sessuale proprio da parte di un sacerdote mi sembrava davvero cosa impossibile, eppure era proprio quello che mi aveva raccontato. La storia delle sue sofferenze mi ha colpito e commosso nel profondo: sono arrivato a capire quali siano i danni terribili che possono essere provocati da un abuso sessuale e quanto lungo e doloroso sia il cammino che si prospetta alle vittime. Sono felice che ora la testimonianza di Daniel sia stata resa accessibile anche ad altre persone, cosicché noi tutti ora possiamo arrivare a comprendere quanto in profondità il Male possa andare ad insinuarsi nel cuore di un servitore della Chiesa. Come potrebbe altrimenti un sacerdote, uno che si è consacrato a Cristo ed alla Sua Chiesa, arrivare al punto di provocare tali disgrazie? Come potrebbe altrimenti questa persona, uno il cui compito è quello di condurre i bambini verso Dio, andare ad attirare uno di questi bambini verso ciò che già ho avuto occasione di chiamare «sacrificio diabolico», a causa del quale non sarà soltanto il bambino a rimanerne ferito, bensì la stessa esistenza della Chiesa? Alcune delle vittime, alla fine, si sono addirittura tolte la vita. Queste morti pesano sul mio cuore, sulla mia coscienza e su quella di tutta la Chiesa. Alle loro famiglie vorrei esprimere il mio amore ed il mio dolore, così come in tutta umiltà vorrei chiedere loro perdono. Si tratta di qualcosa di assolutamente spaventoso, di un peccato gravissimo che contraddice tutti gli insegnamenti della Chiesa. Gesù lancia parole severe contro coloro che arrecano dolore ai bambini: «Chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me, meglio per lui sarebbe che gli fosse appesa al collo una macina da mulino e fosse gettato in fondo al mare» ( Matteo 18, 6). Come ho ricordato nella mia Lettera Apostolica del 4 giugno 2016 «Come una madre amorevole», compito della nostra Chiesa è prendersi cura e proteggere i deboli ed i bisognosi d’aiuto. Ho dichiarato che contrasteremo con la massima severità i sacerdoti che abbiano tradito la propria missione. Questo vale anche per vescovi e cardinali che, come avvenuto ripetutamente nel passato, prendano quei sacerdoti sotto la propria tutela e difesa.

In tutta quella sua sofferenza, tuttavia, Daniel Pittet è comunque riuscito a scoprire per sé un altro lato della Chiesa. Un lato che gli ha permesso di arrivare a non dubitare degli uomini e dello stesso Dio. Mi riferisco, per esempio, alla forza della preghiera che non lo ha mai abbandonato e che lo ha sostenuto e guidato durante le ore più buie. Dopo quarantaquattro anni Daniel ha deciso di andare a rintracciare il suo aguzzino, quell’uomo che gli ha portato dolore fin nel profondo dell’anima, di guardarlo negli occhi… e di stringergli la mano! Quel bambino ferito è oggi un uomo che cammina a testa alta. Può essere ferito, ma camminerà sempre a testa alta. Le sue parole mi hanno davvero commosso: «Molte sono le persone che non riescono a capire come io possa non provare odio nei suoi confronti. Io l’ho perdonato ed ho ricostruito la mia vita sulle fondamenta di quel perdono». Io vorrei ringraziare Daniel, perché sono testimonianze come la sua che rendono possibile passare oltre il plumbeo silenzio che circonda i dolori e gli scandali, testimonianze che vanno a portare luce all’interno di tenebre spaventose che si celano nella vita della Chiesa. Sono testimonianze come questa che aprono la strada ad un adeguato risarcimento, una strada che porta alla grazia della riconciliazione. Per chi ha commesso abusi di pedofilia conducono inoltre alla presa di coscienza della spaventosa portata delle proprie azioni. Prego per Daniel e per tutti quelli che nella loro innocenza sono stati feriti. Che Dio possa aiutarli a rialzarsi ed a guarire. Possa Egli perdonarci tutti ed essere misericordioso.

papa Francesco chiama ‘famiglia’ una coppia gay

papa Francesco a coppia gay con i tre figli adottivi

«Benedizione apostolica alla vostra famiglia»

di Eletta Cucuzza
in “Adista.it” del 9 agosto 2017

 

“Io non ho paura” potrebbe essere il motto di papa Francesco per molte sue affermazioni che vanno ben al di là di catechismi, diritti canonici, tradizione, consuetudini e riflessioni teologiche. Non ha paura delle reazioni che di volta in volta esse suscitano. Rientra fra i suoi “passi più lunghi della gamba” ecclesial-moderata (e ecclesial-reazionaria) aver chiamato «famiglia» una coppia gay, e con tanto di benedizione apostolica. Toni Reis e David Harrad, sposatisi a Curitiba (Brasile) nel 2011 dopo una convivenza di 27 anni, hanno adottato tre ragazzi: Allyson (16 anni) e i fratelli Jessica (14) e Filipe (11). Ad aprile di quest’anno li hanno fatti battezzare, e hanno voluto raccontare la loro storia e la loro felicità per la grazia e il battesimo dei loro tre ragazzi in una lettera a papa Francesco, accompagnandola con foto della cerimonia, copia dei certificati e un particolare ringraziamento al capo della Chiesa cattolica.

Toni e David mai si sarebbero aspettati una risposta. Che invece è giunta, il 10 luglio, firmata da mons. Paolo Borgia degli Affari Generali della Segreteria di Stato vaticana, e le cui parole non potranno non rendere felici persone lgbt di tutto il mondo, i cui matrimoni non sono ammessi dalla Chiesa cattolica, secondo la quale – e viene ripetuto ad ogni pie’ sospinto – i contraenti per originare una famiglia devono essere esclusivamente un maschio e una femmina.

Nella risposta a firma Paolo Borgia si legge: «papa Francesco», che «ha apprezzato la lettera», «porge a voi anche le sue congratulazioni, invocando per la vostra famiglia l’abbondanza delle grazie divine, affinché viviate costantemente e felicemente la condizione di cristiani, come buoni figli di Dio e della Chiesa, e inviandovi una augurale Benedizione Apostolica, con la richiesta di non dimenticarvi di pregare per lui». La lettera, la cui foto è visibile all’indirizzo http://g1.globo.com/pr/parana/noticia/casal-gay-agradece-papa-francisco-por-batismo-de-filhos-evaticano-responde.ghtml, è corredata da una foto di Francesco autografata.

i suoi denigratori lo definiscono poco teologo, in realtà …

papa Francesco segreto

nelle omelie a Santa Marta il suo vero pensiero

di Marco Politi
in “www.ilfattoquotidiano.it” del 27 luglio 2017

C’è un aspetto nascosto dell’impegno di papa Francesco, perché si svolge lontano dalle telecamere e dai giornalisti. Dunque non è “visibile” all’opinione pubblica. E’ uno spazio che Jorge Mario Bergoglio si è riservato per evitare che la sua attività di leader della Chiesa cattolica e di capo di Stato soffochi la sua dimensione di parroco. Si tratta delle messe mattutine, che celebra nella residenza Santa Marta dinanzi ad una trentina di persone, fedeli di parrocchie romane o pellegrini venuti dall’estero. “Nascosto” non vuol dire segreto, perché le messe sono documentate. Ma rispetto alla cronaca quotidiana, basata sulle immagini, questo aspetto di Francesco rimane quasi nell’ombra. E invece le sue omelie da parroco, meno altisonanti di quelle pronunciate davanti alle folle, sono estremamente interessanti per capire il nucleo del pensiero di Francesco e la visione che lo accompagna nel suo sforzo di riforma della Chiesa. I critici del pontefice tendono a dipingerlo come “poco teologo”, mentre in realtà le sue parole volutamente semplici e comprensibili ad un uditorio vasto sono sorrette da un pensiero complesso.

