le parole chiare di papa Francesco sui cristiani ipocriti

papa Francesco

“non è cristiano chi difende Gesù e vuole cacciare i rifugiati

l’ipocrisia è il peccato più grave di tutti”

di | 13 ottobre 2016
Papa Francesco: “Non è cristiano chi difende Gesù e vuole cacciare i rifugiati. L’ipocrisia è il peccato più grave di tutti”
 

lo ha detto il Pontefice rispondendo alle domande dei partecipanti luterani al pellegrinaggio ecumenico, che ha incontrato in aula Paolo VI. “Il mondo si aspetta la misericordia da tutti quelli che credono in Cristo”. “Mi stanno a cuore – aggiunge – i migranti minorenni, specialmente quelli soli”

Papa Francesco contro “chi difende Gesù e poi caccia via un rifugiato”. Secondo il Pontefice è da considerare “ipocrita” il comportamento di chi dice di “essere cristiano” ma, al tempo stesso, non vuole accogliere “uno cerca aiuto, un affamato, un assetato, chi ha bisogno”. E questa “contraddizione, questi che vogliono difendere il cristianesimo in Occidente e dall’altra parte sono contro i rifugiati e contro le altre religioni. E questo non è una cosa dei libri, è una cosa dei giornali e dei telegiornali di tutti i giorni”. Ma “la malattia o si può dire anche il peccato che Gesù condanna di più è l’ipocrisia”. Lo ha affermato il Papa rispondendo alle domande dei partecipanti luterani al pellegrinaggio ecumenico, che ha incontrato in aula Paolo VI. Le parole di Francesco arrivano dopo l’appello lanciato ieri per il cessate il fuoco ad Aleppo, in Siria, chiedendo di evacuare i civili, soprattutto bambini.

 




una guerra senza compromessi nella chiesa di papa Francesco?

chiesa cattolica

è in atto una guerra civile

 
Chiesa cattolica, è in atto una guerra civile
 
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Papa Francesco ha chiuso la Porta Santa, ma il suo messaggio è accompagnato dal brontolio di una crisi sotterranea. Una guerra civile è in corso nella Chiesa. Uno scontro che tocca l’autorità del pontefice e il suo programma riformatore. Sono in gioco visioni opposte sul ruolo della Chiesa, il “peccato”, la salvezza delle anime. E come in tutte le guerre civili il conflitto non contempla compromessi.

Quattro cardinali hanno scelto questi giorni per mettere direttamente sotto accusa la teologia di Francesco e il suo documento postsinodale Amoris Laetitia (che apre la strada alla comunione dei divorziati risposati). I porporati imputano a Bergoglio di avere seminato tra i fedeli “incertezza, confusione e smarrimento” e chiedono di “fare chiarezza” sul documento. Alla lettera sono allegati, nello stile delle contestazioni teologiche, i cosiddetti Dubia: cioè “domande su questioni controverse”. Con un gesto, che ha il sapore di una sfida, la lettera è stata inviata “per conoscenza” anche al guardiano ufficiale dell’ortodossia, il cardinale Gerhard Mueller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede.  

E’ un evento assolutamente inedito nella storia moderna del papato. E la prima cosa che colpisce è il silenzio imbarazzato delle alte gerarchie ecclesiastiche. Non un cardinale ha controbattuto pubblicamente le loro tesi, non un presidente di conferenza episcopale, non il dirigente di qualche grande associazione cattolica. E dire che, prendendo di petto il ruolo della coscienza, di cui parla Francesco, i quattro porporati affermano che in tal caso si rischia di arrivare al punto in cui diventano ipotizzabili “casi adulterio virtuoso, omicidio legale e spergiuro obbligatorio”.

Due dei porporati sono esponenti di Curia: il tedesco Walter Brandmueller, già presidente del pontificio Comitato di scienze storiche, e l’americano Raymond Burke, già presidente del tribunale della Segnatura apostolica. E due sono arcivescovi emeriti di grandi diocesi: Carlo Caffarra, caro a Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e fino al 2015 alla guida di Bologna, e Joachim Meisner, un intimo di papa Ratzinger, fino al 2014 a capo della diocesi di Colonia.  

Liquidare la loro lettera – a cui Francesco ha risposto indirettamente in un’intervista ad Avvenire , denunciando un “certo legalismo che può essere ideologico” – come il sussulto di quattro “ultraconservatori” significa non comprendere lo scontro sotterraneo, che si è andato sviluppando nella Chiesa cattolica nell’ultimo biennio. I quattro sono la punta di un iceberg, che si va allargando e diffondendo. Parlano anche per molti che non si espongono.

Per anni i media non hanno compreso la profondità del movimento anti-Obama, che ha portato l’8 novembre alla sconfitta della sua politica. Oggi rischiano di ripetere lo stesso errore con Francesco. Abbacinati dal suo carisma e dal consenso planetario di cui gode anche tra agnostici e non credenti, molti rimuovono la sistematica escalation di quanti tra il clero, gli episcopati, il collegio cardinalizio contestano la teologia di misericordia del pontefice.

Tra i due Sinodi c’è stato uno spostamento di accento fondamentale. Se nei passati decenni, nello scontro tra riformatori e conservatori, il pontefice rimaneva “arbitro” per la maggioranza della gerarchia ecclesiastica. Oggi, invece, il Papa è diventato parte in causa. Basta leggere l’ultima intervista del cardinale Burke: l’Amoris Laetitia, afferma, “non è Magistero perché contiene serie ambiguità che confondono i fedeli e li possono indurre all’errore e al peccato grave. Un documento che presenti questi difetti non può far parte dell’insegnamento perenne della Chiesa”.

In due anni c’è stato un crescendo di azioni di dissenso. Prima del Sinodo 2014 cinque cardinali scrissero un libro in difesa della dottrina tradizionale del matrimonio. Poi intervennero con un altro libro 11 porporati di ogni parte del mondo, fra cui personalità importanti, riconosciute tra il clero e l’episcopato. Intanto quasi 800mila cattolici, fra cui 100 vescovi, firmavano una petizione al Papa per bloccare le innovazioni. A Sinodo 2015 iniziato, 13 cardinali scrissero a Bergoglio mettendo in questione la regolarità della direzione dell’assemblea.

Un movimento sistematico di contestazione a cui il fronte riformatore ha opposto solo timidezza. E infatti – benché molti vogliano dimenticarlo – nelle votazioni al Sinodo sulla Famiglia del 2015 sono state rigettate le tesi di una via penitenziale, che riconoscesse apertamente la possibilità della comunione ai divorziati risposati. La maggioranza tradizionalista di questo parlamento mondiale dei vescovi ha detto “no”. Nel frattempo è sorta una rete di cardinali, vescovi, preti, teologi e laici impegnati, firmatari di una “Dichiarazione di fedeltà al magistero immutabile della Chiesa sul matrimonio”. Successivamente 45 teologi hanno scritto (in forma anonima) al collegio cardinalizio, insinuando che certe interpretazioni di Amoris Laetitia potrebbero essere “eretiche”.

Il movimento anti-Bergoglio lavora sul tempo. Negli Stati Uniti l’escalation sottovalutata contro Obama ha portato alla sconfitta dei Democratici. Nella Chiesa cattolica la posta in gioco è il futuro conclave. Oggi lo storico della Chiesa Alberto Melloni parla di “isolamento” del pontefice. E Andrea Riccardi, storico anche lui, spiega che mai nel Novecento un pontefice ha trovato tanta opposizione tra gli episcopati e il clero.

Nella guerra civile in corso nella Chiesa l’obiettivo è il dopo-Francesco: non dovrà arrivare sul trono papale un uomo che porti a sviluppo le riforme iniziate.




il vescovo cappuccino scrive ai quattro cardinali che vogliono dare una ‘correzione’ a papa Francesco

lettera aperta ai 4 cardinali

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di: Fragkiskos Papamanolis

Syros (Grecia), 20 novembre 2016

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Carissimi fratelli nell’episcopato,

la mia fede nel nostro Dio mi dice che egli non può non amarvi. Con la sincerità che esce dal mio cuore vi chiamo “fratelli carissimi”.

Anche in Grecia è arrivato il documento che avete consegnato alla Congregazione per la dottrina della fede e che è stato pubblicato lunedì scorso dal sito dell’Espresso.

Prima di pubblicare il documento e, più ancora, prima di redigerlo, dovevate presentarvi al santo padre Francesco e fare richiesta di cancellarvi dai componenti il Collegio cardinalizio.

Inoltre, non dovevate fare uso del titolo di “cardinale” per dare prestigio a quello che avete scritto, e questo per coerenza con la vostra coscienza e per alleggerire lo scandalo che avete dato scrivendo da privati.

Scrivete che siete «profondamente preoccupati del vero bene delle anime» e, indirettamente, accusate il santo padre Francesco «di far progredire nella Chiesa una qualche forma di politica». Chiedete che «nessuno vi giudichi ingiustamente». Ingiustamente vi giudicherebbe chi dicesse il contrario di quello che esplicitamente voi scrivete. Le parole che usate hanno il loro significato. Il fatto che voi vi fregiate del titolo di cardinali non cambia il senso delle parole gravemente offensive per il vescovo di Roma.

Se voi siete «profondamente preoccupati del vero bene delle anime» e mossi «dalla appassionata preoccupazione per il bene dei fedeli», io, fratelli carissimi, sono «profondamente preoccupato del vero bene delle vostre anime», per il doppio vostro gravissimo peccato:

– il peccato di eresia (e di apostasia? Così, infatti, cominciano gli scismi nella Chiesa). Dal vostro documento appare chiaro che, in pratica, non credete alla suprema autorità magisteriale del papa, rafforzata da due Sinodi dei vescovi provenienti da tutto il mondo. Si vede che lo Spirito Santo ispira solo voi e non il vicario di Cristo e neppure i vescovi riuniti in Sinodo;

– e ancora più grave il peccato dello scandalo, dato pubblicamente al popolo cristiano in tutto il mondo. A questo proposito Gesù ha detto: «Guai a quell’uomo dal quale proviene lo scandalo» (Mt 18,7). «È meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino e fosse gettato negli abissi del mare» (Mt 18,6).

Spinto dalla carità di Cristo, prego per voi. Chiedo al Signore di illuminarvi per accettare con semplicità di cuore l’insegnamento magisteriale del santo padre Francesco.fragkiskos-papamanolis

Temo che le vostre categorie mentali troveranno gli argomenti sofisticati per giustificare il vostro operato, così da non considerarlo neppure un peccato da sottoporre al sacramento della penitenza e che continuerete a celebrare ogni giorno la santa messa e a ricevere sacrilegamente il sacramento dell’eucaristia, mentre fate gli scandalizzati se, in casi specifici, un divorziato risposato riceve l’eucaristia e osate accusare di eresia il santo padre Francesco.

Sappiate che io ho partecipato ai due Sinodi dei vescovi sulla famiglia e ho ascoltato i vostri interventi. Ho sentito pure i commenti che uno di voi faceva, durante la pausa, su un’affermazione contenuta nel mio intervento in aula sinodale, quando ho dichiarato: «peccare non è facile». Questo fratello (uno di voi quattro), parlando coi suoi interlocutori, modificava le mie affermazioni e metteva sulla mia bocca parole che non avevo pronunciato. Inoltre, dava alle mie dichiarazioni un’interpretazione che non poteva essere collegata in alcun modo con quanto avevo affermato.

Fratelli carissimi, il Signore vi illumini a riconoscere prima possibile, il vostro peccato e a riparare lo scandalo che avete dato.

Con la carità di Cristo, fraternamente vi saluto.

+ Fragkiskos Papamanolis, o.f.m.cap,
vescovo emerito di Syros, Santorini e Creta,
presidente della Conferenza episcopale di Grecia

 




termina l’anno giubilare e papa Francesco ribadisce che Dio è più grande del peccato dell’uomo … ma diversi cardinali la sanno più lunga

una piccola rassegna stampa sulla chiusura dell’anno giubilare e il documento di chiusura di papa Francesco ‘misericordia et misera’

 

«È il tempo della misericordia» di Gianni Cardinale in Avvenire del 22 novembre 2016

Il Giubileo si è concluso domenica, ma papa Francesco continua ad auspicare la «conversione pastorale» delle «nostre comunità » in modo da «guardare avanti e di comprendere come continuare con fedeltà, gioia ed entusiasmo a sperimentare la ricchezza della misericordia divina». Lo fa con con la Lettera apostolica
“Non finisce il tempo della Misericordia. Francesco pubblica la lettera apostolica «Misericordia et misera» e annuncia di voler mantenere anche dopo la chiusura del Giubileo la facoltà per tutti i sacerdoti del mondo di assolvere l’aborto, rendendola così definitiva. Il Papa ha poi annunciato una Giornata mondiale dei poveri”
“«Al pentimento finora si rispondeva con una procedura: la richiesta al vescovo. Ed era come frenare il soffio dello spirito. Essere costrette a fermarsi nel proprio percorso, dover chiedere appuntamento ad un vescovo accentuava la condizione di debolezza. Molte si sono perse in questo passaggio, si sono sentite imperdonabili finendo per ripiegarsi su se stesse»
Il perdono di Dio può estendersi anche alle donne che hanno abortito e ai medici e agli infermieri, ai familiari che le hanno aiutate. E i sacerdoti, che di quel perdono sono tramite e non titolari, devono mettersi in ascolto di chiunque intenda riconciliarsi e «accedere all’amore del Padre», a cominciare appunto da chi ha peccato.

