la prudenza a cui richiama papa Francesco non è rinuncia all’accoglienza e chiusura

prudenza non è chiusura precauzionale

di Dominique Greiner
in “La Croix” del 3 novembre 2016 papa8

L’afflusso dei rifugiati provenienti dall’Iraq e dalla Siria non è una minaccia per la cultura cristiana del continente europeo? La risposta di papa Francesco alla domanda che gli è stata rivolta durante la conferenza stampa nel volo che lo riportava a Roma martedì pomeriggio, fa dei distinguo e merita di essere letta integralmente. Ha riaffermato la necessità di mantenere la distinzione tra rifugiati e migranti, ha ridetto che l’emigrazione è un diritto, ma un “diritto che deve essere regolato”, e ha ricordato che “l’Europa si è fatta di migrazioni”, con un’integrazione permanente di molte culture. “Credo che in teoria non si possa chiudere il cuore a un rifugiato. Ma c’è anche la prudenza dei governanti, che devono essere molto aperti a riceverli ma anche a fare il calcolo di come poterli sistemare, perché non solo un rifugiato lo si deve ricevere, ma lo si deve integrare», ha proseguito il papa. Affermazioni che sono state subito interpretate da alcuni come un’inflessione salutare di una posizione giudicata fino ad ora poco realistica e perfino ingenua. Ma sulle labbra di papa Francesco, prudenza non è sinonimo di chiusura precauzionale… Il governo prudente non è quello che decide di chiudere le frontiere, per paura, per egoismo, per convenienza, senza considerazione per le persone, ma quello che sa unire, da un lato, “rettitudine e severità” e dall’altro “bontà e dolcezza”, e soprattutto è quello che “calcola”, cioè accetta di guardare al di là del presente immediato per preparare il futuro. La prudenza non è una virtù che si può invocare per giustificare il ripiegamento in se stessi. È un principio di azione esigente.

papa Francesco dice grazie a Lutero – una piccola rassegna stampa

 

 
 

ECCO PERCHÈ DOVREMMO DIRE GRAZIE A MARTIN LUTERO

 
papa Francesco vola in Svezia per l’apertura delle celebrazioni del 500° anniversario della Riforma. L’analisi di Giovanni Ferrò sulle pagine di Jesus:
 
A cinquecento anni di distanza dall’affissione delle 95 tesi di Lutero sul portone della chiesa del castello di Wittenberg, ci sono molti motivi per i quali l’intera ecumene cristiana dovrebbe non soltanto riconciliarsi con la memoria degli eventi che portarono alla nascita delle Chiese protestanti, ma anche ringraziare i padri della Riforma per ciò che, con il loro insegnamento, hanno ricordato a tutti i cristiani. Senza la Riforma, ad esempio, probabilmente i cattolici non avrebbero re-imparato ad amare e studiare la Parola di Dio; il ruolo dei laici, forse, non sarebbe stato valorizzato; e chissà se il fondamento stesso della nostra fede, Gesù Cristo crocifisso, sarebbe stato ripulito da tante incrostazioni devozionali accumulatesi nel tempo.
 
In fondo, il fatto che papa Francesco abbia accettato volentieri l’invito a celebrare ecumenicamente quell’anniversario il 31 ottobre prossimo a Lund, in Svezia, implica anche questo riconoscimento: che Lutero, Calvino e gli altri non erano poi «cinghiali» che devastavano «la vigna del Signore», come scriveva papa Alessandro VI nella bolla di scomunica contro il monaco tedesco, ma credenti appassionati del Vangelo, che denunciavano corruzione ed esasperazioni dogmatiche nella Chiesa del tempo. 
 
Nonostante il cammino sia ancora lungo, oggi viviamo un tempo propizio per una nuova comprensione reciproca e una sincera fraternità ecumenica. Ma che farne di questo momento di grazia? Ho l’impressione che abbracci ecclesiastici e intese tra teologi non possano più bastare. In un mondo post-secolare, in cui a contendersi lo scenario pubblico sono una visione totalmente areligiosa del mondo e una opposta di tipo integralista, i credenti che si richiamano al Vangelo di Gesù Cristo saranno sempre più una piccola minoranza. Il rischio è che il timore di perdere influenza o di scomparire terrorizzi le comunità cristiane, spingendole verso forme di neoidentitarismo aggressivo. Lo spirito di amicizia e l’ascolto delle ragioni dell’altro, allora, possono servire anche a questo: apprendere, gli uni dagli altri, i modi nuovi per vivere felicemente il comandamento della nuda testimonianza cristiana anche in un tempo di evangelica fragilità.

una essenziale rassegna stampa di questo evento di carattere storico

(con l’aiuto  preziosissimo di ‘finesettimana’):

 

Lutero, le 95 tesi e il Pontefice latino che oggi cancella secoli di conflitti di Lucetta Scaraffia in Corriere della Sera del 1 novembre 2016

Ci voleva un papa, insomma, sottratto ai duri condizionamenti storici della vecchia Europa, un papa come Francesco che ha incontrato un protestantesimo più vivo di quello europeo, attento come i cattolici, e talvolta accanto ai cattolici, … per fare un gesto di pace così clamorosamente concreto come quello odierno.
«Ora abbiamo la possibilità di riparare ad un momento cruciale della nostra storia, superando controversie e malintesi». Francesco alza lo sguardo, «Gesù ci incoraggia a purificare il nostro passato»,
«Penso che il prossimo punto da sciogliere sia quello del riconoscimento da parte cattolica delle Chiese riformate come vere e proprie chiese di Cristo ».
«L’esperienza spirituale di Martin Lutero ci interpella e ci ricorda che non possiamo fare nulla senza Dio». A Lund, in Svezia, all’interno dell’antica cattedrale dove è stata fondata la Federazione luterana mondiale, Francesco usa parole non formali
Una lucida analisi della novità del gesto di papa Francesco. “Nel rendere omaggio al valore dell’originario intento di rinnovamento che ispirò Lutero, papa Francesco ha sintetizzato quella che è la sua convinzione più profonda: Ecclesia est semper renovanda.”
“Francesco entra lentamente nella cattedrale romanica di Lund… Pochi passi accorciano enormi distanze… «Attraverso il dialogo e la comune testimonianza non siamo più estranei. Esortiamo luterani e cattolici a lavorare insieme per accogliere lo straniero… per difendere i diritti dei rifugiati e di coloro che cercano asilo»”
“Nella Malmö Arena, al termine dell’evento ecumenico, è stata siglata una dichiarazione di intenti tra Michel Roy, di Caritas Internationalis, e da Maria Immonen, direttore del World Service della Federazione Luterana mondiale. Per rafforzare l’impegno comune in favore dei poveri, dei rifugiati e per lo sviluppo sostenibile”
“«Rimanete in me e io in voi». Con queste parole pronunciate da Gesù nell’ultima cena Papa Francesco ha iniziato la sua omelia a Lund, in Svezia… «possiamo sentire» il cuore di Cristo, «i battiti di amore per noi e il suo desiderio di unità per tutti coloro che credono in lui»”
“Francesco ha partecipato al grande incontro ecumenico nella Malmö arena… Hanno preso la parola quattro testimoni. Pranita Biswasi, donna indiana di 26 anni dello stato dell’Odisha… monsignor Hector Gaviria, direttore di Caritas Colombia… Rose Lokonyen, giovane rifugiata di 23 anni, fuggita dal Sud Sudan… Munib Younan, vescovo palestinese, presidente della Federazione Luterana mondiale
Un viaggio profondamente “ecumenico”: offre la sua chiesa “in uscita” non solo per superare le lontane spaccature, ma anche per – come recita il documento comune – esprimere gratitudine per «i doni spirituali e teologici» della Riforma di 500 anni fa
Cinque secoli dopo nel quartier generale dei luterani si diffonde urbi et orbi il mea culpa di un Papa. Su Martin Lutero e, soprattutto, sulla sua Riforma, Roma si è sbagliata. Ha preso un abbaglio. «Dobbiamo guardare con onestà e amore il nostro passato e riconoscere l’errore e chiedere perdono». Francesco riconosce persino «i doni spirituali e teologici ricevuti attraverso la Riforma».
la decisione di andare a Lund può essere interpretata come l’ennesima conferma del carattere inclusivo del papato di Francesco. Il pontefice non esclude nessuno dal suo abbraccio misericordioso, cerca sempre di trovare e valorizzare quel che unisce e di porlo sopra a quello che divide
Con una affermazione scultorea – ringraziando Dio “per i doni venuti alla Chiesa attraverso la Riforma” – papa Francesco ieri qui in Svezia ha demolito secoli di polemiche tra cattolici e luterani e aperto un tempo nuovo che dovrebbe vedere gli antagonisti di un tempo collaborare per la giustizia e la pace nel mondo, sperando così di avvicinare la possibilità, oggi da Roma proibita, dell’Eucaristia compartecipata
Non c’è stata la ricomposizione dell’unità o l’annullamento delle differenze che da cinquecento anni dividono cattolici e luterani, ma è stato mosso un nuovo passo del cammino ecumenico che le due Chiese percorrono da cinquant’anni, alla ricerca di una comunione che oggi pare potersi fondare non tanto su «tavoli teologici» quanto su un impegno di solidarietà verso gli esseri umani sofferenti, in particolare i rifugiati.
 