Un pensiero orientato a cogliere le sfide, che il grande mutamento dovuto alla secolarizzazione pone alla vecchia “Chiesa del catechismo” e della tradizione fossilizzata. Questa Chiesa è diventata in larga parte estranea alle giovani generazioni, che silenziosamente – senza contestazioni – si pongono fuori campo, e il Papa, per usare un’immagine, è come un seminatore che lancia semi di riflessione.

 

Gianpiero Gamaleri, sociologo e docente di Scienze della comunicazione in università laiche ed ecclesiastiche (tra l’altro è membro del Cda del Centro Televisivo Vaticano), segue da tempo il Bergoglio delle celebrazioni mattutine e ad esse ha dedicato un attento monitoraggio, ricco di commenti, raccolto in un volume intitolato “Santa Marta – Omelie” (ed. Libreria Editrice Vaticana). “Papa Francesco – sottolinea – è sensibilissimo agli eventi”. E in questa capacità di tenere insieme l’attenzione ai fatti del mondo contemporanea, gli episodi del Vangelo e l’afflato religioso sta certamente il segreto della comunicatività dell’attuale papa. Si prenda solo la predica di una mattinata di marzo del 2016. “Tre giorni fa è morto uno, qui, sulla strada, un senzatetto: è morto di freddo. In piena Roma, una città con tutte le possibilità per aiutare. Perché, Signore? Neppure una carezza… Ma io mi affido, perché Tu non deludi. Signore non ti capisco. Questa è una bella preghiera. Ma senza capire mi affido nelle tue mani”. C’è tutto. L’esortazione a non chiudere gli occhi dinanzi alle tragedie quotidiane, la “teologia della non comprensione del silenzio di Dio”, l’affidamento in Cristo che viene dalla fede. La Chiesa a cui pensa Francesco, anzi come dice lui il “Regno di Dio”, non si affida alla “religione dello spettacolo… sempre (alla ricerca di ) cose nuove, rivelazioni, messaggi… Fuochi d’artificio che illuminano per un momento”. (Per chi vuole capire è un’archiviazione delle multirivelazioni di Medjugorie).

Il Regno di Dio non è una “struttura ben fatta, tutto in ordine, organigrammi ben fatti… ”. E’ qualcosa che si costruisce nella quotidianità, il prodotto di un cammino, una crescita. La rigidità non serve e nemmeno il “fissismo” (Bergoglio inventa spesso parole). Credere nello Spirito Santo significa “andare avanti”, mentre i Dottori della Legge “incantano” con le ideologie. E’ evidente che un simile approccio risulti destabilizzante per i fautori di una dottrina concepita come legge e ordine e di una Chiesa militarmente organizzata. Emergono in queste omelie – in parte preparate, in parte sviluppate a braccio – molte esperienze dirette di Bergoglio. Come lo squarcio sulla “fila di mamme nelle carceri di Buenos Aires… donne (che) soffrivano non solo la vergogna di essere lì, ma anche le più brutte umiliazioni nelle perquisizioni che venivano fatte loro prima di entrare…”.
Molti altri impulsi si colgono in queste prediche. La ripulsa per la corruzione, la valorizzazione del dubbio (anche Giovanni il Battista, ricorda Francesco, ha dubitato), l’esigenza che il perdono sia totale e dunque comporti che gli altri dimentichino il peccato commesso, l’importanza che la fede cristiana sia caratterizzata da “gioia” e “stupore”, mai da routine. La denuncia definitiva che il terrorismo, che si ammanta di religione, è “satanico”. Il giorno della morte di padre Jacques Hamel, sgozzato in Francia da adepti dell’Isis, Francesco esclama da leader religioso (e geopolitico): “Quanto piacerebbe che tutte le confessioni religiose dicessero ‘Uccidere in nome di Dio è satanico!’. Gli input, che vengono dalle omelie di Santa Marta, vanno in tutte le direzioni. Gamaleri rileva che il messaggio di Francesco ha un richiamo universale. Di certo i sondaggi confermano che il papa argentino parla al di là di frontiere confessionali e filosofiche.

il nuovo fariseismo clericalista contro papa Francesco

troppi nemici per un papa

di Fabrizio D’Esposito e Carlo Tecce
in “Fq Millennium” del luglio 2017

«Il clericalismo nella Chiesa è un brutto male che ha radici antiche e ha sempre come vittime il “popolo povero e umile”: non a caso il Signore ripete agli “intellettuali della religione” che peccatori e prostitute li precederanno nel regno dei cieli».

