il mea culpa di papa Francesco per le discriminazioni ai rom

le scuse di papa Francesco ai Rom

“troppe volte anche i cristiani vi hanno discriminato”

Le scuse di papa Francesco ai Rom: "Troppe volte anche i cristiani vi hanno discriminato"

In Transilvania il pontefice incontra una rappresentanza di una delle comunità maggiormente colpite dal veleno della discriminazione

” Chiedo perdono in nome della Chiesa per quando vi abbiamo discriminato, maltrattato o guardato in maniera sbagliata, con lo sguardo di Caino invece che con quello di Abele”

Le parole del Papa arrivano diciannove anni dopo il grande “mea culpa” di Giovanni Paolo II che, in occasione del Giubileo del 2000, chiese scusa per le guerre di religione, gli scismi, le persecuzioni contro gli ebrei, il sostegno al colonialismo, la discriminazione etnica e sessuale, la quiescenza contro le ingiustizie sociali. Karol Wojtyla, nella Giornata del perdono, fece un lungo elenco dei peccati commessi dai figli della Chiesa e un rappresentante della curia romana pregò per il pentimento dei cristiani che “si sono macchiati di inimicizia verso gli aderenti ad altre religioni e verso gruppi sociali più deboli, come quelli degli immigrati e degli zingari”. Wojtyla chiese perdono certo, ma quello di Francesco oggi, nel Paese dove l’etnia Rom è minoranza importante, è un passo ulteriore.

“Nella Chiesa di Cristo c’è posto per tutti”, dice il Papa. E “abbiamo bisogno di ricordarlo non come un bello slogan ma come parte della carta d’identità del nostro essere cristiani”. Tuttavia esistono anche sentimenti contrapposti. È quando nell’indifferenza si alimentano “pregiudizi e si fomentano rancori”.

“Quante volte – continua il Papa – giudichiamo in modo avventato, con parole che feriscono, con atteggiamenti che seminano odio e creano distanze! Quando qualcuno viene lasciato indietro, la famiglia umana non cammina. Non siamo fino in fondo cristiani, e nemmeno umani, se non sappiamo vedere la persona prima delle sue azioni, prima dei nostri giudizi e pregiudizi”.

Francesco si è messo dalla parte dei Rom più volte. Lo scorso 9 maggio ha ricevuto una comunità in Vaticano e, lo stesso giorno in San Giovanni in Laterano, la famiglia Rom finita tra le polemiche e minacce per via dell’assegnazione di un appartamento a Casal Bruciato. Contro il primo incontro disse la sua anche il vicepremier Matteo Salvini in un comizio a Montegranaro, nelle Marche: “Oggi ho letto che il Papa ha incontrato 500 Rom, è libero di farlo, ognuno incontra chi vuole. Il mio obiettivo è la chiusura di tutti i campi Rom”




storico mea culpa di papa Francesco nei confronti dei rom

papa Francesco ha pronunciato uno storico mea culpa rivolto alla comunità Rom

“nel cuore porto però un peso. E’ il peso delle discriminazioni, delle segregazioni e dei maltrattamenti subiti dalle vostre comunità”,

ha detto il pontefice

“Chiedo perdono – in nome della Chiesa al Signore e a voi – per quando, nel corso della storia, vi abbiamo discriminato, maltrattato o guardato in maniera sbagliata, con lo sguardo di Caino invece che con quello di Abele, e non siamo stati capaci di riconoscervi, apprezzarvi e difendervi nella vostra peculiarità”

È lo storico mea culpa di Papa Francesco che a Blaj, nel quartiere di Barbu Lautaru, ha rivolto alla comunità Rom che qui vi risiede.

“Nel cuore porto però un peso. E’ il peso delle discriminazioni, delle segregazioni e dei maltrattamenti subiti dalle vostre comunità”. Papa Francesco si rivolge così alla comunità Rom di Blaj incontrata nel quartiere di Barbu Lautaru.

“La storia ci dice che anche i cristiani, anche i cattolici non sono estranei a tanto male”, ha sottolineato il Pontefice che ha pronunciato un mea culpa, chiedendo perdono “in nome della Chiesa al Signore e a voi”.

“A Caino non importa il fratello. È nell’indifferenza che si alimentano pregiudizi e si fomentano rancori”, ha continuato Papa Francesco. “Quante volte giudichiamo in modo avventato, con parole che feriscono, con atteggiamenti che seminano odio e creano distanze!”. “Quando qualcuno viene lasciato indietro, la famiglia umana non cammina”.




il Messaggio del Papa per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 2019

papa Francesco sui migranti

il motto dei veri cristiani è

«prima gli ultimi»


Il Messaggio di papa Francesco per la ‘giornata mondiale del migrante e del rifugiato’ del 2019, che si celebrerà il prossimo 29 settembre, sul tema
“Non si tratta solo di migranti”

Foro Osservatore Romano

 il testo del Messaggio del Papa per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 2019, che si celebrerà in prossimo 29 settembre

Cari fratelli e sorelle,

la fede ci assicura che il Regno di Dio è già presente sulla terra in modo misterioso (cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. Gaudium et spes, 39); tuttavia, anche ai nostri giorni, dobbiamo con dolore constatare che esso incontra ostacoli e forze contrarie. Conflitti violenti e vere e proprie guerre non cessano di lacerare l’umanità; ingiustizie e discriminazioni si susseguono; si stenta a superare gli squilibri economici e sociali, su scala locale o globale. E a fare le spese di tutto questo sono soprattutto i più poveri e svantaggiati.

Le società economicamente più avanzate sviluppano al proprio interno la tendenza a un accentuato individualismo che, unito alla mentalità utilitaristica e moltiplicato dalla rete mediatica, produce la “globalizzazione dell’indifferenza”. In questo scenario, i migranti, i rifugiati, gli sfollati e le vittime della tratta sono diventati emblema dell’esclusione perché, oltre ai disagi che la loro condizione di per sé comporta, sono spesso caricati di un giudizio negativo che li considera come causa dei mali sociali. L’atteggiamento nei loro confronti rappresenta un campanello di allarme che avvisa del declino morale a cui si va incontro se si continua a concedere terreno alla cultura dello scarto. Infatti, su questa via, ogni soggetto che non rientra nei canoni del benessere fisico, psichico e sociale diventa a rischio di emarginazione e di esclusione.