Cattolici e luterani si lasciano alle spalle 500 anni di separazione alla vigilia del viaggio del papa in Svezia di Christopher Lamb in www.thetablet.co.uk del 30 ottobre 2016

“La visita del papa lunedì e martedì sarà una convalida delle iniziative ecumeniche in Svezia, ma non basterà per nascondere le grandi differenze che rimangono tra cattolici e luterani: in particolare sull’ordinazione delle donne e sugli omosessuali”
“In questo feudo della Riforma ormai secolarizzato, non sembra ci sia grande attesa per la la venuta di papa Francesco… «Il posto delle donne nella Chiesa e il celibato sono i punti che ci separano ancora. E resta doloroso il fatto di non poter celebrare l’eucaristia insieme»”
 

il nuovo incontro dei movimenti popolari con papa Francesco

i poveri della terra si incontrano ancora con papa Francesco

La lotta dei poveri per Terra, Casa e Lavoro. Il nuovo incontro dei movimenti popolari con papa Francesco

la lotta dei poveri per Terra, Casa e Lavoro

il nuovo incontro dei movimenti popolari con papa Francesco

Claudia Fanti 

 

Se è un compito di enorme portata quello di trasformare un pianeta ferito e inospitale in una casa accogliente in cui non vi sia più «nessun contadino senza terra, nessuna famiglia senza casa, nessun lavoratore senza impiego», i movimenti popolari di tutto il mondo sanno almeno, e non da oggi, di poter contare sul chiaro e deciso sostegno di papa Francesco. Ed è proprio con lui, il loro più potente alleato, che potranno nuovamente riunirsi il prossimo 5 novembre – evento culminante del Terzo Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari (EMMP) –, a due anni dal primo storico incontro in Vaticano (nell’ottobre del 2014), quando più di 100 delegati – appartenenti a quella ricca galassia di forme di auto-organizzazione riconducibili in vario modo alla categoria dell’economia informale – erano stati invitati a Roma per iniziativa del papa stesso, il quale, «coerente con la sua opzione per i poveri», aveva voluto, secondo le parole di Frei Betto, «sentire coloro che li rappresentano». Vale a dire – come ha spiegato mons. Silvano Tomasi, del Pontificio Consiglio Gustizia e Pace, durante la conferenza stampa di presentazione del III EMMP svoltasi oggi presso la Sala Stampa della Santa Sede – riportare al centro quanti sono da sempre relegati in periferia, invitandoli, una volta tanto, non solo ad ascoltare, ma soprattutto a parlare e a confrontarsi, indipendentemente da ogni appartenenza confessionale, e ancor di più ad auto-organizzarsi, unendo le loro forze per combattere le cause dell’esclusione e iniziare a edificare quell’altro mondo ritenuto possibile eppure sempre drammaticamente lontano. È proprio questa, del resto – come ha evidenziato durante la conferenza stampa il membro del Comitato organizzativo dell’incontro Juan Grabois – l’«idea soggiacente al concetto di movimento popolare»: i poveri, secondo quanto sottolineato dallo stesso papa Francesco durante l’incontro del 2014, «non si limitano a subire l’ingiustizia, ma si organizzano e lottano contro di essa». Cosicché ciò che ha fatto papa Francesco, ha proseguito Grabois, è stato «porre sotto gli occhi del mondo una realtà coperta dal silenzio: esiste un’enorme quantità di organizzazioni, grandi e piccole, che sono costituite, organizzate e guidate dagli esclusi, i quali non si rassegnano alla miseria che è stata loro imposta e resistono in un’ottica di solidarietà all’attuale paradigma tecnocratico».

Convocato dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e da esponenti dei movimenti stessi (un comitato organizzativo composto da Joao Pedro Stédile del Movimento dei Senza Terra-Via Campesina, da Juan Grabois della Confederazione dei Lavoratori dell’Economia Popolare dell’Argentina, dalla spagnola Xaro Castelló del Movimento Mondiale dei Lavoratori Cristiani e dall’indiano Jockin Arputham di Slum Dwellers International), il primo Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari era stato pensato come un punto di partenza nel processo di costruzione di una sorta di coordinamento delle organizzazioni popolari, con il sostegno della Chiesa. E si era proposto di individuare le cause strutturali dell’esclusione e i modi per combatterle, partendo da tre grandi tematiche: Terra, Casa, Lavoro. Un processo che ha poi fatto tappa nel 2015 a Santa Cruz de la Sierra, dove, durante il viaggio del papa in Bolivia, 1.500 rappresentanti di organizzazioni provenienti da 40 Paesi hanno nuovamente avuto la possibilità di incontrarsi con lui, impegnandosi ad approfondire gli stessi tre grandi temi del precedente incontro. E che ora fa ritorno in Vaticano, dove, dal 2 al 5 novembre, si svolgerà il terzo incontro, con l’obiettivo di aggiungere un nuovo tassello al cammino di costruzione di un rinnovato protagonismo degli esclusi nella lotta per la Terra, la Casa, il Lavoro; di promozione di un dialogo fra le organizzazioni e i movimenti popolari a livello internazionale e locale; di lotta a favore dei cambiamenti strutturali proposti da papa Francesco nella Evangelii gaudium e nella Laudato si’, di rafforzamento della cooperazione tra la Chiesa (a livello mondiale, nazionale, regionale) e le organizzazioni popolari, al di fuori di ogni approccio assistenzialista e paternalista.

In riferimento alla metologia tradizionale latinoamericana del vedere, giudicare e agire, ha affermato Juan Grabois, «si potrebbe dire che il primo incontro è servito a conoscere le nostre realtà (vedere)», a capire, cioè, che le lotte per la Terra, la Casa, il Lavoro sono le stesse in tutto il mondo; il secondo è stato dedicato al «discernimento collettivo» su «cosa sta avvenendo (giudicare)», su una realtà costituita da «situazioni di ingiustizia strutturale legate da un “filo invisibile” che è possibile spezzare solo attraverso un programma di radicale trasformazione» (sintetizzato nella Carta di Santa Cruz de la Sierra, sottoscritta da oltre 500 organizzazioni di tutto il mondo); e, infine, questo terzo dovrà concentrarsi sulle «concrete proposte di cambiamento (agire)».

Tenendo ferme le ormai note parole chiave – «la lotta per le 3 “T” (Tierra, Techo, Trabajo) continua a essere il cuore dei nostri incontri», ha sottolineato Grabois – la riflessione si centrerà stavolta in particolare su tre grandi temi: territorio e beni naturali, nell’ottica di quell’Ecologia intregrale su cui si è soffermato papa Francesco nella Laudato si’; popoli e democrazia (cioè la natura delle istituzioni democratiche e «la loro incapacità di limitare il potere arbitrario dei poteri forti»); rifugiati e sfollati (un dramma, questo, per il quale il papa, ha evidenziato Grabois, ha sempre mostrato una particolare preoccupazione e in cui «le contraddizioni del sistema si esprimono in maniera particolarmente brutale»). E, rispetto all’incontro del 2014, vi sarà un’importante novità: l’evento conclusivo del 5 novembre, quello che culminerà con il discorso di papa Francesco, sarà esteso a un grande ventaglio di movimenti italiani (Libera, Miseria Ladra, la Campagna Stop Ttip, Attac Italia, Mondeggi Bene Comune, Forum italiano dell’acqua, Contratto Mondiale dell’Acqua, Arci, Agesci, Azione Cattolica, Chiesa di tutti Chiesa dei poveri, Pax Christi, Amig@s MST-Italia, Rete Radié Resch, solo per citarne alcuni), i quali, per volontà esplicita del papa, che ha messo per questo a disposizione l’aula Paolo VI (con una capienza di 7.000 persone), potranno così dialogare e confrontarsi con i circa 200 delegati dei movimenti popolari internazionali, più diversi altri invitati all’Incontro, dall’ex-presidente uruguaiano José Mujica a don Luigi Ciotti. Un’opportunità, per le organizzazioni italiane, afflitte da un calo generalizzato di partecipazione e da una frammentazione sempre più evidente e drammatica, per iniziare a riallacciare un dialogo di cui in tanti lamentano la mancanza, in vista del possibile avvio di una nuova stagione di lotte a livello italiano e internazionale.