È un papa dallo sguardo corrucciato, con un ghigno di cupo disappunto, quello che la mattina di sabato 4 febbraio 2017 guarda i romani. Alcuni quartieri della Capitale sono tappezzati di manifesti anonimi e abusivi. Sotto campeggia una lunga scritta: «A France’, hai commissariato Congregazioni, rimosso sacerdoti, decapitato l’Ordine di Malta e i Francescani dell’Immacolata, ignorato Cardinali… ma n’do sta la tua misericordia?». Chi è stato? I sospetti vanno subito in una direzione: la destra clericale, incline alla Tradizione e talvolta al fascismo. Sono i nuovi farisei, quelli per cui la fede è solo l’arida Dottrina, con la maiuscola. È stato lo stesso papa Francesco a definirli così, lo scorso 13 dicembre, durante la meditazione mattutina nella cappella di Santa Marta: «Il clericalismo nella Chiesa è un brutto male che ha radici antiche e ha sempre come vittime il “popolo povero e umile”: non a caso il Signore ripete agli “intellettuali della religione” che peccatori e prostitute li precederanno nel regno dei cieli». Clericali come i farisei Sinedrio che condannarono Gesù, «uomini di potere» che «tiranneggiano il popolo strumentalizzando la Legge». La Dottrina, appunto. Il papato rivoluzionario di Francesco circondato da nemici: il mandato ricevuto dal Conclave di ripulire la Curia romana dai tanti mali mondani (a cominciare dalla corruzione) ha provocato sconquassi. Sono tanti i “corvi”, vecchi e nuovi, in tonaca e non, che remano contro Bergoglio per costringerlo a dimettersi. In quasi cinque anni su di lui è piovuto di tutto: la bufala del tumore al cervello; Vatileaks atto secondo; la clamorosa rivolta dei cardinali conservatori sulle aperture ai divorziati; quei manifesti anonimi e le preghiere per farlo dimettere; la costante campagna di alcuni media di destra e le resistenze della Curia romana sulle riforme economiche. Per trovare un precedente del genere bisogna risalire a oltre mezzo secolo fa con Paolo VI. Papa Montini, successore di Giovanni XXIII, fu l’ epicentro dello scontro pesante che si giocò su un’altra rivoluzione: quella del Concilio Vaticano II e che segnò un solco tra clericali e progressisti. Papa Roncalli morì, infatti, durante il Concilio, nel 1963, e toccò a Paolo VI proseguirne l’ opera. Il peso di quei tempi terribili, nove anni dopo, si manifestò in una frase montiniana passata alla storia. La pronunciò il 29 giugno del 1972, solennità dei santi Pietro e Paolo, patroni di Roma: «Da qualche fessura, il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio». Allora, però, non c’erano il web e i social network come oggi. E anche per questo la battaglia antifrancescana risuona diffusamente. Torniamo allo scorso 4 febbraio. Il primo a simpatizzare con i manifesti è lo storico Roberto de Mattei, già consigliere di Gianfranco Fini e animatore della fondazione Lepanto. In un articolo del giorno prima su Corrispondenza Romana, l’agenzia di informazione che dirige, de Mattei anticipa le accuse a Bergoglio che compariranno sui muri romani dopo poche ore. Il 5 febbraio, poi, sul quotidiano Il Tempo, lo stesso de Mattei esalta e derubrica i manifesti a «pasquinata» e «pungente protesta in romanesco». Lo storico della destra tradizionalista si vanta anche di essere un devoto discepolo del professor Plinio Corréa de Oliveira, più noto come il “dottor Plinio”, pensatore cattolico antidemocratico e controrivoluzionario. Morto nel 1995, il brasiliano “dottor Plinio” promosse l’associazione Tfp, Tradizione, famiglia e proprietà, da cui sono nati gli Araldi del Vangelo. A metà giugno il presidente degli Arautos do Evangelho si è dimesso dal suo incarico a causa di un’indagine avviata dal Vaticano. Si chiama Joào Scognamiglio Clà Dias. In un video diffuso dal sito Vatican Insider monsignor Clà riferisce a sessanta sacerdoti la trascrizione di un dialogo particolare: quello tra un prete e un demonio durante un esorcismo. La riunione è del febbraio 2016, dopo il pellegrinaggio di Bergoglio in Messico. Il diavolo, a detta di monsignor Clà, è entusiasta di Francesco: «È mio, è mio, fa tutto quello che voglio, è uno stupido. Mi obbedisce in tutto, è la mia gloria, è disposto a fare tutto per me. Lui mi serve». I sacerdoti che ascoltano ridono convinti. Continua il demonio per bocca del capo degli Araldi del Vangelo: «Il Papa morirà cadendo in  Vaticano. Il dottor Plinio sta incentivando la morte del Papa».

Sotto attacco

La guerra contro Francesco deflagra nell’autunno del 2015. È il 21 ottobre quando il Quotidiano Nazionale spara una bufala clamorosa: «Il Papa ha un tumore al cervello». Dieci giorni dopo, a seguire, la gendarmeria vaticana smaschera i corvi di Vatileaks 2: un monsignore spagnolo che si chiama Lucio Angel Vallejo Balda e una rampante trentenne di nome Francesca Immacolata Chaouqui. Da allora il fronte anti-Bergoglio, che sui siti della destra tradizionalista viene sbeffeggiato come un novello Lutero, una sorta di anti-Papa scelto dal demonio anziché dallo Spirito Santo, viene rimpolpato da altri attacchi, anche di natura teologica. Racconta a Fq Millennium una fonte che frequenta Casa di Santa Marta: «Francesco è serenissimo e andrà avanti nella sua opera di pulizia e di rinnovamento. Le dimissioni? Non ci ha mai pensato a meno che…». La frase s’interrompe. I puntini sospensivi coprono un tono d’improvviso preoccupato. «A meno che?», sollecitiamo. «A meno che non ci sia uno scandalo enorme che investa qualche figura che gode della sua fiducia. Vede, Francesco è sì diffidente ma spesso sceglie di slancio, confidando nel suo istinto e qualcosa può sbagliare». Le dimissioni, dunque, sono il vero obiettivo di chi nella Chiesa combatte questo Papa venuto «dalla fine del mondo». Le similitudini con il primo Vatileaks sono varie, ma la ratio è diversa. Lo scandalo che segnò la fine del pontificato teutonico di Joseph Ratzinger ebbe inizio all’alba del 2012. I1 corvo dell’epoca, il maggiordomo “papale” Paolo Gabriele, agì a fin di bene. Obiettivo, portare alla luce gli intrallazzi del cerchio magico riconducibile al famigerato cardinale Tarcisio Bertone e all’ambizioso Georg Gänswein, e tentare di salvare Benedetto XVI. Ma la slavina sugli affari dello Ior, la banca denominata Istituto per le Opere di Religione, e sul potere temporale della Curia divenne valanga. Un anno dopo, 1’11 febbraio 2013, Benedetto XVI annunciò la sua rinuncia al ministero petrino «per l’età avanzata». Un paio di mesi prima di lasciare il Palazzo Apostolico, Ratzinger ha nominato Gänswein prefetto della Casa Pontificia. Per educazione cristiana, Bergoglio non l’ha rimosso. Ma con tatticismo oseremmo dire parecchio democristiano, l’ha lasciato nel dolce far niente di una carica svuotata dalla presenza discreta di Leonardo Sapienza, il reggente della Casa Pontificia. Ogni giornata di Francesco è sorvegliata da Sapienza, non da Gänswein. Quando Bergoglio intende liberarsi di una presenza ingombrante, suggerisce di tornare a casa, semmai in preghiera, e di abbandonare la vita surreale della città-Stato. A Bertone, il cardinale che abita in un attico del Vaticano ristrutturato con i soldi dell’ospedale Bambino Gesù, Francesco ha consigliato di trascorrere gli ultimi periodi concessi dal Signore a Valdocco, casa madre di Don Bosco, la vera abitazione di un vero salesiano. Per Gänswein, invece, come confermano due importanti prelati a Fq Millennium, Bergoglio ha previsto una diocesi in Germania: «Ma i vescovi tedeschi sono d’accordo?», domanda in maniera retorica un collaboratore di Bergoglio. No, certo che no. I tedeschi, guidati dal cardinale progressista Reinhard Marx, preferiscono che Gänswein resti a Roma accanto all’amico Gerhard Ludwig Müller. Il nome di Müller è sempre citato dai biografi di Bergoglio per indicare un acerrimo nemico che troneggia dal Sant’Uffizio, l’attuale Congregazione per la Dottrina della fede. Müller viene contrapposto all’anziano cardinale Walter Kasper, che condivide appieno le aperture di Bergoglio ai divorziati, agli omosessuali, agli ultimi della società a cui le porte del Signore non vanno sbattute in faccia.

