la felicità secondo papa Francesco

i commoventi auguri di papa Francesco

 

“Mi piacerebbe che ricordassi che essere felice, non è avere un cielo senza tempeste, una strada senza incidenti stradali, lavoro senza fatica, relazioni senza delusioni.

Essere felici è trovare forza nel perdono, speranza nelle battaglie, sicurezza sul palcoscenico della paura, amore nei disaccordi.

Essere felici non è solo apprezzare il sorriso, ma anche riflettere sulla tristezza. Non è solo celebrare i successi, ma apprendere lezioni dai fallimenti. Non è solo sentirsi allegri con gli applausi, ma essere allegri nell’anonimato.

Essere felici è riconoscere che vale la pena vivere la vita, nonostante tutte le sfide, incomprensioni e periodi di crisi.

Essere felici non è una fatalità del destino, ma una conquista per coloro che sono in grado viaggiare dentro il proprio essere.

Essere felici è smettere di sentirsi vittima dei problemi e diventare attore della propria storia. È attraversare deserti fuori di sé, ma essere in grado di trovare un’oasi nei recessi della nostra anima. È ringraziare Dio ogni mattina per il miracolo della vita.

Essere felici non è avere paura dei propri sentimenti. È saper parlare di sé. È aver coraggio per ascoltare un “No”. È sentirsi sicuri nel ricevere una critica, anche se ingiusta. È baciare i figli, coccolare i genitori, vivere momenti poetici con gli amici, anche se ci feriscono.

Essere felici è lasciar vivere la creatura che vive in ognuno di noi, libera, gioiosa e semplice.

È aver la maturità per poter dire: “Mi sono sbagliato”. È avere il coraggio di dire: “Perdonami”. È avere la sensibilità per esprimere: “Ho bisogno di te”. È avere la capacità di dire: “Ti amo”.

Che la tua vita diventi un giardino di opportunità per essere felice … Che nelle tue primavere sii amante della gioia. Che nei tuoi inverni sii amico della saggezza. E che quando sbagli strada, inizi tutto daccapo. Poiché così sarai più appassionato per la vita …


E scoprirai che essere felice non è avere una vita perfetta. Ma usare le lacrime per irrigare la tolleranza. Utilizzare le perdite per affinare la pazienza. Utilizzare gli errori per scolpire la serenità. Utilizzare il dolore per lapidare il piacere. Utilizzare gli ostacoli per aprire le finestre dell’intelligenza. Non mollare mai …. Non rinunciare mai alle persone che ami. Non rinunciare mai alla felicità, poiché la vita è uno spettacolo incredibile!”

auguri come bastonate di papa Francesco ai cardinali della curia romana

«menti distorte», il papa striglia la Curia romana

di Luca Kocci
in “il manifesto”

Gattopardi, «menti distorte», «cuori impietriti»: se ne sono sentiti dire di tutti i colori i cardinali della Curia romana, convocati ieri da papa Francesco nel Palazzo apostolico vaticano per i tradizionali auguri natalizi. Ma invece delle parole soavi che solitamente si accompagnano al «buon Natale», Francesco ha impugnato la clava e ha colto l’occasione per denunciare e bastonare le resistenze – e i resistenti – alla riforma della Curia

«La logica del Natale è il capovolgimento della logica mondana, della logica del potere, del comando, della logica fariseistica», pertanto «ho scelto come argomento di questo nostro incontro annuale la riforma della Curia romana»

Non è la prima volta che Bergoglio utilizza l’appuntamento degli auguri alla Curia per parlare chiaro ai cardinali. Fece scalpore – anche perché fu il primo – il discorso del Natale 2014 sulle «quindici malattie» della Curia: potere, accumulazione di beni materiali, rivalità, carrierismo, opportunismo, ipocrisia, adulazione, indifferenza e via elencando. Il discorso di ieri non è stato meno forte. «La riforma sarà efficace solo se si attua con uomini “rinnovati” e non semplicemente con “nuovi” uomini», ha detto Francesco, non solo «con il cambiamento delle persone, che senz’altro avviene e avverrà, ma con la conversione nelle persone», perché «senza un mutamento di mentalità lo sforzo funzionale risulterebbe vano». Che in questo percorso vi siano delle «resistenze» è «normale, anzi salutare», ha aggiunto Francesco, che usa il bastone ma non rinuncia allo zuccherino. Quali resistenze? Le più sane sono «le resistenze aperte, che nascono spesso dalla buona volontà e dal dialogo sincero». Poi però ci sono quelle più diffuse nei sacri palazzi, «le resistenze nascoste, che nascono dai cuori impauriti o impietriti che si alimentano dalle parole vuote del “gattopardismo” spirituale di chi a parole si dice pronto al cambiamento, ma vuole che tutto resti come prima»; e «le resistenze malevole, che germogliano in menti distorte e si presentano quando il demonio ispira intenzioni cattive (spesso “in veste di agnelli”)». Facile pensare ad eventi recenti: i “corvi”, la fuga di documenti riservati dalle stanze vaticane (il Vatileaks), le false notizie lanciate a mezzo stampa (Bergoglio malato di tumore al cervello, quindi “fuori di testa”). Ci sarebbe da discutere su quanto siano state incisive e profonde le riforme di papa Francesco, che hanno ristrutturato ma non ricostruito l’edificio curiale: Ior più trasparente (ma ben saldo al proprio posto); maggior controllo sulle strutture finanziare vaticane; accorpamento e creazione di nuovi dicasteri (come la Segreteria per l’economia, affidata però al controverso cardinale Pell, e la Segreteria per la Comunicazione, per centralizzare i media vaticani); norme più severe contro i vescovi che coprono i preti pedofili; alcuni aggiornamenti pastorali e disciplinari, come la semplificazione delle procedure per la dichiarazione di nullità dei matrimoni, la possibilità di accesso ai sacramenti per i divorziati risposati distinguendo i singoli casi, la facoltà a tutti i preti di assolvere dal peccato di aborto. Anche se la cautela potrebbe essere imputata proprio alle resistenze incontrate, che evidentemente Francesco non vuole “asfaltare”. La prospettiva sembra chiara, perlomeno nelle dichiarazioni: la riforma non è un «lifting» o «un’operazione di chirurgia plastica per togliere le rughe», ha detto il papa ai cardinali, «non sono le rughe che nella Chiesa si devono temere, ma le macchie!». Dopo questo discorso, si vedrà come Francesco andrà avanti.

