Roma disseminata di manifesti contrto papa Francesco

manifesti contro papa Francesco affissi a Roma

subito rimossi


una decina di manifesti critici verso papa Francesco sono comparsi in piazza Risorgimento ma anche in altri quartieri della città. La foto a tutto campo riporta l’immagine del Pontefice con un’espressione particolarmente rabbuiata e accigliata. In basso, su fondo violaceo, la scritta con venature romanesche:

“A France’, hai commissariato Congregazioni, rimosso sacerdoti, decapitato l’Ordine di Malta e i Francescani dell’Immacolata, ignorato Cardinali… ma n’do sta la tua misericordia?”

Il poster è anonimo, non riporta sigle né simboli, ma è facilmente riconducibile agli ambienti conservatori che sempre più manifestano la loro opposizione al magistero, ai provvedimenti e alla linea pontificale di Bergoglio. E proprio in quella direzione vanno le indagini della Digos: al vaglio le immagini delle telecamere di sorveglianza per risalire agli autori delle affissioni che la polizia municipale ha provveduto subito a oscurare. 

progetto chiesa – quale chiesa fra vent’anni?

alla Lateranense si progetta la Chiesa di domani

in “La Stampa-Vatican Insider” del 31 gennaio 2017

“«Dio è creativo, non è chiuso, non è rigido»: lo ha dichiarato con forza papa Francesco nel settembre 2013… «Quale Chiesa fra vent’anni?» è la domanda che lancia il primo «Festival Internazionale della Creatività nel Management Pastorale»… A Roma fra il 23 e il 25 marzo da tutto il mondo donne e uomini impegnati nel rinnovamento della Chiesa cattolica”

«Dio è creativo, non è chiuso, e per questo non è mai rigido. Dio non è rigido!»: lo ha dichiarato con forza papa Francesco nel settembre 2013, a pochi mesi dalla sua elezione al pontificato. Sono proprio queste le parole d’ordine che la Pontificia Università Lateranense, sotto la guida del rettore magnifico monsignor Enrico Dal Covolo, ha intenzione di incarnare esplorando e raccogliendo percorsi nuovi di fare Chiesa, di viverla, di raccontarla e di costruirla. «Quale Chiesa fra vent’anni?» è infatti è la domanda che lancia il primo «Festival Internazionale della Creatività nel Management Pastorale», realizzato dalla Scuola internazionale di Management pastorale – il percorso di alti studi per presbiteri, laici, religiosi, operatori ecclesiali e della pastorale creato due anni fa dalla Pontificia Università Lateranense – in collaborazione con Villanova University della Pennsylvania e con realizzazione formativa di Creativ.

A Roma fra il 23 e il 25 marzo giungeranno da tutto il mondo donne e uomini che si stanno impegnando nel rinnovamento della Chiesa cattolica a partire dal cambiamento concreto delle pratiche, realizzando quell’inculturazione del Vangelo che è primo strumento di evangelizzazione esplorando e raccogliendo percorsi innovativi di fare Chiesa, di viverla, di raccontarla e di costruirla, con la profondità e la passione della Pul che ha il mandato di ricercare «la Sapienza secondo Cristo».

Gli obiettivi del festival sono ambiziosi: esplorare nuovi modelli di Chiesa e best practices ecclesiali; capire quale possa essere la miglior riorganizzazione della Chiesa diocesana sul territorio; porre il tema della nuova collaborazione fra ordini religiosi e vita secolare nel rispetto reciproco; dialogare sulla valorizzazione del ministero sacerdotale ordinato e la corresponsabilità dei laici; accogliere come prioritaria la costruzione della sinodalità nelle chiese locali, per realizzare a tutti i livelli lo spirito della parresia che ha impostato i lavori dei Sinodi straordinari voluti ancora da papa Francesco.

L’evento ha proposte e numeri invitanti: tre conferenze pluriprospettiche per comunicare in profondità contenuti e fertilità di vedute con 18 ospiti internazionali; tre «Dialoghi» con personaggi significativi che diano voce a testimoni con punti di vista profetici; 18 tavoli della corresponsabilità aperti alla creatività dei partecipanti insieme ai 38 open lighting talk; saranno offerti inoltre trenta workshop e 15 talk, lezioni interattive aperte tenute da ricercatori d’avanguardia provenienti da Cile, Australia, Olanda, Germania, Italia, Usa, Kenya, Spagna da cui scaturiranno stimoli, casi di studio, approfondimenti che permetteranno ai partecipanti di immaginare e generare percorsi nuovi e spazi di scambio innovativo insieme allo spazio dedicato a 45 tavoli delle best practices in ambito ecclesiale.

lettera aperta a papa Francesco 

 

“nella gioia dell’evangelo”

 

carissimo Papa Francesco, immaginiamo l’ingombro delle lettere sulla tua scrivania. E come non pensare che sarebbe pretesa che la nostra fosse letta e le fosse data risposta? Anche perché viene da un piccolo gruppo – composto da laici, presbiteri, religiosi –  che non può vantare altro che la sua passione e la sua piccolezza

  Innanzitutto vorremmo ringraziarti e poi vorremmo condividere brevemente con te qualche pensiero. Ringraziarti perché in te, nelle tue parole e nei tuoi gesti, questo piccolo gruppo si è sentito come interpretato. Alle nostre origini ci eravamo chiamati “Il vangelo che abbiamo ricevuto”. Convenivamo da varie parti d’Italia. Il piccolo gruppo milanese denominandosi anche “Laboratorio di sinodalità laicale” sottolineava una dimensione che ci sta a cuore. Ora che sei venuto tra noi, ci siamo dati un nome a te caro: “Nella gioia dell’evangelo”.  Portavamo e in parte ancora portiamo nel cuore la sofferenza per il rischio di un evangelo ridotto a codice di comportamento morale, mentre esso è soprattutto l’annuncio dell’amore del Padre, quale nella forza dello Spirito si è manifestato e reso disponibile a tutti nella vita umana e profetica di Gesù, il galileo di Nazareth. Siamo infatti convinti che solo restando dentro tutta l’ampiezza e la profondità dell’evangelo, è possibile parlare a noi stessi, ai nostri fratelli e alle nostre sorelle dentro e fuori della chiesa visibile, per sperimentare assieme a tutti la potenza liberante dell’evangelo. Nella tua voce abbiamo riascoltato con insistenza queste parole: evangelo, gioia, sinodalità. Abbiamo colto dalle tue parole e dai tuoi gesti uno sguardo diverso sul magistero del vescovo di Roma.