* Un’immagine della conferenza stampa. Foto di Claudia Fanti

“quel rifugiato che puzza e cambia il cuore al tassista”

il racconto del papa all’udienza generale dedicato alle migrazioni

  egoismo, barriere e muri aiutano i traffici criminali

siamo tutti  chiamati all’accoglienza

papa Lesbo

iacopo scaramuzzi 

Una donna armena, un rifugiato che «puzza» e un tassinaro romano, inizialmente diffidente, a cui il racconto dello straniero «profuma» l’anima cambiandogliela. Papa Francesco ha dedicato al tema dell’immigrazione l’udienza generale in piazza San Pietro, a partire dalle parole di Gesù sugli stranieri («Ero straniero e mi avete accolto, ero nudo e mi avete vestito»): la «chiusura» – i muri e le barriere, l’istintivo egoismo – «finisce per favorire i traffici criminali», ha detto, «tutti siamo chiamati ad accogliere i fratelli e le sorelle che fuggono dalla guerra, dalla fame, dalla violenza e da condizioni di vita disumane».

Poi, per illustrare il concetto nei giorni in cui in Italia e in Europa è forte la polemica sul tema dell’immigrazione, ha raccontato a braccio una «storia piccolina», quasi un apologo, che non condanna la diffidenza nei confronti degli stranieri ma mostra come il cuore può cambiare.

«Alcuni giorni fa è successa una storia piccolina», ha detto il Papa: «C’era un rifugiato che cercava la strada e la signora gli si avvicinò: lei cerca qualcosa? Era senza scarpe quel rifugiato. Lui ha detto:io vorrei andare a San Pietro e entrare nella porta santa. E la signora pensò: non ha scarpe, come fa… e chiamò un taxi.
Ma quel migrante, quel rifugiato puzzava. E l’autista del taxi quasi non voleva che salisse… ma alla fine lo ha fatto salire, la signora e il rifugiato accanto a lei.
E la signora gli domandò della sua storia di rifugiato e migrante, il percorso del viaggio, dieci minuti fino ad arrivare qui», a San Pietro.

«Quest’uomo raccontò la sua storia di dolore, di guerra, di fame e perché era fuggito dalla sua patria per migrare qui. Quando sono arrivati la signora apre la borsa per pagare il tassista e il tassista, che all’inizio non voleva che questo migrante salisse perché puzzava, ha detto alla signora: no signora, sono io che devo pagare lei, perché lei mi ha fatto sentire una storia che mi ha cambiato il cuore.

Questa signora – ha proseguito il Papa – sapeva cosa era il dolore di un migrante perché aveva il sangue armeno e sapeva la sofferenza del suo popolo.

Quando noi facciamo una cosa del genere all’inizio ci rifiutiamo perché ci dà un po’ di incomodità, “puzza”… ma alla fine – ha concluso Francesco – la storia ci profuma l’anima e ci fa cambiare: pensate a questa storia e pensate a cosa possiamo fare per i rifugiati».

Il Papa ha proseguito, all’udienza di oggi, il ciclo di catechesi sulle opere di misericordia corporale, nel quadro del Giubileo che termina il 20 novembre, soffermandosi, in particolare, su quanto Gesù dice secondo il Vangelo di Matteo: «Ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito»:

«Nei nostri tempi – ha detto il Papa – è quanto mai attuale l’opera che riguarda i forestieri. La crisi economica, i conflitti armati e i cambiamenti climatici spingono tante persone a emigrare. Tuttavia, le migrazioni non sono un fenomeno nuovo, ma appartengono alla storia dell’umanità».
«E’ mancanza di memoria storica pensare che esse siano proprie solo dei nostri anni», ha detto il Papa ricordando i «tanti esempi concreti di migrazione» presenti nella Bibbia, fino alla fuga in Egitto della sacra famiglia. «La storia dell’umanità è storia di migrazioni: ad ogni latitudine, non c’è popolo che non abbia conosciuto il fenomeno migratorio», ha proseguito il Papa, secondo il quale «nel corso dei secoli abbiamo assistito in proposito a grandi espressioni di solidarietà, anche se non sono mancate tensioni sociali.papa

Oggi,il contesto di crisi economica favorisce purtroppo l’emergere di atteggiamenti di chiusura e di non accoglienza. In alcune parti del mondo sorgono muri e barriere. Sembra a volte che l’opera silenziosa di molti uomini e donne che, in diversi modi, si prodigano per aiutare e assistere i profughi e i migranti sia oscurata dal rumore di altri che danno voce a un istintivo egoismo.

Ma la chiusura – ha rimarcato il Papa – non è una soluzione, anzi, finisce per favorire i traffici criminali. L’unica via di soluzione è quella della solidarietà».
Anche oggi, ha detto il Papa citando in particolare la figura di santa Francesca Cabrini e il suo impegno a fianco dei migranti verso gli Stati Uniti d’America, «le diocesi, le parrocchie, gli istituti di vita consacrata, le associazioni e i movimenti, come i singoli cristiani, tutti – ha insistito il Papa – siamo chiamati ad accogliere i fratelli e le sorelle che fuggono dalla guerra, dalla fame, dalla violenza e da condizioni di vita disumane.
Tutti insieme siamo una grande forza di sostegno per quanti hanno perso patria, famiglia, lavoro e dignità». In particolare, l’evangelico «vestire chi è nudo» vale, in particolare, per le «donne vittime della tratta gettate sulle strade», o «agli altri, troppi modi di usare il corpo umano come merce, persino dei minori.
E così pure – ha proseguito il Papa – non avere un lavoro, una casa, un salario giusto, o essere discriminati per la razza o per la fede, sono tutte forme di “nudità”, di fronte alle quali come cristiani siamo chiamati ad essere attenti, vigilanti e pronti ad agire».

«Cari fratelli e sorelle, non cadiamo nella trappola di rinchiuderci in noi stessi, indifferenti alle necessità dei fratelli e preoccupati solo dei nostri interessi», ha detto il Papa.papa3

«E’ proprio nella misura in cui ci apriamo agli altri che la vita diventa feconda, le società riacquistano la pace e le persone recuperano la loro piena dignità. E non dimenticate– ha concluso – quella signora, quel migrante che puzzava e il tassista al quale il migrante aveva cambiato l’anima».

cattolici uniti solo dalla guerra contro papa Francesco

quei cattolici contro Francesco che adorano Putin

di Giacomo Galeazzi e Andrea Tornielli
in “La Stampa” del 16 ottobre 2016

papa Lesbo1

A tenerla unita è l’avversione a Francesco. La galassia del dissenso a Bergoglio spazia dai lefebvriani che hanno deciso di «attendere un Pontefice tradizionale» per tornare in comunione con Roma, ai cattolici leghisti che contrappongono Francesco al suo predecessore Ratzinger e lanciano la campagna «Il mio papa è Benedetto»Socci

Ci sono gli ultraconservatori della Fondazione Lepanto e i siti web vicini a posizioni sedevacantiste, convinti che abbia ragione lo scrittore cattolico Antonio Socci a sostenere l’invalidità dell’elezione di Bergoglio soltanto perché nel conclave del marzo 2013 una votazione era stata annullata senza essere scrutinata. Il motivo? Una scheda in più inserita per errore da un cardinale. La votazione era stata immediatamente ripetuta proprio per evitare qualsiasi dubbio e senza che nessuno dei porporati elettori sollevasse obiezioni. Ancora, prelati e intellettuali tradizionalisti firmano appelli o protestano contro le aperture pastorali del Pontefice argentino sulla comunione ai divorziati risposati e sul dialogo con il governo cinese.
Il dissenso verso il Papa unisce persone e gruppi tra loro molto diversi e non assimilabili: ci sono le prese di distanza soft del giornale online «La Bussola quotidiana» e del mensile «Il Timone», diretti da Riccardo Cascioli. C’è il quasi quotidiano rimprovero al Pontefice argentino messo in rete dal vaticanista emerito dell’«Espresso», Sandro Magister.