in difesa degli ‘accattoni’

gli accattoni, le multe e i doveri verso i poveri

di Gian Antonio Stella

in “Corriere della Sera” del 14 dicembre 2016

 

«L’abbietto mestiere dell’accattone è una piaga sociale che è sempre esistita sin dal tempo delle repubbliche greche. (…) I legislatori hanno sempre cercato di risanare questa piaga, tentando di porre un argine all’accattonaggio nell’interesse della pubblica decenza, del buon costume e della pubblica sicurezza…».

Lo scriveva l’«Enciclopedia di polizia», di Luigi Salerno, «Ad uso dei funzionari e impiegati di P.S., ufficiali e sottufficiali dei carabinieri, degli agenti di polizia e della Guardia di finanza, magistrati, avvocati, sindaci e segretari comunali», edizioni Hoepli, 1952. Erede del fascismo, citava il rischio, lasciando in giro i questuanti, di «una menomazione del decoro nazionale».

Ecco, il sindaco forzista di Trieste Roberto Dipiazza e il suo vice leghista Pierpaolo Roberti, decisi a mostrare i muscoli vietando la pubblica carità e fissando una multa da 150 a 900 euro perfino per chi fa l’elemosina, anteponendo gli inviti evangelici a quelli securitari, potrebbero trarre ulteriori ispirazioni dalla lettura del codice Rocco e dell’enciclopedia citata, la quale liquida la «plebaglia» che «spesso non ha camicia addosso, né scarpe ai piedi, né tetto sotto cui riparare» spiegando che «il risparmio e la previdenza le sono sconosciuti».

Se poi volessero andare fino in fondo, i guardiani del decoro triestino potrebbero fare un esposto contro Bergoglio Jorge Mario, extracomunitario, nato a Buenos Aires, alias Papa Francesco, per «istigazione recidiva all’elemosina». Nell’udienza giubilare del 9 aprile 2016, infatti, dopo aver ricordato che «elemosina, deriva dal greco e significa proprio misericordia», ha detto: «Il dovere dell’elemosina è antico quanto la Bibbia. Il sacrificio e l’elemosina erano due doveri a cui una persona religiosa doveva attenersi».

E insistito che è un dovere verso «il bisognoso, la vedova, lo straniero, l’orfano…». Non bastasse, ha detto che sì, «dobbiamo distinguere tra i poveri e le varie forme di accattonaggio che non rendono un buon servizio ai veri poveri», ma non è accettabile fare di ogni erba un fascio: «Quanta gente giustifica se stessa per non dare l’elemosina dicendo: “Ma come sarà questo? Questo a cui io darò, forse andrà a comprare vino per ubriacarsi”. Ma se lui si ubriaca, è perché non ha un’altra strada! E tu, cosa fai di nascosto? E tu sei giudice di quel povero uomo che ti chiede una moneta per un bicchiere di vino?». Conclusione: «Non distogliere lo sguardo da ogni povero e Dio non distoglierà da te il suo». Ma si sa, il Papa non deve raccattare voti…

il credo di papa Francesco quando era solo all’inizio della sua vita di sacerdote

Voglio credere… Credo…

preghiera di Papa Francesco alla vigilia dell’Ordinazione Sacerdotale

scritto il 12 dicembre 1969 alla vigilia dell’ordinazione sacerdotale
 

Voglio credere in Dio Padre, che mi ama come un figlio, e in Gesù, il Signore, che ha infuso il suo Spinto nella mia vita per farmi sorridere e portarmi così nel regno della vita eterna. 

 

Credo nella mia storia, permeata dallo sguardo benevolo di Dio, che nel primo giorno di primavera, 

il 21 marzo, mi è venuto incontro e mi ha invitato a seguirlo. 

 

Credo nel mio dolore, infecondo per colpa dell’egoismo, in cui mi rifugio. 

 

Credo nella meschinità della mia anima, che vuole prendere senza mai dare… senza mai dare. 

 

Credo che gli altri sono buoni, e che devo amarli senza timore, e senza mai tradirli per cercare una sicurezza per me. 

 

Credo nella vita religiosa. 

 

Credo che voglio amare molto. 

 

Credo nella morte quotidiana, ardente, alla quale sfuggo ma che mi sorride invitandomi ad accettarla. 

 

Credo nella pazienza di Dio, accogliente, dolce come una notte estiva. 

 

Credo che papà sia in cielo accanto al Signore. 

 

Credo che anche padre Duarte, mio confessore, sia in cielo, a intercedere per il mio sacerdozio. 