Vecchi e nuovi nemici

Per alimentare lo scontro tutto tedesco e tutto papalino, si sostiene che Müller sia un pupillo di Ratzinger. In realtà, Benedetto voleva spedirlo all’archivio segreto Vaticano, circondato dai libri certo, ma innocuo. Al contrario, Mülller smania per rimarcare i suoi dissapori verso la segreteria di Stato dove Bergoglio ha collocato l’ex nunzio Pietro Parolin, determinante nell’accrescere il ruolo del Vaticano all’estero, dalla risoluzione di pace in Colombia con le Farc al ritorno degli Stati Uniti nella Cuba ancora castrista. Qualche settimana fa, Müller ha convocato in ufficio quattro assistenti in predicato di ricevere una promozione dalla Segreteria di Stato, che però ne ha concesse soltanto due. Per decoro, di solito si informano i promossi e non i bocciati, ma il tedesco lavora per acuire le distanze, non per debellare i risentimenti. In Segreteria di Stato, però, soprattutto fra le seconde gerarchie, «un coacervo del clero con i laici che seguono ed eseguono» (citazione di una nostra fonte), si arenano le iniziative di Papa Francesco. Come la sezione Migranti e Rifugiati del dicastero per il Servizio allo Sviluppo umano integrale, che Bergoglio ha istituito qualche mese fa con al centro il simbolo della pietà nel mare, un giubbotto salvagente arancione. Il moto perpetuo di desistenza all’interno della Curia ha pure sancito il più grosso fallimento del pontificato: la riforma dell’Economia con la bussola della trasparenza. Il cardinale George Pell, indebolito dall’accusa di aver coperto degli abusi nella sua ex diocesi in Austrialia, doveva guidare la borsa del Vaticano della Segreteria per l’Economia, invece s’è ritrovato bersagliato dalle rivelazioni dell’inchiesta australiana, dai libri di Vatileaks II che hanno tratteggiato il profilo di uno spendaccione tendente al lusso, sopraffatto dal collega Domenico Calcagno, residuo dell’epoca di Bertone, capo della ricchissima Apsa, l’organismo che amministra il patrimonio della sede apostolica. Pell è limitato alla «compilazione» delle buste paga», come ripetono le nostre fonti, e non condiziona le strategie di Calcagno, un cardinale ligure collezionista di pistole. Per arginare Calcagno, nell’autunno del 2013, Bergoglio ha mandato all’Apsa monsignor Mauro Rivella, delegato per la sezione ordinaria della struttura: «Io spero che qualcuno di onesto ci sia lì», sospira un esponente della Curia vicino a Francesco. Un altro risvolto di questo scontro è recentissimo. Con un comunicato di tre righe, il 20 giugno, il Vaticano ha annunciato le dimissioni di Libero Milone, nominato due anni fa Revisore generale dei conti da Papa Francesco. Milone ha fallito: non è riuscito a coordinare e scandagliare le spese della città-Stato, a riprova dei contrasti insanabili tra la Spe di Pell e l’Apsa di Calcagno. Dopo la denuncia di Milone per la violazione del suo computer nell’ufficio vaticano fu avviata l’inchiesta dei gendarmi che sfociò in Vatileaks II. Ora l’addio dell’ex capo di Deloitte può diventare benissimo il prologo di Vatileaks III. Il groviglio dell’anti-bergoglismo si poggia anche su siti, blog e quotidiani come Libero, Il Giornale, Il Tempo e Il Foglio. E raduna firme autorevoli, inorridite dal nuovo corso francescano in materia di Dottrina e Liturgia: lo scrittore Antonio Socci; i vaticanisti Sandro Magister, Marco Tosatti e Aldo Maria Valli; altri saggisti e cronisti come Riccardo Cascioli, Vittorio Messori e Rino Cammilleri. I punti di riferimento di questa galassia minoritaria sono i quattro cardinali che hanno vergato i fatidici Dubia, plurale latino di dubbi. I loro nomi, in ordine alfabetico: Walter Brandmüller, Raymond Leo Burke, Carlo Caffarra e Joachim Meisner. I Dubia sono stati consegnati a Francesco il 19 settembre 2016 e contestano, fondamentalmente, le aperture ai divorziati risposati dell’ Amoris laetitia, l’esortazione apostolica che Bergoglio ha pubblicato dopo il sinodo sulla famiglia. Il Papa non ha mai risposto e nel gennaio di quest’anno il cardinale Burke ha finanche minacciato un atto formale di correzione di errore grave del pontefice. Per Burke, Papa Francesco potrebbe persino essere accusato di “eresia formale”, che lo farebbe decadere automaticamente dal ministero petrino. Dimissioni, decadenza, morte. Sono le strade percorse da quella Chiesa che si vuole liberare di Bergoglio. La speranza della morte torna nelle parole di monsignor Luigi Negri, già vescovo di Ferrara. Il 28 ottobre 2015, su un Frecciarossa partito da Roma Termini, il prelato è al telefono con Renato Farina, firma ciellina di Libero che collaborava con il Sismi di Nicolò Pollari con lo pseudonimo di “Betulla”. Questa la frase di monsignor Negri: «Speriamo che con Bergoglio la Madonna faccia il miracolo come aveva fatto con l’altro». L’altro è Giovanni Paolo I, Papa Luciani, morto nel 1978 dopo soli 33 giorni di pontificato.»
I contrasti coi Cavalieri Raymond Burke è un americano del Wisconsin, diventato l’antipapa dei tradizionalisti. Dice un altro autorevole prelato consultato da Fq Millennium: «Burke è un personaggio folkloristico. In realtà, tra i cardinali dei Dubia, l’unico ad avere un certo spessore teologico è Caffarra, arcivescovo emerito di Bologna». Benedetto XVI nominò Burke a capo della Segnatura Apostolica, supremo tribunale della Santa Sede. Francesco lo ha rimosso, pensionandolo con una poltrona supermondana: patrono dell’Ordine di Malta. I famosi Cavalieri hanno più di dieci secoli di storia.
Sono nati con le Crociate a Gerusalemme. Oggi l’Ordine è un colosso della diplomazia umanitaria: ha relazioni ufficiali con più di cento Stati e alle Nazioni Unite ha lo status di osservatore permanente. La sede del governo è nel Palazzo Magistrale, nella strada più ricca del centro di Roma, in via dei Condotti. Ma il cuore pulsante dell’Ordine batte sull’Aventino, tra i colli più belli ed esclusivi della Capitale: Villa Magistrale, dove il Gran Maestro riceve ufficialmente capi di Stato e rappresentanti dei governi. Ed è dai Cavalieri di Malta, sotto la regia di Burke, che parte un’altra sfida a Bergoglio, alla fine del 2016. Dall’antica riservatezza dell’Ordine trapela una notizia importante: il Gran Maestro Fra’ Matthew Festing, inglese, ha sospeso dalla carica di Gran Cancelliere il barone tedesco Albrecht von Boeselager. Il vertice dei Cavalieri è strutturato come un governo. Il Gran Maestro è eletto a vita ed è il capo assoluto. Il Gran Cancelliere, invece, assomma le funzioni di ministro dell’Interno e degli Affari Esteri. La colpa di Von Boeselager risale a quando gestiva gli imponenti aiuti sanitari, da Grande Ospedaliere. Durante il suo mandato sono stati distribuiti preservativi in zone del mondo martoriate dall’Aids, in vari Stati africani e asiatici. Una colpa grave. I Cavalieri più alti in grado devono da Costituzione essere nobili e religiosi professi. Aver fatto, cioè, professione dei voti solenni di castità, povertà e obbedienza. Von Boeselager è ritenuto un cattolico liberal. Suo padre Philipp, nel luglio del 1944, fu tra i militari congiurati dell’Operazione Valchiria, il tentativo fallito di rovesciare il regime di Hitler. Il fratello di Albrecht, invece, di nome Georg, è stato nominato da Francesco nel board laico dello Ior. Dopo la sospensione, Papa Bergoglio apre un’inchiesta sull’Ordine. La prima clamorosa decisione scuote i Cavalieri alla fine di gennaio. La commissione d’inchiesta voluta dal pontefice ha due conclusioni: Von Boeselager deve ritornare Gran Cancelliere e Fra’ Festing si deve dimettere da Gran Maestro. In attesa del “conclave” per il successore, l’Ordine viene affidato a un Luogotenente interinale e a un Delegato speciale della Santa sede. Ma la guerra prosegue, alimentata anche da Burke. La svolta finale, non senza altre sorprese, alla fine di aprile. Il 29 viene eletto il nuovo capo. Non un Gran maestro, ma, come ha suggerito lo stesso pontefice, un Luogotenente generale: l’italiano Fra’ Giacomo Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto. A Roma si presenta, nonostante l’esplicito divieto del Vaticano, anche Fra’ Festing. Vuole ricandidarsi. Questa è la prima volta, in mille anni di storia, che un Cavaliere non obbedisce al pontefice. Il mandato del nuovo Luogotenente è quello di riformare l’Ordine. I Cavalieri vantano un patrimonio astronomico: 1,7 miliardi di euro. E alla faida interna tra tedeschi e inglesi viene ricondotta la vicenda di una controversa donazione di 30 milioni di franchi svizzeri da parte di un trust di Ginevra. Soldi di misteriosa provenienza sui cui indaga la magistratura svizzera per appropriazione indebita.