Per questo, la presenza dei migranti e dei rifugiati – come, in generale, delle persone vulnerabili – rappresenta oggi un invito a recuperare alcune dimensioni essenziali della nostra esistenza cristiana e della nostra umanità, che rischiano di assopirsi in un tenore di vita ricco di comodità. Ecco perché “non si tratta solo di migranti”, vale a dire: interessandoci di loro ci interessiamo anche di noi, di tutti; prendendoci cura di loro, cresciamo tutti; ascoltando loro, diamo voce anche a quella parte di noi che forse teniamo nascosta perché oggi non è ben vista.

«Coraggio, sono io, non abbiate paura!» (Mt 14,27). Non si tratta solo di migranti: si tratta anche delle nostre paure. Le cattiverie e le brutture del nostro tempo accrescono «il nostro timore verso gli “altri”, gli sconosciuti, gli emarginati, i forestieri […]. E questo si nota particolarmente oggi, di fronte all’arrivo di migranti e rifugiati che bussano alla nostra porta in cerca di protezione, di sicurezza e di un futuro migliore. È vero, il timore è legittimo, anche perché manca la preparazione a questo incontro» (Omelia, Sacrofano, 15 febbraio 2019). Il problema non è il fatto di avere dubbi e timori. Il problema è quando questi condizionano il nostro modo di pensare e di agire al punto da renderci intolleranti, chiusi, forse anche – senza accorgercene – razzisti. E così la paura ci priva del desiderio e della capacità di incontrare l’altro, la persona diversa da me; mi priva di un’occasione di incontro col Signore (cfr Omelia nella Messa per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, 14 gennaio 2018).

«Se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?» (Mt 5,46). Non si tratta solo di migranti: si tratta della carità. Attraverso le opere di carità dimostriamo la nostra fede (cfr Gc 2,18). E la carità più alta è quella che si esercita verso chi non è in grado di ricambiare e forse nemmeno di ringraziare. «Ciò che è in gioco è il volto che vogliamo darci come società e il valore di ogni vita. […] Il progresso dei nostri popoli […] dipende soprattutto dalla capacità di lasciarsi smuovere e commuovere da chi bussa alla porta e col suo sguardo scredita ed esautora tutti i falsi idoli che ipotecano e schiavizzano la vita; idoli che promettono una felicità illusoria ed effimera, costruita al margine della realtà e della sofferenza degli altri» (Discorso presso la Caritas Diocesana di Rabat, 30 marzo 2019).

«Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e ne ebbe compassione» (Lc 10,33). Non si tratta solo di migranti: si tratta della nostra umanità. Ciò che spinge quel Samaritano – uno straniero rispetto ai giudei – a fermarsi è la compassione, un sentimento che non si spiega solo a livello razionale. La compassione tocca le corde più sensibili della nostra umanità, provocando un’impellente spinta a “farsi prossimo” di chi vediamo in difficoltà. Come Gesù stesso ci insegna (cfr Mt 9,35-36; 14,13-14; 15,32-37), avere compassione significa riconoscere la sofferenza dell’altro e passare subito all’azione per lenire, curare e salvare. Avere compassione significa dare spazio alla tenerezza, che invece la società odierna tante volte ci chiede di reprimere. «Aprirsi agli altri non impoverisce, ma arricchisce, perché aiuta ad essere più umani: a riconoscersi parte attiva di un insieme più grande e a interpretare la vita come un dono per gli altri; a vedere come traguardo non i propri interessi, ma il bene dell’umanità» (Discorso nella Moschea “Heydar Aliyev”di Baku, Azerbaijan, 2 ottobre 2016).

«Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli» (Mt 18,10). Non si tratta solo di migranti: si tratta di non escludere nessuno. Il mondo odierno è ogni giorno più elitista e crudele con gli esclusi. I Paesi in via di sviluppo continuano ad essere depauperati delle loro migliori risorse naturali e umane a beneficio di pochi mercati privilegiati. Le guerre interessano solo alcune regioni del mondo, ma le armi per farle vengono prodotte e vendute in altre regioni, le quali poi non vogliono farsi carico dei rifugiati prodotti da tali conflitti. Chi ne fa le spese sono sempre i piccoli, i poveri, i più vulnerabili, ai quali si impedisce di sedersi a tavola e si lasciano le “briciole” del banchetto (cfr Lc 16,19-21). «La Chiesa “in uscita” […] sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 24). Lo sviluppo esclusivista rende i ricchi più ricchi e i poveri più poveri. Lo sviluppo vero è quello che si propone di includere tutti gli uomini e le donne del mondo, promuovendo la loro crescita integrale, e si preoccupa anche delle generazioni future.

«Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti» (Mc 10,43-44). Non si tratta solo di migranti: si tratta di mettere gli ultimi al primo posto. Gesù Cristo ci chiede di non cedere alla logica del mondo, che giustifica la prevaricazione sugli altri per il mio tornaconto personale o quello del mio gruppo: prima io e poi gli altri! Invece il vero motto del cristiano è “prima gli ultimi!”. «Uno spirito individualista è terreno fertile per il maturare di quel senso di indifferenza verso il prossimo, che porta a trattarlo come mero oggetto di compravendita, che spinge a disinteressarsi dell’umanità degli altri e finisce per rendere le persone pavide e ciniche. Non sono forse questi i sentimenti che spesso abbiamo di fronte ai poveri, agli emarginati, agli ultimi della società? E quanti ultimi abbiamo nelle nostre società! Tra questi, penso soprattutto ai migranti, con il loro carico di difficoltà e sofferenze, che affrontano ogni giorno nella ricerca, talvolta disperata, di un luogo ove vivere in pace e con dignità» (Discorso al Corpo Diplomatico, 11 gennaio 2016). Nella logica del Vangelo gli ultimi vengono prima, e noi dobbiamo metterci a loro servizio.

«Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). Non si tratta solo di migranti: si tratta di tutta la persona, di tutte le persone. In questa affermazione di Gesù troviamo il cuore della sua missione: far sì che tutti ricevano il dono della vita in pienezza, secondo la volontà del Padre. In ogni attività politica, in ogni programma, in ogni azione pastorale dobbiamo sempre mettere al centro la persona, nelle sue molteplici dimensioni, compresa quella spirituale. E questo vale per tutte le persone, alle quali va riconosciuta la fondamentale uguaglianza. Pertanto, «lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo» (S. PAOLO VI, Enc. Populorum progressio, 14).

«Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2,19). Non si tratta solo di migranti: si tratta di costruire la città di Dio e dell’uomo. In questa nostra epoca, chiamata anche l’era delle migrazioni, sono molte le persone innocenti che cadono vittime del “grande inganno” dello sviluppo tecnologico e consumistico senza limiti (cfr Enc. Laudato si’, 34). E così si mettono in viaggio verso un “paradiso” che inesorabilmente tradisce le loro aspettative. La loro presenza, a volte scomoda, contribuisce a sfatare i miti di un progresso riservato a pochi, ma costruito sullo sfruttamento di molti. «Si tratta, allora, di vedere noi per primi e di aiutare gli altri a vedere nel migrante e nel rifugiato non solo un problema da affrontare, ma un fratello e una sorella da accogliere, rispettare e amare, un’occasione che la Provvidenza ci offre per contribuire alla costruzione di una società più giusta, una democrazia più compiuta, un Paese più solidale, un mondo più fraterno e una comunità cristiana più aperta, secondo il Vangelo» (Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2014).

Cari fratelli e sorelle, la risposta alla sfida posta dalle migrazioni contemporanee si può riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Ma questi verbi non valgono solo per i migranti e i rifugiati. Essi esprimono la missione della Chiesa verso tutti gli abitanti delle periferie esistenziali, che devono essere accolti, protetti, promossi e integrati. Se mettiamo in pratica questi verbi, contribuiamo a costruire la città di Dio e dell’uomo, promuoviamo lo sviluppo umano integrale di tutte le persone e aiutiamo anche la comunità mondiale ad avvicinarsi agli obiettivi di sviluppo sostenibile che si è data e che, altrimenti, saranno difficilmente raggiunti.

Dunque, non è in gioco solo la causa dei migranti, non è solo di loro che si tratta, ma di tutti noi, del presente e del futuro della famiglia umana. I migranti, e specialmente quelli più vulnerabili, ci aiutano a leggere i “segni dei tempi”. Attraverso di loro il Signore ci chiama a una conversione, a liberarci dagli esclusivismi, dall’indifferenza e dalla cultura dello scarto. Attraverso di loro il Signore ci invita a riappropriarci della nostra vita cristiana nella sua interezza e a contribuire, ciascuno secondo la propria vocazione, alla costruzione di un mondo sempre più rispondente al progetto di Dio.

È questo l’auspicio che accompagno con la preghiera invocando, per intercessione della Vergine Maria, Madonna della Strada, abbondanti benedizioni su tutti i migranti e i rifugiati del mondo e su coloro che si fanno loro compagni di viaggio.




“prima gli ultimi!! – per papa Francesco gli ‘ultimi’ vengono prima!

papa Francesco contro il motto
prima gli italiani’
i cristiani dicono

prima gli ultimi’

per papa Francesco il trattamento riservato ai migranti sempre più spesso “rappresenta un campanello di allarme che avvisa del declino morale a cui si va incontro se si continua a concedere terreno alla cultura dello scarto”


Nel giorno del trionfo della Lega di Matteo Salvini alle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo Papa Francesco ha nuovamente lanciato un allarme riferendosi al modo in cui vengono trattati migranti e richiedenti asilo. Per il Pontefice il trattamento riservato loro sempre più spesso “rappresenta un campanello di allarme che avvisa del declino morale a cui si va incontro se si continua a concedere terreno alla cultura dello scarto”. “Non si tratta solo di migranti; su questa via – spiega Bergoglio -, ogni soggetto che non rientra nei canoni del benessere fisico, psichico e sociale diventa a rischio di emarginazione e di esclusione”.  Per questa ragione secondo Francesco “la presenza dei migranti e dei rifugiati – come, in generale, delle persone vulnerabili – rappresenta oggi un invito a recuperare alcune dimensioni essenziali della nostra esistenza cristiana e della nostra umanità, che rischiano di assopirsi in un tenore di vita ricco di comodità”.

Nel messaggio dedicato alla  Giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 2019, che si celebrerà in prossimo 29 settembre, il Papa ha scritto: 

“Conflitti violenti e vere e proprie guerre non cessano di lacerare l’umanità; ingiustizie e discriminazioni si susseguono; si stenta a superare gli squilibri economici e sociali, su scala locale o globale. E a fare le spese di tutto questo sono soprattutto i più poveri e svantaggiati”. “Le società economicamente più avanzate – aggiunge – sviluppano al proprio interno la tendenza a un accentuato individualismo che, unito alla mentalità utilitaristica e moltiplicato dalla rete mediatica, produce la ‘globalizzazione dell’indifferenza”.

Secondo Bergoglio “il timore è legittimo, anche perché manca la preparazione a questo incontro”. “Il problema è quando dubbi e timori condizionano il nostro modo di pensare e di agire al punto da renderci intolleranti, chiusi, forse anche – senza accorgercene – razzisti. E così la paura ci priva del desiderio e della capacità di incontrare l’altro, la persona diversa da me; mi priva di un’occasione di incontro col Signore”.
Per finire a chi si fa schermo dell’identità cristiana, ricorda che “la fede si dimostra con le opere di carità verso gli ultimi, anche stranieri” e che per un cristiano è contraddittorio affermare “prima io e il mio gruppo” perché nella logica di Cristo e del Vangelo “gli ultimi vengono prima”



papa Francesco contro Casa Pound … e Salvini

il papa riceve i rom di Casal Bruciato

«quel che è successo non è civiltà»

di Maria Rosaria Spadaccino
in “Corriere della Sera

«Quando leggo sui giornali qualcosa di brutto vi dico la verità: soffro. Oggi ho letto qualcosa di brutto e soffro perché questa non è civiltà, non è civiltà»

Sedana si fa il segno della croce quando papa Francesco arriva sull’altare di san Giovanni in Laterano durante l’assemblea diocesana. Nascosta dietro la prima navata, con Violetta la piccola di 3 anni tra le braccia, sorride emozionata. Imer Omerovic e la moglie Sedana, bosniaci musulmani, prima attendono tra la gente, poi raggiungono la sacrestia dove incontrano il Papa.