 

Credo in Maria, mia madre, che mi ama e non mi lascerà mai solo. 

 

E attendo la sorpresa di ogni giorno in cui si manifesterà l’amore, la forza, il tradimento e il peccato, che mi accompagneranno fino all’incontro definitivo con quel viso, meraviglioso che non so come sia, che sfuggo in continuazione, ma che voglio conoscere e amare. Amen. 

Jorge Mario Bergoglio

le iniziative di papa Francesco per fermare le destre populiste

la “lega” di Bergoglio

per fermare le destre populiste Francesco raduna i sindaci progressisti e “trasgressivi” d’Europa

rinasce mille anni dopo l’alleanza tra Comuni e Chiesa

di Pietro Schiavazzi
in “l’Huffington Post” del 12 dicembre 2016

Mentre i riflettori erano puntati sul Quirinale per le “consultazioni”, sul colle del Vaticano andava in scena un “consulto”, trascurato dai media ma destinato a lasciare un’impronta ben più incisiva nel futuro d’Europa: un’assemblea di 80 sindaci dalla A alla Z, da Amsterdam a Zurigo, che ha tolto il sonno per due giorni ai rispettivi ambasciatori, offrendo al mondo una immagine inedita, eversiva dei giardini papali, quale incantevole zona franca, dove tra le fronde si agita, e si organizza, la fronda nei confronti dell’Unione. Motivo che deve avere consigliato a Bergoglio – “forse qualcosa gli ha complicato la vita”, nelle parole del vescovo Sánchez Sorondo, regista dell’iniziativa – di non intervenire personalmente al raduno, che a tutti gli effetti configurava un parterre di voci libere sì ma pur sempre istituzionali, quindi autorevoli e alternative alle determinazioni dei governi centrali: quello che tecnicamente si chiama, senza se e senza ma, un incidente diplomatico. Ma ormai la frittata era fatta, e voluta, essendo stato il Pontefice a convocarli. Del resto l’Europa nasce così, dalle città e dalle cattedrali che si coalizzano in contrapposizione all’impero.

Dall’alleanza tra Chiesa e Comuni, che dieci secoli fa la fece uscire dal Medioevo e oggi cerca di scongiurarne il ritorno. “Le città che rappresentiamo esistevano prima degli stati”, esordisce il testo del Final Statement, mirando al sodo, con l’apertura di corridoi umanitari, sicuri, per coloro che fuggono dall’inferno dei vivi, e la chiusura dei paradisi fiscali, subito, per quanti si sottraggono al dovere di cittadini.

Davanti allo tsunami migratorio e all’onda elettorale che si alza, di rimbalzo, a sommergere il paesaggio politico, il pescatore di uomini ha gettato la rete, in sordina, e tirato a riva un embrione di classe dirigente, nella incubatrice cinquecentesca della Casina Pio IV, sede del summit, ospitato da Francesco tra specchi e stucchi, rinfreschi e affreschi, ninfei e fontane. Rifugio dorato e ultima spiaggia dell’umanesimo europeo, mentre il Mar Rosso dei sondaggi minaccia di chiudersi, una volta per tutte, sui governanti dell’Unione che fu. “Al giorno d’oggi mancano leader. L’Europa ha bisogno di leader, leader che vadano avanti…”, aveva detto il Papa in una intervista della vigilia, lanciando la campagna di reclutamento