Udienza Generale del mercoledì di Papa Francesco

«Continueremo ad agire secondo coscienza» In Italia sono obiettori 7 ginecologi su dieci di Carla Massi in Il Messaggero del 22 novembre 2016

Tra i ginecologi, sono molti che ieri, dopo le parole di Francesco, hanno pensato al dolore delle pazienti cattoliche costrette, per i motivi più diversi, ad interrompere una gravidanza. Per loro, un gesto di comprensione e di vicinanza capace di sollevare la donna credente dal senso di colpa
Fin dai primi secoli la Chiesa ha «dichiarato la malizia morale di ogni aborto provocato, e questo insegnamento non è mutato. L’aborto diretto, cioè voluto come fine o come un mezzo, è gravemente contrario alla legge morale» si legge nel Catechismo.
Vietato chiamarla depenalizzazione perché naturalmente – si tratta di ben altra cosa.. Tuttavia il mutamento della Chiesa di Papa Francesco a proposito di aborto è radicale. Da oggi in poi qualsiasi prete, di qualsiasi parrocchia nel mondo, potrà assolvere qualsiasi cattolico dal peccato mortale dell’aborto senza ricevere, com’era necessario prima, speciali dispense da parte del vescovo
L’aborto cessa quindi di essere un peccato così grave da poter essere assolto solo da un vescovo, o da un prete appositamente designato dal vescovo. Non si tratta però di un declassamento della gravità del peccato – Francesco non fa che denunciarlo come uno dei più gravi di questo tempo appena ne ha l’occasione – ma del suo svincolamento da una prassi complicata
Che si sia religiosi o laici, credenti o non credenti, è sempre un fatto positivo che nessun essere umano venga messo fuori dalla legge civile o religiosa.
Papa Francesco lo espone con il suo stile chiaro nella Lettera apostolica Misericordia et misera, pubblicata ieri a conclusione del Giubileo: «Niente di quanto un peccatore pentito pone dinanzi alla misericordia di Dio può rimanere senza l’abbraccio del suo perdono». Niente. Nemmeno un peccato grave come l’aborto
Tutti i preti potranno assolvere dal peccato di aborto, sia le madri, sia i medici e gli infermieri. Cambiano le norme del diritto canonico: l’apertura arriva da Papa Francesco all’indomani della chiusura del Giubileo sulla misericordia. La disposizione è contenuta nella Lettera «Misericordia et misera» presentata in Vaticano.
È una misura che non cancella il «peccato di aborto» («l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente», puntualizza Francesco) – quindi non c’è nessuna modifica dottrinale -, ma introduce un profondo aggiornamento pastorale e giuridico

FRANCESCO

a quanti leggeranno questa Lettera Apostolica

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Misericordia et misera sono le due parole che sant’Agostino utilizza per raccontare l’incontro tra Gesù e l’adultera (cfr Gv 8,1-11). Non poteva trovare espressione più bella e coerente di questa per far comprendere il mistero dell’amore di Dio quando viene incontro al peccatore: «Rimasero soltanto loro due: la misera e la misericordia».[1] Quanta pietà e giustizia divina in questo racconto! Il suo insegnamento viene a illuminare la conclusione del Giubileo Straordinario della Misericordia, mentre indica il cammino che siamo chiamati a percorrere nel futuro.

1. Questa pagina del Vangelo può a buon diritto essere assunta come icona di quanto abbiamo celebrato nell’Anno Santo, un tempo ricco di misericordia, la quale chiede di essere ancora celebrata e vissuta nelle nostre comunità. La misericordia, infatti, non può essere una parentesi nella vita della Chiesa, ma costituisce la sua stessa esistenza, che rende manifesta e tangibile la verità profonda del Vangelo. Tutto si rivela nella misericordia; tutto si risolve nell’amore misericordioso del Padre.

Una donna e Gesù si sono incontrati. Lei, adultera e, secondo la Legge, giudicata passibile di lapidazione; Lui, che con la sua predicazione e il dono totale di sé, che lo porterà alla croce, ha riportato la legge mosaica al suo genuino intento originario. Al centro non c’è la legge e la giustizia legale, ma l’amore di Dio, che sa leggere nel cuore di ogni persona, per comprenderne il desiderio più nascosto, e che deve avere il primato su tutto. In questo racconto evangelico, tuttavia, non si incontrano il peccato e il giudizio in astratto, ma una peccatrice e il Salvatore. Gesù ha guardato negli occhi quella donna e ha letto nel suo cuore: vi ha trovato il desiderio di essere capita, perdonata e liberata. La miseria del peccato è stata rivestita dalla misericordia dell’amore. Nessun giudizio da parte di Gesù che non fosse segnato dalla pietà e dalla compassione per la condizione della peccatrice. A chi voleva giudicarla e condannarla a morte, Gesù risponde con un lungo silenzio, che vuole lasciar emergere la voce di Dio nelle coscienze, sia della donna sia dei suoi accusatori. I quali lasciano cadere le pietre dalle mani e se ne vanno ad uno ad uno (cfr Gv 8,9). E dopo quel silenzio, Gesù dice: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata? … Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (vv. 10-11). In questo modo la aiuta a guardare al futuro con speranza e ad essere pronta a rimettere in moto la sua vita; d’ora in avanti, se lo vorrà, potrà “camminare nella carità” (cfr Ef 5,2). Una volta che si è rivestiti della misericordia, anche se permane la condizione di debolezza per il peccato, essa è sovrastata dall’amore che permette di guardare oltre e vivere diversamente.

2. Gesù d’altronde lo aveva insegnato con chiarezza quando, invitato a pranzo da un fariseo, gli si era avvicinata una donna conosciuta da tutti come una peccatrice (cfr Lc 7,36-50). Lei aveva cosparso di profumo i piedi di Gesù, li aveva bagnati con le sue lacrime e asciugati con i suoi capelli (cfr v. 37-38). Alla reazione scandalizzata del fariseo, Gesù rispose: «Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco» (v. 47).

Il perdono è il segno più visibile dell’amore del Padre, che Gesù ha voluto rivelare in tutta la sua vita. Non c’è pagina del Vangelo che possa essere sottratta a questo imperativo dell’amore che giunge fino al perdono. Perfino nel momento ultimo della sua esistenza terrena, mentre viene inchiodato sulla croce, Gesù ha parole di perdono: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).

Niente di quanto un peccatore pentito pone dinanzi alla misericordia di Dio può rimanere senza l’abbraccio del suo perdono. È per questo motivo che nessuno di noi può porre condizioni alla misericordia; essa rimane sempre un atto di gratuità del Padre celeste, un amore incondizionato e immeritato. Non possiamo, pertanto, correre il rischio di opporci alla piena libertà dell’amore con cui Dio entra nella vita di ogni persona.

La misericordia è questa azione concreta dell’amore che, perdonando, trasforma e cambia la vita. È così che si manifesta il suo mistero divino. Dio è misericordioso (cfr Es 34,6), la sua misericordia dura in eterno (cfr Sal 136), di generazione in generazione abbraccia ogni persona che confida in Lui e la trasforma, donandole la sua stessa vita.

3. Quanta gioia è stata suscitata nel cuore di queste due donne, l’adultera e la peccatrice! Il perdono le ha fatte sentire finalmente libere e felici come mai prima. Le lacrime della vergogna e del dolore si sono trasformate nel sorriso di chi sa di essere amata. La misericordia suscita gioia, perché il cuore si apre alla speranza di una vita nuova. La gioia del perdono è indicibile, ma traspare in noi ogni volta che ne facciamo esperienza. All’origine di essa c’è l’amore con cui Dio ci viene incontro, spezzando il cerchio di egoismo che ci avvolge, per renderci a nostra volta strumenti di misericordia.

Come sono significative anche per noi le parole antiche che guidavano i primi cristiani: «Rivestiti di gioia che è sempre gradita a Dio e gli è accetta. In essa si diletta. Ogni uomo gioioso opera bene, pensa bene e disprezza la tristezza […] Vivranno in Dio quanti allontanano la tristezza e si rivestono di ogni gioia».[2] Fare esperienza della misericordia dona gioia. Non lasciamocela portar via dalle varie afflizioni e preoccupazioni. Possa rimanere ben radicata nel nostro cuore e farci guardare sempre con serenità alla vita quotidiana.

In una cultura spesso dominata dalla tecnica, sembrano moltiplicarsi le forme di tristezza e solitudine in cui cadono le persone, e anche tanti giovani. Il futuro infatti sembra essere ostaggio dell’incertezza che non consente di avere stabilità. È così che sorgono spesso sentimenti di malinconia, tristezza e noia, che lentamente possono portare alla disperazione. C’è bisogno di testimoni di speranza e di gioia vera, per scacciare le chimere che promettono una facile felicità con paradisi artificiali. Il vuoto profondo di tanti può essere riempito dalla speranza che portiamo nel cuore e dalla gioia che ne deriva. C’è tanto bisogno di riconoscere la gioia che si rivela nel cuore toccato dalla misericordia. Facciamo tesoro, pertanto, delle parole dell’Apostolo: «Siate sempre lieti nel Signore» (Fil 4,4; cfr 1 Ts 5,16).

4. Abbiamo celebrato un Anno intenso, durante il quale ci è stata donata con abbondanza la grazia della misericordia. Come un vento impetuoso e salutare, la bontà e la misericordia del Signore si sono riversate sul mondo intero. E davanti a questo sguardo amoroso di Dio che in maniera così prolungata si è rivolto su ognuno di noi, non si può rimanere indifferenti, perché esso cambia la vita.

Sentiamo il bisogno, anzitutto, di ringraziare il Signore e dirgli: «Sei stato buono, Signore, con la tua terra […]. Hai perdonato la colpa del tuo popolo» (Sal 85,2-3). È proprio così: Dio ha calpestato le nostre colpe e gettato in fondo al mare i nostri peccati (cfr Mi 7,19); non li ricorda più, se li è buttati alle spalle (cfr Is 38,17); come è distante l’oriente dall’occidente così i nostri peccati sono distanti da lui (cfr Sal 103,12).

In questo Anno Santo la Chiesa ha saputo mettersi in ascolto e ha sperimentato con grande intensità la presenza e vicinanza del Padre, che con l’opera dello Spirito Santo le ha reso più evidente il dono e il mandato di Gesù Cristo riguardo al perdono. È stata realmente una nuova visita del Signore in mezzo a noi. Abbiamo percepito il suo soffio vitale riversarsi sulla Chiesa e, ancora una volta, le sue parole hanno indicato la missione: «Ricevete lo Spirito Santo: a coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,22-23).

5. Adesso, concluso questo Giubileo, è tempo di guardare avanti e di comprendere come continuare con fedeltà, gioia ed entusiasmo a sperimentare la ricchezza della misericordia divina. Le nostre comunità potranno rimanere vive e dinamiche nell’opera di nuova evangelizzazione nella misura in cui la “conversione pastorale” che siamo chiamati a vivere[3] sarà plasmata quotidianamente dalla forza rinnovatrice della misericordia. Non limitiamo la sua azione; non rattristiamo lo Spirito che indica sempre nuovi sentieri da percorrere per portare a tutti il Vangelo che salva.

In primo luogo siamo chiamati a celebrare la misericordia. Quanta ricchezza è presente nella preghiera della Chiesa quando invoca Dio come Padre misericordioso! Nella liturgia, la misericordia non solo viene ripetutamente evocata, ma realmente ricevuta e vissuta. Dall’inizio alla fine della celebrazione eucaristica, la misericordia ritorna più volte nel dialogo tra l’assemblea orante e il cuore del Padre, che gioisce quando può effondere il suo amore misericordioso. Dopo la richiesta di perdono iniziale con l’invocazione «Signore pietà», veniamo subito rassicurati: «Dio onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna». È con questa fiducia che la comunità si raduna alla presenza del Signore, particolarmente nel giorno santo della risurrezione. Molte orazioni “collette” intendono richiamare il grande dono della misericordia. Nel periodo della Quaresima, ad esempio, preghiamo dicendo: «Dio misericordioso, fonte di ogni bene, tu ci hai proposto a rimedio del peccato il digiuno la preghiera e le opere di carità fraterna; guarda a noi che riconosciamo la nostra miseria e poiché ci opprime il peso delle nostre colpe, ci sollevi la tua misericordia».[4] Siamo poi immersi nella grande preghiera eucaristica con il prefazio che proclama: «Nella tua misericordia hai tanto amato gli uomini da mandare il tuo Figlio come Redentore a condividere in tutto, fuorché nel peccato, la nostra condizione umana».[5] La quarta preghiera eucaristica, inoltre, è un inno alla misericordia di Dio: «Nella tua misericordia a tutti sei venuto incontro, perché coloro che ti cercano ti possano trovare». «Di noi tutti abbi misericordia»,[6] è la richiesta impellente che il sacerdote compie nella preghiera eucaristica per implorare la partecipazione alla vita eterna. Dopo il Padre Nostro, il sacerdote prolunga la preghiera invocando la pace e la liberazione dal peccato grazie all’«aiuto della tua misericordia». E prima del segno di pace, scambiato come espressione di fratellanza e di amore reciproco alla luce del perdono ricevuto, egli prega di nuovo: «Non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa».[7] Mediante queste parole, con umile fiducia chiediamo il dono dell’unità e della pace per la santa Madre Chiesa. La celebrazione della misericordia divina culmina nel Sacrificio eucaristico, memoriale del mistero pasquale di Cristo, da cui scaturisce la salvezza per ogni essere umano, per la storia e per il mondo intero. Insomma, ogni momento della celebrazione eucaristica fa riferimento alla misericordia di Dio.

In tutta la vita sacramentale la misericordia ci viene donata in abbondanza. Non è affatto senza significato che la Chiesa abbia voluto fare esplicitamente il richiamo alla misericordia nella formula dei due sacramenti chiamati “di guarigione”, cioè la Riconciliazione e l’Unzione dei malati. La formula di assoluzione dice: «Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e risurrezione del suo Figlio, e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace»[8] e quella dell’Unzione recita: «Per questa santa Unzione e la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo».[9] Dunque, nella preghiera della Chiesa il riferimento alla misericordia, lungi dall’essere solamente parenetico, è altamente performativo, vale a dire che mentre la invochiamo con fede, ci viene concessa; mentre la confessiamo viva e reale, realmente ci trasforma. È questo un contenuto fondamentale della nostra fede, che dobbiamo conservare in tutta la sua originalità: prima di quella del peccato, abbiamo la rivelazione dell’amore con cui Dio ha creato il mondo e gli esseri umani. L’amore è il primo atto con il quale Dio si fa conoscere e ci viene incontro. Teniamo, pertanto, aperto il cuore alla fiducia di essere amati da Dio. Il suo amore ci precede sempre, ci accompagna e rimane accanto a noi nonostante il nostro peccato

6. In tale contesto, assume un significato particolare anche l’ascolto della Parola di Dio. Ogni domenica, la Parola di Dio viene proclamata nella comunità cristiana perché il giorno del Signore sia illuminato dalla luce che promana dal mistero pasquale.[10] Nella celebrazione eucaristica sembra di assistere a un vero dialogo tra Dio e il suo popolo. Nella proclamazione delle Letture bibliche, infatti, si ripercorre la storia della nostra salvezza attraverso l’incessante opera di misericordia che viene annunciata. Dio parla ancora oggi con noi come ad amici, si “intrattiene” con noi[11] per donarci la sua compagnia e mostrarci il sentiero della vita. La sua Parola si fa interprete delle nostre richieste e preoccupazioni e risposta feconda perché possiamo sperimentare concretamente la sua vicinanza. Quanta importanza acquista l’omelia, dove «la verità si accompagna alla bellezza e al bene»,[12] per far vibrare il cuore dei credenti dinanzi alla grandezza della misericordia! Raccomando molto la preparazione dell’omelia e la cura della predicazione. Essa sarà tanto più fruttuosa, quanto più il sacerdote avrà sperimentato su di sé la bontà misericordiosa del Signore. Comunicare la certezza che Dio ci ama non è un esercizio retorico, ma condizione di credibilità del proprio sacerdozio. Vivere, quindi, la misericordia è la via maestra per farla diventare un vero annuncio di consolazione e di conversione nella vita pastorale. L’omelia, come pure la catechesi, hanno bisogno di essere sempre sostenute da questo cuore pulsante della vita cristiana.