Ti poni come colui che si mette nella compagnia del suo popolo indicando in modo semplice orizzonti evangelici verso cui camminare insieme. Stai di fatto incoraggiando tutta la chiesa, con le sue strutture, a uscire dal ripiegamento su sé stessa, nella convinzione che solo “uscendo e rischiando” essa fa esperienza dell’evangelo che è chiamata ad annunciare.

A partire dal giorno della tua elezione, nel quale hai chiesto al popolo di invocare su di te la benedizione di Dio, tu hai dato valore alla reciprocità tra pastori e gregge loro affidato, all’olfatto del popolo di Dio, alla sua “infallibilità” nel credere, alla partecipazione e responsabilità di tutti i battezzati nella sfida dell’evangelizzazione. In questa prospettiva attendiamo che i molti carismi, che lo Spirito dona a battezzati e battezzate, e le molte diaconie, che questi esercitano nella chiesa e nel mondo, trovino adeguato riconoscimento nell’ordinamento e nella prassi ecclesiale. L’istituzione di una commissione chiamata a studiare la questione del conferimento del diaconato alle donne è senza dubbio una grande apertura di un nuovo orizzonte. Ma, al di là di questa specifica questione,

auspichiamo un globale ripensamento della visione del ministero, che nella storia ha conosciuto diverse variazioni. Infatti l’intera comunità ecclesiale è chiamata all’unico ministero di annunciare il Signore, lottando per la liberazione e integrità del creato e di ogni persona umana, a cominciare dagli scartati e ultimi della terra. Pertanto ci sembra urgente che le varie forme di ministero, lontane dal configurarsi come posizioni di potere, siano concepite e vissute nella chiesa e dalla chiesa, nello splendore della gratuità evangelica, a servizio del Regno e quindi di una umanità in cammino

Forte di questa convinzione ogni ministero che presiede alla comunione sentirà come irrinunciabile il richiamo ad essere disponibile all’ascolto, il richiamo al discernimento come dono dello Spirito e come frutto di cammini autenticamente sinodali, che sappiano coinvolgere le componenti laicali che oggi, a mezzo secolo dal concilio, restano ancora emarginate. Viviamo con sofferenza la sensazione di uno scollamento tra il messaggio che le tue parole custodiscono e la coscienza di parte della chiesa. Certamente è questione di semine lunghe e ci è  chiesta la pazienza del contadino del vangelo. Ma ci sembra di ravvisare tentativi di contrastare l’evangelo sia nell’indisponibilità di alcuni vertici ecclesiali, sia nelle reazioni di un certo numero, non trascurabile, di fedeli che sembrano impermeabili al tuo annuncio.

Ci chiediamo a volte come si possa partecipare alle assemblee liturgiche e poi assumere posizioni, coscientemente o no, opposte all’evangelo. Come ricucire la frattura? In tempi in cui ci si affida a slogan ci parrebbe opportuno puntare su un appello al “pensare”, a “esporsi al contatto” con il mondo, favorendo in ogni realtà ecclesiale, a partire dalle parrocchie, esperienze in cui “vedere, giudicare, agire, accompagnare”, come ci sembra tu abbia suggerito a Firenze

Luoghi e tempi non elitari, in stretta relazione con il popolo di Dio che vive fatiche e speranze della vita quotidiana, illuminata dalla gioia dell’evangelo. Tu spesso ci hai invitato a sognare. Ti abbiamo raccontato sogni. Nella fiducia di condividerne altri con te in un prossimo futuro. In comunione di preghiera

il gruppo NELLA GIOIA DELL’EVANGELO
Maria Cristina BARTOLOMEI,  Milano; 

Ugo Francesco BASSO,  Milano; 

Marco BERTÈ,  Parma;

   Gianfranco BOTTONI,  Milano;

Massimo CADAMURO,  Venezia; 

  Angelo CASATI,  Milano;

Francesco CASTELLI,  Milano;  

Ursicin Gion Gieli DERUNGS,  Milano;

Italo DE SANDRE,  Padova; 

Luciano GUERZONI,  Modena;

   Licinia MAGRINI,  Bologna;

  Giancarlo MARTINI,  Verbania; 

  Giovanni NICOLINI,  Bologna;

  Enrico PEYRETTI,  Torino; 

  Ugo Gianni ROSENBERG,  Torino; 

Francesco SCIMÈ,  Bologna;  

Carlo URBANI,  Venezia;