. Così, nel recinto delle mura leonine, si sono materializzati all’istante i volti, stravolti, del socialismo e del liberalismo, segnati, scavati dall’Annus Horribilis 2016 e dal semestre, peggiore ancora, che va dal ritiro del Regno Unito dalla UE alla ritirata di Hollande dall’Eliseo, dal trionfo miliardario di Trump al tonfo referendario di Renzi. Al fine di arrestare il processo di decomposizione del fronte progressista e l’avanzata irrefrenabile dei movimenti populisti, che si stagliano vincenti all’orizzonte, la “lega” o “accozzaglia” di Bergoglio – per dirla con un recente neologismo – ha pescato in tutte le anime, moderne e antiche, del riformismo, declinandone i nomi al femminile e coniugandone i verbi, anche se irregolari. O trasgressivi. Come nel caso delle tre principali agit-prop del meeting, le sindache di Barcellona, Madrid e Parigi: la no-global anti-sfratti e anti-mutui Ada Colau, la giudice comunista, sostenuta da Podemos, Manuela Carmena e l’atea inveterata, volteriana, ispettrice del lavoro Anne Hidalgo. Ad esse si aggiungono, tra le altre, la banchiera liberal Hanna Beata Gronkeiwicz-Walz, da Varsavia, spina nel fianco dell’episcopato polacco per la sua linea dura nei confronti dei medici obiettori, e la cantante rock Corine Mauch, da Zurigo, prima donna gay a governare un grande città d’Europa. Una task-force di “pasionarie” che a breve potrebbe ritrovarsi, paradossalmente quanto  inopinatamente, a testimoniare l’esistenza, e la resistenza, dei valori cristiani nelle istituzioni del continente: l’opposizione di Sua Santità, in luogo di quella di Sua Maestà. Una sequenza di ritratti che, venendo alla sezione italiana della gallery, ha offerto un quadro altrettanto variegato della “sinistra”: quella nordica, espositiva e tecnocratica di Giuseppe Sala e quella orobica, televisiva e aristocratica di Giorgio Gori; quella rivoluzionaria, vesuviana, in focosa eruzione di Antonio De Magistris e quella universitaria, palermitana, in pensosa meditazione di Leoluca Orlando. Quella fiorentina, già finita, di Dario Nardella e quella capitolina, indefinita, di Virginia Raggi. Quella isolata, alla parmigiana di Federico Pizzarotti e quella isolana, lampedusana di Giusi Nicolini. Un cast di personaggi in cerca di autore, dal momento che il vecchio copione europeista del federalismo non tiene più e ha cessato da tempo di appassionare il pubblico, anzi lo spaventa non meno del finale di un film horror, al solo pensiero di una integrazione ancora più stretta. Per questo Bergoglio ha mollato gli ormeggi e varato una nuova proposta, operando uno strappo storico rispetto ai padri fondatori, da De Gasperi a Schuman, e agli stessi pontefici suoi predecessori, Wojtyla e Ratzinger, che avevano fatto dell’unità politica dell’Europa un dogma, una meta obbligata e un precetto accessorio del magistero. “Sana disunione” è la parola d’ordine, pronunciata in volo e al volo, conversando sull’aereo con i giornalisti e slacciando le cinture, all’indomani del referendum d’oltremanica. E ufficializzata, solennizzata nel convegno dei sindaci da Monsignor Sánchez Sorondo: “Non bisogna sanzionare la Gran Bretagna per la sua uscita dall’Unione Europea…Ciò significa pensare a una forma di Unione più creativa e feconda, finanche a una sana disunione”. Agli occhi di Bergoglio, la Brexit ha segnato una svolta irreversibile. Il monito a non penalizzare Londra, rivolto perentorio a Bruxelles, non costituisce solo un riconoscimento dei motivi congiunturali che hanno indotto gli inglesi a votare “Leave”, bensì scaturisce da un esame di coscienza strutturale: dalla necessità cioè di non ripetere uno storico, tragico errore, del quale i successori di Pietro fecero esperienza in prima persona, cinquecento anni fa, con esiti devastanti e tuttora insoluti. Una prospettiva che a Francesco deve avere ricordato lo scisma di Enrico VIII. Un contenzioso disciplinare sull’autorità sfuggito di mano e degenerato in eresia dottrinale sulla verità. Quello che potrebbe accadere adesso, rimettendo in discussione il movente comunitario e precipitando il continente indietro nel tempo, ai nazionalismi d’inizio Novecento: il modo peggiore per un Papa di celebrare il sessantesimo dei Trattati di Roma, il prossimo 25 marzo, in coincidenza con la festa dell’Annunciazione, benedicendo l’Unione mentre i popoli la maledicono. Di fronte al rischio di un divorzio, Bergoglio ammette dunque la nullità del primo matrimonio federalista, per vizio di forma e di consenso. Optando per l’Europa delle patrie al posto degli Stati Uniti d’Europa. Evidenziando i tratti nazionali anziché attenuandoli. E passando, sul piano del disegno costituzionale, al modello confederativo, più somigliante al Sud che al Nord America, come già scrivemmo in giugno. Al manifesto unionista di “Ventotene”, di Altiero Spinelli, subentra quello “confederato” e sudista di Lampedusa, quale frutto del connubio tra il Vaticano e le sindache. “Europa, i rifugiati sono nostri fratelli”: uno slogan che di questi tempi voterebbe al suicidio elettorale ogni forza politica se contestualmente non fosse accompagnato dalla constatazione che la UE, da sola, non può farcela e di conseguenza non indicasse:

a) la valvola di sicurezza di corridoi umanitari verso nazioni più capienti (l’Argentina, l’Australia, il Canada);

b) un piano Marshall a sostegno delle popolazioni allo stremo, d’Africa, Centroamerica e Medio Oriente, quale unica via d’uscita da una situazione insostenibile.

“Innalzare altri muri non fermerà i milioni di migranti in fuga…Solo la cooperazione internazionale per il raggiungimento della giustizia sociale può essere la soluzione.”

Urbi et Orbi: dalle città direttamente al mondo. Dall’incidente diplomatico al network politico. Senza la mediazione degli stati, di cui Francesco in fondo diffida, considerandoli autoreferenziali, malati di burocrazia, distanti dai problemi della gente. In tale cornice il summit dei sindaci  costituisce una sorta di Pontida del XXI secolo, dove Bergoglio, sulla scia di Alessandro III, ha provato a riappropriarsi del “leghismo”, convertendolo da localista in glocal, da fenomeno di egoismo sociale a sinonimo di solidarismo universale. Una lega delle città che nasce in Vaticano e che nella liaison con le Giovanne d’Arco, laicissime, di Parigi, Madrid e Barcellona non rinnova, sicuramente, il suo credo cattolico, ma ritrova, verosimilmente, il vessillo e sigillo papista.

“mettete in discussione la politica economica o la Politica, ‘con la maiuscola’”, parola di papa Francesco


welfare non «per» i poveri ma «dei» e «con» i poveri


«Finché vi mantenete nella casella delle politiche sociali – ha detto il Papa – finché non mettete in discussione la politica economica o la Politica, ‘con la maiuscola’, vi si tollera. Quell’idea delle politiche sociali concepite come delle politiche verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che riunisca i popoli, mi sembra a volte una specie di carro mascherato per contenere gli scarti del sistema»

Echeggia ancora nella riflessione di tanti il discorso che papa Francesco ha tenuto nell’aula Paolo Vl a conclusione del terzo incontro dei ‘movimenti popolari’. In esso il Papa ha affrontato con determinazione il nodo del rapporto tra queste realtà e la politica. Dopo aver sottolineato che la grande ricchezza dei movimenti popolari è quella di non essere dei partiti «perché esprimete una forma diversa, dinamica e sociale di partecipazione alla vita pubblica», Francesco ha incoraggiato gli stessi movimenti all’impegno politico in senso alto e pieno. Ed è a questo punto che Francesco ha sferrato un magistrale attacco all’attuale logica delle politiche sociali. «Finché vi mantenete nella casella delle politiche sociali – ha detto il Papa – finché non mettete in discussione la politica economica o la Politica, ‘con la maiuscola’, vi si tollera. Quell’idea delle politiche sociali concepite come delle politiche verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che riunisca i popoli, mi sembra a volte una specie di carro mascherato per contenere gli scarti del sistema».