7. La Bibbia è il grande racconto che narra le meraviglie della misericordia di Dio. Ogni pagina è intrisa dell’amore del Padre che fin dalla creazione ha voluto imprimere nell’universo i segni del suo amore. Lo Spirito Santo, attraverso le parole dei profeti e gli scritti sapienziali, ha plasmato la storia di Israele nel riconoscimento della tenerezza e della vicinanza di Dio, nonostante l’infedeltà del popolo. La vita di Gesù e la sua predicazione segnano in modo determinante la storia della comunità cristiana, che ha compreso la propria missione sulla base del mandato di Cristo di essere strumento permanente della sua misericordia e del suo perdono (cfr Gv 20,23). Attraverso la Sacra Scrittura, mantenuta viva dalla fede della Chiesa, il Signore continua a parlare alla sua Sposa e le indica i sentieri da percorrere, perché il Vangelo della salvezza giunga a tutti. È mio vivo desiderio che la Parola di Dio sia sempre più celebrata, conosciuta e diffusa, perché attraverso di essa si possa comprendere meglio il mistero di amore che promana da quella sorgente di misericordia. Lo ricorda chiaramente l’Apostolo: «Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia» (2 Tm 3,16).

Sarebbe opportuno che ogni comunità, in una domenica dell’Anno liturgico, potesse rinnovare l’impegno per la diffusione, la conoscenza e l’approfondimento della Sacra Scrittura: una domenica dedicata interamente alla Parola di Dio, per comprendere l’inesauribile ricchezza che proviene da quel dialogo costante di Dio con il suo popolo. Non mancherà la creatività per arricchire questo momento con iniziative che stimolino i credenti ad essere strumenti vivi di trasmissione della Parola. Certamente, tra queste iniziative vi è la diffusione più ampia della lectio divina, affinché, attraverso la lettura orante del testo sacro, la vita spirituale trovi sostegno e crescita. La lectio divina sui temi della misericordia permetterà di toccare con mano quanta fecondità viene dal testo sacro, letto alla luce dell’intera tradizione spirituale della Chiesa, che sfocia necessariamente in gesti e opere concrete di carità.[13]

8. La celebrazione della misericordia avviene in modo del tutto particolare con il Sacramento della Riconciliazione. È questo il momento in cui sentiamo l’abbraccio del Padre che viene incontro per restituirci la grazia di essere di nuovo suoi figli. Noi siamo peccatori e portiamo con noi il peso della contraddizione tra ciò che vorremmo fare e quanto invece concretamente facciamo (cfr Rm 7,14-21); la grazia, tuttavia, ci precede sempre, e assume il volto della misericordia che si rende efficace nella riconciliazione e nel perdono. Dio fa comprendere il suo immenso amore proprio davanti al nostro essere peccatori. La grazia è più forte, e supera ogni possibile resistenza, perché l’amore tutto vince (cfr 1 Cor 13,7).

Nel Sacramento del Perdono Dio mostra la via della conversione a Lui, e invita a sperimentare di nuovo la sua vicinanza. È un perdono che può essere ottenuto iniziando, anzitutto, a vivere la carità. Lo ricorda anche l’apostolo Pietro quando scrive che «L’amore copre una moltitudine di peccati» (1 Pt 4,8). Solo Dio perdona i peccati, ma chiede anche a noi di essere pronti al perdono verso gli altri, così come Lui perdona i nostri: «Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12). Quanta tristezza quando rimaniamo chiusi in noi stessi e incapaci di perdonare! Prendono il sopravvento il rancore, la rabbia, la vendetta, rendendo la vita infelice e vanificando l’impegno gioioso per la misericordia.

9. Un’esperienza di grazia che la Chiesa ha vissuto con tanta efficacia nell’Anno giubilare è stato certamente il servizio dei Missionari della Misericordia. La loro azione pastorale ha voluto rendere evidente che Dio non pone alcun confine per quanti lo cercano con cuore pentito, perché a tutti va incontro come un Padre. Ho ricevuto tante testimonianze di gioia per il rinnovato incontro con il Signore nel Sacramento della Confessione. Non perdiamo l’opportunità di vivere la fede anche come esperienza di riconciliazione. «Lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5,20) è l’invito che ancora ai nostri giorni l’Apostolo rivolge per far scoprire ad ogni credente la potenza dell’amore che rende una «creatura nuova» (2 Cor 5,17).

Esprimo la mia gratitudine ad ogni Missionario della Misericordia per questo prezioso servizio offerto per rendere efficace la grazia del perdono. Questo ministero straordinario, tuttavia, non si conclude con la chiusura della Porta Santa. Desidero, infatti, che permanga ancora, fino a nuova disposizione, come segno concreto che la grazia del Giubileo continua ad essere, nelle varie parti del mondo, viva ed efficace. Sarà cura del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione seguire in questo periodo i Missionari della Misericordia, come espressione diretta della mia sollecitudine e vicinanza e trovare le forme più coerenti per l’esercizio di questo prezioso ministero.

10. Ai sacerdoti rinnovo l’invito a prepararsi con grande cura al ministero della Confessione, che è una vera missione sacerdotale. Vi ringrazio sentitamente per il vostro servizio e vi chiedo di essere accoglienti con tutti; testimoni della tenerezza paterna nonostante la gravità del peccato; solleciti nell’aiutare a riflettere sul male commesso; chiari nel presentare i principi morali; disponibili ad accompagnare i fedeli nel percorso penitenziale, mantenendo il loro passo con pazienza; lungimiranti nel discernimento di ogni singolo caso; generosi nel dispensare il perdono di Dio. Come Gesù davanti alla donna adultera scelse di rimanere in silenzio per salvarla dalla condanna a morte, così anche il sacerdote nel confessionale sia magnanimo di cuore, sapendo che ogni penitente lo richiama alla sua stessa condizione personale: peccatore, ma ministro di misericordia.

11. Vorrei che tutti noi meditassimo le parole dell’Apostolo, scritte verso la fine della sua vita, quando a Timoteo confessa di essere stato il primo dei peccatori, «ma appunto per questo ho ottenuto misericordia» (1 Tm 1,16). Le sue parole hanno una forza prorompente per provocare anche noi a riflettere sulla nostra esistenza e per vedere all’opera la misericordia di Dio nel cambiare, convertire e trasformare il nostro cuore: «Rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia» (1 Tm 1,12-13).

Ricordiamo con sempre rinnovata passione pastorale, pertanto, le parole dell’Apostolo: «Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione» (2 Cor 5,18). Noi per primi siamo stati perdonati in vista di questo ministero; resi testimoni in prima persona dell’universalità del perdono. Non c’è legge né precetto che possa impedire a Dio di riabbracciare il figlio che torna da Lui riconoscendo di avere sbagliato, ma deciso a ricominciare da capo. Fermarsi soltanto alla legge equivale a vanificare la fede e la misericordia divina. C’è un valore propedeutico nella legge (cfr Gal 3,24) che ha come fine la carità (cfr 1 Tm 1,5). Tuttavia, il cristiano è chiamato a vivere la novità del Vangelo, «la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù» (Rm 8,2). Anche nei casi più complessi, dove si è tentati di far prevalere una giustizia che deriva solo dalle norme, si deve credere nella forza che scaturisce dalla grazia divina.

Noi confessori abbiamo esperienza di tante conversioni che si manifestano sotto i nostri occhi. Sentiamo, quindi, la responsabilità di gesti e parole che possano giungere nel profondo del cuore del penitente, perché scopra la vicinanza e la tenerezza della Padre che perdona. Non vanifichiamo questi momenti con comportamenti che possano contraddire l’esperienza della misericordia che viene ricercata. Aiutiamo, piuttosto, a illuminare lo spazio della coscienza personale con l’amore infinito di Dio (cfr 1 Gv 3,20).

Il Sacramento della Riconciliazione ha bisogno di ritrovare il suo posto centrale nella vita cristiana; per questo richiede sacerdoti che mettano la loro vita a servizio del «ministero della riconciliazione» (2 Cor 5,18) in modo tale che, mentre a nessuno sinceramente pentito è impedito di accedere all’amore del Padre che attende il suo ritorno, a tutti è offerta la possibilità di sperimentare la forza liberatrice del perdono.

Un’occasione propizia può essere la celebrazione dell’iniziativa 24 ore per il Signore in prossimità della IV domenica di Quaresima, che già trova molto consenso nelle Diocesi e che rimane un richiamo pastorale forte per vivere intensamente il Sacramento della Confessione.

12. In forza di questa esigenza, perché nessun ostacolo si interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio, concedo d’ora innanzi a tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero, la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto. Quanto avevo concesso limitatamente al periodo giubilare[14] viene ora esteso nel tempo, nonostante qualsiasi cosa in contrario. Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente. Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre. Ogni sacerdote, pertanto, si faccia guida, sostegno e conforto nell’accompagnare i penitenti in questo cammino di speciale riconciliazione.

Nell’Anno del Giubileo avevo concesso ai fedeli che per diversi motivi frequentano le chiese officiate dai sacerdoti della Fraternità San Pio X di ricevere validamente e lecitamente l’assoluzione sacramentale dei loro peccati.[15] Per il bene pastorale di questi fedeli, e confidando nella buona volontà dei loro sacerdoti perché si possa recuperare, con l’aiuto di Dio, la piena comunione nella Chiesa Cattolica, stabilisco per mia propria decisione di estendere questa facoltà oltre il periodo giubilare, fino a nuove disposizioni in proposito, perché a nessuno venga mai a mancare il segno sacramentale della riconciliazione attraverso il perdono della Chiesa.

13. La misericordia possiede anche il volto della consolazione. «Consolate, consolate il mio popolo» (Is 40,1) sono le parole accorate che il profeta fa sentire ancora oggi, perché possa giungere a quanti sono nella sofferenza e nel dolore una parola di speranza. Non lasciamoci mai rubare la speranza che proviene dalla fede nel Signore risorto. È vero, spesso siamo messi a dura prova, ma non deve mai venire meno la certezza che il Signore ci ama. La sua misericordia si esprime anche nella vicinanza, nell’affetto e nel sostegno che tanti fratelli e sorelle possono offrire quando sopraggiungono i giorni della tristezza e dell’afflizione. Asciugare le lacrime è un’azione concreta che spezza il cerchio di solitudine in cui spesso veniamo rinchiusi.

Tutti abbiamo bisogno di consolazione perché nessuno è immune dalla sofferenza, dal dolore e dall’incomprensione. Quanto dolore può provocare una parola astiosa, frutto dell’invidia, della gelosia e della rabbia! Quanta sofferenza provoca l’esperienza del tradimento, della violenza e dell’abbandono; quanta amarezza dinanzi alla morte delle persone care! Eppure, mai Dio è lontano quando si vivono questi drammi. Una parola che rincuora, un abbraccio che ti fa sentire compreso, una carezza che fa percepire l’amore, una preghiera che permette di essere più forte… sono tutte espressioni della vicinanza di Dio attraverso la consolazione offerta dai fratelli.

A volte, anche il silenzio potrà essere di grande aiuto; perché a volte non ci sono parole per dare risposta agli interrogativi di chi soffre. Alla mancanza della parola, tuttavia, può supplire la compassione di chi è presente, vicino, ama e tende la mano. Non è vero che il silenzio sia un atto di resa, al contrario, è un momento di forza e di amore. Anche il silenzio appartiene al nostro linguaggio di consolazione perché si trasforma in un’opera concreta di condivisione e partecipazione alla sofferenza del fratello.

14. In un momento particolare come il nostro, che tra tante crisi vede anche quella della famiglia, è importante che giunga una parola di forza consolatrice alle nostre famiglie. Il dono del matrimonio è una grande vocazione a cui, con la grazia di Cristo, corrispondere nell’amore generoso, fedele e paziente. La bellezza della famiglia permane immutata, nonostante tante oscurità e proposte alternative: «La gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa».[16] Il sentiero della vita che porta un uomo e una donna a incontrarsi, amarsi, e davanti a Dio a promettersi fedeltà per sempre, è spesso interrotto da sofferenza, tradimento e solitudine. La gioia per il dono dei figli non è immune dalle preoccupazioni dei genitori riguardo alla loro crescita e formazione, riguardo a un futuro degno di essere vissuto intensamente.

La grazia del Sacramento del Matrimonio non solo fortifica la famiglia perché sia luogo privilegiato in cui vivere la misericordia, ma impegna la comunità cristiana, e tutta l’azione pastorale, a far emergere il grande valore propositivo della famiglia. Questo Anno giubilare, comunque, non può far perdere di vista la complessità dell’attuale realtà familiare. L’esperienza della misericordia ci rende capaci di guardare a tutte le difficoltà umane con l’atteggiamento dell’amore di Dio, che non si stanca di accogliere e di accompagnare.[17]

Non possiamo dimenticare che ognuno porta con sé la ricchezza e il peso della propria storia, che lo contraddistingue da ogni altra persona. La nostra vita, con le sue gioie e i suoi dolori, è qualcosa di unico e irripetibile, che scorre sotto lo sguardo misericordioso di Dio. Ciò richiede, soprattutto da parte del sacerdote, un discernimento spirituale attento, profondo e lungimirante perché chiunque, nessuno escluso, qualunque situazione viva, possa sentirsi concretamente accolto da Dio, partecipare attivamente alla vita della comunità ed essere inserito in quel Popolo di Dio che, instancabilmente, cammina verso la pienezza del regno di Dio, regno di giustizia, di amore, di perdono e di misericordia.

15. Particolare rilevanza riveste il momento della morte. La Chiesa ha sempre vissuto questo passaggio drammatico alla luce della risurrezione di Gesù Cristo, che ha aperto la strada per la certezza della vita futura. Abbiamo una grande sfida da accogliere, soprattutto nella cultura contemporanea che spesso tende a banalizzare la morte fino a farla diventare una semplice finzione, o a nasconderla. La morte invece va affrontata e preparata come passaggio doloroso e ineludibile ma carico di senso: quello dell’estremo atto di amore verso le persone che ci lasciano e verso Dio a cui si va incontro. In tutte le religioni il momento della morte, come quello della nascita, è accompagnato da una presenza religiosa. Noi viviamo l’esperienza delle esequie come preghiera carica di speranza per l’anima del defunto e per dare consolazione a quanti soffrono il distacco dalla persona amata.

Sono convinto che abbiamo bisogno, nell’azione pastorale animata da fede viva, di far toccare con mano quanto i segni liturgici e le nostre preghiere siano espressione della misericordia del Signore. È Lui stesso che offre parole di speranza, perché niente e nessuno potranno mai separare dal suo amore (cfr Rm 8,35). La condivisione di questo momento da parte del sacerdote è un accompagnamento importante, perché permette di vivere la vicinanza alla comunità cristiana nel momento di debolezza, solitudine, incertezza e pianto.