magister Ci sono i toni apocalittici e irridenti di Maria Guarini, animatrice del blog «Chiesa e Postconcilio», fino ad arrivare alle critiche più dure dei gruppi ultratradizionalisti e sedevacantisti, quelli che ritengono non esserci stato più un Papa valido dopo Pio XII. La Stampa ha visitato i luoghi e incontrato i protagonisti di questa opposizione a Francesco, numericamente contenuta ma molto presente sul web, per descrivere un arcipelago che attraverso Internet ma anche con incontri riservati tra ecclesiastici, mescola attacchi frontali e pubblici a più articolate strategie. In prima linea sul web contro il Papa, lo scrittore Alessandro Gnocchi, firma dei siti Riscossa cristiana e Unavox: «Bergoglio attua la programmatica resa al mondo, la mondanizzazione della Chiesa. Il suo pontificato è basato sulla gestione brutale del potere. Uno svilimento della fede così capillare non si è mai visto».putin
Cabina di regia Tra le mura paleocristiane della basilica di Santa Balbina all’Aventino, accanto alle terme di Caracalla, la Fondazione Lepanto è uno dei motori culturali del dissenso a Francesco. Tra libri pubblicati, l’agenzia di informazione «Corrispondenza romana» e gli incontri tenuti nel salone del primo piano qui opera una delle cabine di regia del fronte anti-Bergoglio. «La Chiesa vive uno dei momenti di maggiore confusione della sua storia e il Papa è una delle cause – afferma lo storico Roberto De Mattei che della Fondazione Lepanto è il presidente -. Il caos riguarda soprattutto il magistero pontificio. Francesco non è la soluzione ma fa parte del problema». L’opposizione, aggiunge De Mattei, «non viene solo da quegli ambienti, definiti tradizionalisti, ma si è allargata a vescovi e teologi di formazione ratzingeriana e wojtyliana». Più che di dissenso, De Mattei preferisce parlare di «resistenza», la stessa che si è recentemente espressa attraverso la critica all’esortazione apostolica «Amoris Laetitia» di 45 teologi e filosofi cattolici e la dichiarazione di «fedeltà al magistero immutabile della Chiesa» di 80 personalità, divenute poi alcune migliaia, tra cui cardinali, vescovi e teologi cattolici. Tra gli italiani c’è il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo emerito di Bologna. Uno dei principali centri di resistenza, sottolinea ancora lo storico, «è l’Istituto Giovanni Paolo II per la famiglia, i cui vertici sono stati recentemente decapitati dal Bergoglio». Nel mirino dei tradizionalisti c’è anche il «contributo che la
politica migratoria di Francesco fornisce alla destabilizzazione dell’Europa e alla fine della civiltà occidentale».
Fronda politico-teologica L’attacco a Bergoglio è globale. «Nella galassia del dissenso a Francesco c’è una forte componente geopolitica – osserva Agostino Giovagnoli, ordinario di Storia contemporanea all’Università Cattolica ed esperto di dialogo con la Cina -. Accusano Bergoglio di non annunciare con sufficiente forza le verità di fede, ma in realtà gli imputano di non difendere il primato dell’Occidente. È una opposizione che ha ragioni politiche mascherate da questioni teologiche ed ecclesiali». La Cina ne è l’esempio. «C’è un’alleanza fra ambienti Hong Kong, settori Usa e destra europea: rimproverano a Francesco di anteporre alla difesa della libertà religiosa l’obiettivo di unire la Chiesa in Cina – continua -. Sono posizioni che trovano spazio spesso nell’agenzia cattolica Asianews. Il Papa, secondo questi critici, dovrebbe affermare la libertà religiosa come argomento politico contro Pechino, invece di cercare il dialogo attraverso la diplomazia». A dar voce al dissenso, che ha innegabili sponde interne alla Curia, sono anche ecclesiastici con entrature vaticane, come il liturgista e teologo don Nicola Bux, consultore delle Congregazioni per il Culto divino e per le Cause dei Santi. «Oggi, non pochi laici, sacerdoti e vescovi si chiedono: dove stiamo andando?- spiega alla Stampa -. Nella Chiesa c’è sempre stata la possibilità di esprimere la propria posizione dissenziente verso l’autorità ecclesiastica, anche se si trattasse del Papa. Il cardinale Carlo Maria Martini, notoriamente esprimeva spesso, anche per iscritto, il suo dissenso dal pontefice regnante, ma Giovanni Paolo II non l’ha destituito da arcivescovo di Milano o ritenuto un cospiratore». Il compito del Papa, continua Bux, è «tutelare la comunione ecclesiale e non favorire la divisione e la contrapposizione, mettendosi a capo dei progressisti contro i conservatori». E «se un Pontefice sostenesse una dottrina eterodossa, potrebbe essere dichiarato, per esempio dai cardinali presenti a Roma, decaduto dal suo ufficio». In un crescendo di bordate, con un’intervista al Giornale nei giorni scorsi è sceso in campo anche il ricercatore Flavio Cuniberto, autore di un libro critico col magistero sociale del Papa, studioso di René Guenon e del tradizionalismo vicino alla destra esoterica. Ha dichiarato che «Bergoglio non ha aggiornato la dottrina, l’ha demolita, si comporta come se fosse cattolico ma non lo: l’idea stravolta di povertà eleva alla sfera dogmatica il vecchio pauperismo». Il Papa elogia la raccolta differenziata e così «le virtù del buon consumatore tardo-moderno diventano le nuove virtù evangeliche».
Teorie sui due Papi Nella sua pagina ufficiale su Facebook, Antonio Socci sostiene che Benedetto XVI non si sia voluto davvero dimettere ma si consideri ancora Papa volendo in qualche modo condividere il «ministero petrino» con il successore. Interpretazione che lo stesso Ratzinger ha smentito seccamente a più riprese a partire dal febbraio 2014 fino al recente libro-intervista «Ultime conversazioni», dichiarando pienamente valida la sua rinuncia e manifestando pubblicamente la sua obbedienza a Francesco. La teoria ha tratto nuova linfa dall’interpretazione da alcune parole pronunciate nel maggio scorso dall’arcivescovo Georg Gänswein, Prefetto della Casa Pontificia e segretario di Benedetto XVI. Don Georg, intervenendo alla presentazione di un libro, aveva affermato: «Non vi sono dunque due papi, ma di fatto un ministero allargato – con un membro attivo e un membro contemplativo». Socci pubblica a fine settembre, una accanto all’altra, le foto di Bergoglio e Ratzinger sotto la scritta «quale dei due?». E scrive: «C’è chi si oppone l’amore alla verità (Bergoglio) e chi le riconosce unite in Dio (Benedetto XVI)». Tra i tanti commenti in bacheca, Paolo Soranno risponde: «Francesco I sembra che sia messo al servizio del Dio Arcobaleno (quello che non impone obblighi religiosi e morali) e non del Dio Cattolico». È nella Rete che il dissenso a Bergoglio assume i toni più accesi, con persone che dietro il paravento del computer si lasciano andare a furiose invettive, come si legge nei commenti sotto gli articoli postati sui social. Sul sito «messainlatino», che si dedica a promuovere la liturgia antica, ma ospita spesso anche commenti al vetriolo sul Papa, si parla di «noiosa monotonia ideologica dell’attuale pontificato». In rete si  leggono commenti sulla Chiesa che «sarà spinta a sciogliersi in una sorta di Onu delle religioni con un tocco di Greenpeace e uno di Cgil», dato che «oggi i peccati morali sono derubricati e Bergoglio istituisce i peccati sociali (o socialisti)». Sul blog ipertradizionalista di Maria Guarini, «Chiesa e Postconcilio», si leggono titoli tipo questo: «Se il prossimo papa sarà bergogliano, il Vaticano diventerà una succursale cattomassonica». Il dissenso viene dall’area più conservatrice, ma trova sponde anche in qualche ultraprogressista deluso. È il caso del prete ambrosiano don Giorgio De Capitani, che attacca senza tregua Francesco da sinistra, e dunque non è assimilabile ai gruppi finora descritti. Sul suo sito web non salva nulla del pontificato. «Quante parole inutili e scontate – inveisce -. Pace, giustizia e bontà. Il Papa ci sta rompendo le palle con parole e gesti strappalacrime. Francesco è vittima del proprio consenso e sta suscitando solo illusioni, butta tanto fumo negli occhi, stuzzica qualche applauso manda in visibilio i giornalisti ignorantotti sulla fede». Giuseppe Rusconi, il giornalista ticinese curatore del sito «Rossoporpora», si chiede: «il nostro Pastore è veramente in primo luogo “nostro” o non mostra di privilegiare l’indistinto gregge mondiale, essendo così percepito dall’opinione pubblica non cattolica come un leader gradito ai desideri espressi dalla società contemporanea? Lo farà per strategia gesuitica o per scelta personale? E quando il Pastore tornerà all’ovile, quante pecorelle smarrite porterà con sé? E quante ne ritroverà di quelle lasciate». Questa composita galassia del dissenso ha eletto come suoi punti di riferimento alcuni vescovi e cardinali. Magister sul suo blog ha lanciato la candidatura papale del cardinale guineano Robert Sarah, attuale ministro per la liturgia di Francesco, amato da conservatori e tradizionalisti e molto citato nei loro siti e nelle loro pubblicazioni.
Rischio scisma? Tra coloro che vengono considerati stelle polari da parte di questo mondo ci sono soprattutto il porporato statunitense Raymond Leo Burke, patrono dei Cavalieri di Malta, e il vescovo ausiliare di Astana, Athanasius Schneider. Ma al di là dell’amplificazione mediatica offerta dalla rete, non sembra proprio che vi siano all’orizzonte nuovi scismi, dopo quello compiuto dal vescovo Marcel Lefebvre nel 1988. Ne è convinto il sociologo Massimo Introvigne, direttore del Cesnur: «I vescovi cattolici nel mondo sono più di cinquemila, il dissenso riesce a mobilitarne una decina, molti dei quali in pensione, il che mostra appunto la sua scarsa consistenza». Introvigne sostiene che questo dissenso «è presente più sul web che nella vita reale ed è sopravvalutato: ci sono infatti dissidenti che scrivono commenti sui social sotto quattro o cinque pseudonimi, per dare l’impressione di essere più numerosi». Per il sociologo è un movimento che «non ha successo perché non è unitario. Ci sono almeno tre dissensi diversi: quello politico delle fondazioni americane, di Marine Le Pen e di Matteo Salvini che non sono molto interessati ai temi liturgici o morali – spesso non vanno neppure in chiesa – ma solo all’immigrazione e alle critiche del Papa al turbo-capitalismo. Quello nostalgico di Benedetto XVI, che però non contesta il Vaticano II. E quello radicale della Fraternità San Pio X o di de Mattei e Gnocchi, che invece rifiuta il concilio e quanto è venuto dopo. Nonostante vi sia qualche ecclesiastico che fa da sponda, le contraddizioni fra le tre posizioni sono destinate a esplodere, e un fronte comune non ha possibilità di perdurare». Introvigne fa notare una sorprendente caratteristica comune a molti di questi ambienti: «È l’idealizzazione mitica del presidente russo Vladimir Putin, presentato come il leader “buono” da contrapporre al Papa leader “cattivo”, per le sue posizioni in materia di omosessuali, musulmani e immigrati. Con il dissenso anti-Francesco collaborano fondazioni russe legatissime a Putin».