Ecco allora un nuovo obiettivo prestigioso che il Papa affida ai volontari. «Voi, organizzazioni degli esclusi e tante organizzazioni di altri settori della società, siete chiamati a rivitalizzare, a rifondare le democrazie che stanno attraversando una vera crisi». Questo mandato e quel passaggio sulle ‘politiche sociali’, che a qualcuno potrebbe sembrare quasi casuale, rappresentano un essenziale elemento di riflessione, in grado di ribaltare il nostro approccio abituale alle politiche sociali. La «cultura dello scarto», concetto al quale Francesco ci ha ormai introdotti, rappresenta una vera e propria chiave di volta che ci costringe a ripercorrere alcuni corsi e ricorsi delle politiche sociali. Se c’è esclusione sociale, infatti, vuol dire che esiste un soggetto che esclude, che scarta, e ciò non ha nulla di fatalistico o di necessario. Tutt’altro. Da qui deriva la necessità di un cambio di passo. E di riconsiderare un modello ormai superato del Welfare State, quello che è stato per decenni punto di riferimento obbligato e la cui inadeguatezza, oggi, deriva non tanto dalla scarsità delle risorse quanto piuttosto dalla discrasia che si va man mano accentuando tra qualità dei nuovi bisogni sociali e risposte delle istituzioni. Se infatti il Welfare è in grado di rispondere ai bisogni materiali e istituzionali che hanno come bene-risposta i beni materiali e quelli che le istituzioni sono in grado di produrre (scuola, sanità servizi sociali); questo modello non è assolutamente in grado di rispondere ai bisogni di relazione che riguardano le domande di solidarietà, di condivisione, di affettività e di dignità che oggi attraversano in prevalenza le fasce dei deboli e degli esclusi. Essere invisibili, non contare nulla, non poter instaurare alcun tipo di rapporto umano con le persone vicine che scappano piuttosto che ascoltare… Ecco i bisogni profondi dei più poveri e sono bisogni che risultano nettamente più importanti e vitali dei bisogni materiali e istituzionali.

Perché impediscono ai poveri di vivere, di andare avanti in una società che non vuole saperne di loro. E per questo tipo di bisogni esiste un solo bene-risposta possibile: la ricomposizione di una comunità solidale all’interno della quale i poveri non solo siano accolti, ma diventino protagonisti. Il soggetto che esclude è, infatti, la società civile, ma proprio in essa il volontariato può avere un ruolo determinante per ricostituire una vera comunità. E all’interno di una comunità rinnovata e realmente solidale si possono produrre quei processi vitali e relazionali in grado di rispondere ai bisogni di riconoscimento, di dignità e di partecipazione che connotano oggi fortemente la condizione dei poveri. Solo in questo modo si potranno concepire – come afferma papa Francesco – quelle politiche non verso i poveri, ma dei poveri e con i poveri. Solo i poveri possono contribuire credibilmente a rispondere ai bisogni profondi degli stessi poveri, offrendo un terreno ottimale per una loro piena partecipazione alla costruzione di un progetto sociale che coinvolga tutti i popoli.

caro papa Francesco “siamo contro un’economia che uccide”

«Disarmiamo l’economia che uccide». Il movimento dei focolari scrive a papa Francesco

«disarmiamo l’economia che uccide»

il movimento dei focolari scrive a papa Francesco

da: Adista Notizie n° 43 del 10/12/2016
«Caro papa Francesco, non possiamo accettare che si continuino a inviare armi verso i Paesi in guerra o che non rispettano i diritti umani», quindi «ti dichiariamo che vogliamo contribuire a disarmare “l’economia che uccide” impegnandoci a lavorare per una riconversione integrale della produzione e della finanza. Adesso, non domani»referendum

Con una lettera indirizzata a papa Francesco – che più volte ha denunciato la produzione e il commercio internazionale delle armi – al termine del Giubileo della misericordia, il Movimento dei focolari rilancia il proprio impegno per «riconvertire l’economia che uccide». E organizza un primo incontro pubblico sul tema “Scelte di pace e industria delle armi” il 6 dicembre, presso la sede di Archivio Disarmo, a cui partecipano fra gli altri Maurizio Simoncelli (Archivio Disarmo), Vincenzo Comito (Sbilanciamoci!) e Carlo Cefaloni, del gruppo “Economia disarmata” del Movimento dei focolari.