16. Termina il Giubileo e si chiude la Porta Santa. Ma la porta della misericordia del nostro cuore rimane sempre spalancata. Abbiamo imparato che Dio si china su di noi (cfr Os 11,4) perché anche noi possiamo imitarlo nel chinarci sui fratelli. La nostalgia di tanti di ritornare alla casa del Padre, che attende la loro venuta, è suscitata anche da testimoni sinceri e generosi della tenerezza divina. La Porta Santa che abbiamo attraversato in questo Anno giubilare ci ha immesso nella via della carità che siamo chiamati a percorrere ogni giorno con fedeltà e gioia. È la strada della misericordia che permette di incontrare tanti fratelli e sorelle che tendono la mano perché qualcuno la possa afferrare per camminare insieme.

Voler essere vicini a Cristo esige di farsi prossimo verso i fratelli, perché niente è più gradito al Padre se non un segno concreto di misericordia. Per sua stessa natura, la misericordia si rende visibile e tangibile in un’azione concreta e dinamica. Una volta che la si è sperimentata nella sua verità, non si torna più indietro: cresce continuamente e trasforma la vita. È un’autentica nuova creazione che realizza un cuore nuovo, capace di amare in modo pieno, e purifica gli occhi perché riconoscano le necessità più nascoste. Come sono vere le parole con cui la Chiesa prega nella Veglia Pasquale, dopo la lettura del racconto della creazione: «O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti».[18]

La misericordia rinnova e redime, perché è l’incontro di due cuori: quello di Dio che viene incontro a quello dell’uomo. Questo si riscalda e il primo lo risana: il cuore di pietra viene trasformato in cuore di carne (cfr Ez 36,26), capace di amare nonostante il suo peccato. Qui si percepisce di essere davvero una “nuova creatura” (cfr Gal 6,15): sono amato, dunque esisto; sono perdonato, quindi rinasco a vita nuova; sono stato “misericordiato”, quindi divento strumento di misericordia.

17. Durante l’Anno Santo, specialmente nei “venerdì della misericordia”, ho potuto toccare con mano quanto bene è presente nel mondo. Spesso non è conosciuto perché si realizza quotidianamente in maniera discreta e silenziosa. Anche se non fanno notizia, esistono tuttavia tanti segni concreti di bontà e di tenerezza rivolti ai più piccoli e indifesi, ai più soli e abbandonati. Esistono davvero dei protagonisti della carità che non fanno mancare la solidarietà ai più poveri e infelici. Ringraziamo il Signore per questi doni preziosi che invitano a scoprire la gioia del farsi prossimo davanti alla debolezza dell’umanità ferita. Con gratitudine penso ai tanti volontari che ogni giorno dedicano il loro tempo a manifestare la presenza e vicinanza di Dio con la loro dedizione. Il loro servizio è una genuina opera di misericordia, che aiuta tante persone ad avvicinarsi alla Chiesa.

18. È il momento di dare spazio alla fantasia della misericordia per dare vita a tante nuove opere, frutto della grazia. La Chiesa ha bisogno di raccontare oggi quei «molti altri segni» che Gesù ha compiuto e che «non sono stati scritti» (Gv 20,30), affinché siano espressione eloquente della fecondità dell’amore di Cristo e della comunità che vive di Lui. Sono passati più di duemila anni, eppure le opere di misericordia continuano a rendere visibile la bontà di Dio.

Ancora oggi intere popolazioni soffrono la fame e la sete, e quanta preoccupazione suscitano le immagini di bambini che nulla hanno per cibarsi. Masse di persone continuano a migrare da un Paese all’altro in cerca di cibo, lavoro, casa e pace. La malattia, nelle sue varie forme, è un motivo permanente di sofferenza che richiede aiuto, consolazione e sostegno. Le carceri sono luoghi in cui spesso, alla pena restrittiva, si aggiungono disagi a volte gravi, dovuti a condizioni di vita disumane. L’analfabetismo è ancora molto diffuso e impedisce ai bambini e alle bambine di formarsi e li espone a nuove forme di schiavitù. La cultura dell’individualismo esasperato, soprattutto in occidente, porta a smarrire il senso di solidarietà e di responsabilità verso gli altri. Dio stesso rimane oggi uno sconosciuto per molti; ciò rappresenta la più grande povertà e il maggior ostacolo al riconoscimento della dignità inviolabile della vita umana.

Insomma, le opere di misericordia corporale e spirituale costituiscono fino ai nostri giorni la verifica della grande e positiva incidenza della misericordia come valore sociale. Essa infatti spinge a rimboccarsi le maniche per restituire dignità a milioni di persone che sono nostri fratelli e sorelle, chiamati con noi a costruire una «città affidabile».[19]

19. Tanti segni concreti di misericordia sono stati realizzati durante questo Anno Santo. Comunità, famiglie e singoli credenti hanno riscoperto la gioia della condivisione e la bellezza della solidarietà. Eppure non basta. Il mondo continua a generare nuove forme di povertà spirituale e materiale che attentano alla dignità delle persone. È per questo che la Chiesa dev’essere sempre vigile e pronta per individuare nuove opere di misericordia e attuarle con generosità ed entusiasmo.

Poniamo, dunque, ogni sforzo per dare forme concrete alla carità e al tempo stesso intelligenza alle opere di misericordia. Quest’ultima possiede un’azione inclusiva, per questo tende ad allargarsi a macchia d’olio e non conosce limiti. E in questo senso siamo chiamati a dare volto nuovo alle opere di misericordia che conosciamo da sempre. La misericordia, infatti, eccede; va sempre oltre, è feconda. È come il lievito che fa fermentare la pasta (cfr Mt 13,33) e come un granello di senape che diventa un albero (cfr Lc 13,19).

Pensiamo solo, a titolo esemplificativo, all’opera di misericordia corporale vestire chi è nudo (cfr Mt 25,36.38.43.44). Essa ci riporta ai primordi, al giardino dell’Eden, quando Adamo ed Eva scoprirono di essere nudi e, sentendo avvicinarsi il Signore, ebbero vergogna e si nascosero (cfr Gen 3,7-8). Sappiamo che il Signore li punì; tuttavia, Egli «fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelle e li vestì» (Gen 3,21). La vergogna viene superata e la dignità restituita.

Fissiamo lo sguardo anche su Gesù al Golgota. Il Figlio di Dio sulla croce è nudo; la sua tunica è stata sorteggiata e presa dai soldati (cfr Gv 19,23-24); Lui non ha più nulla. Sulla croce si rivela all’estremo la condivisione di Gesù con quanti hanno perso dignità perché privati del necessario. Come la Chiesa è chiamata ad essere la “tunica di Cristo”[20] per rivestire il suo Signore, così è impegnata a rendersi solidale con i nudi della terra perché riacquistino la dignità di cui sono stati spogliati. «(Ero) nudo e mi avete vestito» (Mt 25,36), pertanto, obbliga a non voltare lo sguardo davanti alle nuove forme di povertà e di emarginazione che impediscono alle persone di vivere dignitosamente.

Non avere il lavoro e non ricevere il giusto salario; non poter avere una casa o una terra dove abitare; essere discriminati per la fede, la razza, lo stato sociale…: queste e molte altre sono condizioni che attentano alla dignità della persona, di fronte alle quali l’azione misericordiosa dei cristiani risponde anzitutto con la vigilanza e la solidarietà. Quante sono oggi le situazioni in cui possiamo restituire dignità alle persone e consentire una vita umana! Pensiamo solo a tanti bambini e bambine che subiscono violenze di vario genere, che rubano loro la gioia della vita. I loro volti tristi e disorientati sono impressi nella mia mente; chiedono il nostro aiuto per essere liberati dalle schiavitù del mondo contemporaneo. Questi bambini sono i giovani di domani; come li stiamo preparando a vivere con dignità e responsabilità? Con quale speranza possono affrontare il loro presente e il loro futuro?

Il carattere sociale della misericordia esige di non rimanere inerti e di scacciare l’indifferenza e l’ipocrisia, perché i piani e i progetti non rimangano lettera morta. Lo Spirito Santo ci aiuti ad essere sempre pronti ad offrire in maniera fattiva e disinteressata il nostro apporto, perché la giustizia e una vita dignitosa non rimangano parole di circostanza, ma siano l’impegno concreto di chi intende testimoniare la presenza del Regno di Dio.

20. Siamo chiamati a far crescere una cultura della misericordia, basata sulla riscoperta dell’incontro con gli altri: una cultura in cui nessuno guarda all’altro con indifferenza né gira lo sguardo quando vede la sofferenza dei fratelli. Le opere di misericordia sono “artigianali”: nessuna di esse è uguale all’altra; le nostre mani possono modellarle in mille modi, e anche se unico è Dio che le ispira e unica la “materia” di cui sono fatte, cioè la misericordia stessa, ciascuna acquista una forma diversa.

Le opere di misericordia, infatti, toccano tutta la vita di una persona. E’ per questo che possiamo dar vita a una vera rivoluzione culturale proprio a partire dalla semplicità di gesti che sanno raggiungere il corpo e lo spirito, cioè la vita delle persone. È un impegno che la comunità cristiana può fare proprio, nella consapevolezza che la Parola del Signore sempre la chiama ad uscire dall’indifferenza e dall’individualismo in cui si è tentati di rinchiudersi per condurre un’esistenza comoda e senza problemi. «I poveri li avete sempre con voi» (Gv 12,8), dice Gesù ai suoi discepoli. Non ci sono alibi che possono giustificare un disimpegno quando sappiamo che Lui si è identificato con ognuno di loro.

La cultura della misericordia si forma nella preghiera assidua, nella docile apertura all’azione dello Spirito, nella familiarità con la vita dei santi e nella vicinanza concreta ai poveri. È un invito pressante a non fraintendere dove è determinante impegnarsi. La tentazione di fare la “teoria della misericordia” si supera nella misura in cui questa si fa vita quotidiana di partecipazione e condivisione. D’altronde, non dovremmo mai dimenticare le parole con cui l’apostolo Paolo, raccontando il suo incontro con Pietro, Giacomo e Giovanni, dopo la conversione, mette in risalto un aspetto essenziale della sua missione e di tutta la vita cristiana: «Ci pregarono soltanto di ricordarci dei poveri, ed è quello che mi sono preoccupato di fare» (Gal 2,10). Non possiamo dimenticarci dei poveri: è un invito più che mai attuale che si impone per la sua evidenza evangelica.

21. L’esperienza del Giubileo imprima in noi le parole dell’apostolo Pietro: «Un tempo eravate esclusi dalla misericordia; ora, invece, avete ottenuto misericordia» (1 Pt 2,10). Non teniamo gelosamente solo per noi quanto abbiamo ricevuto; sappiamo condividerlo con i fratelli sofferenti perché siano sostenuti dalla forza della misericordia del Padre. Le nostre comunità si aprano a raggiungere quanti vivono nel loro territorio perché a tutti giunga la carezza di Dio attraverso la testimonianza dei credenti.

Questo è il tempo della misericordia. Ogni giorno del nostro cammino è segnato dalla presenza di Dio che guida i nostri passi con la forza della grazia che lo Spirito infonde nel cuore per plasmarlo e renderlo capace di amare. È il tempo della misericordia per tutti e per ognuno, perché nessuno possa pensare di essere estraneo alla vicinanza di Dio e alla potenza della sua tenerezza. È il tempo della misericordia perché quanti sono deboli e indifesi, lontani e soli possano cogliere la presenza di fratelli e sorelle che li sorreggono nelle necessità. È il tempo della misericordia perché i poveri sentano su di sé lo sguardo rispettoso ma attento di quanti, vinta l’indifferenza, scoprono l’essenziale della vita. È il tempo della misericordia perché ogni peccatore non si stanchi di chiedere perdono e sentire la mano del Padre che sempre accoglie e stringe a sé.

Alla luce del “Giubileo delle persone socialmente escluse”, mentre in tutte le cattedrali e nei santuari del mondo si chiudevano le Porte della Misericordia, ho intuito che, come ulteriore segno concreto di questo Anno Santo straordinario, si debba celebrare in tutta la Chiesa, nella ricorrenza della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, la Giornata mondiale dei poveri. Sarà la più degna preparazione per vivere la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il quale si è identificato con i piccoli e i poveri e ci giudicherà sulle opere di misericordia (cfr Mt 25,31-46). Sarà una Giornata che aiuterà le comunità e ciascun battezzato a riflettere su come la povertà stia al cuore del Vangelo e sul fatto che, fino a quando Lazzaro giace alla porta della nostra casa (cfr Lc 16,19-21), non potrà esserci giustizia né pace sociale. Questa Giornata costituirà anche una genuina forma di nuova evangelizzazione (cfr Mt 11,5), con la quale rinnovare il volto della Chiesa nella sua perenne azione di conversione pastorale per essere testimone della misericordia.

22. Su di noi rimangono sempre rivolti gli occhi misericordiosi della Santa Madre di Dio. Lei è la prima che apre la strada e ci accompagna nella testimonianza dell’amore. La Madre della Misericordia raccoglie tutti sotto la protezione del suo manto, come spesso l’arte l’ha voluta rappresentare. Confidiamo nel suo materno aiuto e seguiamo la sua perenne indicazione a guardare a Gesù, volto raggiante della misericordia di Dio.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 20 novembre,
Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo,
dell’Anno del Signore 2016, quarto di pontificato.

FRANCESCO

 


[1] In Joh 33,5.

[2] Il Pastore di Erma, XLII, 1-4.

[3] Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 27.

[4] Messale Romano, III Domenica di Quaresima.

[5] Ibid., Prefazio delle domeniche del Tempo Ordinario VII.

[6] Ibid., Preghiera eucaristica II.

[7] Ibid., Riti di comunione.

[8] Rito della Penitenza, n. 46.

[9] Sacramento dell’Unzione e cura pastorale degli infermi, n. 76.

[10] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 106.

[11] Id., Cost. dogm. Dei Verbum, 2.

[12] Esort. ap. Evangelii gaudium, 142.

[13] Cfr Benedetto XVI, Esort. ap. postsin. Verbum Domini, 86-87.

[14] Cfr Lettera con la quale si concede l’indulgenza in occasione del Giubileo della Misericordia, 1 settembre 2015.

[15] Cfr ibid.

[16] Esort. ap. postsin. Amoris laetitia, 1.

[17] Cfr ibid., 291-300.

[18] Messale Romano, Veglia Pasquale, Orazione dopo la Prima Lettura.

[19] Lett. enc. Lumen fidei, 50.

[20] Cfr Cipriano, L’unità della Chiesa cattolica, 7.