  Fabrizio VALLETTI,  Napoli.
—————————-
È possibile sottoscrivere questa lettera, inviando la propria adesione, entro la data del 20 febbraio 2017, indicando nome cognome e comune di residenza, al seguente indirizzo di posta elettronica:
lettera2017@gmail.com

papa Francesco scandalizza solo per il fatto che parla e vive da cristiano

un papa scandalosamente cristiano

il suo crimine: predicando il vangelo uccide la civiltà cristiana occidentale

di Christine Pedotti
in “Témoignage chrétien” n° 3712 del 19 gennaio 2017
Non abbiamo più dubbi, la frangia della destra che si considera disinibita non ha in effetti più alcuna inibizione, osa di tutto, si permette di tutto, sicura com’è di avere dietro di sé un ampio consenso popolare. Forse però ha fatto una mossa sbagliata attaccando papa Francesco. Già da tempo, i siti reazionari che si autoproclamano cattolici e di “controinformazione” avevano lanciato l’allarme: questo papa non è cattolico. Ma si trattava di covi oscurantisti, immersi in atmosfere di discarica e cloaca. Questa volta, a scrivere è il direttore capo di Valeurs actuelles, e non per un editoriale, ma in un libro, il cui titolo e sottotitolo sono ultrachiari:

“Église et immigration, le grand malaise – le pape et le suicide de la civilization européenne” (Chiesa e immigrazione, il grande disagio – il papa e il suicidio della civiltà europea

Nessuna precauzione oratoria, il papa è decisamente accusato di trucidare la civiltà. E con quale mezzo? Quello del Vangelo, molto semplicemente, in nome del quale invita i cattolici ad accogliere i migranti. Incriminata, la lettura del testo del Giudizio nel Vangelo di Matteo: “ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,35). Con queste parole il Figlio dell’Uomo, venendo nella sua gloria, designa coloro che, avendo praticato l’accoglienza dello straniero – o nutrito un affamato, vestito un misero, dato un bicchiere d’acqua ad un assetato, visitato un prigioniero – scoprono che quel piccolo, quel povero, quel debole, quello straniero, è Cristo stesso. E sono fatti entrare nella gloria di Dio. Da duemila anni, è lì che batte il cuore del cristianesimo: ogni essere umano è il mio prossimo. La fraternità non è preferenza per qualcuno ma apertura all’universalità: ogni essere umano è per me un fratello o una sorella. In questo modo, papa Francesco si inserisce in una lunga tradizione di eminenti figure della santità cristiana.

È in questo humus millenario che affondano le famose radici cristiane dell’Europa. Ed ecco che le stesse persone che ieri vi facevano riferimento, tutt’a un tratto le rinnegano. Perché, attenzione, questa opinione non è quella di un uomo solo. Il papa ha cominciato ad irritare seriamente le coscienze delle “brave persone” che credevano di essere dalla parte giusta, difensori dell’ordine. Fin dalla sua elezione, quasi quattro anni fa, Témoignage chrétien ha sempre affermato il suo sostegno a papa Francesco e, anche se capita a volte di avere divergenze su alcuni punti, gli esprimiamo qui di nuovo la nostra fedeltà e la nostra riconoscenza.

un libro sulla profonda teologia di papa Francesco

la teologia di papa Francesco

di Bruno Scapin
in “Settimana-News”

Alberto Cozzi – Roberto Repole – Giannino Piana,

Papa Francesco. Quale teologia?,

Cittadella Editrice, Assisi 2016, pp. 210, € 13,90.

 

 

«Tre saggi che, muovendo da prospettive diverse e con metodi diversi, offrono uno spaccato significativo della “teologia” di papa Francesco…, smentendo le critiche, talvolta aspre e preconcette, di quanti lo accusano di scarsa profondità dottrinale».

È quanto si legge al termine della Prefazione a questo volume che raccoglie i contributi di Alberto Cozzi, docente di teologia sistematica presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano, di Roberto Repole, docente di teologia sistematica presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale (sezione di Torino) e presidente ATI, e di Giannino Piana, già docente di etica cristiana presso le università di Urbino e di Torino ed ex presidente ATISM. Cozzi riconosce a papa Francesco un modo originale di esprimere la sua teologia sia nel linguaggio sia nel modo di argomentare. Luogo privilegiato della teologia bergogliana è il nucleo essenziale dell’annuncio evangelico. Centrale rimane la figura di Gesù che ha assunto nella sua carne tutto l’umano. Per questo papa Francesco ama in particolare il mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio. Accanto ad esso, gli altri due pilastri della teologia di papa Bergoglio sono il mistero della croce e il mistero trinitario. In quest’ultimo, particolare rilievo viene data alla persona del Padre come fonte di ogni tenerezza e misericordia e allo Spirito Santo come artefice di fantasia e di novità nella vita della Chiesa. La teologia di papa Francesco nell’analisi di Cozzi – si legge nella Prefazione – «è una teologia robusta, fortemente ancorata alla tradizione e legata al contesto latinoamericano, più interessata all’azione pastorale che alla speculazione teorica». Roberto Repole, nel suo contributo, sottolinea la fedeltà di papa Francesco all’ecclesiologia conciliare, della quale riprende con vigore alcuni temi, come la Chiesa “popolo di Dio” e il sensus fidelium. Accentuazioni caratteristiche del pontefice sono la Chiesa “in uscita” e la Chiesa che risponde alle urgenze della società di oggi non rifuggendo dal mondo ma incarnando, in particolare nelle “periferie esistenziali”, l’amore di Dio per l’uomo. Non vanno dimenticate altre dimensioni dell’ecclesiologia bergogliana, come la centralità delle Chiese locali e la riforma del papato e della curia in senso sinodale. Bastano questi cenni per capire come questo pontificato segni «una nuova, importante tappa nella ricezione del Concilio» (dalla Prefazione). Il terzo contributo è di Giannino Piana su un tema a lui congeniale: “Il magistero morale di papa  Francesco. Tra radicalità e misericordia”.