«Abbiamo inviato una lettera al papa in risposta al suo invito a prendere sul serio il no alla guerra, a partire dalla radice dell’economia che uccide perché invece di agire per ridurre le inaccettabili diseguaglianze, causa di tutti i mali sociali, fabbrica le armi da destinare ai Paesi attraversati da orribili conflitti», spiegano dal Movimento dei Focolari in una nota che accompagna la lettera. «Non possiamo restare indifferenti e accettare l’atteggiamento di chi dice “a me che importa?”, come ha detto papa Francesco quando, il 13 settembre del 2014, si è recato al cimitero dei caduti della Grande Guerra a Redipuglia e ha affermato, davanti alle tombe di tanti giovani mandati al macello un secolo addietro, che “anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante!”» (v. Adista Notizie n. 32/14). «Nel marzo del 2016 – proseguono i Focolari –, dopo un incontro nelle aule parlamentari, abbiamo affermato che non potevamo accettare il fatto che dal nostro Paese partissero delle bombe destinate al terribile conflitto in corso nello Yemen (v. Adista Segni Nuovi n. 24/16). Concordiamo con le associazioni aderenti a Rete Disarmo che, di fronte a troppi silenzi, hanno deciso di denunciare davanti alla magistratura la violazione della legge 185/90 sulla produzione, il commercio e il transito di armamenti verso Paesi in guerra o che violino i diritti umani (v. Adista Notizie n. 36/16). Rischia di rimanere disattesa, infatti, una legge nata grazie alla testimonianza e all’impegno della migliore società civile italiana, a cominciare da coloro che hanno rischiato il lavoro facendo obiezione di coscienza alla produzione di armi».

Da queste riflessioni, la decisione di scrivere a papa Francesco per schierare il Movimento – già da tempo impegnato nella promozione della “economia di comunione” e da qualche anno molto attivo anche sui temi del disarmo – per «disarmare l’economia». «Sappiamo che non possiamo costruire ponti di pace senza aver rifiutato ogni compromesso con “l’economia dell’esclusione e dell’inequità”», scrivono i Focolari al papa. «Non possiamo dire “a me che importa?”. Non possiamo restare inerti di fronte alle tue parole che ci invitano a riconoscere l’esistenza dei “sistemi economici che per sopravvivere devono fare la guerra. Allora si fabbricano e si vendono armi e così i bilanci delle economie che sacrificano l’uomo ai piedi dell’idolo del denaro ovviamente vengono sanati. E non si pensa ai bambini affamati nei campi profughi, non si pensa ai dislocamenti forzati, non si pensa alle case distrutte, non si pensa neppure a tante vite spezzate”».

La via di uscita? La conversione delle coscienze, e la riconversione dell’economia di guerra. «Tutta la nostra economia è chiamata ad una conversione integrale capace di incidere sulle cause strutturali dell’inequità», conclude il Movimento dei Focolari. «Su questo cammino, aperto a tutti come percorso di liberazione delle coscienze, vogliamo continuare ad andare avanti nel segno del Vangelo di pace che abbiamo scelto di abbracciare».

* Immagine di United States Department of Defense SSGT Phil Schmitten, tratta dal sito Commons Wikimedia. Licenza e immagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

papa Francesco e la sua rivoluzione in dieci pillole … e poi in chissà quante altre

le 10 rivoluzioni di Bergoglio papa lesbo 2

a cura di Carlo Tecce
in “il Fatto Quotidiano”

Lotta agli eccessi del clero: a Santa Marta in 90mq

Un papa che ha scelto Francesco per nome ha indicato un’esistenza francescana per il Vaticano: niente berline di lusso, niente gioielli (Bergoglio indossa una croce di ferro), niente ricevimenti, niente sprechi negli appartamenti, e infatti abita in una stanza di novanta metri quadri a Santa Marta. Ci sono anche gli eccessi, che rendono ancora più ansioso il lavoro dei gendarmi: Bergoglio rifiuta le autoblindate durante visite all’estero.

Vacanze in Vaticano, chiuso Castel Gandolfo

A Castel Gandolfo, residenza per le vacanze dei papi, Bergoglio è andato per rendere omaggio al papa emerito Ratzinger. Trasportato in elicottero, lì s’era ritirato il teologo tedesco. Quella visita ha consegnato al mondo la prima immagine di un incontro fra due papi, quasi un’allucinazione. Poi Bergoglio ha ordinato la chiusura di quella reggia pontificia. Vacanze a Santa Marta. Al palazzo pontificio riceve gli ospiti istituzionali.

I cardinali vengono dalla fine del mondo

Ai tempi di Benedetto XVI, il concistoro era governato anche del potente segretario di Stato, Tarcisio Bertone. I nuovi cardinali erano italiani, meglio se salesiani, con un passato in Piemonte o in Liguria, le diocesi governate da Bertone. Al contrario, Francesco ha elevato a principi della Chiesa i vescovi delle terre più remote o delle città più piccole. E in questo modo, prepara il prossimo Conclave. La sua successione.papa

Quei faldoni eredità di Benedetto XVI

Il punto di contatto fra il papa in carica e il papa in pensione è sempre padre George Ganswein. S’è raccontato, in passato, che i due papi siano soliti vedersi a cena. Il più giovane, Bergoglio, va a trovare il più anziano nel convento dove ha deciso di vivere al “riparo degli occhi del mondo”. Ma il passaggio di consegne è stato reale e formale, un pacco di documenti – la famosa inchiesta dei cardinali – che Ratzinger donò a Bergoglio.

Il paciere tra Usa e Cuba le abilità diplomatiche

Un papa argentino non poteva ignorare le condizioni economiche, politiche e sociali dell’America più povera e più invisa agli Stati Uniti. Con un’abilità diplomatica con pochi precedenti, anche per la capacità di tessere in segreto le trattative, Jorge Mario Bergoglio è riuscito a debellare quelle poche miglia che dividono gli Stati Uniti a Cuba. E l’ha fatto coltivando un rapporto di reciproca fiducia con i fratelli Castro.