Francesco scherza con la bimba, li invita a chiedere aiuto alla Chiesa per qualunque cosa, si fa raccontare la loro storia. «Dovete resistere», li esorta. In questo modo manifesta il suo affetto alla famiglia vittima di minacce ed insulti razzisti, perché assegnatari legittimi di una casa popolare a Casal Bruciato. «Quando leggo sui giornali qualcosa di brutto vi dico la verità: soffro. Oggi ho letto qualcosa di brutto e soffro perché questa non è civiltà, non è civiltà». Le parole del Papa pronunciate ieri mattina in Vaticano durante l’incontro con il popolo rom sono una consolazione potente per chi da 4 giorni vive blindato nella casa che era il sogno di una vita. Ieri, in un primo momento, si era diffusa la voce che gli Omerovic spaventati avrebbero manifestato l’intenzione di andarsene, poi questa idea sarebbe cambiata nel corso della giornata. «Sono certo turbati e molto stanchi, ma vogliono provare davvero a cambiare vita. E questa casa è una grande opportunità», osserva Patrizia, l’operatrice sociale che li sta aiutando.

Ma le tensioni di questi giorni non si sono ancora dissolte come testimoniano ieri a Casal Bruciato le molte bandiere tricolori appese alle finestre (distribuite da CasaPound). Intanto dalle indagini sarebbero stati già denunciati gli autori, militanti di estrema destra, delle minacce di stupro alla madre della famiglia rom. Ma la vita per gli Omerovic è sempre complessa. Per uscire di casa e raggiungere la basilica di San Giovanni infatti sono stati scortati dalla polizia. Sul fronte politico la sindaca Virginia Raggi rivendica con forza la vicinanza ai rom: «Un sindaco deve stare vicino agli ultimi». E il vicepremier Luigi Di Maio precisa: «È giusto dare la massima solidarietà a una donna che viene minacciata di stupro da CasaPound o da fascisti».

Ma nella trasmissione «Dritto e Rovescio» aggiunge: «Però dobbiamo rivedere le norme che fanno arrabbiare le persone. Per evitare episodi come questo». Mentre il premier Giuseppe Conte aggiunge: «La legge va applicata». E il segretario del Pd Nicola Zingaretti annuncia la riapertura della sezione del partito a Casal Bruciato: «Bisogna starci 365 giorni l’anno, tornare nei luoghi dove la vita, se non ci sono politica e servizi, può provocare questi istinti




la via crucis contro la chiusura ai migranti e contro la donna ‘usa e getta’

Via Crucis

suor Bonetti

Mediterraneo tomba d’acqua mentre i governi discutono


Luca Liverani 
Le meditazioni della Passione scritte dalla religiosa che da anni salva dal marciapiede le ragazze costrette a prostituirsi. «Nelle vittime di tratta Gesù crocifisso di nuovo sulla strada»

Foto archivio Ansa

«Porterò nella Via Crucis al Colosseo la sofferenza e la Passione di tante donne. Tante minorenni senza volto e senza speranze, donne usa e getta».

Suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata, da vent’anni lotta per liberare tante donne dalla schiavitù dello sfruttamento sessuale. Ed è a lei che il Papa, tramite il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio per la Cultura, ha chiesto di scrivere le meditazioni della Via Crucis che viene guidata come ogni anno dal Papa davanti al Colosseo. «Cristo muore ancora sulle nostre strade, ma per fortuna ci sono anche tante Veroniche che ne asciugano le lacrime, tante Marie che le sostengono nelle loro sofferenze», ha detto la religiosa, incontrando gli operatori dei media nella Sala Stampa della santa Sede.

Suor Bonetti

Suor Bonetti

Suor Eugenia racconta sorridendo di quando il cardinale Ravasi all’inizio di marzo le ha chiesto di scrivere le meditazioni: «Mi ha lasciato di stucco, non avevo idea di cosa scrivere. Mi ha detto: «Le do tempo per dirmi di sì, ma non mi dica di no». Dopo 24 anni in Kenya, suor Eugenia viene mandata a Torino in un centro di ascolto per stranieri. Ed è un incarico in cui inizialmente si trova a disagio.

«Lì non ci volevo stare – racconta la missionaria – chiedevo di tornare in Africa, non conoscevo nulla del problema, mi facevano rabbia quelle “statuette” di ebano per strada, che avevo lasciate in Africa piene di vita. Poi, un giorno, ho capito».

È Maria, una ragazza africana che le chiede aiuto per un problema di salute ad aprile gli occhi. Non c’era tempo per un conversazione nel centro d’ascolto, suor Eugenia deve andare a messa e invita la ragazza ad accompagnarla. La passeggiata sotto la pioggia per le vie di Torino non passa inosservata: sotto lo stesso ombrello una suora e una prostituta. «L’avevo etichettata, per me non era una persona, era solo una prostituta. In chiesa mi siedo davanti, la ragazza si mette più dietro e la sento piangere. Ho rivisto la scena del Vangelo di quello che dice “io non sono come lui”… Lei è uscita perdonata, io sono uscita stravolta. La notte non ho dormito: il Signore mi stava dicendo che doveva essere quello il mio nuovo compito. Avrei aiutato queste donne. Mi hanno raccontato l’orrore e la paura, quante lacrime ho asciugato!». Da allora lavora ogni giorno per «spezzare le catene che imprigionano queste donne: mai più schiave».

LE MEDITAZIONI

(a cura di Tiziana Campisi, da Vatican News)

La Via Crucis, la religiosa presidente dell’Associazione “Slaves no more”, l’ha voluta idealmente percorrere “insieme a tutti i poveri, agli esclusi dalla società e ai nuovi crocifissi della storia di oggi, vittime delle nostre chiusure, dei poteri e delle legislazioni, della cecità e dell’egoismo, ma soprattutto del nostro cuore indurito dall’indifferenza”.

Tra loro anche le 26 giovani nigeriane i cui funerali sono stati celebrati a Salerno, e la loro connazionale Favour, di 9 mesi, che ha perso i genitori in mare.

La piccola Favour

la piccola Favour

Nella prima stazione, la figura di Pilato ha ispirato la preghiera “per coloro che ricoprono ruoli di responsabilità, perché ascoltino il grido dei poveri” e “di tutte quelle giovani vite, che in modi diversi, sono condannate a morte dall’indifferenza generata da politiche esclusive ed egoiste”. In Gesù che prende la croce, c’è invece l’invito a riconoscere “i nuovi crocifissi di oggi: i senza fissa dimora, i giovani senza speranza, senza lavoro e senza prospettive, gli immigrati costretti a vivere nelle baracche ai margini della nostra società, dopo aver affrontato sofferenze inaudite”. Ma il pensiero va anche ai bambini “discriminati a causa della loro provenienza, del colore della loro pelle o del loro ceto sociale”. Di fronte a tutto ciò l’esempio da seguire è quello di Cristo che parlava di servizio, perdono, rinuncia e sofferenza, manifestando con la sua vita “l’amore vero e disinteressato verso il prossimo”.