È chiaro come il papa attuale coniughi l’ideale con la realtà, il dato oggettivo con il dato soggettivo, tenendosi lontano sia dal rigorismo sia dal lassismo e puntando, con l’aiuto della grazia, al “bene possibile”. Al mondo dell’economia papa Bergoglio chiede di non inseguire il feticismo del denaro e la logica spietata del mercato, che generano esclusione e “inequità”. E alla politica domanda la tutela dei diritti umani, la ricerca del bene comune e l’attenzione ad un’ecologia integrale. Non poteva mancare, nelle pagine di Giannino Piana, la trattazione dei temi della famiglia e della sessualità, comprese le “situazioni irregolari”. Qui – secondo il teologo – il pontefice mostra di avere a cuore la bellezza dell’ideale evangelico declinato, però, realisticamente, sulle diversità soggettive e situazionali. Preziosa, per interpretare i testi di papa Francesco, si rivela la Postfazione firmata dal card. Ravasi. Egli, infatti, sottolinea come il pontefice ami lo stile omiletico e il linguaggio simbolico. Il primo gli permette quell’approccio dialogico e immediato che crea una relazione coinvolgente con l’ascoltatore. Il secondo (pensiamo ad alcune espressioni come “Chiesa ospedale da campo”, “l’odore delle pecore”, “la mafia (s)puzza”…) gli permette di scolpire in immagini assai efficaci il concetto che intende trasmettere. Un testo che fa giustizia delle riserve che anche qualche influente ecclesiastico ha manifestato sullo spessore e sull’ortodossia della teologia di papa Francesco.

 

Hitler figlio del populismo

papa Francesco

“dai populismi nacque Hitler

nei momenti di crisi non funzionano i muri”

Papa Francesco: "Dai populismi nacque Hitler. Nei momenti di crisi non funzionano i muri"

intervista al “Paìs”

Bergoglio affronta tra gli argomenti la Chiesa, il mondo, i migranti e il momento economico

di PAOLO RODARI

Nello stesso momento in cui Donald Trump giura a Washington, Francesco concede in Vaticano una lunga intervista al País (pubblicata anche su Repubblica in edicola) nella quale chiede prudenza per gli allarmi generati dal nuovo presidente degli Stati Uniti d’America – “vedremo quello che fa, e allora valuteremo; non si può essere profeti di calamità” -, anche se “nei momenti di crisi”, non funzionano “muri e fili”. Spiega: “Se mi spaventassi o gioissi di ciò che potrebbe accadere, potremmo cadere in una grande imprudenza. Tra essere profeti o di calamità o di buone cose che non verranno, né l’una né l’altra. Si vedrà. Vedremo quello che fa e allora valuteremo. Sempre le cose concrete. Il cristianesimo, o è concreto o non è cristianesimo”.

Bergoglio parla per un’ora e quindici minuti anche della Chiesa. Racconta che all’interno del dossier su Vatileaks che Papa Ratzinger gli ha lasciato poco dopo l’elezione, ci sono “santi e peccatori, onesti e corrotti”. Ma che ciò che lo preoccupa di più è “una Chiesa intorpidita dalla mondanità”, lontana dai problemi della gente.

Francesco dimostra di essere a conoscenza non solo ciò che accade all’interno del Vaticano, ma anche nella sua diocesi di Roma e in tutto il mondo. Dice che gli piacerebbe andare in Cina – “quando mi inviteranno” -, e che la sua unica rivoluzione è il Vangelo. E, ancora, che non ha deciso se morirà da Papa o se opterà per la strada aperta di Benedetto XVI.

In questi anni, nei viaggi, Francesco si è emozionato più volte. Per esempio, a Lampedusa, quando si chiese se si era pianto con le donne che perdono i loro figli in mare; in Sardegna, quando parlò della disoccupazione; nelle Filippine, con il dramma dei bambini sfruttati. Dice: “Il simbolo che ho proposto nella nuova sede per i Migranti – nel nuovo schema, il dicastero per i Migranti e i Rifugiati l’ho preso in carico io stesso con due segretari – è un salvagente arancione, come quelli che tutti conosciamo”.

Infine, le parole dedicate alle conseguenze della crisi economica: avanzano politiche che raccolgono il disagio dei cittadini. Alcune di esse – quelle cosiddette antisistema o populiste – approfittano della paura dei cittadini di fronte a un futuro incerto per costruire un messaggio di xenofobia, di odio verso lo straniero. Spiega Francesco: “Le crisi provocano delle paure, delle allerte. Per me, l’esempio più tipico dei populismi europei è quello tedesco del ’33. Dopo Hindenburg, la crisi del 30, la Germania è in frantumi, cerca di rialzarsi, cerca la sua identità, cerca un leader, qualcuno che gli ridia la sua identità e c’è un ragazzetto di nome Adolf Hitler che dice “io posso, io posso”. E tutta la Germania vota Hitler. Hitler non rubò il potere, fu votato dal suo popolo, e poi distrusse il suo popolo. Questo è il pericolo. In tempi di crisi, non funziona il discernimento e per me rappresenta un punto di riferimento continuo. Cerchiamo un salvatore che ci restituisca la nostra identità, difendiamoci con muri, con fili spinati, con qualsiasi cosa dagli altri popoli che possono toglierci la nostra identità. E questo è molto grave”.

twitter e papa Francesco

papa Francesco darà voce ai migranti su Twitter

la sezione Migranti e Rifugiati del nuovo dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale lancia una campagna mediatica si concentrerà sulla situazione di bambini e adolescenti migranti, rifugiati, sfollati e vittime della tratta

Come si ricorderà, Papa Francesco ha stabilito che si occuperà direttamente lui del dipartimento dedicato ai migranti e rifugiati: una scelta legata all’emergenza di questi tempi, ma anche un modo per sottolineare l’importanza di questo tema e l’impegno personale del Pontefice.