 




la risposta del Vaticano ai quattro cardinali critici che vogliono dare una ‘correzione’ a papa Francesco

Amoris Laetitia 

le Vatican répond aux « doutes » de quatre cardinaux

Après les critiques de quatre cardinaux contre Amoris laetitia, le cardinal Kevin Farrell, nouveau responsable de la famille au Vatican, prend la défense du texte du pape François

« Je pense que le document Amoris laetitia est fidèle à la doctrine et à l’enseignement de l’Église »
Mgr Kevin Farrell / Courtesy of the Catholic Diocese of Dallas

Mgr Kevin Farrell / Courtesy of the Catholic Diocese of Dallas / / Courtesy of the Catholic Diocese of Dallas

Mgr Kevin Farrell, nouveau préfet du dicastère pour les laïcs, la famille et la vie, et qui sera créé cardinal samedi prochain par le pape François, a pris mardi 15 novembre la défense de l’exhortation apostolique Amoris laetitia, critiquée la veille par quatre cardinaux.

« Honnêtement, je ne vois pas en quoi et pourquoi quelques évêques semblent penser qu’ils ont à interpréter ce document », affirme, dans une interview au National Catholic Reporter à paraître jeudi 17 novembre, celui à qui le pape François a confié la pastorale familiale.

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Lundi 14 novembre, quatre cardinaux avaient rendu publique une lettre au pape exprimant leurs « doutes » sur le texte pontifical, reprochant à François de ne pas leur avoir répondu.

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« Je pense que le pape a parlé », tranche le cardinal Farrell, en référence à la lettre que François a envoyée début septembre aux évêques de la région de Buenos Aires (Argentine) en réponse à leur projet pastoral ouvrant, après un parcours de discernement, l’accès aux sacrements à certains divorcés remariés.

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Pour le futur cardinal Farrell, s’il est important « d’avoir une discussion » autour d’Amoris laetitia, « il est aussi très important que nous comprenions que c’est le Saint-Esprit qui parle » à travers ce texte.

« Je pense que le document Amoris laetitia est fidèle à la doctrine et à l’enseignement l’Église », estime-t-il en réponse aux quatre cardinaux qui y voient une rupture avec l’enseignement de Jean-Paul II. « Il s’appuie sur la doctrine de Familiaris consortio de Jean-Paul II, ajoute-t-il. Je le crois passionnément. »

« C’est le Saint-Esprit qui nous parle, martèle-t-il. Pensons-nous que le Saint-Esprit n’était pas là au premier synode ? Pensons-nous qu’il n’était pas là au second synode ? Croyons-nous qu’il n’a pas inspiré notre Saint-Père François en écrivant ce document ? »

« C’est l’enseignement de l’Église »

« Il faut être conséquent ici. Je crois fermement que c’est l’enseignement de l’Église. C’est un document pastoral qui nous dit comment nous devrions procéder. Je pense que nous devons le prendre tel qu’il est », explique-t-il, affirmant que les divorcés remariés doivent pouvoir être inclus à tous les niveaux de l’Église.

« Cela ne signifie pas que je vous dis qu’ils doivent recevoir la communion. C’est un processus de discernement et de conscience », explique-t-il, soulignant que « nous devons accompagner les personnes dans des circonstances difficiles ».

« Je crois que c’est ce que nous devons faire, mais cela doit être pris au sérieux. Il ne s’agit pas juste de venir et de s’asseoir avec un prêtre pour parler avec lui. C’est un chemin, un discernement. »

Nicolas Senèze, à Rome



il cardinale più agguerrito contro papa Francesco: lo vuole ‘correggere’

Burke pronto a un “atto formale” per “correggere” il Papa

in un’intervista con il “National Catholic Register” il porporato americano preannuncia la sfida in caso di mancata risposta ai cinque “dubbi” su “Amoris laetitia”

Raymond Leo Burke

 Se il Papa non risponderà alla richiesta di chiarimenti dei quattro cardinali che gli hanno scritto sull’esortazione Amoris Laetitia, «allora dovremmo affrontare questa situazione: c’è infatti, nella Tradizione della Chiesa, la possibilità di correggere il Romano Pontefice. È invero sicuramente molto raro. Ma se non vi fosse risposta alle domande sui punti controversi, allora direi che si porrebbe la questione di assumere un atto formale di correzione di un errore grave».

 

È il guanto di sfida che, alla vigilia del Concistoro, il cardinale americano Raymond Leo Burke, patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta, lancia a papa Francesco, cui insieme ad altri tre porporati – Walter Brandmueller, Carlo Caffarra e Joachim Meisner – ha sottoposto recentemente in una lettera cinque «dubbi» sull’interpretazione e l’applicazione della Amoris Laetitia, riguardanti sia la tanto discussa questione della comunione ai divorziati risposati, sia il valore delle norme morali in rapporto alla vita cristiana.

«Ovunque io vada sento confusione. I sacerdoti sono divisi gli uni dagli altri, i sacerdoti contro vescovi, i vescovi divisi tra di loro. C’è una tremenda divisione nella Chiesa, che non è la via della Chiesa. Ecco perché dobbiamo ristabilizzare queste questioni morali fondamentali, che ci uniscono», dice il cardinale Burke in un’intervista al National Catholic Register.




«non c’è pace in casa di chi sta bene, quando manca giustizia nella casa di tutti»

“più progresso e più esclusi, la grande ingiustizia di oggi”

il papa alla Messa per il «Giubileo dei senzatetto»: «Non c’è pace in casa di chi sta bene, quando manca giustizia nella casa di tutti»; ogni cosa passa, anche «i regni potenti», ma non «Dio e il prossimo»

papa Francesco alla Messa per il «Giubileo delle persone socialmente escluse»

 come si può essere tranquilli nel proprio focolare mentre il povero disperato «giace alla porta»? Non può esserci «pace in casa di chi sta bene, quando manca giustizia nella casa di tutti». Così «nasce la tragica contraddizione dei nostri tempi: quanto più aumentano il progresso e le possibilità, tanto più vi sono coloro che non possono accedervi». Di conseguenza, si osserva il «sintomo di sclerosi spirituale», quando «l’interesse si concentra sulle cose da produrre, invece che sulle persone da amare»

Lo esclama papa Francesco questa mattina, nella Basilica vaticana, presiedendo la Celebrazione eucaristica in occasione del «Giubileo delle persone socialmente escluse», indetto dall’11 al 13 novembre nel contesto dell’Anno santo della Misericordia. Il Pontefice, nel giorno in cui si chiudono le porte della misericordia «nelle cattedrali e nei santuari di tutto il mondo», ricorda che tutto passa, anche «i regni potenti», ma non «Dio e il prossimo».

Papa Bergoglio esordisce partendo dalle parole del profeta Malachia della Prima Lettura odierna: «Per voi sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia». Si leggono «all’ultima pagina dell’ultimo profeta dell’Antico Testamento – spiega il Vescovo di Roma – e sono rivolte a coloro che hanno fiducia nel Signore, che ripongono la loro speranza in lui, scegliendolo come sommo bene della vita e rifiutando di vivere solo per sé».

Per queste persone, «povere di sé ma ricche di Dio, sorgerà il sole della sua giustizia: essi sono i poveri in spirito, cui Gesù promette il regno dei cieli e che Dio, per bocca del profeta Malachia, chiama “mia proprietà particolare”».

Il Pontefice osserva che da qui «nascono domande che interpellano il senso ultimo della vita: dove cerco la mia sicurezza? Nel Signore o in altre sicurezze che non piacciono a Dio? Dov’è diretta la mia vita, dove punta il mio cuore? Verso il Signore della vita o verso cose che passano e non saziano?». E interrogativi «simili appaiono nell’odierno brano evangelico», in cui si parla di Gesù che si trova a Gerusalemme, «per l’ultima e più importante pagina della sua vita terrena: la sua morte e risurrezione». Cristo è «nei pressi del tempio, “ornato di belle pietre e di doni votivi”. La gente sta proprio parlando delle bellezze esteriori del tempio, quando Gesù dice: “Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra”. Aggiunge che non mancheranno conflitti, carestie, sconvolgimenti nella terra e nel cielo». Il Figlio di Dio «non vuole impaurire – precisa il Papa – ma dirci che tutto quel che vediamo, inesorabilmente, passa. Anche i regni più potenti, gli edifici più sacri e le realtà più stabili del mondo, non durano per sempre; prima o poi, cadono». Allora, la gente «pone subito due domande al Maestro: “Quando accadranno queste cose e quale sarà il segno”?. Sempre siamo spinti dalla curiosità – rileva Francesco – si vuole sapere quando e ricevere dei segni». Però, a Gesù «questa curiosità non piace. Al contrario, Egli esorta a non lasciarci ingannare dai predicatori apocalittici». Infatti chi segue Cristo «non presta ascolto ai profeti di sventura, alle vanità degli oroscopi, alle predizioni che ingenerano paure, distraendo da ciò che conta». Invece avviene che «tra le tante voci che si sentono, il Signore invita a distinguere ciò che viene da Lui e ciò che viene dallo spirito falso. È importante – evidenzia il Pontefice – distinguere l’invito sapiente che Dio ci rivolge ogni giorno dal clamore di chi si serve del nome di Dio per spaventare, alimentare divisioni e paure».

Il Vescovo di Roma sottolinea il forte invito di Gesù «a non avere paura di fronte agli sconvolgimenti di ogni epoca. Egli chiede di perseverare nel bene e di porre piena fiducia in Dio, che non delude: “Nemmeno un capello del vostro capo sarà perduto”». Il Signore non dimentica «i suoi fedeli, la sua proprietà preziosa, che siamo noi».

Però interpella gli uomini e le donne di ogni tempo e luogo «sul senso della nostra esistenza». Per Francesco, le Letture di oggi «si pongono come un “setaccio” in mezzo al fluire della nostra vita: ci ricordano che quasi tutto in questo mondo passa, come l’acqua che scorre via; ma ci sono realtà preziose che rimangono, come una pietra preziosa in un setaccio». Quali sono queste ricchezze che non svaniscono? «Sicuramente due: il Signore e il prossimo. Questi sono i beni più grandi, da amare. Tutto il resto – il cielo, la terra, le cose più belle, anche questa Basilica – passa; ma non dobbiamo escludere – avverte – dalla vita Dio e gli altri».

Al contrario «proprio oggi, quando si parla di esclusione, vengono subito in mente persone concrete; non cose inutili, ma persone preziose». Capita che «la persona, posta da Dio al culmine del creato, viene spesso scartata, perché si preferiscono le cose che passano». Per il Papa ciò è «inaccettabile, perché l’uomo è il bene più prezioso agli occhi di Dio». Inoltre è «grave che ci si abitui a questo scarto; bisogna preoccuparsi, quando la coscienza si anestetizza e non fa più caso al fratello che ci soffre accanto o ai problemi seri del mondo, che diventano solo ritornelli già sentiti nelle scalette dei telegiornali».

Rivolgendosi agli esclusi presenti e di tutto il pianeta, esclama: «Con la vostra presenza ci aiutate a sintonizzarci sulla lunghezza d’onda di Dio, a guardare quello che guarda Lui: Egli non si ferma all’apparenza, ma rivolge lo sguardo “sull’umile e su chi ha lo spirito contrito”, sui tanti poveri Lazzaro di oggi».

Con amarezza, afferma Francesco: «Quanto ci fa male fingere di non accorgerci di Lazzaro che viene escluso e scartato!»; questo comportamento è «voltare la faccia a Dio. È un sintomo di sclerosi spirituale quando l’interesse si concentra sulle cose da produrre, invece che sulle persone da amare». E in questo modo «nasce la tragica contraddizione dei nostri tempi: quanto più aumentano il progresso e le possibilità, il che è un bene, tanto più vi sono coloro che non possono accedervi». Si tratta di un’«ingiustizia che deve preoccuparci, molto più di sapere quando e come sarà la fine del mondo. Perché non si può stare tranquilli in casa mentre Lazzaro giace alla porta – ammonisce con forza – non c’è pace in casa di chi sta bene, quando manca giustizia nella casa di tutti». 

Il Papa esorta a chiedere «la grazia di non chiudere gli occhi davanti a Dio che ci guarda e dinanzi al prossimo che ci interpella. Apriamo gli occhi a Dio, purificando la vista del cuore dalle rappresentazioni ingannevoli e paurose, dal dio della potenza e dei castighi, proiezione della superbia e del timore umani. Guardiamo con fiducia al Dio della misericordia. Rinnoviamo la speranza della vita vera cui siamo chiamati, quella che non passerà e che ci attende in comunione con il Signore e con gli altri, in una gioia che durerà per sempre, senza fine».

Sui deboli e gli emarginati «punta la lente d’ingrandimento della Chiesa. Che il Signore ci liberi dal rivolgerla verso di noi. Ci distolga dagli orpelli che distraggono, dagli interessi e dai privilegi, dagli attaccamenti al potere e alla gloria, dalla seduzione dello spirito del mondo».

Oggi «io vorrei – dichiara senza leggere il testo scritto – che fosse la giornata dei poveri».

In questa domenica 13 novembre 2016 si chiudono tutte le porte sante del mondo tranne una, primo atto della conclusione del Giubileo straordinario della misericordia; resta aperta ancora una settimana quella della basilica di San Pietro, fino a domenica 20 novembre, quando terminerà l’Anno santo indetto da papa Francesco.

All’Angelus: «La madre terra sia sempre coltivata in modo sostenibile»

«Rimanere saldi nel Signore, camminare nella speranza, lavorare per costruire un mondo migliore, nonostante le difficoltà e gli avvenimenti tristi che segnano l’esistenza personale e collettiva, è ciò che veramente conta; è quanto la comunità cristiana è chiamata a fare per andare incontro al “giorno del Signore”», afferma poi il Papa all’Angelus dalla finestra del Palazzo apostolico. «Proprio in questa prospettiva – sostiene Francesco – vogliamo collocare l’impegno che scaturisce da questi mesi in cui abbiamo vissuto con fede il Giubileo Straordinario della Misericordia, che oggi si conclude nelle Diocesi di tutto il mondo con la chiusura delle Porte Sante nelle chiese cattedrali». L’Anno santo «ci ha sollecitati, da una parte, a tenere fisso lo sguardo verso il compimento del Regno di Dio e, dall’altra, a costruire il futuro su questa terra, lavorando per evangelizzare il presente, così da farne un tempo di salvezza per tutti». Il Pontefice annuncia che «in questa settimana è stato restituito alla devozione dei fedeli il più antico crocifisso ligneo della Basilica di San Pietro, risalente al quattordicesimo secolo. Dopo un laborioso restauro è stato riportato all’antico splendore e sarà collocato nella cappella del Santissimo Sacramento, a ricordo del Giubileo della Misericordia».

Papa Bergoglio avverte che «c’è sempre chi specula sul bisogno umano di sicurezze: badate di non lasciarvi ingannare».

Al termine dell’Angelus in piazza San Pietro, mette in evidenza che «si celebra oggi in Italia la tradizionale Giornata del Ringraziamento per i frutti della terra e del lavoro umano. Mi associo ai Vescovi nell’auspicare che la madre terra sia sempre coltivata in modo sostenibile». La Chiesa «è accanto con simpatia e riconoscenza al mondo agricolo ed esorta a non dimenticare quanti, in varie parti del mondo, sono privi dei beni essenziali come il cibo e l’acqua».