papa Francesco sferza l’ipocrisia dei super cristianissimi anti immigrati

papa Francesco

è ipocrita chi difende Cristo e caccia i rifugiati

papa Lesbo
Iacopo Scaramuzzi

E’ ipocrita «dirsi cristiano e cacciare via un rifugiato» e c’è una «contraddizione» in coloro che «vogliono difendere il cristianesimo in Occidente e dall’altra parte sono contro i rifugiati e contro le altre religioni»

Nel giorno in cui viene pubblicato il suo messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, Papa Francesco torna sul tema delle migrazioni nel corso di un’udienza ad un pellegrinaggio ecumenico di luterani a due settimane dal viaggio in Svezia per i 500 anni della riforma di Lutero (31 ottobre – primo novembre).
Il proselitismo, ha detto Jorge Mario Bergoglio, è «il veleno più forte» contro l’ecumenismo. I più grandi riformatori sono «i santi». E la Chiesa va sempre riformata.migranti siariani

«Tu dicevi che nella Chiesa cattolica ci sono tante cose che ti piacciono, altre meno. Cosa piace a me della Chiesa luterana, cosa non mi piace?», ha detto il Papa rispondendo a braccio alle domande di cinque ragazzi tedeschi.
«A me piacciono tanto i luterani buoni, i luterani che seguono veramente la fede di Gesù Cristo. Invece non mi piacciono i cattolici tiepidi e il luterani tiepidi».

E’ una «contraddizione» «questi che vogliono difendere il cristianesimo in Occidente, d’altra parte sono contro i rifugiati e le religioni. E questa non è una cosa dei libri, è una cosa dei giornali, dei telegiornali di tutti i giorni. La malattia, si può dire anche il peccato che Gesù condanna di più è l’ipocrisia. Non si può essere cristiano senza vivere come cristiano. Non si può essere cristiano senza praticare le beatitudini.migranti-pedine-del-gioco-delloca

Non si può essere cristiano senza fare quello che Gesù ci insegna in Matteo 25.
E Gesù ammonisce ai suoi discepoli contro questo peccato, questo modo di fare dell’ipocrisia: “Guardatevi dal lievito della ipocrisia”.
E’ un atteggiamento ipocrita dirsi cristiano e cacciare via un rifugiato, un affamato, uno che ha bisogno di aiuto. Se io mi dico cristiano e faccio queste cose, sono un ipocrita.

Ho citato Matteo 25, questo è importante perché il protocollo col quale noi saremo giudicati. Ma Gesù ci ha insegnato la coerenza cristiana in quella bella parabola del buon Samaritano. Quel povero uomo era nel bisogno, passa un sacerdote guarda e se ne va, passa un peccatore sente misericordia si avvicina e medica.
Questo è il cammino che dobbiamo seguire, il cammino ecumenico fra noi: aiutare gli altri, i bisognosi, i fratelli e sorelle che sono fra noi. E pregare».

Nel discorso che, a inizio dell’udienza, aveva rivolto ai partecipanti al pellegrinaggio ecumenico luterano, Francesco – parlando in italiano tradotto in diretta in tedesco – aveva detto, tra gli applausi, «Quello che ci unisce è molto di più di quello che ci divide!», ed aveva poi ricordato che alla fine di questo mese andrà a Lund, in Svezia, per «fare memoria» della riforma di Lutero, dopo cinque secoli, insieme alla Federazione Luterana Mondiale: «La testimonianza che il mondo si aspetta da noi è soprattutto quella di rendere visibile la misericordia che Dio ha nei nostri confronti attraverso il servizio ai più poveri, agli ammalati, a chi ha abbandonato la propria terra per cercare un futuro migliore per sé e per i propri cari.
Nel metterci a servizio dei più bisognosi sperimentiamo di essere già uniti: è la misericordia di Dio che ci unisce», ha detto il Papa tra nuovi applausi.
«I teologi medievali dicevano, in latino, che la Chiesa va sempre riformata», Ecclesia semper reformanda sempre, ha detto il Papa suscitando gli applausi dei circa mille pellegrini luterani presenti in aula Paolo VI: «Questo è progredire, maturare e la Chiese progredisce, matura, e tante piccole e non tante piccole riforme della Chiesa vanno, volevano andare su questa strada, alcune riforme non sono state felici, esagerate, ma sempre, le cose umane non sono felici, ma il fatto di riformare è un fatto ecclesiale, è questo che voglio dire. La domanda – ha poi continuato riepilogando la domanda – diceva “per lei quali sono i più grandi riformatori della Chiesa o delle Chiese, della storia”: io dirò che i più grandi riformatori della Chiesa sono i santi, cioè gli uomini e le donne che seguono la parola del Signore e la praticano, andare, andare per quel cammino, questo riforma la Chiesa, e questi sono i grandi riformatori, forse non sono teologi, non hanno studiato, magari sono gente umile, ma questi che hanno l’anima bagnata, piena del Vangelo, sono quelli che riformano bene la Chiesa. Sia nella chiesa luterana che nella cattolica ci sono, ci sono stati e ci sono uomini e donne di questo genere, col cuore santo che seguono il Vangelo: questi riformano le Chiese.migranti