Gli omosessuali e il suo “Chi sono io per giudicare”

Chi sono io per giudicare. Questa affermazione, per quanto scontata in una società (in larga misura) scevra di vincoli ideologici-religiosi, ha avvicinato la Chiesa agli omosessuali. Il papa della misericordia, dell’apertura e del dialogo non può accettare comportamenti reazionari nel clero. Anche perché, per colpa di quel gruppo aggrappato ai dogmi e piegato solo alla dottrina, la Chiesa rischia di perdere fedeli. Quelli del futuro, ma anche del presente.

Le innovazioni al Sinodo sulla famiglia

La prima riforma di Bergoglio è l’approccio che la Chiesa deve tenere con la famiglia. Famiglia vuol dire coppie dello stesso sesso, famiglia vuol dire insieme di persone composto da una divorziata o da un divorziata, famiglia vuol dire una donna che ha scelto o dovuto scegliere l’aborto. La Chiesa è una famiglia e per non allontanarsi dalla famiglia, dunque, la Chiesa deve saper perdonare. Ma il Sinodo non ha convinto tutti.

L’attività internazionale e la cautela nazionale

Con la nomina di Pietro Parolin alla Segreteria di Stato, Bergoglio ha sottratto autonomia e rilevanza alla Curia per affidarli a un diplomatico, a un nunzio apostolico. Così il Vaticano è molto attivo negli scenari internazionali e molto cauto e spesso silente sugli argomenti nazionali. Neanche  la contestata legge sulle Unioni Civili ha mobilitato la robusta macchina vaticana. È rimasta una battaglia di una parte dei vescovi.papa8

Progetti in fieri: banca, Curia e comunicazione

Per la riforma della Curia e della comunicazione stessa del Vaticano, troppo spesso non in grado di seguire l’evoluzione tecnologica e culturale del mondo, Bergoglio ha istituto un gruppo di un lavoro, un gruppo ristretto di cardinali. Nel frattempo, ha tentato di smantellare quel coacervo di affari molto opachi che si chiama Ior, la banca del Vaticano, anche se è improprio definirla banca. Sulla Curia c’è ancora tanto da cambiare.

I rapporti con i governi: vietato intromettersi

Aspettando la fine dell’epoca di Angelo Bagnasco al vertice della Conferenza episcopale italiana, Bergoglio è intervenuto con le nomine – per fare un esempio – di Maurizio Zuppi a Bologna dopo Carlo Cafarra (oggi annoverato fra i contestatori della linea di Francesco) e Corrado Lorefice a Palermo. Il papa delega i rapporti con i governi nazionali alla Cei, ma giudica anacronistiche e dannose le ingerenze del passato.

un altro cardinale contro la politica cinese di papa Francesco

il cardinal Joseph Zen contro il papa

parla addirittura di “tradimento di Cristo”

“la chiesa può negoziare con Hitler e con Stalin?”
“il sangue dei martiri è il seme da cui sbocciano i nuovi cristiani, ma se questo sangue è avvelenato, quanto dureranno i cristiani?”

 

Il cardinal Joseph Zen contro il Papa, nega possibile apertura: "Tradimento di Cristo"
L’anatema è stato lanciato nel corso di un incontro nella scuola salesiana di Hong Kong dove Zen continua ad insegnare a dispetto dei suoi 84 anni. “Forse il papa è un tantino ingenuo, non ha la conoscenza dei problemi per sapere bene chi sono i comunisti cinesi”

Da sempre perplesso sulla politica di apertura e dialogo con il regime comunista cinese perseguita dalla Chiesa di Papa Francesco, l’ex vescovo di Hong Kong cardinal Joseph Zen ha bollato la possibile distensione come un “tradimento di Gesu’ Cristo”.
L’anatema e’ stato lanciato nel corso di un incontro nella scuola salesiana di Hong Kong dove Zen continua ad insegnare a dispetto dei suoi 84 anni. “Forse il papa e’ un tantino ingenuo, non ha la conoscenza dei problemi per sapere bene chi sono i comunisti cinesi”, sono le sue parole riportate dalla stampa internazionale, “il papa ha conosciuto i comunisti che erano perseguitati in Sudamerica, ma potrebbe non conoscere i comunisti nella loro veste di persecutori: responsabili della morte di centinaia di migliaia di persone”. Quella che scaturirebbe da un eventuale accordo tra il Vaticano e Pechino sarebbe “una liberta’ fasulla” una “idea superficiale della liberta’ per cui il popolo di Cristo si renderebbe conto, prima o poi, che la gerarchia cinese altro non e’ se non una serie di marionette nelle mani del governo, non di autentici pastori”. I dieci milioni di cinesi legati alla chiesa cattolica, secondo il prelato, rischierebbero di restare chiusi in una morsa di ambiguita’. “I vescovi della chiesa ufficiale”, ha detto riferendosi alla gerarchia di nomina governativa, “non predicano il vangelo, ma l’obbedienza alle autorita’ comuniste”. Soprattutto “non si puo’ andare a trattare con l’atteggiamento di chi vuole ottenere un accordo a qualsiasi costo. Questo e’ un tradimento, una resa, un tradimento di Cristo”. Quel che il Vaticano dovrebbe fare e’ “ritirarsi dai negoziati, se il risultato non fosse soddisfacente, e attendere momenti migliori”. Ma il punto essenziale e’ un altro: “La Chiesa puo’ negoziare con Hitler,e con Stalin?”.
Conclusione del ragionamento: “il sangue dei martiri e’ il seme da cui sbocciano i nuovi cristiani, ma se questo sangue e’ avvelenato, quanto dureranno i cristiani?”.