 




se anche il papa ci crede davvero … può ‘rifare la teologia’

“abbiamo un papa che crede nel vangelo”Castillo

di José María Castillo

È un fatto certo che nella Chiesa ci sia gente molto religiosa, soprattutto nel clero, che non è d’accordo con papa Francesco. Non penso di analizzare qui questa complicata questione. In questo breve scritto la mia intenzione è dire perché ogni giorno vedo sempre più chiaramente che – finalmente! – abbiamo nella Chiesa un papa che crede al Vangelo di Gesù

Non dico in alcun modo che i papi precedenti non abbiano creduto nel Vangelo. Certo che ci hanno creduto. Quando parliamo del Vangelo, può non essere la stessa cosa credere nel vangelo e vivere come il Vangelo ci dice che dobbiamo vivere. Qui tocchiamo il cuore del problema. Ed in questo sta la chiave di tutta questa questione. Ho letto – e riletto – il discorso che il papa ha pronunciato a Roma il 5 novembre scorso davanti a più di 3.000 partecipanti di 60 paesi, che rappresentavano i movimenti popolari di tutto il mondo. Ebbene, quello che ha richiamato la mia attenzione nel leggere questo discorso papale, è che in esso non si parla di Teologia, di Esegesi Biblica, di Dottrina Sociale della Chiesa, di Scienze Politiche o Sociali, degli insegnamenti del Magistero Ecclesiastico, di Soteriologia, di Escatologia, di Cristologia e di Ecclesiologia, della Modernità e della Post-modernità e di nessuna di quelle cose con le quali si rompono la testa ogni giorno i più intelligenti pensatori del sapere cristiano. Nulla di tutto ciò, a quanto pare, interessa a papa Francesco. Allora, cosa interessa a questo papa quando si vede davanti a coloro che rappresentano le persone più bisognose di questo mondo? Bene, o sono cieco (o mi acceca non so quale strana passione) o le preoccupazioni e le angosce del papa sono esattamente, né più né meno, le stesse preoccupazioni e passioni di Gesù di Nazareth. Di cosa si tratta? Cos’è tutto ciò? Se c’è qualcosa di chiaro nei vangeli, è che il centro delle preoccupazioni di Gesù sia stato Dio. Ma il problema posto dai vangeli non sta in questo. Il problema sta nel modo con cui dobbiamo cercare ed incontrare Dio. Ebbene, se c’è qualcosa di chiaro nel Vangelo, non incontriamo primariamente Dio nella “osservanza della Religione”, ma nella “lotta contro la sofferenza umana”. Per questo il papa ha parlato con tanta forza non dei grandi temi teologici e morali dei quali continuavano a parlare i papi, a partire da Leone XIII fino a Benedetto XVI. Nulla di tutto questo. Quello che Francesco ha fatto nel suo discorso è stato andare direttamente alle stesse cose che ha fatto Gesù. Quando Gesù si è messo ad annunciare il Regno di Dio, cosa ha fatto? Mettersi a curare ammalati, alleviare pene, accogliere persone abbandonate, mangiare con gli affamati….senza considerare in alcun modo se quelle guarigioni e quei pranzi con persone di mala vita e cattiva fama fossero permesse o proibite dalla religione. Senza alcun dubbio, la Chiesa deve cambiare. Ma siamo certi di cosa deve cambiare? Il problema non sta nel cambiare incarichi e dicasteri (uffici) della Curia Vaticana. E il problema non sta neanche nel fatto che il Vaticano affermi l’importanza fondamentale del Vangelo, cosa che ha già fatto tante volte. Tutto questo può limitarsi a semplici chiacchiere. Il problema centrale e decisivo della Chiesa sta nel mettere il motore della sua vita e della sua presenza nella società vivendo come è vissuto Gesù. La formula decisiva è stata espressa da Francesco con brevità e precisione: “parliamo della necessità di un cambiamento perché la vita sia degna”. La “dignità della vita”. In questo sta il centro della religiosità per la quale la Chiesa deve darsi da fare e lottare. E su questo progetto si deve ri-fare la Teologia. Una Teologia meno interessata da problemi come il peccato o la salvezza eterna. E centrata
soprattutto sul:

1. Mettere l’economia al servizio dei popoli.
2. Costruire la pace e la giustizia.
3. Difendere la Madre Terra.

Solo così potremo avere vescovi meno preoccupati dai problemi legati alla sessualità ed all’omosessualità.

papa Vescovi che, di fronte a tanti scandali di abusi di chierici su esseri innocenti, si mettono a guardare da un’altra parte. Ed avremo vescovi che si interessano di più e si danno da fare per opporsi, se è necessario, a governanti che favoriscono i ricchi, mentre questi governanti così “pii” fanno leggi che aumentano la distanza tra i potenti ed i deboli. E soprattutto, se questo si prende sul serio e con tutte le sue conseguenze, avremo una Chiesa non per il popolo, ma del popolo. Non per i poveri, ma dei poveri. Ed alla quale si uniranno i ricchi, se hanno il coraggio di condividere la loro vita con quella dei poveri. Non dimenticando mai una questione che è decisiva. Solo una Chiesa così sarà in grado di comprendere la Cristologia e quindi chiedersi chi è Gesù, come si vive cristianamente e come si annuncia il Vangelo. Perché? Si risponde a questa domanda affrontando un’altra questione, che è quella che ci fa più paura: i primi discepoli come hanno conosciuto Gesù? Non lo hanno conosciuto studiando Cristologia, ma vivendo con LUI e come LUI. Di questo problema così decisivo, la Chiesa, i seminari, i teologi, i vescovi ed i papi non si sono resi conto. Il giorno che questo si affronti seriamente, in questo giorno la Chiesa inizierà ad avere senso ed a dare senso alla vita della gente. E questo, proprio questo è quello che ha messo in moto papa Francesco con le sue “cosiddette” trovate originali. Per questo possiamo dire che abbiamo un papa che crede al Vangelo.
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articolo pubblicato il 13.11.2016 nel Blog dell’Autore in Religión Digital (www.religiondigital.com ) Traduzione a cura di Lorenzo TOMMASELLI




nell’ultima settimana incontra tre volte i clochard e chiede loro perdono

papa Francesco benedice i clochard

“vi chiedo scusa se qualche volta vi ho offeso”

nell’ultima settimana è la terza volta che incontra i senza fissa dimora

Volti segnati, felpe e giubbotti, Papa Francesco percorre il corridoio a braccia spalancate e i clochard che riempiono a migliaia l’Aula Nervi si sporgono per stringergli la mani, lo tirano a sé, uno riesce a baciarlo sulle guance, Christian racconta la sua storia e piange appoggiato alla spalla del pontefice (Corriere della Sera, 11 novembre).
Nell’ultimo fine settimana, prima della conclusione solenne dell’Anno Santo, il Papa ha voluto dedicare tre giorni ai senza fissa dimora. Francesco si rivolge loro con parole paterne: «Vi ringrazio per essere venuti qui a trovarmi, e vi chiedo perdono se qualche volta vi ho offesi con le mie parole o per non aver detto le cose che avrei dovuto dire»,
Poi aggiunge: «Vi chiedo perdono a nome dei cristiani che non leggono nel Vangelo trovandovi al centro la povertà, per tutte le volte che i cristiani di fronte alle persone povere si sono girati dall’altra parte. Perdono. Il vostro perdono è acqua benedetta per noi, limpidezza»

“Chiedo perdono ai poveri per i cristiani che li hanno ignorati”

di Iacopo Scaramuzzi
in “La Stampa-Vatican Insider” dell’11 novembre 2016papa8

Udienza a chi vive per strada per il «Giubileo dei senza fissa dimora»: la povertà è al cuore del Vangelo, insegnate all’umanità la capacità di sognare, la dignità, la solidarietà e la pace. Il Papa ha chiesto ai «poveri a nome dei cristiani che non leggono il Vangelo, che ha al centro la povertà, perdono per tutte quelle volte in cui i cristiani, davanti a una persona povera o una situazione di povertà, ci siamo girati dall’altra parte», nel corso dell’udienza alle persone che vivono o hanno vissuto per strada in occasione del «Giubileo dei senza fissa dimora», ultimo appuntamento prima della conclusione, domenica 20 novembre, dell’Anno santo della misericordia. Francesco ha chiesto ai 6mila poveri presenti in aula «Nervi» di insegnare all’umanità la capacità di sognare, la dignità, la solidarietà e la pace, ed ha concluso l’udienza pregando circondato da un gruppo di senza fissa dimora che gli tenevano la mano sulle spalle. Francesco ha parlato a braccio dopo la testimonianza di due poveri, Christian, francese, e Robert, polacco. «Una cosa che diceva Robert – ha detto il Papa – è: noi non siamo diversi dai grandi del mondo, abbiamo passioni e sogni, anche mille passioni, vogliamo risalire la china. La passione a volte ci fa soffrire, ci crea barriere, esterne e interne, a volta la passione è patologica, ma c’è anche la buona passione, una passione positiva che ci porta a sognare. Per me un uomo, una donna molto povero può avere una povertà diversa dalla vostra, quando perde la capacità di sognare, quando perde la capacità di portare avanti una propria passione. Non smettete di sognare. Il sogno di un povero, di una persona senza tetto, come sarà? Io non lo so, ma voi sognate. Sognate che un giorno magari potrete venire a Roma, e in questo caso il sogno si è realizzato, sognate che il mondo possa essere cambiato, è una semina che nasce dal vostro cuore. Ricordavate una mia parola che uso spesso: che la povertà è nel cuore del Vangelo. Solo colui che sente che gli manca qualcosa guarda in alto e sogna. Colui che ha tutto non può sognare. La gente, le persone semplici, quelli che seguivano Gesù lo seguivano perché sognavano, sognavano che li avrebbe curati, liberati, e lui li liberava. Uomini e donne con passioni e sogni, questa è la prima cosa che volevo dirvi: insegnate a tutti, noi che abbiamo un tetto sulla testa, non ci mancano cibo e medicine, insegnateci a non rimanere soddisfatti con i vostri sogni, e insegnateci a sognare a partire dal Vangelo, a partire dal cuore del Vangelo». «La seconda parola che ci è stata detta… o meglio non è stata detta ma era presente nell’atteggiamento di coloro che hanno parlato», ha proseguito il Papa, che ha pronunciato il suo discorso in spagnolo, «è quando Robert ha detto nella sua lingua, la vie devient si belle, la vita diventa bella, e come riusciamo a vederla bella anche nelle peggiori situazioni che voi vivete. Questo significa dignità, questa è la parola che mi è venuta. La capacità di incontrare, di trovare la bellezza anche nelle cose più tristi, e più toccate dalla sofferenza, questo può farlo solo una persona che ha dignità. Povero sì, ma non che si trascina, questa è la dignità!», ha detto Francesco tra gli applausi. «La stessa dignità che ha avuto Gesù, che è nato povero ed ha vissuto da povero, è la dignità del Vangelo, la dignità che hanno un uomo e una donna che vivono del loro lavoro, poveri sì, ma non dominati, non sfruttati. Io so che molte volte avrete incontrato persone che hanno voluto sfruttarvi, sfruttare la vostra povertà, ma so anche che questo sentimento di vedere che la vita è bella. Questa dignità vi ha salvati dall’essere schiavi. Poveri sì schiavi no. La povertà è al cuore del Vangelo per essere vissuta, la schiavitù non è lì per essere vissuta nel Vangelo, ma per essere liberata». «So che per ognuno di voi, come diceva Robert, a volte spesso è difficile, la vostra vita è stata molto più difficile che la mia, e Robert ha detto che per altri è stata ancora più difficile che per lui:  troveremo sempre qualcuno più povero di noi. Dignità è anche questo: saper essere solidali, saper dare la mano a chi sta soffrendo più di me. La capacità di essere solidale, è uno dei frutti che ci dà la povertà, quando c’è molta ricchezza uno si dimentica di essere solidale, è abituato al fatto che non gli manca niente, quando la povertà ti porta a far soffrire diventi solidale e tendi la mano a chi vive una situazione più difficile della tua. Grazie per questo esempio: insegnate la solidarietà al mondo». Il Papa, riprendendo sempre le parole delle due testimonianza iniziali, ha poi toccato il tema della pace. «La più grande povertà è la guerra», ha detto il Papa, «la povertà che distrugge: ascoltare questo dalle labbra di un uomo che ha sofferto la povertà materiale, la povertà della salute, è un appello a lavorare per la pace. La pace per noi cristiani è cominciata in una stalla, in una mangiatoia, da una famiglia emarginata, la pace che Dio vuole per ognuno dei suoi figli. E voi a partire dalla vostra povertà, dalla vostra situazione, potete essere artefici di pace. La guerra se la fanno tra i ricchi, per possedere di più, poi territorio potere denaro, è molto triste quando la guerra viene fuori tra i poveri, perché è una cosa rara. I poveri a motivo della loro povertà sono più inclini a essere operatori di pace, artefici di pace, credono nella pace. Date un esempio di pace. Abbiamo bisogno di pace nel mondo. Abbiamo bisogno di pace nella Chiesa. Tutte le Chiese hanno bisogno di pace, tutte le religioni hanno bisogno di crescere nella pace perché tute le religioni devono crescere nella pace. Ognuno di voi, nella vostra religione, può aiutare, la pace che nasce nel cuore, cercando l’armonia che dà la dignità. Io vi ringrazio di essere venuti qui a visitarmi, ringrazio quelli che hanno dato la loro testimonianza». «Vi chiedo perdono – ha concluso il Papa – se a volte vi ho offesi con le mie parole o per non aver detto le cose che avrei dovuto dire. Vi chiedo perdono a nome dei cristiani che non leggono il Vangelo, che ha al centro la povertà, perdono per tutte quelle volte in cui i cristiani, davanti a una persona povera o una situazione di povertà, ci siamo girati dall’altra parte. Il vostro perdono è acqua benedetta per noi, è limpidezza per tornare a capire che al cuore del vangelo c’è la povertà e che noi cristiani dobbiamo costruire una Chiesa povera per i poveri, e ogni uomo e donna di ogni religione deve vedere in ogni povero un messaggio di Dio che si fa povero per accompagnarci nella vita». Il Papa ha concluso l’udienza con una preghiera: «Dio padre di ognuno di noi, ti chiedo che tu ci dia forza, gioia, che ci insegni a sognare, per guardare avanti, ci insegni a essere solidali perché siamo fratelli e ci aiuti a difendere la dignità: tu sei il padre di ognuno di noi, benedicici padre». Il Giubileo dei senza fissa dimora è promosso dall’associazione «Fratello». Oggi i 6mila partecipanti provenienti da diversi paesi europei (Francia, Germania, Portogallo, Inghilterra, Spagna, Polonia, Italia) sono stati ricevuti in udienza dal Papa, nell’aula Paolo VI, domenica assisteranno alla Messa presieduta dallo stesso Francesco a San Pietro. Tra questi due momenti importanti, avrà luogo una grande Veglia di preghiera presieduta dal cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, che ha introdotto l’incontro. Etienne Villemain, fondatore dell’associazione «Lazar» che ha promosso il viaggio a Roma, ha proposto, introducendo l’udienza, che, oltre alla Giornata mondiale della Gioventù, si organizzi una «Giornata mondiale dei poveri».




il terrorismo del denaro che governa il mondo secondo papa Francesco – il discorso ai ‘movimenti popolari’

papa Francesco

‘uno scandalo salvare le banche e non la gente’

‘su migranti situazione obbrobriosa, una vergogna’

c’è “una bancarotta” dell’umanità al quale non si vuole porre riparo. Lo ha detto il Papa nell’udienza ai movimenti popolari. “Cosa succede al mondo di oggi che, quando avviene la bancarotta di una banca, immediatamente appaiono somme scandalose per salvarla, ma quando avviene questa bancarotta dell’umanità non c’è quasi una millesima parte per salvare quei fratelli che soffrono tanto? E così il Mediterraneo è diventato un cimitero, e non solo il Mediterraneo… molti cimiteri vicino ai muri, muri macchiati di sangue innocente”
la situazione dei migranti e dei rifugiati è “obbrobriosa, che posso solo descrivere con una parola che mi venne fuori spontaneamente a Lampedusa: vergogna”. Per il Papa il terrorismo è legato al denaro che governa il mondo con “la frusta della paura”movimiento-indigena-en-al1

 

DISCORSO DI PAPA FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL 3° INCONTRO MONDIALE DEI MOVIMENTI POPOLARI

Aula Paolo VI
Sabato, 5 novembre 2016

 

Fratelli e sorelle buon pomeriggio!