Nelle tappe di Gesù verso il Calvario, suor Eugenia Bonetti riconosce diversi episodi di cui è stata testimone; nell’incontro con Maria intravede le “troppe mamme che hanno lasciato partire le loro giovani figlie verso l’Europa nella speranza di aiutare le loro famiglie in povertà estrema, mentre hanno trovato umiliazioni, disprezzo e a volte anche la morte”; in Gesù che cade per la prima volta, fragilità e debolezza umana sono spunto per ricordare i samaritani di oggi che si chinano “con amore e compassione sulle tante ferite fisiche e morali di chi ogni notte vive la paura del buio, della solitudine e dell’indifferenza”. “Purtroppo molte volte oggi non sappiamo più scorgere chi è nel bisogno, vedere chi è ferito e umiliato – scrive la religiosa della Consolata –. Spesso rivendichiamo i nostri diritti e interessi, ma dimentichiamo quelli dei poveri e degli ultimi della fila”. È allora che c’è da chiedere a Dio di aiutarci ad amare e a non essere insensibili al pianto, alle sofferenze e al grido di dolore altrui.

E come non vedere nella Via Crucis i tanti “bambini, in varie parti del mondo, che non possono andare a scuola”, “sfruttati nelle miniere, nei campi, nella pesca, venduti e comperati da trafficanti di carne umana, per trapianti di organi, nonché usati e sfruttati … da molti, cristiani compresi”. Sono i minori “privati del diritto a un’infanzia felice”, “creature usate come merce di poco valore, vendute e comperate a piacimento”. Ma al centro delle meditazioni di suor Eugenia Bonetti, che da anni si batte contro il traffico di esseri umani, ci sono i migranti e le vittime della tratta. Il richiamo a “crescere nella consapevolezza che tutti siamo responsabili del problema” e che “tutti possiamo e dobbiamo essere parte della soluzione” si legge nell’ottava stazione, “Gesù incontra le donne”. E soprattutto alle donne “è richiesta la sfida del coraggio”, “di saper vedere e agire”, di considerare “il povero, lo straniero, il diverso non … come un nemico da respingere o da combattere ma, piuttosto come un fratello o una sorella da accogliere e da aiutare”.

Nella nona stazione, a Gesù che cade la terza volta, “sfinito e umiliato sotto il peso della croce”, vengono accostate le “tante ragazze, costrette sulle strade da gruppi di trafficanti di schiavi, che non reggono alla fatica e all’umiliazione di vedere il proprio giovane corpo manipolato, abusato, distrutto, insieme ai loro sogni”. Sono il frutto della cultura usa e getta. A ridestarcene è la scomoda domanda di Dio – “Dov’è tuo fratello? Dov’è tua sorella?” – che deve “aiutare a condividere la sofferenza e l’umiliazione di tante persone trattate come scarto”.Denaro, benessere e potere gli idoli di ogni tempo

L’immagine del corpo spogliato di Cristo, paragonabile a quello dei minorenni, oggetto di compravendite, lascia riflettere sugli idoli di ogni tempo: denaro, benessere e potere che hanno reso tutto acquistabile. È venuta meno “la centralità dell’essere umano, la sua dignità, bellezza, forza”. Ma c’è chi ancora rischia la propria vita per salvarne altre, soprattutto nel Mediterraneo, dove in tanti hanno aiutato “famiglie in cerca di sicurezza e di opportunità”, “esseri umani in fuga da povertà, dittature, corruzione, schiavitù”; tutte persone di cui bisogna riscoprire la bellezza e ricchezza, “dono unico e irripetibile” di Dio “da mettere a servizio della società intera e non per raggiungere interessi personali”.

L’ultima stazione, che conduce al sepolcro di Gesù, infine, fa pensare ai “nuovi cimiteri di oggi”: il deserto e i mari, dove oggi trovano dimora eterna “uomini, donne, bambini che non abbiamo potuto o voluto salvare”. “Mentre i governi discutono, chiusi nei palazzi del potere – scrive suor Eugenia Bonetti – il Sahara si riempie di scheletri di persone che non hanno resistito alla fatica, alla fame, alla sete” e il mare si è trasformato in una “tomba d’acqua”. E allora l’auspicio è che la morte di Cristo possa “donare ai capi delle Nazioni e ai responsabili delle legislazioni la consapevolezza del loro ruolo a difesa di ogni persona” creata a immagine e somiglianza di Dio, e che la sua resurrezione “sia faro di speranza, di gioia, di vita nuova, di fratellanza, di accoglienza e di comunione tra i popoli, le religioni e le leggi”.




una ‘via crucis’, quella di quest’anno, evangelicamente davvero ‘pericolosa’

la ‘via crucis’ dei porti chiusi

per la prima volta la più importante celebrazione liturgica è dedicata ai fuggiaschi di oggi che spesso diventano schiavi

un preciso segnale politico a Salvini

Pope Francis asperses holy water as he celebrates Palm Sunday Mass in St. Peter's Square at the Vatican, Sunday, April 14, 2019. The Roman Catholic Church enters Holy Week, retracing the story of the crucifixion of Jesus and his resurrection three days later on Easter Sunday. (AP Photo/Gregorio Borgia)

papa Francesco come un nuovo Mosè alza la Croce davanti ai Faraoni del mondo per aprire il Mar rosso a un nuovo popolo eletto, quello degli ultimi, quello dei migranti

Dal 2013, dal primo viaggio a Lampedusa, sono innumerevoli gli interventi papali sul dramma di chi muore nel Mediterraneo e chi cerca di fuggire oltre i muri che numerosi si stanno alzando in Europa e nelle Americhe

nel ’68 si gridava “il personale è politico”. Oggi, quarant’anni dopo, la Chiesa di Francesco grida “Urbi ed orbi”, in mondovisione, che “la fede è politica”