“ama e fà quello che vuoi” direbbe s. Agostino

 

papa Francesco e l’amore più forte della legge

di Vito Mancuso

«far comprendere il mistero dell’amore di Dio», scrive papa Francesco nella lettera apostolica di chiusura dell’anno giubilare, ma il termine «mistero» lo si può, anzi lo si deve, applicare all’amore in quanto tale 

 
 
Amore? Perdono? In questo mondo dove tutto è calcolo, tecnica, prestazione; in questo mondo dove tutto risponde a una logica del legale, dell’utile, del redditizio, del necessario; in questo mondo dove sempre e comunque tutti devono pagare ogni cosa con il denaro ma ancor più con la libertà, il tempo, la vita; in questo mondo di forti, furbi, potenti e prepotenti, in questo mondo che così è e sempre così sarà, il compito della Chiesa, dichiara finalmente un Papa, è un altro: non di essere l’ennesima istituzione governata dal potere e dalla ricchezza, ma di essere “segno di contraddizione”, paradosso, scandalo, e così di rimandare a un altro stile e a un’altra possibile vita. È l’utopia della gratuità, del disinteresse, della generosità, della nobiltà d’animo: di tutto ciò a cui Francesco si riferisce dicendo «misericordia». Questa parola un po’ oleosa e consunta per il linguaggio contemporaneo, e che nessuno quasi usa più, acquista con lui un sapore nuovo e una freschezza inaspettata …
 
Per il mondo in cui viviamo e lavoriamo la legge è e sarà sempre importante, esso non ne può fare a meno, come non può fare a meno della spada per punire i trasgressori. Però il compito di quella pazzia che si chiama cristianesimo è un altro. E finalmente da oltre tre anni è arrivato un Papa «dalla fine del mondo» a ribadire che la Chiesa esiste per indicare che al fondo delle nostre esistenze vi è qualcosa di più importante della legge e dell’ordine, ed è l’essere umano nella sua concretezza. Comprensivo di quei disordini umani che la Chiesa chiama “peccati”. E di quel disordine assai particolare che è l’aborto.
 
Non che per il Papa i peccati non siano più rilevanti e l’aborto non sia più un peccato. Anzi: «Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente». L’aborto in quanto tale non sarà mai accettabile dalla coscienza cristiana perché essa è convinta che di fronte a una vita diversa dalla propria la signoria dell’Io debba fermarsi e procedere nel massimo rispetto, all’insegna della non-violenza e di quella cultura della pace che si auspica venga applicata dagli Stati nel risolvere i conflitti e da sempre più persone nell’alimentazione e nel trattare gli animali. Quell’esserino chiamato al mondo a sua insaputa, e che ora nel ventre materno vuole solo vivere, va protetto e lasciato sussistere nel suo slancio vitale: non c’è bisogno di essere cristiani per riconoscerlo, tutte le religioni lo fanno, così come numerosi filosofi tra cui Giordano Bruno e Norberto Bobbio. Ma una cosa è l’aborto, un’altra cosa è la donna che abortisce e il medico che le procura l’aborto. Se queste persone comprendono il male commesso verso quell’esserino innocente (a volte procurato per evitare altri mali più incombenti), la Chiesa di Francesco è pronta a concedere il perdono nel modo più semplice perché ciò che finora era riservato ai vescovi viene ora concesso ordinariamente a tutti i sacerdoti. Scrive il Papa: «Concedo d’ora innanzi a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto». Perché? Perché «posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere».
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Siamo lontani anni luce da quell’intransigenza che nel 2009 portò un vescovo brasiliano a scomunicare la madre e i medici che avevano fatto abortire una bambina di soli 9 anni, incinta a seguito delle violenze del patrigno e che rischiava la vita anche per il fatto che si sarebbe trattato di un parto gemellare. A quel tempo dal Vaticano il portavoce del Pontificio Consiglio per la Famiglia sostenne il vescovo, affermando che la Chiesa «non può mai tradire il suo annuncio, che è quello di difendere la vita dal concepimento fino al suo termine naturale, anche di fronte a un dramma umano così forte». Papa Francesco dice invece un’altra cosa: posiziona la Chiesa non più in difesa come una rigida sentinella, ma in attacco, nel centro del mondo, per annunciare la follia dell’amore universale da lui chiamato misericordia. Questa sua posizione potrà aprire un dibattito sul numero sempre più alto di medici obiettori? Se è vero infatti che l’aborto è sempre un male, è altrettanto vero che talora (per esempio nel caso di stupro o di pericolo di vita della madre) è un male necessario per evitarne di maggiori.
 
I non pochi denigratori del Papa avranno ora ulteriori argomenti per accusarlo di lassismo. Ma non sanno quello che dicono. Non c’è la minima traccia di lassismo in questo documento, né nell’intera predicazione, né nell’austera persona di papa Francesco. C’è semmai l’attento rigore di chi ha veramente capito in cosa consiste la rivoluzione evangelica, troppe volte tradita dagli apparati ecclesiastici, preoccupati del potere e dell’ordine, e non di essere coerenti con quell’amore evangelico che vuole sempre e solo il bene concreto della persona concreta, e che per questo sa essere più forte anche della legge, compresa quella ecclesiastica. 
(fonte: Vito Mancuso)
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