E quindi, secondo informa il blog “Il Sismografo”, in linea con il tema scelto da Francesco per l’edizione 2017 della Giornata (Migranti minorenni, vulnerabili e senza voce), la campagna mediatica si concentrerà sulla situazione di bambini e adolescenti migranti, rifugiati, sfollati e vittime della tratta.

Dal 12 al 15 gennaio 2017 i tweet del Pontefice saranno dedicati a tali situazioni e rimanderanno direttamente alla pagina Facebook della Sezione, nella quale verranno presentate brevi storie e riflessioni attinenti alla tematica generale.

‘nostalgioso’ un neologismo carino tanto quanto ‘webete’ e ‘petaloso’


                                                                        

il primo posto

è stato

raggiunto però da ‘webete’

Dopo “petaloso” arriva “nostalgioso”. Il neologismo è di papa Francesco

dopo “petaloso” arriva “nostalgioso”. Il neologismo è di papa Francesco

di Elsa Corsini

Dopo “petaloso“, termine coniato dalla fantasia del piccolo Matteo, neologismo poi riconosciuto dall‘Accademia della Crusca, arriva “nostalgioso“. Questa volta il neologismo è di papa Francesco, che non è nuovo a “miracoli” comunicativi di questo tipo. Nostalgioso è l’aggettivo utilizzato dal pontefice nel corso dell’omelia per la solennità della festa dell’Epifania celebrata come ogni anno a San Pietro.

papa Francesco conia “nostalgioso”

Parlando a lungo  della “nostalgia” di Dio che devono provare i cristiani, papa Francesco ha detto testualmente: “Il credente nostalgioso, spinto dalla sua fede, va in cerca di Dio, come i magi, nei luoghi più reconditi della storia, perché sa in cuor suo che là lo aspetta il suo Signore”.  E ancora: “Va in periferia, in frontiera, nei luoghi non evangelizzati, per potersi incontrare col suo Signore; e non lo fa affatto con un atteggiamento di superiorità, lo fa – prosegue il Papa nell’omelia –  come un mendicante che non può ignorare gli occhi di colui per il quale la Buona Notizia è ancora un terreno da esplorare”. Nostalgioso, insomma, così deve essere il buon cristiano. Chissà de anche in questo caso il neologismo (forse incidentale) verrà introdotto ufficialmente nel dizionario della lingua italiana.

i segni distintivi del pontificato di papa Francersco

una riforma spirituale

  di Enzo Bianchi

in “L’Osservatore Romano” del 30 dicembre 2016

Papa Francesco, appena varcata la soglia degli ottant’anni, ha segnato con la serenità che lo contraddistingue i momenti tradizionalmente legati alla fine di un anno civile: l’incontro con la curia romana e i messaggi di Natale e per la giornata mondiale della pace di Capodanno.

Vigilante e visionario, il Pontefice appare un uomo forte, in buona salute, un cristiano che si nutre di fede convinta, un pastore che conosce la sollecitudine per ogni pecora a cominciare da quella smarrita, per la Chiesa che presiede, per le Chiese cristiane tutte. Presto si compiranno quattro anni dall’inizio del suo servizio papale e forse possiamo decifrare cosa abbia significato e significhi nella Chiesa e nel mondo la successione all’apostolo Pietro di un vescovo che proviene non solo, come si ripete, dalle periferie del mondo, ma anche e soprattutto dagli interiora ecclesiae.

Occorre ascolto del suo magistero, ascolto della società e della storia nella consapevolezza che gli effetti di un pontificato sono la conseguenza non solo del Papa, ma anche dei collaboratori, chiamati a corrispondere alle sue intenzioni profonde. Il primo elemento sottolineato da molti è che, con l’avvento di Francesco, si è sviluppato un clima nuovo, nel quale si sono sopite paure e inibizioni, un clima di maggiore libertà, come aveva auspicato Paolo VI nell’udienza generale del 9 luglio 1969:

«Avremo quindi un periodo nella vita della Chiesa, e perciò in quella d’ogni suo figlio, di maggiore libertà, cioè di minori obbligazioni legali e di minori inibizioni interiori. Sarà ridotta la disciplina formale, abolita ogni arbitraria intolleranza, ogni assolutismo; sarà semplificata la legge positiva, temperato l’esercizio dell’autorità, sarà promosso il senso di quella libertà cristiana, che tanto interessò la prima generazione cristiana».

In anni non lontani, e spesso in Italia, si registrava una situazione dove prosperavano, determinando contrapposizioni e divisioni, quanti arrivavano ad accusare altri fedeli di scarsa fede cattolica, di eresia, in una logica sempre più esclusivista. Un clima che inibiva chi, avendo opinioni diverse, non aveva il coraggio di parlare. Questo clima è ormai memoria del passato. Papa Francesco non fa nulla che possa ispirarsi a una logica di contrapposizione ma, al contrario, cerca instancabilmente di destare comunione. Esistono sì gruppi e componenti della Chiesa che non si limitano a una critica rispettosa, ma si spingono fino a delegittimare il Pontefice con accuse grottesche e polemiche insistenti. Tuttavia non intaccano il clima generale che favorisce quella “opinione pubblica” nella Chiesa di cui già Pio XII nel 1951 lamentava la mancanza, clima che stimola il confronto e rende la Chiesa una comunione rispettosa delle diversità, e per questo spiritualmente più ricca, e vi è maggiore libertà teologica e pastorale nell’annuncio dell’unico Vangelo.