Il Papa ha anche ripreso quanto gli chiedeva una ragazza del Land, Sachsen-Anhalt, dove, spiegava la giovane, l’ottanta per cento degli abitanti non appartiene ad alcuna confessione cristiana: «Devo convincerli, questi compagni e compagne, buoni, felici, devo convincerli della mia fede?», ha detto Francesco echeggiando la domanda. «Cosa devo dirgli per convincerli? Senti – ha proseguito – l’ultima cosa che tu devi fare è “dire”. Tu devi vivere come cristiano, come cristiana, scelta, perdonata e in cammino.
Non è lecito convincerli della tua fede, il proselitismo è il veleno più forte contro il cammino ecumenico», ha sottolineato il Papa riecheggiando quanto detto di recente agli ortodossi nel corso di un viaggio in Georgia. «Tu devi dare testimonianza della tua vita cristiana, la testimonianza inquieta il cuore di quelli che ti vedono. E da questa inquietudine nasce la domanda: ma perché quest’uomo, questa donna vive così? E questo è preparare la terra perché lo Spirito santo, che è quello che lavora nei cuori, faccia quello che deve fare: ma lui deve dire, non tu. La grazia – ha continuato Bergoglio con un tema caro alla riforma protestante – è un dono, e lo Spirito santo è il dono di Dio dal quale viene la grazia, è il dono che ci ha inviato Gesù con la sua passione e resurrezione. Sarà lo Spirito santo a muovere quel cuore, con la tua testimonianza, e lì tu puoi, con molta delicatezza, dire il perché. Ma senza voler convincere».

per Chiara Saraceno quella di papa Francesco contro il ‘gender’ è una crociata

la crociata di Bergoglio contro la teoria gender

 


di Chiara Saraceno

I nemici del matrimonio non sono la povertà e più in generale le ristrettezze economiche che non consentono di fare progetti per il futuro, la disuguaglianza tra uomo e donna dentro e fuori la famiglia, un’organizzazione del lavoro che lascia poco spazio alla vita privata. Non lo sono neppure i matrimoni forzati e precoci, con il loro seguito di sesso imposto a quasi-bambine e gravidanze precoci.
Il nemico vero, che avrebbe addirittura scatenato una guerra mondiale contro il matrimonio, ha detto il pontefice ai fedeli georgiani probabilmente sbigottiti, è la “teoria del gender”.Saraceno

La tesi, per altro, non è nuova, anche se questa volta espressa con una violenza che di solito il papa riserva ai conflitti che affamano e uccidono popolazioni in diverse parti del mondo, e all’indifferenza che abbandona i migranti al loro destino.

Già nel documento Amoris Laetitia, infatti, il pontefice, riprendendo letteralmente quanto scritto nel documento finale del Sinodo sulla famiglia, denuncia la “teoria del gender” come perniciosa e afferma che “differenza e reciprocità naturale di uomo e donna” sono inseparabili, ancorché distinguibili, dai ruoli sociali e culturali maschili e femminili. In questa prospettiva, chi pretendesse separarli, “svuoterebbe la base antropologica della famiglia”. Lasciamo stare che non esiste una e una sola “teoria del gender”, ma diversi approcci analitici, inclusi quelli di alcune teologhe e teologi, che utilizzano il concetto di genere per distinguere l’appartenenza di sesso non solo dall’orientamento sessuale, ma dai ruoli sociali e dalle capacità attribuite agli uomini e alle donne.

Approcci e studi che mostrano come ciò che è definito maschile e femminile, ciò che ci si aspetta dagli uomini e dalle donne, lungi dallo stare in natura, cambia nel tempo, tra società e gruppi sociali e come queste definizioni siano spesso connotate da rapporti di potere asimmetrici tra i sessi ed anche entro uno stesso sesso. Esistono gerarchie del maschile come del femminile.

Se dobbiamo accettare la tesi del pontefice che non si possano separare appartenenza di sesso e capacità e ruoli sociali, tra appartenenza di sesso e destino sociale, allora dobbiamo smentire non solo intere biblioteche di studi antropologici e storici, ma anche vedere nelle battaglie delle donne per uscire da ruoli prescritti come destino “naturale” la vera minaccia al matrimonio, nella misura in cui si ritiene che questo possa esistere solo nella distinzione dei ruoli di genere. Una minaccia altrettanto, se non più grande, di quella che verrebbe dalla richiesta di matrimonio da parte di coppie dello stesso sesso.

Dietro l’ossessione per il “gender/genere” che affanna la gerarchia cattolica anche ai suoi livelli più alti, legittimando crociate contro ogni pratica educativa che aiuti i bambini e ragazzi a superare, appunto, gli stereotipi di genere per accettarsi e accettare nella propria individuale diversità, non sta infatti solo una ripugnanza nei confronti della omosessualità, vista come “contro natura” perché non si concepisce che il desiderio sessuale possa rivolgersi ad un corpo simile al proprio. Vi è proprio il terrore che se vengono meno le barriere dei ruoli sociali di genere (che nulla hanno a che fare con l’orientamento sessuale), in primis nella famiglia, e ciascuno è messo nelle condizioni di scegliere liberamente il proprio modo di essere maschio o femmina e trovare il proprio equilibrio nelle relazioni di coppia – etero o omosessuale – e di generazione – ci sia solo il vuoto, o meglio il caos.

Eppure, vi sono diversi segnali che suggeriscono come sia proprio la concezione e pratica di un matrimonio asimmetrico e fondato su una rigida separazione di genere a motivare molte violenze contro le donne e a tenere lontane molte giovani dal matrimonio. O comunque a suggerire loro di aspettare per consolidare la propria autonomia per meglio negoziare una divisione del lavoro flessibile. Se un tempo l’asimmetria dava incentivi a sposarsi e stabilità ai matrimoni e alle famiglie, non si sa a quale prezzo, oggi in molti paesi non è più così. E’ piuttosto l’eguaglianza, con quel tanto di intercambiabilità e fluidità dei ruoli necessaria a mantenerla, a dare una chance in più alla disponibilità a sposarsi e alla durata di un matrimonio.

Nessuna guerra contro il matrimonio da parte di chi desidera modificare i ruoli di genere, dunque, solo lo sforzo di cambiarlo per renderlo più vivibile e accessibile.

 

papa Francesco ancora sul ‘gender’ … però attorno a lui c’è qualcuno che lo informa male

colonialismo culturale?

papa

Il «Gender» vuole abolire le differenze tra maschi e femmine? Il gender vuole distruggere la famiglia naturale? Il gender ci farà diventare tutti gay?

“Mi dispiace che abbia fatto questa affermazione, per lo meno leggera e infondata, ha detto la ministra dell’istruzione francese. Anche il papa è vittima della campagna di disinformazione portata avanti da ambienti reazionari…”Non insegniamo nessuna teoria del genere… ma l’educazione all’uguaglianza ragazze-ragazzi, nel quadro della lotta agli stereotipi e alle discriminazioni”

di seguito un pochino di Rassegna Stampa a proposito delle ultime dichiarazioni di papa Francesco sul ‘gender’, dichiarazioni che hanno trovato elogio per la chiarezza di affermazione, approvazione sul merito ma anche forte disapprovazione non senza una forte impressione che qualcuno lo stia informando male, per terminare con una intelligente riflessione di Michela Marzano pubblicata su Repubblica del 5 ottobre:

Bergoglio e la verità sul gender di Orazio La Rocca in Trentino del 4 ottobre 2016