Ma non era mai accaduto che un’intera celebrazione liturgica, per di più al centro del Triduo della Settimana Santa, i giorni più importanti della fede cristiana, fosse dedicata ai fuggiaschi di oggi che spesso diventano schiavi. Questo accadrà durante la tradizionale via Crucis del Colosseo, quando verranno lette le meditazioni di Suor Eugenia, “una giovane ottantenne” (come l’ha definita il direttore ad interim della Sala Stampa Vaticana, Alessandro Gisotti). Un vero e proprio j’accuse alle “politiche esclusive ed egoiste” che erigono muri e vedono nel diverso “un nemico da respingere o da combattere”, la denuncia dei “troppi calvari sparsi per il mondo, tra cui i campi di raccolta simili a lager nei Paesi di transito, le navi a cui viene rifiutato un porto sicuro, le lunghe trattative burocratiche per la destinazione finale, i centri di permanenza, gli hot spot, i campi per lavoratori stagionali”: una Via Crucis che denuncia senza mezzi termini la situazione degli “spaventosi centri di raccolta in Libia”. Durante la Via Crucis saranno lette le storie delle prostitute che dall’Africa giungono in Italia. “Racconti brevi”, che aiuteranno a far capire perché “occorre gridare con forza ‘Mai più schiave!’. Perché – ha aggiunto Suor Eugenia durante una presentazione in Sala Stampa vaticana – non è possibile che nel 2019 vi siano milioni e milioni di donne che ancora crocifiggiamo per il nostro consumo”.

Nel ’68 si gridava “Il personale è politico”. Oggi, quarant’anni dopo, la Chiesa di Francesco grida “Urbi ed orbi”, in mondovisione, che “la fede è politica”. Non è ricorrenza cerimonialistica, così ha detto qualche giorno fa Francesco. Sono gli ultimi ad essere la “carne di Cristo”.

Francesco proclama che la “fede è politica” e lo fa con tutta la forza (anche mediatica) di cui dispone, nel momento centrale del”passaggio” della Pasqua (solennità con cui gli ebrei celebrano la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto e i cristiani quello dalla schiavitù del peccato e della morte ad una vita nuova).

Le elezioni europee di fine maggio incombono, l’Europa nata anche dalla visione “cattolica” dei padri fondatori (molti non sanno che le dodici stelle della bandiera sono state scelte come omaggio alla corona della Madonna, la “Notre Dame”) potrebbe soccombere davanti alla possibile vittoria populisti e sovranisti.

E così Francesco e la sua Chiesa scendono in campo contro una politica giudicata incompatibile, quella “dei porti chiusi” di cui si è fatto araldo innanzitutto il vicepremier italiano Matteo Salvini.

Qualcosa di simile, ma meno eclatante, era già avvenuto nel 2016 per le presidenziali americane, quando quindici giorni prima del voto il nunzio apostolico di recò alla barriera al confine con il Messico a celebrare la Messa e alla candidata democratica Clinton fu “permesso” di usare nel suo discorso conclusivo la celebre frase di cui Francesco ha il copyright, “Costruire ponti e non muri”. Vinse Trump.

E naturalmente ciò sollevò e solleverà molte polemiche. “E’ questo quello che deve fare un Papa?”

Per una coincidenza oggi nella classifica delle cento persone più influenti al mondo stilata dalla rivista “Time”, c’è il leader del Carroccio (addirittura in copertina) insieme al presidente americano Donald Trump e Papa Francesco. A descrivere Salvini per il “Time” è stato Steve Bannon, ex stratega della Casa Bianca. “Salvini è ora uno dei politici di cui si parla in Europa, ed entro la fine di maggio, dopo le elezioni europee, potrebbe essere anche il piu’ potente”, ha scritto Bannon.

Qualche giorno fa il Guardian ha rivelato che fu proprio Steve Bannon che consigliò a Matteo Salvini di attaccare il Papa sulla questione immigrazione. Il “suggerimento” sarebbe stato fatto durante un incontro a Washington nell’aprile del 2016, pochi mesi prima che Bannon assumesse il ruolo di capo della campagna di Trump. La Lega, questo il consiglio di Bannon secondo la ricostruzione, avrebbe dovuto iniziare a prendere di mira Bergoglio, che dell’immigrazione ha fatto uno dei pilastri del suo papato.

“Bannon disse a Salvini che il Papa è una specie di nemico. Suggerì di attaccarlo frontalmente”. La Lega e l’entourage di Salvini hanno smentito con decisione che ciò sia avvenuto. Ma iniziò allora l’utilizzo da parte di Salvini di una maglietta significativa “Il mio papa è Benedetto” (alludendo a Benedetto XVI).

Chi tra Francesco e Salvini, conquisterà il cuore degli italiani e dell’Europa?

Il presidente Trump sa che il “brand” mondiale di Francesco è molto forte e oggi ha chiamato il Papa per esprimergli vicinanza per l’incendio che ha aggredito la cattedrale di Parigi, “la Signora”, una signora che ha resistito al fuoco, la “Notre Dame”, cuore simbolico dell’Europa cristiana, ben più che la Basilica di San Pietro




800 anni fa l’incontro di Francesco d’Assisi col sultano

San Francesco d'Assisi incontra il Sultano d'Egitto AL-Kamil nell'anno 1219

san Francesco d’Assisi incontra il Sultano d’Egitto AL-Kamil nell’anno 1219

lettera del papa a 800 anni dall’incontro tra san Francesco e il Sultano

Non cedere alla violenza, soprattutto sotto pretesti religiosi, ma promuovere la pace e il dialogo: così il Papa in una Lettera al card. Sandri, suo inviato alle celebrazioni dell’ottavo centenario dell’incontro tra San Francesco d’Assisi e il Sultano

Sergio Centofanti 

 la Lettera (in latino) di Papa Francesco al card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, suo inviato speciale alle celebrazioni dell’ottavo centenario dell’incontro tra San Francesco d’Assisi ed il Sultano Al-Malik Al-Kamel, che si svolgeranno in Egitto dall’1 al 3 marzo.