Questa diversità di doni è più evidente anche grazie alla mutata posizione dei movimenti nella Chiesa, favorita da Papa Francesco. Di alcuni si constatava una certa aggressività, narcisismo e autoreferenzialità che portavano a giudicare gli altri cristiani come mediocri e a percepirsi come la parte migliore della Chiesa: una realtà carismatica, che tuttavia rischiava di favorire posizioni da Chiesa parallela. La stessa Pentecoste, compimento del mistero pasquale, sembrava declassata a festa dei movimenti. Il Pontefice, senza alcun gesto di ostilità, ha accolto queste nuove realtà non chiedendo loro se non di resistere alle tentazioni del proselitismo, della testimonianza muscolare, del volersi contare, del professare la fede “contro”, ma di porsi invece nella sinfonia ecclesiale, proprio in obbedienza allo Spirito santo che li ha suscitati. Così la Chiesa si mostra oggi più che mai “popolo di Dio”, espressione cara a Francesco non solo per la matrice conciliare, ma perché capace di indicare la qualità quotidiana, “popolare”, non elitaria della comunità cristiana.

Ma ciò che in modo più evidente è accaduto in questo pontificato è il nuovo slancio conferito  all’ecumenismo. Pareva stagnante, al punto che alcuni parlavano di “inverno ecumenico”, ma il Papa, con gesti inattesi e impensabili più ancora che con parole, ha ridestato quel desiderio di unità che aveva accompagnato la stagione postconciliare nella Chiesa cattolica e parallelamente nelle altre Chiese. Mosso dalle convinzioni, ribadite più volte, che l’ecumenismo si fa innanzitutto camminando insieme e che il martirio di tanti fratelli e sorelle cristiani realizza un “ecumenismo del sangue”, il Pontefice ha fatto dei suoi viaggi delle pietre miliari del dialogo con le altre Chiese. A Torino ha voluto incontrare la comunità valdese, sempre rimasta nel cono d’ombra dell’ecumenismo cattolico. Cuba è stata la tappa imprevista e irrituale che ha coronato la sua tenacia nel ricercare l’incontro, come fratello, con Cirillo, patriarca di Mosca. La visita in Georgia si è rivelata capace di superare anche la non reciprocità nell’accoglienza ecclesiale. La presenza a Lund ha significato fare memoria, con le comunità protestanti, dei cinque secoli della Riforma: non per festeggiare una rottura della comunione ecclesiale, ma per rileggere quegli eventi cercando di evidenziarne le intenzioni evangeliche e per riconoscere di fronte all’unico Signore le rispettive colpe. Nessun Papa dopo Paolo VI ha osato quanto Francesco nell’andare incontro a un’altra Chiesa, a costo di umiliarsi nella propria persona purché il servizio papale potesse essere vissuto come un misericordioso presiedere nella carità. Va poi evidenziato lo sforzo di Francesco per portare a compimento il concilio Vaticano II nel suo progetto di dialogo con il mondo e la modernità.

La Chiesa è stata sovente tentata di esercitare il ministero della condanna, dell’intransigenza per il bene delle anime cattoliche; il Pontefice, per il bene di tutti, cristiani o meno, vuole instaurare una cultura del dialogo, un esercizio dell’ascolto della società e della storia, un discernimento per poter camminare insieme. Ecco perché la Chiesa è stata invitata con l’anno della misericordia, sigillo dei due sinodi, a essere inclusiva e non escludente, ad andare incontro a chi ha peccato, accordandogli il perdono di Dio e annunciando la misericordia senza confini. Ma è significativo che proprio sullo stile e la prassi della misericordia il Papa abbia conosciuto e conosca l’opposizione più dura, una vera contestazione. Non si può tacere che ciò avvenne anche nei confronti di Gesù, come testimoniano i vangeli. Cosa lo ha portato alla condanna? L’annuncio del volto misericordioso di Dio, null’altro: Gesù non ha contraddetto la Torah, ma l’ha posta sotto il primato dell’amore fraterno e della misericordia di Dio. Sempre all’insegna della misericordia, “cuore per i miseri”, va compresa la sua passione per i poveri, gli ultimi, gli scartati della storia, le vittime della società: tutti figli di Dio, con la stessa dignità. Una «Chiesa povera e per i poveri» e dunque una Chiesa di “beati” secondo il Vangelo: questo desidera Francesco ed è ciò a cui si sente impegnato dal nome del santo di Assisi che ha voluto assumere. I suoi viaggi nel Mediterraneo, attraversato da migranti, la sua sollecitudine per loro anche nell’ammonire i potenti e i governanti del mondo svelano cosa gli brucia nel cuore.

Ora, se questi sono i segni distintivi del pontificato di Francesco, cosa attende ancora il popolo di Dio ascoltando le sue parole? Attende che la riforma della Chiesa, in capite et in membris, continui e si manifesti con chiarezza.

Di riforma della Chiesa si parla da quasi dieci secoli e la Chiesa è semper reformanda. Il Papa è animato da questa intenzione e lo dichiara sovente: anche nel quarto discorso natalizio alla curia romana ha ribadito questo impegno. Ma, come monaco che legge spesso il De consideratione di san Bernardo, mi permetto di avanzare alcune osservazioni. Innanzitutto non ci può essere riforma della curia senza riforma della Chiesa e, in primo luogo, della vita dei presbiteri e dei vescovi: è un rinnovamento urgente che tuttavia richiede molto tempo. Francesco ha ragione quando dice che la riforma della curia non può essere ridotta a rimozioni e sostituzioni di persone, ma deve essere conversione personale, cambiamento spirituale, fede in Gesù Cristo che è il Vangelo. Per questo una riforma della curia darà frutti duraturi solo se il Papa riuscirà ad attuarla con la curia stessa e la curia con il Papa, altrimenti non sarà possibile operare mutamenti efficaci in una realtà così complessa. Riforma della Chiesa  significa una Chiesa meno mondana, che sa opporre resistenza alle tentazioni del potere, della ricerca del successo, che sa non solo servire i poveri ma anche imparare dalla loro cattedra. Francesco, come riconoscono tutti, ha destato molte speranze e anche entusiasmi nelle Chiese, di cui non possiamo che rallegrarci. Ma bisogna ricordare ancora una volta che più la Chiesa brilla della luce del risorto più si scatenano le potenze demoniache che si rivoltano contro di essa, più la Chiesa è Vangelo vissuto e più troverà opposizione e persecuzione, come il suo Signore. Quando ascolto tanti semplici fedeli raccolgo la speranza che il Papa riformi poche cose essenziali, ma tali che non si possa tornare indietro.