In questo nostro terzo incontro esprimiamo la stessa sete, la sete di giustizia, lo stesso grido: terra, casa e lavoro per tutti.

Ringrazio i delegati che sono venuti dalle periferie urbane, rurali e industriali dei cinque continenti, più di 60 Paesi, che sono venuti per discutere ancora una volta su come difendere questi diritti che radunano. Grazie ai Vescovi che sono venuti ad accompagnarvi. Grazie alle migliaia di italiani ed europei che si sono uniti oggi al termine di questo incontro. Grazie agli osservatori e ai giovani impegnati nella vita pubblica che sono venuti con umiltà ad ascoltare ed imparare. Quanta speranza ho nei giovani! Ringrazio anche Lei, Cardinale Turkson, per il lavoro che avete fatto nel Dicastero; e vorrei anche ricordare il contributo dell’ex Presidente uruguaiano José Mujica che è presente.

Nel nostro ultimo incontro, in Bolivia, con maggioranza di latinoamericani, abbiamo parlato della necessità di un cambiamento perché la vita sia degna, un cambiamento di strutture; inoltre di come voi, i movimenti popolari, siete seminatori di cambiamento, promotori di un processo in cui convergono milioni di piccole e grandi azioni concatenate in modo creativo, come in una poesia; per questo ho voluto chiamarvi “poeti sociali”; e abbiamo anche elencato alcuni compiti imprescindibili per camminare verso un’alternativa umana di fronte alla globalizzazione dell’indifferenza: 1. mettere l’economia al servizio dei popoli; 2. costruire la pace e la giustizia; 3. difendere la Madre Terra.movimenti-popolari

Quel giorno, con la voce di una “cartonera” e di un contadino, vennero letti, alla conclusione, i dieci punti di Santa Cruz de la Sierra, dove la parola cambiamento era carica di gran contenuto, era legata alle cose fondamentali che voi rivendicate: lavoro dignitoso per quanti sono esclusi dal mercato del lavoro; terra per i contadini e le popolazioni indigene; abitazioni per le famiglie senza tetto; integrazione urbana per i quartieri popolari; eliminazione della discriminazione, della violenza contro le donne e delle nuove forme di schiavitù; la fine di tutte le guerre, del crimine organizzato e della repressione; libertà di espressione e di comunicazione democratica; scienza e tecnologia al servizio dei popoli. Abbiamo ascoltato anche come vi siete impegnati ad abbracciare un progetto di vita che respinga il consumismo e recuperi la solidarietà, l’amore tra di noi e il rispetto per la natura come valori essenziali. È la felicità di “vivere bene” ciò che voi reclamate, la “vita buona”, e non quell’ideale egoista che ingannevolmente inverte le parole e propone la “bella vita”.

Noi che oggi siamo qui, di origini, credenze e idee diverse, potremmo non essere d’accordo su tutto, sicuramente la pensiamo diversamente su molte cose, ma certamente siamo d’accordo su questi punti.

Ho saputo anche di incontri e laboratori tenuti in diversi Paesi, dove si sono moltiplicati i dibattiti alla luce della realtà di ogni comunità. Questo è molto importante perché le soluzioni reali alle problematiche attuali non verranno fuori da una, tre o mille conferenze: devono essere frutto di un discernimento collettivo che maturi nei territori insieme con i fratelli, un discernimento che diventa azione trasformatrice “secondo i luoghi, i tempi e le persone”, come diceva sant’Ignazio. Altrimenti, corriamo il rischio delle astrazioni, di «certi nominalismi dichiarazionisti (slogans) che sono belle frasi ma che non riescono a sostenere la vita delle nostre comunità» (Lettera al Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, 19 marzo 2016). Sono slogan! Il colonialismo ideologico globalizzante cerca di imporre ricette sovraculturali che non rispettano l’identità dei popoli. Voi andate su un’altra strada che è, allo stesso tempo, locale e universale. Una strada che mi ricorda come Gesù chiese di organizzare la folla in gruppi di cinquanta per distribuire il pane (cfr Omelia nella Solennità del Corpus Domini, Buenos Aires, 12 giugno 2004).movimenti-popolari1

Poco fa abbiamo potuto vedere il video che avete presentato come conclusione di questo terzo incontro. Abbiamo visto i vostri volti nelle discussioni su come affrontare “la disuguaglianza che genera violenza”. Tante proposte, tanta creatività, tanta speranza nella vostra voce che forse avrebbe più motivi per lamentarsi, rimanere bloccata nei conflitti, cadere nella tentazione del negativo. Eppure guardate avanti, pensate, discutete, proponete e agite. Mi congratulo con voi, vi accompagno e vi chiedo di continuare ad aprire strade e a lottare. Questo mi dà forza, questo ci dà forza. Credo che questo nostro dialogo, che si aggiunge agli sforzi di tanti milioni di persone che lavorano quotidianamente per la giustizia in tutto il mondo, sta mettendo radici.

Vorrei toccare alcuni temi più specifici, che sono quelli che ho ricevuto da voi e che mi hanno fatto riflettere e che ora vi riporto, in questo momento.

1. Il terrore e i muri

Tuttavia, questa germinazione, che è lenta – quella alla quale mi riferivo -, che ha i suoi tempi come tutte le gestazioni, è minacciata dalla velocità di un meccanismo distruttivo che opera in senso contrario. Ci sono forze potenti che possono neutralizzare questo processo di maturazione di un cambiamento che sia in grado di spostare il primato del denaro e mettere nuovamente al centro l’essere umano, l’uomo e la donna. Quel “filo invisibile” di cui abbiamo parlato in Bolivia, quella struttura ingiusta che collega tutte le esclusioni che voi soffrite, può consolidarsi e trasformarsi in una frusta, una frusta esistenziale che, come nell’Egitto dell’Antico Testamento, rende schiavi, ruba la libertà, colpisce senza misericordia alcuni e minaccia costantemente altri, per abbattere tutti come bestiame fin dove vuole il denaro divinizzato.

Chi governa allora? Il denaro. Come governa? Con la frusta della paura, della disuguaglianza, della violenza economica, sociale, culturale e militare che genera sempre più violenza in una spirale discendente che sembra non finire mai. Quanto dolore e quanta paura! C’è – l’ho detto di recente – c’è un terrorismo di base che deriva dal controllo globale del denaro sulla terra e minaccia l’intera umanità. Di questo terrorismo di base si alimentano i terrorismi derivati come il narco-terrorismo, il terrorismo di stato e quello che alcuni erroneamente chiamano terrorismo etnico o religioso. Ma nessun popolo, nessuna religione è terrorista! È vero, ci sono piccoli gruppi fondamentalisti da ogni parte. Ma il terrorismo inizia quando «hai cacciato via la meraviglia del creato, l’uomo e la donna, e hai messo lì il denaro» (Conferenza stampa nel volo di ritorno del Viaggio Apostolico in Polonia, 31 luglio 2016). Tale sistema è terroristico.

Quasi cent’anni fa, Pio XI prevedeva l’affermarsi di una dittatura economica globale che chiamò «imperialismo internazionale del denaro» (Lett. enc. Quadragesimo anno, 15 maggio 1931, 109). Sto parlando dell’anno 1931! L’aula in cui ora ci troviamo si chiama “Paolo VI”, e fu Paolo VI che denunciò quasi cinquant’anni fa, la «nuova forma abusiva di dominio economico sul piano sociale, culturale e anche politico» (Lett. ap. Octogesima adveniens, 14 maggio 1971, 44). Anno 1971. Sono parole dure ma giuste dei miei predecessori che scrutarono il futuro. La Chiesa e i profeti dicono, da millenni, quello che tanto scandalizza che lo ripeta il Papa in questo tempo in cui tutto ciò raggiunge espressioni inedite. Tutta la dottrina sociale della Chiesa e il magistero dei miei predecessori si ribella contro l’idolo denaro che regna invece di servire, tiranneggia e terrorizza l’umanità.movimenti-popolari2

Nessuna tirannia si sostiene senza sfruttare le nostre paure. Questo è una chiave! Da qui il fatto che ogni tirannia sia terroristica. E quando questo terrore, che è stato seminato nelle periferie con massacri, saccheggi, oppressione e ingiustizia, esplode nei centri con diverse forme di violenza, persino con attentati odiosi e vili, i cittadini che ancora conservano alcuni diritti sono tentati dalla falsa sicurezza dei muri fisici o sociali. Muri che rinchiudono alcuni ed esiliano altri. Cittadini murati, terrorizzati, da un lato; esclusi, esiliati, ancora più terrorizzati, dall’altro. È questa la vita che Dio nostro Padre vuole per i suoi figli?

La paura viene alimentata, manipolata… Perché la paura, oltre ad essere un buon affare per i mercanti di armi e di morte, ci indebolisce, ci destabilizza, distrugge le nostre difese psicologiche e spirituali, ci anestetizza di fronte alla sofferenza degli altri e alla fine ci rende crudeli. Quando sentiamo che si festeggia la morte di un giovane che forse ha sbagliato strada, quando vediamo che si preferisce la guerra alla pace, quando vediamo che si diffonde la xenofobia, quando constatiamo che guadagnano terreno le proposte intolleranti; dietro questa crudeltà che sembra massificarsi c’è il freddo soffio della paura. Vi chiedo di pregare per tutti coloro che hanno paura, preghiamo che Dio dia loro coraggio e che in questo anno della misericordia possa ammorbidire i nostri cuori. La misericordia non è facile, non è facile… richiede coraggio. Per questo Gesù ci dice: «Non abbiate paura» (Mt 14,27), perché la misericordia è il miglior antidoto contro la paura. E’ molto meglio degli antidepressivi e degli ansiolitici. Molto più efficace dei muri, delle inferriate, degli allarmi e delle armi. Ed è gratis: è un dono di Dio.

Cari fratelli e sorelle, tutti i muri cadono. Tutti. Non lasciamoci ingannare. Come avete detto voi: «Continuiamo a lavorare per costruire ponti tra i popoli, ponti che ci permettano di abbattere i muri dell’esclusione e dello sfruttamento» (Documento Conclusivo del II Incontro mondiale dei movimenti popolari, 11 luglio 2015, Santa Cruz de la Sierra, Bolivia). Affrontiamo il terrore con l’amore.

Il secondo punto che voglio toccare è: l’Amore e i ponti.

Un giorno come questo, un sabato, Gesù fece due cose che, ci dice il Vangelo, affrettarono il complotto per ucciderlo. Passava con i suoi discepoli per un campo da semina. I discepoli avevano fame e mangiarono le spighe. Niente si dice del “padrone” di quel campo… soggiacente è la destinazione universale dei beni. Quello che è certo è che, di fronte alla fame, Gesù ha dato priorità alla dignità dei figli di Dio su un’interpretazione formalistica, accomodante e interessata dalla norma. Quando i dottori della legge lamentarono con indignazione ipocrita, Gesù ricordò loro che Dio vuole amore e non sacrifici, e spiegò che il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato (cfr Mc 2,27). Affrontò il pensiero ipocrita e presuntuoso con l’intelligenza umile del cuore (cfr Omelia, I Congreso de Evangelización de la Cultura, Buenos Aires, 3 novembre 2006), che dà sempre la priorità all’uomo e non accetta che determinate logiche impediscano la sua libertà di vivere, amare e servire il prossimo.

E dopo, in quello stesso giorno, Gesù fece qualcosa di “peggiore”, qualcosa che irritò ancora di più gli ipocriti e i superbi che lo stavano osservando perché cercavano una scusa per catturarlo. Guarì la mano atrofizzata di un uomo. La mano, questo segno tanto forte dell’operare, del lavoro. Gesù restituì a quell’uomo la capacità di lavorare e con questo gli restituì la dignità. Quante mani atrofizzate, quante persone private della dignità del lavoro! Perché gli ipocriti, per difendere sistemi ingiusti, si oppongono a che siano guariti. A volte penso che quando voi, i poveri organizzati, vi inventate il vostro lavoro, creando una cooperativa, recuperando una fabbrica fallita, riciclando gli scarti della società dei consumi, affrontando l’inclemenza del tempo per vendere in una piazza, rivendicando un pezzetto di terra da coltivare per nutrire chi ha fame, quando fate questo state imitando Gesù, perché cercate di risanare, anche se solo un pochino, anche se precariamente, questa atrofia del sistema socio-economico imperante che è la disoccupazione. Non mi stupisce che anche voi a volte siate sorvegliati o perseguitati, né mi stupisce che ai superbi non interessi quello che voi dite.

Gesù che quel sabato rischiò la vita, perché, dopo che guarì quella mano, farisei ed erodiani (cfr Mc 3,6), due partiti opposti tra loro, che temevano il popolo e anche l’impero, fecero i loro calcoli e complottarono per ucciderlo. So che molti di voi rischiano la vita. So – e lo voglio ricordare, e la voglio ricordare – che alcuni non sono qui oggi perché si sono giocati la vita… Per questo non c’è amore più grande che dare la vita. Questo ci insegna Gesù.