Francesco, uomo di pace

Il Papa ricorda il Poverello d’Assisi come un “uomo di pace” che esortava i suoi frati a salutare le persone come chiesto da Gesù: “Il Signore ti dia la pace”. San Francesco – scrive il Papa – aveva compreso col cuore che tutte le cose sono state create da un solo Creatore, l’unico che è buono, e che “tutti gli uomini hanno in Lui un Padre comune”. Pertanto, “desiderava portare a tutti gli uomini, con animo lieto e ardente, la notizia”  dell’amore ineffabile del “Dio onnipotente e misericordioso”, che “vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,3-4). Per questo motivo, invitava i frati che si sentivano chiamati da Dio ad andare tra i saraceni e gli altri non cristiani, nonostante i pericoli.

Il Poverello d’Assisi davanti al Sultano

Francesco stesso – ricorda il Papa – prendendo con sé un compagno, di nome Illuminato, partì per l’Egitto nel 1219. A Damietta, nei pressi del Cairo, incontrò il Sultano. Davanti alle domande del capo saraceno, “il servo di Dio Francesco, rispose con cuore intrepido che era stato inviato non da uomini, ma da Dio altissimo, per mostrare a lui e al suo popolo la via della salvezza e annunciare il Vangelo della verità”. E “il Sultano, vedendo l’ammirevole fervore di spirito e la virtù dell’uomo di Dio, lo ascoltò volentieri” (San Bonaventura, Legenda Maior, 7-8).

“Un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo”

Il Papa esorta il card. Sandri a portare il suo “saluto fraterno” a tutti, cristiani e musulmani. Auspica che nessuno ceda alla tentazione della violenza, soprattutto “sotto qualche pretesto religioso”, ma piuttosto, che si realizzino “progetti di dialogo, di riconciliazione e di cooperazione” che “portino gli uomini alla comunione fraterna”, diffondendo la pace e il bene secondo le parole del profeta Isaia: “Un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra”. Il Papa conclude la lettera benedicendo quanti parteciperanno a questo “memorabile evento” e “tutti i promotori del dialogo interreligioso e della pace”

La visita negli Emirati 800 anni dopo l’incontro di Damietta

All’inizio di febbraio, il Papa si è recato negli Emirati Arabi Uniti proprio in coincidenza con l’ottavo centenario dell’incontro tra San Francesco e il Sultano e ad Abu Dhabi ha firmato, con il Grande Imam di Al-Azhar Ahamad al-Tayyib, il Documento sulla “Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la convivenza comune”.

Durante l’incontro interreligioso al Founder’s Memorial ha affermato: “Con animo riconoscente al Signore, nell’ottavo centenario dell’incontro tra San Francesco di Assisi e il sultano al-Malik al-Kāmil, ho accolto l’opportunità di venire qui come credente assetato di pace, come fratello che cerca la pace con i fratelli. Volere la pace, promuovere la pace, essere strumenti di pace: siamo qui per questo”.

Il cristiano parte armato solo della sua fede e del suo amore

Francesco d’Assisi, a otto secoli di distanza, resta una profezia per tutta l’umanità: nel pieno delle crociate si è recato disarmato, con in mano solo il Vangelo, tra i nemici dei cristiani dell’epoca. Papa Francesco, nella Messa celebrata nello Zayed Sports City di Abu Dhabi il 5 febbraio scorso ha spiegato la beatitudine della mitezza ricordando le istruzioni di San Francesco ai frati che si recavano presso i Saraceni e i non cristiani: «Che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani» (Regola non bollata, XVI)”. Il Papa aveva concluso: “In quel tempo, mentre tanti partivano rivestiti di pesanti armature, San Francesco ricordò che il cristiano parte armato solo della sua fede umile e del suo amore concreto. È importante la mitezza: se vivremo nel mondo al modo di Dio, diventeremo canali della sua presenza; altrimenti, non porteremo frutto”.




padre Cardenal riabilitato da papa Francesco

POETA, RIVOLUZIONARIO E SACERDOTE

Ernesto Cardenal, sacerdote, rivoluzionario e poeta nicaraguense, nel 1984 fu sospeso a divinis da Woityla. Oggi, sul punto di morte, è stato ufficialmente riabilitato da papa Francesco

 meglio tardi che mai

Gianni Beretta

«Meglio tardi che mai» verrebbe da dire sulla riabilitazione come sacerdote del poeta Ernesto Cardenal, ministro della cultura in Nicaragua negli anni ’80 durante tutta la Rivoluzione popolare sandinista. Nel 1984 lui, insieme al fratello Fernando (gesuita, coordinatore della Gioventù sandinista e successivamente ministro dell’Istruzione), padre Miguel D’Escoto (ministro degli esteri) e padre Edgar Parrales (ministro per la famiglia) furono sospesi a «divinis» da Karol Wojtyla; dunque esonerati dallo svolgere i loro compiti sacerdotali.

È rimasta nella stoiria la fotografia del papa polacco che il 4 marzo 1983, appena sceso dall’aereo sulla pista dell’aeroporto Sandino di Managua, salutando uno per uno i membri del governo rivoluzionario (noi de il manifesto eravamo lì a un passo), puntò il dito su Ernesto (l’unico dei quattro preti-ministri ad accoglierlo) che gli si era inginocchiato per baciargli l’anello.

L’allora pontefice ritirò subito la mano umiliandolo e intimandogli: «devi regolarizzare la tua situazione con la Chiesa». Quella visita finì con la clamorosa contestazione a Giovanni Paolo II durante la messa nella gremita piazza 19 de julio; e la sua precipitosa dipartita, rosso di rabbia in volto, dal Nicaragua

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Uno degli slogan di quel tempo del corso sandinista era: Entre cristianismo y revolución no hay (non cè) contradicción. Mentre in quasi tutta l’America latina era in auge la Teologia della liberazione, avanguardia nell’applicazione del Concilio vaticano II. Che Wojtyla si prodigò letteralmente a sradicare a partire dal suo non casuale primo viaggio dalla sua nomina (nel gennaio 1979) alla III Conferenza episcopale latinoamericana di Puebla, che avrebbe dovuto sancire l’«opzione preferenziale per i poveri». Facendo così un grande favore al presidente Usa Ronald Reagan, nel frattempo impegnato nel promuovere le sette fondamentaliste in tutto il sub continente.
Papa Francesco ha finalmente revocato la sospensione al 94enne padre Ernesto, ricoverato in rianimazione per una grave infezione in un ospedale della capitale nicaraguense. A portargli il messaggio il nunzio Stanislaw Waldemar. Il quale ha espresso l’intenzione di concelebrare una messa insieme a lui. Sempre che, a questo punto, Cardenal riesca a rimettersi. Mentre il vescovo ausiliare di Managua, Silvio Baez, si è precipitato al suo capezzale chiedendogli la sua benedizione «come sacerdote della Chiesa cattolica».