l’entusiasmo di L. Boff per papa Francesco continua

Leonardo Boff

“papa Francesco è uno di noi”

intervista a Leonardo Boff

a cura di Joachim Frank
in “www.ksta.de”

Il brasiliano Leonardo Boff, nato nel 1938, è discendente di immigrati italiani. Nel 1959 è entrato nell’ordine francescano e per cinque anni ha studiato in Germania. Negli anni 80 Boff, come principale rappresentante della teologia della liberazione e a causa delle sue critiche alla Chiesa ufficiale, entrò in conflitto con il Vaticano e con il suo massimo “guardiano della fede”. Dopo aver avuto per due volte un divieto di esprimersi pubblicamente, Boff uscì dall’ordine e abbandonò il presbiterato.

Signor Boff, le piacciono i canti di Natale? Che cosa crede?

(canta): “Stille Nacht, heilige Nacht…”. Viene cantata in ogni famiglia che celebra il Natale. È tradizione da noi in Brasile come da voi in Germania. Questo tipo di Natale non le pare kitsch e commerciale? La cosa è diversa da paese a paese. Certo Natale è diventato un grande business. Ma con tutto ciò, è rimasta comunque viva la gioia, il riunirsi della famiglia, per molti anche un momento di fede. E da come io ha vissuto il Natale in Germania, è una festa del cuore, molto suggestiva, meravigliosa.

Come si accorda una fede che a Natale parla di un “Dio della pace”, con la discordia che viviamo ovunque?

La fede è soprattutto promessa. Ernst Bloch dice: “La vera genesi non è all’inizio, ma alla fine, ed essa inizia a cominciare solo quando la società e l’esistenza diventano radicali, cioè mettono radici”. La gioia del Natale sta in questa promessa: la Terra e gli uomini non sono condannati a continuare sempre così come sperimentano ora – con tutte le guerre, la violenza, il fondamentalismo. Nella fede ci è promesso che alla fine tutto sarà buono; che nonostante tutti gli errori, le strade sbagliate, le sconfitte, ci avviciniamo ad una fine buona. L’autentico significato del Natale non è che “Dio si è fatto uomo”, ma che è venuto per dirci: “Voi uomini mi appartenete, e quando morirete tornerete a casa”.

Il Natale significa che Dio viene a prenderci?

Sì. L’incarnazione significa che qualcosa di noi è già divino, è diventato eterno. Il divino sta in noi stessi. In Gesù si è mostrato nel modo più evidente. Ma è in tutti gli uomini. In una visione evolutiva, Gesù non viene dall’esterno nel mondo, ma cresce dal mondo. Gesù è l’apparizione del divino nell’evoluzione – ma non è l’unica. Il divino compare anche in Buddha, nel Mahatma Gandhi e in altre grandi figure di fede.

Non mi sembra un pensiero molto cattolico.

Non dica così. Tutta la teologia francescana del Medio Evo ha inteso Cristo come parte della Creazione – non solo come il redentore da colpa e peccato che scende nel mondo. Certo, incarnazione è anche redenzione. Ma prima di tutto e soprattutto è una esaltazione, una divinizzazione della Creazione. E nel Natale è importante anche un’altra cosa. Dio appare nella figura di un bambino. Non come un vecchio con capelli bianchi e lunga barba bianca…

Come Lei…

Appunto, io assomiglio piuttosto a Karl Marx. Quello che ritengo importante è questo: quando alla fine della nostra vita dovremo rispondere davanti al divino giudice, saremo davanti a un bambino. Ma un bambino non condanna nessuno. Bisogna mettere in rilievo questo lato della fede.

La teologia della liberazione latinoamericana, di cui Lei è uno dei più importanti rappresentanti, è tornata in auge con papa Francesco. Ci sarà una riabilitazione per Lei personalmente dopo le lunghe battaglie con papa Giovanni Paolo II e il massimo guardiano della fede Joseph Ratzinger, divenuto poi papa Benedetto XVI?

Francesco è uno di noi. Ha reso la teologia della liberazione un bene di tutti nella Chiesa. E l’ha estesa. Chi parla dei poveri, oggi deve parlare anche della Terra, perché anch’essa è saccheggiata e profanata. “Ascoltare il grido dei poveri” significa ascoltare il grido degli animali, dei boschi, dell’intera Creazione maltrattata. La Terra intera grida. Quindi, dice il papa, e così facendo nomina il titolo di uno dei miei libri, oggi dobbiamo ascoltare insieme il grido dei poveri e della Terra. Ed entrambi devono essere liberati. Io stesso mi sono molto occupato un tempo di questa estensione della teologia della liberazione. Che è anche ciò che è fondamentalmente nuovo nella “Laudato si’”… Cioè nell’Enciclica ecologica del papa del 2015.

E quanto Leonardo Boff c’è in Jorge Maria Bergoglio?

L’enciclica è del papa. Ma ha consultato molti esperti.

Ha letto i suoi libri?

Ancor di più: per la Laudato si’ mi ha chiesto del materiale. Gli ho dato i miei consigli e gli ho mandato qualcosa che ho scritto. E che lui ha usato. Alcuni mi hanno detto che, leggendo, si erano detti: “Ma questo è Boff!”. Del resto, papa Francesco mi ha detto: “Boff, per favore, non mandare i documenti a me direttamente”.