Bisignani e il “tumore”

Negli ambienti clericali dei farisei di destra, la sconfitta patita sull’Ordine di Malta è percepita come l’ennesimo golpe mancato contro Bergoglio. È lo stesso spartito che i conservatori suonano ormai dall’autunno del 2015, quando viene diffusa la bufala del tumore al cervello di Francesco e si evoca per la prima volta la morte salvifica del pontefice. Sulle pagine di Avvenire, quotidiano ufficiale della Cei, la Conferenza dei vescovi italiani, è addirittura il direttore Marco Tarquinlo a indicare la fonte della bufala: «Qualunque immondizia venga sterilmente messa in circolo, il cammino della Chiesa procede (. ..). Possiamo dirlo? Ma, sì, diciamocelo: siamo semplici e siamo francescani, non “bisignani”». Scritto sprezzantemente con la minuscola, come un sostantivo e non un cognome, Tarquinio si riferisce a Luigi Bisignani, faccendiere con due condanne definitive, per il tangentone Enimont transitato sui conti dello Ior e per la loggia paramassonica P4. Allievo riconosciuto di Licio Gelli, venerabile della loggia P2, il pregiudicato Bisignani da semplice postino andreottiano, nella Prima Repubblica, diventa uno degli uomini più potenti e invisibili del berlusconismo, grazie al suo antico legame con Gianni Letta. Tra il faccendiere e la bufala c’è un indubitabile filo nipponico: l’oncologo Takanori Fukushima, che Bisignani conosce per vicende familiari. Fukushima avrebbe visitato il Papa, viene fatto trapelare, ma non è vero nulla e il medico arriva persino a taroccare una sua foto che lo mostra in compagnia di Bergoglio. Da esperto conoscitore delle tecniche depistatorie, il piduista e piquattrista tenta anche di incolpare, senza successo, Joaquín Navarro Valls, ex portavoce di Giovanni Paolo II e potente membro dell’Opus Dei, di essere il propalatore della falsa notizia. Lo fa con un articolo sul Tempo, quotidiano spesso al centro della battaglia al bergoglismo. Quello che poi accade dieci giorni dopo, agli inizi di novembre, offre un quadro più chiaro: la gendarmeria vaticana arresta monsignor Lucio Angel Vallejo Balda e la pierre Francesca Immacolata Chaoui, che tra l’altro si vanta di essere amica di Marco Carrai, fedelissimo di Matteo Renzi. Entrambi, il monsignore e la pr, fanno parte della Cosea, la commissione simbolo del rinnovamento di Francesco per le finanze, e sono accusati di aver fornito a due giornalisti, Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, documenti riservati. Pure stavolta si staglia l’ombra sinistra di Bisignani. Monsignor Balda lo accusa di essere “il capo” di Chaouqui, sic et simpliciter. Le inchieste sono due: una vaticana, l’altra italiana, poi trasferita da Terni a Roma e ancora non chiusa. Sullo sfondo emerge l’eterno profilo della cattomassoneria e della nobiltà nera papalina incline alla Tradizione. Chaoqui ostenta infatti credenziali avute dalla contessa Marisa Pinto Olori del Poggio, Sua Eccellenza Dama di Gran Croce e Giustizia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio. La contessa è stata vicepresidente della Fondazione Gerusalemme, quando questa era guidata da Giancarlo Elia Valori, manager e altro nume della catto-massoneria iscritto al Grande Oriente d’Italia, la maggiore obbedienza italiana, e alla loggia deviata della P2. È un mondo che vuole resistere alla rivoluzione francescana di Bergoglio. Lo stesso Bisignani, nell’era Ratzinger, è stato pubblicamente riconosciuto come «grande amico» da Marco Simeon. Monsignor Carlo Maria Viganò, in una feroce lettera a Benedetto XVI descrisse Simeon come simbolo della lobby gay protetta dal cardinale Bertone. Testuale. Il processo vaticano ha condannato Balda a diciotto mesi e Chaouqui a dieci. A distanza di due anni, il monsignore è ritornato nella natia Spagna, ma le nostre fonti riferiscono di averlo visto di nuovo in Italia, impegnato a organizzare una fondazione. Peraltro il sacerdote dovrebbe essere ridotto allo stato laicale. Fq Millennium ha contattato l’avvocato rotale Emanuela Bellardini, legale di Balda, che si è rifiutata di confermare o meno le due notizie. Chaouqui si è messa in proprio con una piccola società di comunicazione e ha scritto un libro sulla sua vicenda. In un’intervista al Fatto ha alluso andreottianamente ad altri documenti esclusivi custoditi in un caveau. Bisignani, infine, sebbene radiato dall’ordine dei giornalisti, continua a scrivere di Bergoglio sul Tempo. Sperando in un clamoroso scisma nella Chiesa.

un bilancio positivo di quattro anni di pontificato di papa Francesco

dopo quattro anni e mezzo Francesco sta cambiando chiesa e mondo

di Filippo Trippanera
in “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri” – www.chiesadituttichiesadeipoveri.it – del 22 luglio 2017

Dopo circa quattro anni e mezzo di pontificato (il tempo che fu sufficiente a Giovanni XXIII per “terremotare” la Chiesa), penso che si possa abbozzare un primo tentativo di bilancio del pontificato di Francesco. Complessivamente, mi pare di poter dire che siamo in presenza di un Magistero forte, convinto, deciso e penetrante; un Magistero pastorale, ma anche pieno di dottrina ed incisivo nella Chiesa e nel mondo, ben al di là dei rilievi – per così dire – di “audience” e di “share”.