La novità è la chiarezza di esposizione e, se vogliamo, la sorpresa. Specialmente da parte di chi confondendo la sua forza pastorale, cioè la scelta di stare da sempre accanto alle sofferenze degli ultimi, con le verità a cui non ha mai rinunciato. Verità che, comunque, non gli impediscono di dialogare con tutti, ascoltare chi soffre, chi vive nel disagio al di là di orientamenti politici, religioni, scelte sociali e orientamenti sessuali. Senza rinunziare ai princìpi cardine della tradizione cristiana.
Il «Gender» vuole abolire le differenze tra maschi e femmine? Il gender vuole distruggere la famiglia naturale? Il gender ci farà diventare tutti gay? Le domande della crociata, a cui si è associato Papa Francesco, hanno il paradossale pregio di indurci a ragionare sul «genere» prescindendo dalla distinzione che, di solito, si tende a stabilire tra il «sesso», l’«identità di genere» e l’«orientamento sessuale»
Educare all’identità come libertà e non come destino è il primo obiettivo che il dilagare dei fenomeni di femminicidio, omofobia e intolleranza impone alle istituzioni, sapendo che per incidere sul terreno dei pari diritti e delle pari opportunità bisogna intervenire fin dalla primissima infanzia
L’Italia, insieme alla Grecia, sono gli unici paesi europei a non avere una legge sull’educazione sentimentale nelle scuole. In un paese che registra un aumento continuo dei femminicidi e delle violenze sulle donne, dove è sensibili e ampiamente riconosciuto l’aumento delle discriminazioni di genere, l’omofobia, il bullismo qualcosa tuttavia si è mosso
Papa Francesco riprende un aneddoto su una supposta gender theory diffuso da anni dall’estrema destra per denigrare la scuola pubblica. La ministra: venga a sfogliare i manuali e a parlare con gli insegnanti Il papa è caduto in una trappola? E’ quello che pensano in molti in Francia, e non solo nel governo o a sinistra
“Mi dispiace che abbia fatto questa affermazione, per lo meno leggera e infondata, ha detto la ministra dell’istruzione francese. Anche il papa è vittima della campagna di disinformazione portata avanti da ambienti reazionari…”Non insegniamo nessuna teoria del genere… ma l’educazione all’uguaglianza ragazze-ragazzi, nel quadro della lotta agli stereotipi e alle discriminazioni”

se il ‘gender’ a scuola aiuta a combattere le discriminazioni

di M. MarzanoMarzano

Una cosa è la persona che ha una tendenza omosessuale o anche che cambia sesso», ha detto l’altro giorno Papa Francesco per spiegare quanto dichiarato in Georgia a proposito dell’ideologia gender. «Un’altra è fare insegnamenti nelle scuole su questa linea, per cambiare la mentalità: io chiamo questo colonizzazione ideologica», ha concluso il Pontefice. Ma a quali insegnamenti si riferisce esattamente Papa Francesco? Che cosa vuol dire “cambiare la mentalità”? Cos’è questo benedetto “gender” di cui tanto si parla e che, di fatto, è solo il termine inglese per il quale esiste ovviamente una traduzione italiana, ossia l’espressione “genere”? Papa Francesco non fa altro che ripetere quanto già detto altre volte: il gender a scuola è un’ideologia pericolosa. Dando così credito a quanti sostengono che ormai, nelle scuole, si insegnerebbe ai più piccoli che possono scegliere se essere ragazzi o ragazze, cambiare sesso a piacimento, e decidere quali tendenze sessuali privilegiare o meno. Ma è questo che si insegna a scuola oggi? Se veramente fosse così, anch’io sarei molto preoccupata. Come potrebbero d’altronde raccapezzarsi un bimbo o una bimba se venisse detto loro che tutto si equivale, che non c’è alcuna certezza identitaria, e che si può essere di giorno ragazzi e di notte ragazze o viceversa? Il punto, però, è proprio qui: a nessuno passa oggi per la testa di colonizzare la mente dei bambini con tali fandonie, tali bugie, tali assurdità. Perché è di questo che si tratta quando si pretende che sesso, genere e orientamento sessuali siano solo il frutto di una scelta e che basterebbe quindi insegnare ai più piccoli il valore delle decisioni individuali affinché diventino omosessuali o trans, «giustificando e normalizzando ogni comportamento sessuale », come scrivono associazioni come ProVita, Giuristi per la vita o la Manif Pour Tous Italia. «Lasciate che le ragazze siano ragazze. Lasciate che i ragazzi siano ragazzi», recita lo slogan di un video prodotto proprio per spiegare «l’ideologia gender in meno di tre minuti», senza rendersi conto che, mischiando realtà, fiction e fantasmi, sono questo tipo di spot a creare confusione e paura. Ma procediamo con ordine. Cosa si sceglie nella vita? Cosa si costruisce o si decostruisce a piacimento? Di scelte, nel corso della propria esistenza, se ne fanno molte. Nessuna, però, riguarda il proprio essere donna o uomo, oppure la propria eterosessualità o la propria omosessualità. Il genere e l’orientamento sessuale non si scelgono, non si cambiano, non si curano. Sono elementi dell’identità di ciascuno di noi, quell’identità con la quale, prima o poi, tutti dobbiamo fare i conti, anche quando ci sono cose che vorremmo che fossero diverse, cose che magari non sopportiamo di noi stessi, cose con le quali, però, non possiamo far altro che convivere. E allora capita — perché la vita è anche questo — che un bambino, fin da quando è piccolo, sia profondamente convinto di essere un bimbo nonostante si ritrovi prigioniero di un corpo femminile, e allora sia costretto a passare anni ed anni a cercare di risolvere il divario drammatico e doloroso che vive tra la propria identità di genere e il proprio sesso biologico, senza alcuna volontà di sovvertire “l’ordine naturale delle cose”, al solo scopo di trovare una qualche armonia con se stesso. Esattamente come capita che, fin da quando è piccola, una bambina sia attirata dalle altre bimbe senza per questo essere meno bambina delle amiche o delle compagne attirate dai bambini. L’orientamento sessuale, esattamente come l’identità di genere, non è una “tendenza” che si può o deve contrastare; è un modo di essere e di amare il cui valore non cambia solo perché si è omosessuali invece che eterosessuali, e quindi si amano persone dello stesso sesso invece che persone dell’altro sesso. L’unica cosa che si può “costruire” o “decostruire” è la rappresentazione che ci si fa del proprio genere o del proprio orientamento sessuale, imparando o meno ad accettarsi per quello che si è, senza cedere alle pressioni di chi vorrebbe che fossimo diversi da come siamo. Qualcuno potrebbe a questo punto chiedersi che c’entra la scuola in tutto questo, e perché si dovrebbero affrontare tematiche legate al genere o all’orientamento sessuale con i più piccoli invece che, come ripetono in molti, limitarsi a insegnare loro a leggere, scrivere e contare. Ma lo scopo della scuola non è anche, e forse soprattutto, quello di aiutare le bambine e i bambini a trovare le parole giuste per qualificare quello che vivono, mettere un po’ di ordine nel mondo che li circonda e riuscire a non vergognarsi per quello che sono e quello che provano? Uno degli scopi della scuola non è anche quello di costruire i presupposti di un vivere- insieme in cui ci si accetta reciprocamente indipendentemente dalle proprie differenze? Non stiamo assistendo, proprio in questi ultimi mesi, a episodi di bullismo e di violenza verbale o fisica nei confronti dei “diversi”? È strano che proprio coloro che vogliono tanto difendere i propri figli non siano poi sensibili ai tentativi che si stanno cominciando a fare nelle scuole proprio per proteggere tutti i bambini e tutte le bambine, insegnando che essere una ragazza non significa né essere inferiore a un ragazzo né amare necessariamente le bambole o il colore rosa, oppure che un maschietto resta un maschietto anche se non è attirato dalle bambine. È strano che anche il Papa, che pure spiega che “la vita è vita e le cose si devono prendere come vengono”, prenda alla lettera le fandonie di chi ripete che a scuola si insegna a scegliere il proprio genere e il proprio orientamento sessuale, mentre di fatto si cerca solo di lottare contro le discriminazioni e il bullismo di cui sono vittime innocenti le persone omosessuali e trans, che non hanno scelto niente, appunto, esattamente come le persone eterosessuali.

in punta di piedi senza clamore tra i terremotati

papa Francesco in punta di piedi tra le rovine

dopo le inutili passerelle dei politici

macerie

papa Francesco nelle zone devastate dal sisma senza annunciarlo, senza fare della visita un evento mediatico. Una lezione per quegli epifenomeni della politica italiana che a nemmeno un giorno dal disastro già si scannavano

la riflessione di un non credente ma colpito dalla presenza ‘in punta di piedi’, senza clamore, accanto alla sofferenza dei terremotati, scusandosi di non essere venuto prima e motivandolo con la necessità di ‘non disturbare’:

di Ciro Pellegrino

Non sono cattolico ma forse proprio per questo mi colpisce ancor di più la presenza di Papa Francesco nei luoghi devastati del terremoto nel centro Italia.  Le popolazioni di Amatrice, Accumoli, Arquata e Pescara del Tronto, Norcia hanno bisogno, per dirla con le parole del presbitero don Gino Rigoldi, di «ricostruire la speranza». Un capo carismatico come il Pontefice argentino può far molto in tal senso. Per un laico tutto ciò ha anche una “utilità”: non è solo fede e presenza di Dio, ma anche forza e sostegno psicologico nonché moral suasion.

papa-terremoto1 Già: il Capo della Chiesa Cattolica in quei luoghi aiuta a tenere accesi i riflettori su quel che sarà, ovvero sulla ricostruzione che in Italia tanto temiamo, viste le ruberie connesse ad altre calamità naturali nel corso degli anni. Qualche giorno fa, celebrando la Messa a un mese dal sisma, il vescovo di Rieti, monsignor Domenico Pompili, ebbe a dire: «Non uccide il sisma ma le opere dell’uomo».papa-terremoto

Ebbene la presenza di Bergoglio è rilevante anche per questo: camminare nella zona rossa di lacrime e rabbia e nera di morte e distruzione tiene altissima l’attenzione su quel disastro. È un dito puntato verso chi ha responsabilità: bisogna ridare una vita normale a questa gente. Subito.