Perché no?

Ha detto: “Se no, i sottosegretari li intercettano e a me non arrivano. Manda il tutto piuttosto all’ambasciatore argentino, con cui sono in buoni rapporti, così arrivano sicuramente nelle mie mani”. Deve sapere che l’attuale ambasciatore in Vaticano è un vecchio conoscente del papa fin dai tempi in cui era a Buenos Aires. Hanno spesso bevuto mate insieme. Un giorno prima della pubblicazione dell’enciclica, il papa mi ha fatto telefonare per esprimermi i suoi ringraziamenti per il mio aiuto.

Un incontro con il papa però non è ancora in vista?

Ha cercato la riconciliazione con i più importanti rappresentanti della teologia della liberazione, con Gustavo Gutierrez, Jon Sobrino e anche con me. Io gli ho detto, in riferimento a papa Benedetto: “Ma l’altro è ancora in vita!”. Questo non l’ha accettato. “No”, ha detto, “il papa sono io”.

Possiamo star tranquilli.

Lì vede il suo coraggio e la sua fermezza.

Allora perché non è ancora riuscito a fargli visita?

Avevo un invito ed ero anche già atterrato a Roma. Ma proprio quel giorno, subito prima dell’inizio del Sinodo sulla famiglia del 2015, 13 cardinali – tra cui anche il cardinale tedesco Gerhard Müller, prefetto della Congregazione della fede – avevano provato a fare un’insurrezione contro il papa con una lettera indirizzata a lui, ma che poi – miracolo! – è apparsa anche sui giornali. Il papa era furente e mi ha detto: “Boff, non ho tempo. Devo metter pace nel Sinodo. Ci vediamo un’altra volta”.

E la faccenda del metter pace non è che gli sia riuscita…

Il papa sente la durezza del vento contrario nelle sua fila, specialmente dagli USA. Il cardinal Burke, Leo Burke che ora – con il vostro cardinale emerito di Colonia Meisner – ha di nuovo scritto una lettera, è il Donald Trump della Chiesa cattolica. (ride) Ma, a differenza di Trump, ora Burke nella curia non ha più potere. Grazie a Dio. Queste persone pensano effettivamente di dover correggere il papa. Come se stessero al di sopra del papa. È qualcosa di inusuale, anzi senza precedenti nella storia della Chiesa. Si può criticare il papa, discutere con lui. Io l’ho fatto spesso. Ma che dei cardinali accusino pubblicamente il papa di diffusione di errori teologici o di eresie – questo, a mio avviso, è troppo. È un affronto, che il papa non può accettare. Il papa non può essere condannato, è dottrina della Chiesa.

Nonostante tutto il suo entusiasmo per il papa, non si vedono le riforme della Chiesa che molti cattolici avevano sperato da Francesco.

Concretamente non è successo molto… Vede, a mio avviso, il centro del suo interesse non è più la Chiesa, non è più il funzionamento interno, ma la sopravvivenza dell’umanità, il futuro della Terra. Entrambi sono in pericolo, e dobbiamo chiederci se il cristianesimo può dare un suo contributo per superare questa grande crisi, che minaccia di distruggere l’umanità.

Francesco si preoccupa per l’ambiente e lascia che la sua Chiesa vada a sbattere conto un muro?

Credo che per lui ci sia una gerarchia tra i problemi. Se la Terra si distrugge, anche tutti gli altri problemi sono sistemati.

Ma per quanto riguarda le questioni interne alla Chiesa, aspetti! Poco tempo fa il cardinal Water Kasper, che è una persona di fiducia del papa, ha detto che ci saranno presto grandi sorprese. Lei cosa si aspetta?

Chissà! Forse il diaconato femminile. O la possibilità che preti sposati possano essere riammessi nella pastorale. Questa è una espressa richiesta dei vescovi brasiliani al papa, specialmente del suo amico, il cardinale brasiliano Claudio Hummes. Ho sentito che il papa aveva intenzione – inizialmente in una fase sperimentale in Brasile – di dar corso a questa richiesta. Quel paese, con i suoi 140 milioni di cattolici dovrebbe avere almeno 100 000 preti. Ce ne sono invece solo 18 000. Dal punto di vista istituzionale, è una catastrofe. Non meraviglia che i fedeli vadano a frotte dagli evangelicali e dai pentecostali, che non hanno mancanza di personale. Se solo le molte migliaia di preti sposati potessero svolgere ancora il loro compito, sarebbe un grande passo per il miglioramento della situazione – e al contempo un impulso affinché la Chiesa cattolica tolga l’obbligo del celibato.

Se il papa dovesse decidere in questo senso – anche lei, ex frate francescano, potrebbe riprendere la sua funzione di presbitero?

Personalmente non ho bisogno di tale decisione. Per me non cambierebbe niente, perché io fino ad ora faccio ciò che ho sempre fatto: battezzo, celebro funerali e se arrivo in una parrocchia senza prete, celebro la messa con le persone.

È una cosa molto “tedesca” che le chiedo: le è permesso farlo?

Finora, nessun vescovo che io conosca lo ha contestato o proibito. I vescovi ne sono anzi contenti e mi dicono: “Il popolo ha diritto all’eucaristia. Continua tranquillamente così!”. Il mio professore di teologia, il cardinale Paulo Evaristo Arns, purtroppo morto alcuni giorni fa, era ad esempio di grande apertura su questo. Arrivava al punto chiamare all’altare accanto a sé dei preti sposati che vedeva nei banchi e celebrava con loro l’eucaristia. Lo ha fatto spesso e ha detto: “Sono pur sempre preti – e tali rimangono!”.

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