Le opposizioni e le critiche che emergono – soprattutto all’interno della Chiesa, dei vescovi e dei cardinali di Curia – non scalfiscono minimamente e non fanno oscillare il timone della barca di Pietro. Sono posizioni prevalentemente autoreferenziali, senza fondamenti – a me pare – teologici o dottrinali, pastorali o biblici o di tradizione cattolica. Tutte queste opposizioni – o “dubia” – prescindono del tutto dal Concilio Vaticano Secondo e dai grandi Magisteri di san Giovanni XXIII e del beato Paolo VI. Chiusa la parentesi apertasi con la tragica morte di Giovanni Paolo I e definita con le – in qualche modo – profetiche dimissioni di Benedetto XVI, è ripreso il cammino conciliare e possiamo ben dire che il 13 marzo 2013 equivale al 9 dicembre 1965. E, se erano già fuori del tempo le posizioni di Ottaviani, Siri e di buona parte della Curia pacelliana, ancor di più lo sono quelle degli oppositori di Francesco. La debolezza di queste opposizioni si ricava anche dai modi con cui vengono espresse, da far pensare che dietro ci sia un disegno più politico e di immagine che pastorale e di fede. Molto significativo è il modo con cui sono state lasciate filtrare alcune esternazioni del papa emerito, soprattutto in merito al ricordo del cardinale Meisner, di recente scomparso; esternazioni interpretate come un contrasto con il pontificato di Francesco, in plateale difformità dal silenzio assoluto e dalla preghiera, cui aveva dichiarato di uniformarsi il papa emerito. Non ho motivo di mettere in dubbio la correttezza e la lealtà di Benedetto XVI, il quale credo abbia voluto affermare principi autentici senza minimamente pensare di porre in discussione il magistero del suo successore. Il problema è di chi ha fatto filtrare questa notizia come se fosse una critica a Francesco. La stessa presenza costante di mons. George Gershwin – prefetto della Casa pontificia – in quasi tutte le apparizioni pubbliche di Francesco, che, a mio avviso, è stato un atto di delicatezza del nuovo papa verso il suo predecessore, può venire interpretata come un controllo, una sentinella, una interferenza pesante; ma non credo che ciò sia. Quanto, poi, ai vari Socci, Negri, Burcke, Caffarra e sodali, penso che lascino il tempo che trovano. Altre opposizioni e critiche sembrano – talora – emergere da altro versante dell’opinione pubblica della Chiesa o dal suo interno e riguardano una pretesa timidezza, indecisione o mancanza di coraggio e/o credibilità del papa verso problemi molto importanti, come il ruolo della donna, il suo sacerdozio, la gestione delle finanze della Santa Sede nonché l’atteggiamento sulla pedofilia e sul gender. Questo tipo di posizioni mi sembrano anch’esse autoreferenziali e dettate più da esigenze di immagine che di sostanza. Io penso che papa Francesco, invece, pur con i suoi modi e, forse, con i suoi limiti ovvii, sia pienamente nel solco profondo della Chiesa e del Concilio Vaticano Secondo, e sta operando un reale cambiamento in profondità, non solo della Chiesa, ma anche del mondo. Questa mia opinione si fonda su dati del tutto oggettivi, ormai storici. Innanzi tutto, il linguaggio che egli usa: dal “buonasera” del 13 marzo 2013, ai ripetuti e costanti “buon giorno, arrivederci, buon pranzo, buona notte” premessi alle sue allocuzioni invece delle formule classiche “Sia lodato Gesù Cristo; pace e bene; cari figlioli (terminologia usata da Giovanni XXIII); e simili … “; un linguaggio asciutto, essenziale, come il “ Cari fratelli e sorelle “, come la menzione frequente di “fratelli cardinali; fratelli patriarchi, pope, papi, vescovi (di altre Chiese cristiane)”. Un linguaggio che non lascia spazio ad interpretazioni e che incarna la Chiesa in mezzo agli uomini. Questo tipo di linguaggio, si trasforma in comportamenti specifici ed estremamente significativi, ben al di là dell’aneddotica … Ma il fatto emblematico di questo pontificato è la canonizzazione del beato Giovanni XXIII, senza miracoli, in contestualità con il “santo post-subito” di Giovanni Paolo II; canonizzazione preceduta dall’elevazione alla porpora di mons. Loris Capovilla, quasi centenario, e incentrata in quella straordinaria definizione di papa Giovanni come “guida guidata”. Giovanni XXIII era stato proclamato beato con tanto di miracolo nell’anno 2000, in contestualità con il papa Pio IX. Un’accoppiata di beati che fece molto discutere per l’avvicinamento del papa del Concilio Vaticano Secondo al papa del Sillabo e del Vaticano primo. Apparve a molti la relegazione di Giovanni XXIII ad una sorta di eccezione ad una regola ben incarnata da Pio IX. Alla canonizzazione il discorso si capovolge e, nella sostanza, si delinea la straordinaria figura di papa Giovanni come maestro di generazioni e tale da costituire la regola evangelica, che dà dignità ad eccezioni come Pio IX e Giovanni Paolo II, la cui santità miracolosa attinge e trova fondamento nella santità senza miracoli di Giovanni XXIII. Lo spessore e la portata di questo fatto, eminentemente teologici, dottrinali, pastorali, conciliari ed evangelici, sono qualificanti e profondi, e trovano puntuale conferma in altre costanti del pontificato di Francesco, ben al di là delle piccolezze, con cui si vorrebbe limitarlo e metterlo in difficoltà. In tal senso, estremamente significative sono la beatificazioni di papa Paolo VI e di Oscar Arnulfo Romero, come prodotto di una linea pastorale e teologica incentrata sulle continue e costanti citazioni (nei documenti e nei discorsi), su ogni argomento, del papa Paolo VI (il più citato da Francesco), per un verso; e nei continui e costanti riferimenti alla teologia della liberazione, massacrata dai due suoi predecessori, dall’altro. In questa linea vanno colti anche i continui, costanti ed argomentati riferimenti e citazioni anonime del Patto delle Catacombe, della Chiesa dei poveri, di Giorgio La Pira, di don Lorenzo Milani, di don Tonino Bello, di Ernesto Balducci, di Davide Turoldo e di don Mazzolari; personaggi che evidentemente Francesco conosce bene e profondamente fino a farli propri, tanto da citarli – spesso alla lettera – senza farne menzione. Sotto questo profilo, resta impressionante l’omelia pronunciata sulla piazza di L’Avana, accanto alla gigantografia del Che Guevara, tutta incentrata su un concetto chiave contenuto in “Lettera a una professoressa”: “fai strada ai poveri senza farti strada”, che il papa ha tradotto: “servire i poveri senza servirsene”, e conclusa con le testuali parole di don Tonino Bello: “chi non vive per servire non serve per vivere”. E sempre in questa linea vanno letti tutti i suoi documenti: dalla “Evangelii Gaudium” alla “Laudato sì”, e tutti gli atti canonici da lui emessi, nonché i provvedimenti assunti, ad iniziare dalla nomina dei vescovi (basti pensare, qui in Italia, a Galantino, a Bassetti, a Montenegro, a Zuppi, a Lorefice, ed ora a De Donatis ed a Delpini ed ai nuovi vescovi di Ferrara, Brescia ed Ancona), dei cardinali, alla continua internazionalizzazione del Sacro Collegio. Tutto un magistero che incide profondamente nella vita della Chiesa e del Popolo di Dio, e che mette costantemente ai margini gli oppositori ed i critici. In sostanza, possiamo concludere nel senso che Francesco continui in questa sua linea, che sta cambiando profondamente la Chiesa, dai vertici fino alle periferie, ed impegnarci – come sempre ci chiede e, in particolare, chiese a Barbiana – a pregare per lui “perché possa trarre ispirazione da questo bravo prete … Per portare avanti la sua fiaccola”.