«Sono venuto solo ora, non volevo disturbare» ha detto il Pontefice stamane. Se solo avesse saputo di quegli epifenomeni della politica che a nemmeno un giorno dal disastro già si scannavano sui social network, aspettando il momento per il selfie con l’hashtag giusto sarebbe probabilmente andato ancora più tranquillo.

 

le cause delle migrazioni per papa Francesco

 

“di fronte al terrorismo islamico interroghiamoci su come abbiamo esportato la democrazia”

in un’intervista con «La Croix» il Papa torna a parlare dell’immigrazione causata dalle guerre in Medio Oriente e Africa e dal sottosviluppo, dei trafficanti di armi e dell’integrazione

 il papa intervistato da “La Croix”

 andrea tornielli   

«Di fronte al terrorismo islamico, sarebbe meglio interrogarci sul modo in cui un modello troppo occidentale di democrazia è stato esportato in paesi come l’Iraq». Papa Francesco ha concesso un’intervista esclusiva a La Croix, parlando di immigrazione, guerra e laicità.

 

Migranti, guerre e sottosviluppo

Alla domanda se il vecchio continente ha la capacità di accogliere così tanti immigrati, Francesco ha risposto in questo modo: «Questa è una domanda responsabile perché uno non può aprire le porte in modo irrazionale. Ma la domanda di fondo da farsi è perché ci sono così tanti migranti ora. I problemi iniziali sono le guerre in Medio Oriente e in Africa e il sottosviluppo del continente africano, che provoca la fame. Se ci sono guerre è perché ci sono fabbricanti di armi – che possono essere giustificati per propositi difensivi – e soprattutto trafficanti di armi. Se c’è così tanta disoccupazione, è per mancanza di investimenti capaci di portare il lavoro di cui l’Africa ha così tanto bisogno».

Il mercato totalmente libero non va

«Più in generale – ha insistito Francesco – ciò solleva il problema di un sistema economico mondiale che è caduto nell’idolatria del denaro. Più dell’80 per cento delle ricchezze dell’umanità sono nelle mani del 16 per cento della popolazione. Un mercato completamente libero non funziona. I mercati in sé sono un bene ma richiedono una parte terza o uno stato che li monitori e li bilanci. In altre parole ciò che serve è un’economia sociale di mercato».

Integrare e non ghettizzare gli immigrati

«Tornando ai migranti – ha continuato il Pontefice – la peggior forma di accoglienza è la ghettizzazione. Al contrario, è necessario integrarli. A Bruxelles, i terroristi erano belgi, figli di immigrati, ma cresciuti in un ghetto. A Londra, il nuovo sindaco (Sadiq Khan, figlio di musulmani pakistani, ndr) ha prestato il suo giuramento in una cattedrale e sicuramente incontrerà la regina. Questo mostra la necessità che l’Europa riscopra la sua capacità di integrare. Penso qui a Gregorio Magno, che aveva negoziato con popoli conosciuti come barbari, i quali si sono poi integrati. Questa integrazione è tanto più necessaria in quanto oggi, a seguito di una ricerca egoistica del benessere, l’Europa sta vivendo il grave problema di un tasso di natalità in declino».

Paura della conquista islamica

Francesco ha quindi risposto a una domanda sulla paura dell’islam nelle società europee. «Oggi io non credo che ci sia paura dell’islam – ha detto – ma dell’Isis e della sua guerra di conquista che è in parte tratta dall’islam. È vero che l’idea della conquista appartiene allo spirito dell’islam. Ma si potrebbe interpretare secondo la stessa idea di conquista la fine del Vangelo di Matteo, quando Gesù invia i suoi discepoli a tutte le nazioni. Di fronte al terrorismo islamico, sarebbe meglio interrogarci sul modo in cui un modello troppo occidentale di democrazia è stato esportato in paesi come l’Iraq, dove un governo forte esisteva in precedenza. Oppure, in Libia, dove esiste una struttura tribale. Non possiamo andare avanti senza prendere in considerazione queste culture. Come ha detto di recente un libico: “Eravamo abituati ad avere un Gheddafi, ora ne abbiamo cinquanta.” La coesistenza tra cristiani e musulmani è ancora possibile. Io provengo da un paese dove coabitano bene».

Laicità e religione in ambito pubblico

Il Papa ha risposto anche a una domanda sul modello della «laicité» francese. «Gli stati devono essere secolari, quelli confessionali finiscono male – ha detto – Sono contro la storia. Io credo che una versione della laicità, accompagnata da una solida legge che garantisca la libertà di religione, offra un quadro di riferimento per andare avanti. Siamo tutti figli e figlie di Dio, con la nostra personale dignità. Ognuno deve avere la libertà di esprimere la propria fede. Se una donna musulmana vuole indossare il velo, deve poterlo fare. Allo stesso modo, se un cattolico vuole indossare una croce. Le persone devono essere libere di professare la loro fede nel cuore delle loro proprie culture e non ai loro margini. La modesta critica che io vorrei rivolgere alla Francia riguarda il fatto che esagera con la laicità. Questo porta a considerare le religioni come sotto-culture, piuttosto che culture a pieno titolo con i loro diritti. Temo che questo approccio, un comprensibile patrimonio dei Lumi, continui ad esistere. La Francia ha bisogno di fare un passo avanti su questo tema al fine di accettare il fatto che l’apertura alla trascendenza è un diritto per tutti».

Le leggi e il diritto all’obiezione di coscienza

A Francesco è stato anche chiesto come i cattolici debbano difendere le loro convinzioni di fronte a leggi quali quella sull’eutanasia o sulle unioni civili. «Spetta al Parlamento discutere, argomentare, spiegare, dare le ragioni. È così che una società cresce. Tuttavia, una volta che una legge è stata approvata, lo Stato deve anche rispettare le coscienze. Il diritto all’obiezione di coscienza deve essere riconosciuto all’interno di ogni struttura giuridica, perché è un diritto umano. Anche per un funzionario pubblico, che è una persona umana. Lo Stato deve anche prendere in considerazione le critiche. Questa sarebbe una vera e propria forma di laicità. Non si possono accantonare gli argomenti proposti dai cattolici dicendo semplicemente che “parlano come un prete”. No, essi si fondano su quel tipo di pensiero cristiano che la Francia ha così notevolmente sviluppato».

I laici, il clericalismo e i lefebvriani

Nel corso dell’intervista, a proposito della mancanza di preti, Francesco ha parlato dell’esempio della Corea, un Paese che «per duecento anni è stata evangelizzata dai laici». Dunque, ha spiegato, «non c’è necessariamente bisogno di preti per evangelizzare. Il battesimo dà la forza per farlo». Il Papa è tornato a denunciare la malattia del clericalismo che «è particolarmente significativo in America Latina. Se la pietà popolare è forte, è appunto perché è soltanto un’iniziativa di laici che non è stata clericalizzata. Questo non è capito dal clero». Francesco ha quindi parlato dei rapporti con la Fraternità San Pio fondata dall’arcivescovo Lefebvre, affermando che il superiore, monsignor Bernard Fellay «è un uomo con il quale si può discutere». E ha detto che i lefebvriani sono «cattolici sulla strada della piena comunione», ricordando che il Concilio Vaticano II ha il suo valore e che bisogna procedere nel dialogo con questi tradizionalisti «lentamente e con pazienza». Infine, ha difeso il cardinale Philippe Barbarin, tirato in ballo per vicende di preti pedofili precedenti al suo arrivo come arcivescovo di Lione e ha detto che secondo lui non deve rassegnare le dimissioni.

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