Monsignor Baez, molto legato a papa Francesco, è il prelato che più si è esposto con le sue critiche al regime del presidente Daniel Ortega, ancor prima della rivolta studentesca scoppiata il 18 aprile dello scorso anno, repressa nel sangue dalle forze di sicurezza del fu comandante guerrigliero.

Così come Ernesto Cardenal è stato uno dei primi esponenti del sandinismo a denunciare (fin dagli anni ’90) la piega antidemocratica di Ortega da segretario del Fronte Sandinista prima, e dittatoriale da quando è tornato al governo nel 2007.

Tanto da essere preso di mira da una vera e propria persecuzione politica che gli è valsa un paio d’anni fa una sanzione di 750mila dollari per una inventata controversia sulla proprietà dei terreni dove lo stesso Cardenal aveva fondato negli anni ’70 la sua comunità contemplativa nell’isola di Solentiname del grande lago Nicaragua. Il sistema giudiziario, strettamente controllato da Ortega, era arrivato a congelargli il conto corrente; per poi sospendere il procedimento di fronte alle proteste di intellettuali e letterati dal mondo intero.
Il padre Cardenal è considerato infatti uno dei più grandi poeti latinoamericani. È stato insignito della Legion d’onore francese, del premio latinoamericano Pablo Neruda; fino al Premio regina Sofia di Spagna per la poesia iberoamericana (nel 2012). L’ultimo riconoscimento, il premio Mario Benedetti, lo aveva ottenuto giusto lo scorso anno; e lo dedicò al 15enne nicaraguense Alvaro Conrado, ucciso il 20 aprile scorso da un francotiratore del regime durante una manifestazione di protesta degli studenti. Tra le sue opere più famose: Oración para Marilyn Monroe (ancora del 1965), Quetzalcoatl, Canto Cosmico, La Revolución perdida…; molte di esse tradotte fin in venti lingue.
Nella sua lunga vita il padre Cardenal è stato suo malgrado avvezzo a subire feroci atti di repressione. Già nel 1977 gli sgherri della Guardia somozista distrussero le installazioni della comunità di Solentiname (cappella, scuola, biblioteca, laboratorio di arte primitivista, cooperativa di pescatori e contadini) e assassinò vari dei suoi attivisti. Così come fu clamorosamente boicottato durante la rivoluzione sandinista da ministro della cultura dalla stessa moglie di Daniel Ortega, Rosario Murillo (anch’essa poetessa e oggi vicepresidente nonché factotum del regime) che aspirava a quel posto; e che decise di inventarsi la Associazione dei lavoratori della cultura, in feroce competizione col padre-ministro.
Con la restituzione delle funzioni sacerdotali papa Francesco ha operato in extremis una sorta di risarcimento nei confronti del padre Ernesto che ora «è pronto per andarsene in pace» come ha commentato la scrittrice e anch’essa poetessa nicaraguense Gioconda Belli.
Gesto che il primo pontefice latinoamericano aveva già concesso (su esplicita richiesta) al padre Miguel D’Escoto prima di morire. Mentre Edgar Parrales optò subito per rinunciare allo stato laicale; e Fernando Cardenal scelse invece di rifare il noviziato per rientrare nella Compagnia gesuita a tutti gli effetti. Ancora qualche mese fa il riottoso Cardenal, che mai aveva chiesto la sua riabilitazione, ebbe a dire: «rivendico di essere stato poeta, sacerdote e rivoluzionario



Il papa sdogana l’islam, ma l’islam sdogana la chiesa? – un auspicio

papa Francesco sdogana i musulmani

da infedeli a fratelli

Ottocento anni fa, durante le Crociate, tra sangue e spade, si levò forte la voce di San Francesco anche “contro” la Chiesa che quelle guerre capeggiava. Oggi sono le diplomazie e i gesti di Francesco Papa, che si reca nel cuore dell’Islam, a sottolineare l’importanza del dialogo, della fraternità e della pace fra i popoli.

La posta in gioco è altissima: parla a nuora perché suocera intenda. In tutto l’Islam il vero problema è il riconoscimento delle comunità cristiane e la costruzione dei luoghi di culto. È la loro possibilità di “vivere” allo scoperto manifestando liberamente la propria fede senza timore.

Ad Abu Dhabi tutto il mondo musulmano guarda con attenzione le parole e i gesti di Bergoglio. Ma anche i cristiani osservano con altrettanta attenzione quello che sta avvenendo.

La strada intrapresa dall’Argentino ricalca quella che Francesco d’Assisi segnò 800 anni fa: allora “infedeli” oggi fratelli.

Il Papa sdogana l’Islam, ma l’Islam sdogana la Chiesa? E’ l’auspicio e il punto di domanda di questo viaggio apostolico. Bergoglio lo ha fatto sin dall’inizio: “un fratello da voi per costruire sentieri di pace“. È questa la posta in gioco e lo si fa con le parole attribuite a san Francesco: fa di me uno strumento della tua pace.

Parole che affondano le loro radici nel testo della Regola non Bollata che allora la Chiesa non volle approvare:

Perciò tutti quei frati che per divina ispirazione vorranno andare tra i saraceni e altri infedeli… I frati poi che vanno tra gli infedeli possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti né dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio (1 Pt2, 13) e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che, quando vedranno che piace a Dio, annunzino la parola di Dio…”.

Parole dettate dall’assisiate dopo il viaggio a Damietta nel 1219, senza se e senza ma.

L’esortazione “Né liti né dispute” è fondamentale in quanto il Santo auspicava che i frati si distinguessero dai crociati in armi. Non la ricerca di uno scontro, ma la costruzione di un terreno comune e umano su cui far nascere un’amicizia.

Le immagini che arrivano oggi da Abu Dhabi: il Grande Imam di Al-Azhar, Mohamed Ahmed al-Tayeb, il principe ereditario lo sceicco Mohammed Bin Zayed al Nahyan, e Papa Francesco che camminano mano nella mano rimarranno nella storia.

Immagini che siglano l’amicizia invocata da Francesco d’Assisi 800 anni fa. Le linee guida di allora diventano gli atteggiamenti di oggi. Non la strada dell’imposizione ma quella della condivisione.