nonostante tutto ho fiducia in papa Francesco

la trasparenza di Francesco non si è fermata a Ratisbona

la linea del Papa per la verità non risparmia il fratello di Ratzinger e il cardinal Muller appena sollevato dal suo incarico

di M.A. Calabrò

“Choc”: non c’è altra parola per descrive l’effetto della pubblicazione del Rapporto Weber in Vaticano su quanto successo nella diocesi di Ratisbona. Papa Francesco è rimasto molto rattristato da quanto emerso nel documento, che ha peggiorato oltre ogni immaginazione il quadro già gravissimo emerso un anno e mezzo fa , in una prima relazione.

 

Ancora più prostrato Benedetto XVI visto che il caso riguarda la città dove ha insegnato all’Universita’ per lunghi anni e coinvolge suo fratelli Georg.

“Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”, questo il commento allo choc da parte di padre Hans Zollner, gesuita, che dirige il Centro per la protezione dei minori dell’università Gregoriana e fa parte della Commissione pontificia voluta da Papa Francesco. Zollner, tedesco, è nato proprio a Ratisbona, nel 1966, ma ha frequentato altre scuole, diverse da quelle dove sono avvenute le violenze.

 

La frase citata da Zollner è un celebre versetto del Vangelo di Giovanni. Un versetto che pur non essendo nel motto episcopale di Rudolf Voderholzer, dal 6 dicembre 2012, vescovo di Ratisbona, sembra fatto a posta per lui. Questa frase di Gesù è quella che sembra avere ispirato Voderholzer in una decisione senza precedenti. Ha dato lui l’incarico ad un avvocato indipendente, Ulrich Weber, di scandagliare 60 anni di storie di violenze e abusi sessuali (alcuni casi risalgono all’immediata dopoguerra e le vittime hanno passato gli ottant’anni) avvenuti in due scuole cattoliche limitrofe all’istituzione culturale più prestigiosa della città, il famoso Coro della cattedrale. “E Weber lo ha ringraziato pubblicamente per questo”.

 

L’operazione trasparenza, insomma, non si è fermata neppure a Ratisbona. Non si è fermata cioè davanti al fatto che quella città tedesca è indissolubilmente legata alla vita del Papa emerito Benedetto XVI e di suo fratello Georg. “Il vescovo Voderholzer ha preso sul serio l’impegno di tolleranza zero contro la pedofilia di Papa Francesco e la sua responsabilità di pastore, quella che gli americani chiamano accountability”, aggiunge Zollner .

 

Voderholzer ha dato carta bianca a Weber, gli ha dato accesso completo agli archivi. I risultati emersi sono scioccanti, “sono tali che devono destare in noi inquietudine e vergogna”, dice ancora padre Hans. “Per il numero delle vittime coinvolte, per la lunga durato degli abusi sia fisici che sessuali, per il clima di violenza e di terrore”.

E non ultimo per le accuse contenute nel Rapporto a Georg Ratzinger, fratello di Benedetto XVI di non aver denunciato quello che aveva saputo. Così come quelle contro l’immediato predecessore di Voderholzer, il cardinale Gherard Muller, per dieci anni (2002-2012) alla guida della diocesi di Ratisbona, il cui mandato alla guida della Congregazione per la dottrina della fede – che ha tra i suoi compiti anche quello di affrontare i casi di pedofilia del clero – Papa Francesco non ha rinnovato proprio all’inizio di questo mese di luglio.

Era noto infatti che il rapporto Weber era ormai concluso e che sarebbe stato reso pubblico nell’arco di poche settimane. Ma in Vaticano si sostiene che la decisione papale su Muller ha a che fare con altro e non con il Rapporto Weber.

In polemica con Muller si era dimessa il primo marzo 2017, Marie Collins, una sopravvissuta agli abusi di un prete, che era stata nominata dal Papa nella Pontificia Commissione per la protezione dei minori. “Non ero a Ratisbona durante il mandato episcopale del cardinale Muller”, si limita a commentare Zollner, ma insieme sottolinea che “coloro che vogliono la verità devono essere ammirati per il coraggio di guardare in faccia la realtà e per la decisione di dare, sia pure con decenni di ritardo, aiuto alle vittime e qualche forma di sostegno e compensazione”.

la lettera dipapa Francesco al g20

“…Nei cuori e nelle menti dei governanti e in ognuna delle fasi d’attuazione delle misure politiche c’è bisogno di dare priorità assoluta ai poveri, ai profughi, ai sofferenti, agli sfollati e agli esclusi, senza distinzione di nazione, razza, religione o cultura, e di rigettare i conflitti armati.

A questo punto, non posso mancare di rivolgere ai Capi di Stato e di Governo del G20 e a tutta la comunità mondiale un accorato appello per la tragica situazione del Sud Sudan, del bacino del Lago Ciad, del Corno d’Africa e dello Yemen,…”

“…. La guerra, tuttavia, non è mai una soluzione. Nella prossimità del centenario della Lettera di Benedetto XV Ai Capi dei Popoli Belligeranti, mi sento obbligato a chiedere al mondo di porre fine a tutte queste inutili stragi.”