Le 3-T, il vostro grido che faccio mio, ha qualcosa di quella intelligenza umile ma al tempo stesso forte e risanatrice. Un progetto-ponte dei popoli di fronte al progetto-muro del denaro. Un progetto che mira allo sviluppo umano integrale. Alcuni sanno che il nostro amico il Cardinale Turkson presiede adesso il Dicastero che porta questo nome: Sviluppo Umano Integrale. Il contrario dello sviluppo, si potrebbe dire, è l’atrofia, la paralisi. Dobbiamo aiutare a guarire il mondo dalla sua atrofia morale. Questo sistema atrofizzato è in grado di fornire alcune “protesi” cosmetiche che non sono vero sviluppo: crescita economica, progressi tecnologici, maggiore “efficienza” per produrre cose che si comprano, si usano e si buttano inglobandoci tutti in una vertiginosa dinamica dello scarto… Ma questo mondo non consente lo sviluppo dell’essere umano nella sua integralità, lo sviluppo che non si riduce al consumo, che non si riduce al benessere di pochi, che include tutti i popoli e le persone nella pienezza della loro dignità, godendo fraternamente la meraviglia del creato. Questo è lo sviluppo di cui abbiamo bisogno: umano, integrale, rispettoso del creato, di questa casa comune.

Un altro punto è: Bancarotta e salvataggio.

Cari fratelli, voglio condividere con voi alcune riflessioni su altri due temi che, insieme alle “3-T” e all’ecologia integrale, sono stati al centro dei vostri dibattiti degli ultimi giorni e sono centrali in questo periodo storico.

So che avete dedicato una giornata al dramma dei migranti, dei rifugiati e degli sfollati. Cosa fare di fronte a questa tragedia? Nel Dicastero di cui è responsabile il Cardinale Turkson c’è una sezione che si occupa di queste situazioni. Ho deciso che, almeno per un certo tempo, quella sezione dipenda direttamente dal Pontefice, perché questa è una situazione obbrobriosa, che posso solo descrivere con una parola che mi venne fuori spontaneamente a Lampedusa: vergogna.

Lì, come anche a Lesbo, ho potuto ascoltare da vicino la sofferenza di tante famiglie espulse dalla loro terra per motivi economici o violenze di ogni genere, folle esiliate – l’ho detto di fronte alle autorità di tutto il mondo – a causa di un sistema socio-economico ingiusto e delle guerre che non hanno cercato, che non hanno creato coloro che oggi soffrono il doloroso sradicamento dalla loro patria, ma piuttosto molti di coloro che si rifiutano di riceverli.

Faccio mie le parole di mio fratello l’Arcivescovo Hieronymos di Grecia: «Chi vede gli occhi dei bambini che incontriamo nei campi profughi è in grado di riconoscere immediatamente, nella sua interezza, la “bancarotta” dell’umanità» (Discorso nel Campo profughi di Moria, Lesbos, 16 aprile 2016). Cosa succede al mondo di oggi che, quando avviene la bancarotta di una banca, immediatamente appaiono somme scandalose per salvarla, ma quando avviene questa bancarotta dell’umanità non c’è quasi una millesima parte per salvare quei fratelli che soffrono tanto? E così il Mediterraneo è diventato un cimitero, e non solo il Mediterraneo… molti cimiteri vicino ai muri, muri macchiati di sangue innocente. Nei giorni di questo incontro – lo dite nel video – quanti sono i morti nel Mediterraneo?

La paura indurisce il cuore e si trasforma in crudeltà cieca che si rifiuta di vedere il sangue, il dolore, il volto dell’altro. Lo ha detto il mio fratello il Patriarca Bartolomeo: «Chi ha paura di voi non vi ha guardato negli occhi. Chi ha paura di voi non ha visto i vostri volti. Chi ha paura non vede i vostri figli. Dimentica che la dignità e la libertà trascendono la paura e trascendono la divisione. Dimentica che la migrazione non è un problema del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale, dell’Europa e della Grecia. È un problema del mondo» (Discorso nel Campo profughi di Moria, Lesbos, 16 aprile 2016).

E’, veramente, un problema del mondo. Nessuno dovrebbe vedersi costretto a fuggire dalla propria patria. Ma il male è doppio quando, davanti a quelle terribili circostanze, il migrante si vede gettato nelle grinfie dei trafficanti di persone per attraversare le frontiere, ed è triplo se arrivando nella terra in cui si pensava di trovare un futuro migliore, si viene disprezzati, sfruttati, addirittura schiavizzati. Questo si può vedere in qualunque angolo di centinaia di città. O semplicemente non si lasciano entrare.

Chiedo a voi di fare tutto il possibile; di non dimenticare mai che anche Gesù, Maria e Giuseppe sperimentarono la condizione drammatica dei rifugiati. Vi chiedo di esercitare quella solidarietà così speciale che esiste tra coloro che hanno sofferto. Voi sapete recuperare fabbriche dai fallimenti, riciclare ciò che altri gettano, creare posti di lavoro, coltivare la terra, costruire abitazioni, integrare quartieri segregati e reclamare senza sosta come la vedova del Vangelo che chiede giustizia insistentemente (cfr Lc 18,1-8). Forse con il vostro esempio e la vostra insistenza, alcuni Stati e Organizzazioni internazionali apriranno gli occhi e adotteranno le misure adeguate per accogliere e integrare pienamente tutti coloro che, per un motivo o per un altro, cercano rifugio lontano da casa. E anche per affrontare le cause profonde per cui migliaia di uomini, donne e bambini vengono espulsi ogni giorno dalla loro terra natale.

Dare l’esempio e reclamare è un modo di fare politica, e questo mi porta al secondo tema che avete dibattuto nel vostro incontro: il rapporto tra popolo e democrazia. Un rapporto che dovrebbe essere naturale e fluido, ma che corre il pericolo di offuscarsi fino a diventare irriconoscibile. Il divario tra i popoli e le nostre attuali forme di democrazia si allarga sempre più come conseguenza dell’enorme potere dei gruppi economici e mediatici che sembrano dominarle. I movimenti popolari, lo so, non sono partiti politici e lasciate che vi dica che, in gran parte, qui sta la vostra ricchezza, perché esprimete una forma diversa, dinamica e vitale di partecipazione sociale alla vita pubblica. Ma non abbiate paura di entrare nelle grandi discussioni, nella Politica con la maiuscola, e cito di nuovo Paolo VI: «La politica è una maniera esigente – ma non è la sola – di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri» (Lett. ap. Octogesima adveniens, 14 maggio 1971, 46). O questa frase che ripeto tante volte, e sempre mi confondo, non so se è di Paolo VI o di Pio XII: “La politica è una delle forme più alte della carità, dell’amore”.

Vorrei sottolineare due rischi che ruotano attorno al rapporto tra i movimenti popolari e politica: il rischio di lasciarsi incasellare e il rischio di lasciarsi corrompere.

Primo, non lasciarsi imbrigliare, perché alcuni dicono: la cooperativa, la mensa, l’orto agroecologico, le microimprese, il progetto dei piani assistenziali… fin qui tutto bene. Finché vi mantenete nella casella delle “politiche sociali”, finché non mettete in discussione la politica economica o la politica con la maiuscola, vi si tollera. Quell’idea delle politiche sociali concepite come una politica verso i poveri, ma mai con i poveri, mai dei i poveri e tanto meno inserita in un progetto che riunisca i popoli, mi sembra a volte una specie di carro mascherato per contenere gli scarti del sistema. Quando voi, dal vostro attaccamento al territorio, dalla vostra realtà quotidiana, dal quartiere, dal locale, dalla organizzazione del lavoro comunitario, dai rapporti da persona a persona, osate mettere in discussione le “macrorelazioni”, quando strillate, quando gridate, quando pretendete di indicare al potere una impostazione più integrale, allora non ci si tollera, non ci si tollera più tanto perché state uscendo dalla casella, vi state mettendo sul terreno delle grandi decisioni che alcuni pretendono di monopolizzare in piccole caste. Così la democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività, va disincarnandosi perché lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la dignità, nella costruzione del suo destino.

Voi, organizzazioni degli esclusi e tante organizzazioni di altri settori della società, siete chiamati a rivitalizzare, a rifondare le democrazie che stanno attraversando una vera crisi. Non cadete nella tentazione della casella che vi riduce ad attori secondari o, peggio, a meri amministratori della miseria esistente. In questi tempi di paralisi, disorientamento e proposte distruttive, la partecipazione da protagonisti dei popoli che cercano il bene comune può vincere, con l’aiuto di Dio, i falsi profeti che sfruttano la paura e la disperazione, che vendono formule magiche di odio e crudeltà o di un benessere egoistico e una sicurezza illusoria.

Sappiamo che «finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 202). Per questo, l’ho detto e lo ripeto, «il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. E’ soprattutto nelle mani dei popoli; nella loro capacità di organizzarsi ed anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento» (Discorso al II incontro mondiale dei movimenti popolari, Santa Cruz de la Sierra, 9 luglio 2015). Anche la Chiesa può e deve, senza pretendere di avere il monopolio della verità, pronunciarsi e agire specialmente davanti a «situazioni in cui si toccano le piaghe e le sofferenze drammatiche, e nelle quali sono coinvolti i valori, l’etica, le scienze sociali e la fede» (Intervento al vertice di giudici e magistrati contro il traffico di persone e il crimine organizzato, Vaticano, 3 giugno 2016). Questo è il primo rischio: il rischio di lasciarsi incasellare e l’invito a mettersi nella grande politica.

Il secondo rischio, vi dicevo, è lasciarsi corrompere. Come la politica non è una questione dei “politici”, la corruzione non è un vizio esclusivo della politica. C’è corruzione nella politica, c’è corruzione nelle imprese, c’è corruzione nei mezzi di comunicazione, c’è corruzione nelle chiese e c’è corruzione anche nelle organizzazioni sociali e nei movimenti popolari. E’ giusto dire che c’è una corruzione radicata in alcuni ambiti della vita economica, in particolare nell’attività finanziaria, e che fa meno notizia della corruzione direttamente legata all’ambito politico e sociale. E’ giusto dire che tante volte si utilizzano i casi corruzione con cattive intenzioni. Ma è anche giusto chiarire che quanti hanno scelto una vita di servizio hanno un obbligo ulteriore che si aggiunge all’onestà con cui qualunque persona deve agire nella vita. La misura è molto alta: bisogna vivere la vocazione di servire con un forte senso di austerità e di umiltà. Questo vale per i politici ma vale anche per i dirigenti sociali e per noi pastori. Ho detto “austerità” e vorrei chiarire a cosa mi riferisco con la parola austerità, perché può essere una parola equivoca. Intendo austerità morale, austerità nel modo di vivere, austerità nel modo in cui porto avanti la mia vita, la mia famiglia. Austerità morale e umana. Perché in campo più scientifico, scientifico-economico, se volete, o delle scienze del mercato, austerità è sinonimo di aggiustamento… Non mi riferisco a questo, non sto parlando di questo.

A qualsiasi persona che sia troppo attaccata alle cose materiali o allo specchio, a chi ama il denaro, i banchetti esuberanti, le case sontuose, gli abiti raffinati, le auto di lusso, consiglierei di capire che cosa sta succedendo nel suo cuore e di pregare Dio di liberarlo da questi lacci. Ma, parafrasando l’ex-presidente latinoamericano che si trova qui, colui che sia affezionato a tutte queste cose, per favore, che non si metta in politica, che non si metta in un’organizzazione sociale o in un movimento popolare, perché farebbe molto danno a sé stesso, al prossimo e sporcherebbe la nobile causa che ha intrapreso. E che neanche si metta nel seminario!

Davanti alla tentazione della corruzione, non c’è miglior rimedio dell’austerità, questa austerità morale, personale; e praticare l’austerità è, in più, predicare con l’esempio. Vi chiedo di non sottovalutare il valore dell’esempio perché ha più forza di mille parole, di mille volantini, di mille “mi piace”, di mille retweets, di mille video su youtube. L’esempio di una vita austera al servizio del prossimo è il modo migliore per promuovere il bene comune e il progetto-ponte delle “3-T”. Chiedo a voi dirigenti di non stancarvi di praticare questa austerità morale, personale, e chiedo a tutti di esigere dai dirigenti questa austerità, che – del resto – li farà essere molto felici.

Care sorelle e cari fratelli,

la corruzione, la superbia e l’esibizionismo dei dirigenti aumenta il discredito collettivo, la sensazione di abbandono e alimenta il meccanismo della paura che sostiene questo sistema iniquo.

Vorrei, per concludere, chiedervi di continuare a contrastare la paura con una vita di servizio, solidarietà e umiltà in favore dei popoli e specialmente di quelli che soffrono. Potrete sbagliare tante volte, tutti sbagliamo, ma se perseveriamo in questo cammino, presto o tardi, vedremo i frutti. E insisto: contro il terrore, il miglior rimedio è l’amore. L’amore guarisce tutto. Alcuni sanno che dopo il Sinodo sulla famiglia ho scritto un documento che ha per titolo “Amoris laetitia” – la “gioia dell’amore” – un documento sull’amore nelle singole famiglie, ma anche in quell’altra famiglia che è il quartiere, la comunità, il popolo, l’umanità. Uno di voi mi ha chiesto di distribuire un fascicolo che contiene un frammento del capitolo quarto di questo documento. Penso che ve lo consegneranno all’uscita. E quindi con la mia benedizione. Lì ci sono alcuni “consigli utili” per praticare il più importante dei comandamenti di Gesù.

In Amoris laetitia cito un compianto leader afroamericano, Martin Luther King, il quale sapeva sempre scegliere l’amore fraterno persino in mezzo alle peggiori persecuzioni e umiliazioni. Voglio ricordarlo oggi con voi; diceva: «Quando ti elevi al livello dell’amore, della sua grande bellezza e potere, l’unica cosa che cerchi di sconfiggere sono i sistemi maligni. Le persone che sono intrappolate da quel sistema le ami, però cerchi di sconfiggere quel sistema […] Odio per odio intensifica solo l’esistenza dell’odio e del male nell’universo. Se io ti colpisco e tu mi colpisci, e ti restituisco il colpo e tu mi restituisci il colpo, e così di seguito, è evidente che si continua all’infinito. Semplicemente non finisce mai. Da qualche parte, qualcuno deve avere un po’ di buon senso, e quella è la persona forte. La persona forte è la persona che è capace di spezzare la catena dell’odio, la catena del male» (n. 118; Sermone nella chiesa Battista di Dexter Avenue, Montgomery, Alabama, 17 novembre 1957). Questo lo ha detto nel 1957.

Vi ringrazio nuovamente per il vostro lavoro, per la vostra presenza. Desidero chiedere a Dio nostro Padre che vi accompagni e vi benedica, che vi riempia del suo amore e vi difenda nel cammino dandovi in abbondanza la forza che ci mantiene in piedi e ci dà il coraggio per rompere la catena dell’odio: quella forza è la speranza. Vi chiedo per favore di pregare per me, e quelli che non possono pregare, lo sapete, pensatemi bene e mandatemi una buona onda. Grazie.