LETTERA DEL SANTO PADRE FRANCESCO ALLA DOTTORESSA ANGELA MERKEL, IN OCCASIONE DELL’APERTURA DEI LAVORI DEL VERTICE DEL G20 [Amburgo, 7-8 luglio 2017]

A Sua Eccellenza Dottoressa Angela Merkel Cancelliere della Repubblica Federale di Germania

In seguito al nostro recente incontro in Vaticano e rispondendo alla Sua opportuna richiesta, desidero trasmetterLe alcune considerazioni che stanno a cuore a me e a tutti i Pastori della Chiesa Cattolica, in vista del prossimo incontro del G20…
Vorrei innanzitutto manifestare a Lei e ai leader che si incontreranno ad Amburgo il mio apprezzamento per gli sforzi compiuti per assicurare la governabilità e la stabilità dell’economia mondiale, con particolare attenzione ai mercati finanziari, al commercio, ai problemi fiscali e, più in generale, ad una crescita economica mondiale che sia inclusiva e sostenibile (cfr. Comunicato del G20 di Hangzhou, 5 settembre 2016). Tali sforzi, come ben prevede il programma di lavoro del Vertice, sono inseparabili dall’attenzione rivolta ai conflitti in atto e al problema mondiale delle migrazioni.
Nel Documento programmatico del mio Pontificato rivolto ai fedeli cattolici, l’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, ho proposto quattro principi di azione per la costruzione di società fraterne, giuste e pacifiche: il tempo è superiore allo spazio; l’unità prevale sul conflitto; la realtà è più importante dell’idea; e il tutto è superiore alle parti. E’ evidente che queste linee di azione appartengano alla sapienza multisecolare di tutta l’umanità e perciò ritengo che possano anche servire come contributo alla riflessione per l’incontro di Amburgo e anche per valutare i suoi risultati.
Il tempo è superiore allo spazio. La gravità, la complessità e l’interconnessione delle problematiche mondiali sono tali che non esistono soluzioni immediate e del tutto soddisfacenti. Purtroppo, il dramma delle migrazioni, inseparabile dalla povertà ed esacerbato dalle guerre, ne è una prova. E’ possibile invece mettere in moto processi che siano capaci di offrire soluzioni progressive e non traumatiche e di condurre, in tempi relativamente brevi, ad una libera circolazione e alla stabilità delle persone che siano vantaggiosi per tutti. Tuttavia, questa tensione tra spazio e tempo, tra limite e pienezza, richiede un movimento esattamente contrario nella coscienza dei governanti e dei potenti. Una efficace soluzione distesa necessariamente nel tempo sarà possibile solo se l’obiettivo finale del processo è chiaramente presente nella sua progettualità. Nei cuori e nelle menti dei governanti e in ognuna delle fasi d’attuazione delle misure politiche c’è bisogno di dare priorità assoluta ai poveri, ai profughi, ai sofferenti, agli sfollati e agli esclusi, senza distinzione di nazione, razza, religione o cultura, e di rigettare i conflitti armati.
A questo punto, non posso mancare di rivolgere ai Capi di Stato e di Governo del G20 e a tutta la comunità mondiale un accorato appello per la tragica situazione del Sud Sudan, del bacino del Lago Ciad, del Corno d’Africa e dello Yemen, dove ci sono 30 milioni di persone che non hanno cibo e acqua per sopravvivere. L’impegno per venire urgentemente incontro a queste situazioni e dare un immediato sostegno a quelle popolazioni sarà un segno della serietà e sincerità dell’impegno a medio termine per riformare l’economia mondiale ed una garanzia del suo efficace sviluppo.
L’unità prevale sul conflitto. La storia dell’umanità, anche oggi, ci presenta un vasto panorama di conflitti attuali o potenziali.
La guerra, tuttavia, non è mai una soluzione. Nella prossimità del centenario della Lettera di Benedetto XV Ai Capi dei Popoli Belligeranti, mi sento obbligato a chiedere al mondo di porre fine a tutte queste inutili stragi. Lo scopo del G20 e di altri simili incontri annuali è quello di risolvere in pace le differenze economiche e di trovare regole finanziarie e commerciali comuni che consentano lo sviluppo integrale di tutti, per raggiungere l’Agenda 2030 e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (cfr. Comunicato del G20 di Hangzhou). Tuttavia, ciò non sarà possibile se tutte le parti non si impegnano a ridurre sostanzialmente i livelli di conflittualità, a fermare l’attuale corsa agli armamenti e a rinunciare a coinvolgersi direttamente o indirettamente nei conflitti, come pure se non si accetta di discutere in modo sincero e trasparente tutte le divergenze. È una tragica contraddizione e incoerenza l’apparente unità in fori comuni a scopo economico o sociale e la voluta o accettata persistenza di confronti bellici.
La realtà è più importante dell’idea. Le tragiche ideologie della prima metà del secolo XX sono state sostituite dalle nuove ideologie dell’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria (cfr. EG, 56). Esse lasciano una scia dolorosa di esclusione e di scarto, e anche di morte. Nei successi politici ed economici, invece, che pure non sono mancati nel secolo scorso, si riscontra sempre un sano e prudente pragmatismo, guidato dal primato dell’essere umano e dalla ricerca di integrare e di coordinare realtà diverse e a volte contrastanti, a partire dal rispetto di ogni singolo cittadino. In tale senso, prego Dio che il Vertice di Amburgo sia illuminato dall’esempio di leader europei e mondiali che hanno privilegiato sempre il dialogo e la ricerca di soluzioni comuni: Schuman, De Gasperi, Adenauer, Monnet e tanti altri.
Il tutto è superiore alle parti. I problemi vanno risolti in concreto e dando tutta la dovuta attenzione alle loro peculiarità, ma le soluzioni, per essere durature, non possono non avere una visione più ampia e devono considerare le ripercussioni su tutti i Paesi e tutti i loro cittadini, nonché rispettare i loro pareri e le loro opinioni. Vorrei ripetere l’avvertenza che Benedetto XVI indirizzava al G20 di Londra nel 2009. Sebbene sia ragionevole che i Vertici del G20 si limitino al ridotto numero di Paesi che rappresentano il 90% della produzione mondiale di beni e di servizi, questa stessa situazione deve muovere i partecipanti ad una profonda riflessione. Coloro – Stati e persone – la cui voce ha meno forza sulla scena politica mondiale sono precisamente quelli che soffrono di più gli effetti perniciosi delle crisi economiche per le quali hanno ben poca o nessuna responsabilità. Allo stesso tempo, questa grande maggioranza che in termini economici rappresenta solo il 10 % del totale, è quella parte dell’umanità che avrebbe il maggiore potenziale per contribuire al progresso di tutti. Occorre, pertanto, far sempre riferimento alle Nazioni Unite, ai programmi e alle agenzie associate e alle organizzazioni regionali, rispettare e onorare i trattati internazionali e continuare a promuovere il multilateralismo, affinché le soluzioni siano veramente universali e durature, a beneficio di tutti (cfr. Benedetto XVI, Lettera all’On. Gordon Brown, 30 marzo 2009).
Ho voluto offrire queste considerazioni come contribuito ai lavori del G20, fiducioso nello spirito di solidarietà responsabile che anima tutti i partecipanti. Invoco perciò la benedizione di Dio sull’incontro di Amburgo e su tutti gli sforzi della comunità internazionale per attivare una nuova era di sviluppo innovativa, interconnessa, sostenibile, rispettosa dell’ambiente e inclusiva di tutti i popoli e di tutte le persone (cfr. Comunicato del G20 di Hangzhou).
Gradisca, Eccellenza, le mie espressioni di alta considerazione e stima.

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