2 giugno: parata pacifista o retorica bella che nasconde una corsa alle armi hich-tech
è indubbiamente bella la parata militare del 2 giugno: forse proprio perché così bella riesce a nascondere un’insidia: la corsa agli armamenti più sofisticati; così bella che G. Crainz, su ‘la Repubblica’, definisce ‘pacifista’
probabilmente la realtà è meno semplice e innocente di quanto appare: non riesce proprio a farsi simbolizzare dal ” ‘gioco tricolore’ dei bambini di una scuola di Roma con quegli ombrelli bianchi, rossi e verdi che spiccavano in tribuna”
di seguito l’articolo di Crainz ma anche una considerazione meno estetizzante ma più riflessiva di Manlio Dinucci (da ‘il Manifesto’) sulla parata del 2 giugno che “nasconde dietro la facciata retorica una realtà sempre più drammatica: l’accelerazione della corsa alle armi high-tech, in cui l’Italia è coinvolta tramite la Nato”
se la parata del 2 giugno diventa pacifista
di Guido Crainz
in “la Repubblica” del 3 giugno 2015
Il “gioco tricolore” dei bambini di una scuola di Roma con quegli ombrelli bianchi, rossi e verdi che spiccavano in tribuna è stata quasi il simbolo della parata del 2 giugno. Una sfilata militare, sì, ma sempre meno guerresca: con molte bande nel corteo, con gli atleti delle paralimpiadi che sfilavano, mentre erano quasi nascosti i corpi speciali. Come a sottolineare una sempre più marcata trasformazione delle nostre Forze armate.
La prima festa della Repubblica del presidente Mattarella ha proseguito e rafforzato un impegno: quello della costruzione di una religione civile e al tempo stesso quella valorizzazione del ruolo dell’esercito in missioni di pace che erano state avviate da Carlo Azeglio Ciampi e proseguite poi da Giorgio Napolitano. Una fase nuova e diversa, rispetto a periodi precedenti. In ogni momento della storia della Repubblica il 2 giugno inevitabilmente ci riconsegna il ritratto di un’epoca. Fin dall’inizio è stato così. NON era secondario legare la Repubblica all’esercito, dopo gli anni del fascismo e le tensioni stesse che avevano accompagnato il referendum del 1946. Era assolutamente essenziale dare legittimità alle forze armate vincolandole alla rinata democrazia e al tempo stesso ridisegnarne il profilo agli occhi dei cittadini. Un reciproco omaggio dell’esercito alla Repubblica e della Repubblica all’esercito (e sullo sfondo vi era anche il delinearsi della guerra fredda). Sarebbe difficile altrimenti comprendere il ruolo di una parata militare nella festa di una Repubblica che «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli», come recita l’articolo 11 della nostra Costituzione. Negli anni cinquanta si consolidò il carattere istituzionale della festa, mentre il ventennale vide invece un breve rilancio del suo momento più propriamente popolare. Era il 1966, nel pieno del centrosiniuna stra e della presidenza Saragat (e sono ormai lontani i “rumori di sciabola” del generale De Lorenzo del luglio del 1964), ma gli anni successivi videro il deperimento delle celebrazioni, trasformate sostanzialmente in un omaggio alle forze armate. E contestate talora da radicali e pacifisti. Nel 1976 la parata fu poi sospesa nell’emergenza del terremoto del Friuli (in cui l’esercito è fortemente impegnato) e la festa nazionale abolita l’anno dopo, in nome dell’austerity. E più tardi la stessa sfilata sarà poi annullata. Per più versi agli occhi del Paese sembrava ormai ovvio il valore del 2 giugno, assieme alla fiducia nella Repubblica: celebrarla ogni anno poteva apparire inutile. La crisi del 1992-1994 e il suo esito mostrarono che non era affatto così. Mostrarono che i nostri valori fondativi erano messi in discussione da umori secessionisti e da “picconatori” di differente natura. Mostrarono, più ancora, che era necessaria ricostruzione profonda del nostro “essere Paese”, mentre cresceva il nostro impegno militare nello scenario internazionale: e nel 2001 l’11 settembre lacerava drammaticamente il quadro. Di qui il senso e il valore dell’impegno del presidente Ciampi per reintrodurre la festa della Repubblica e per rimodellare più generalmente assieme ad essa il patriottismo repubblicano, i rituali e gli immaginari della nazione. Per dare ad essi respiro europeo, e per valorizzare l’esercito come forza di pace. Nel corso degli anni la “coreografia” della parata ha rafforzato sempre più questo intento: ora siamo giunti a un punto alto di questo percorso, e nella stessa direzione è andato l’incontro della presidente della Camera Boldrini con le ragazze e i ragazzi del Servizio civile, tenutosi anch’esso nella giornata di ieri. Anche quest’anno, in altre parole, il 2 giugno “rappresenta” un nostro percorso e al tempo stesso ci interroga. Ci riconsegna l’effettiva importanza dell’esercito in drammatiche emergenze civili e rafforza poi la richiesta di assoluta trasparenza della nostra presenza militare nei luoghi dei conflitti. Di assoluta chiarezza sulla sua esatta natura, sugli obblighi che ci impone: non hanno aiutato in passato le evocazioni di “missioni umanitarie” anche in casi che poco corrispondevano a questa
definizione. Ma questo 2 giugno ci interroga anche sul ruolo dell’impegno militare nello scenario internazionale: l’avanzata dell’Is dà drammaticità simbolica, e non solo simbolica, a questo interrogarsi, iniziato già ai tempi delle guerre nella ex Jugoslavia (ne aveva testimoniato anche Alex Langer, cresciuto nel più alto impegno pacifista). Un Paese maturo e civile sa far convivere domande come queste, ed oggi è più che mai necessario.
L’ARTE DELLA GUERRA
La corsa alle armi high-tech
Manlio Dinucci
La parata militare ai Fori Imperiali, con cui il 2 giugno si celebra la Festa della Repubblica che nella sua Costituzione ripudia la guerra, nasconde dietro la facciata retorica una realtà sempre più drammatica: l’accelerazione della corsa alle armi high-tech, in cui l’Italia è coinvolta tramite la Nato. Corsa guidata in tutti i campi dagli Stati uniti.
Una settimana fa il «Comando dell’attacco globale» ha lanciato dalla California un missile intercontinentale Minuteman III, colpendo con una testata sperimentale un atollo nel Pacifico a 8mila km di distanza. Con questi test il Comando verifica «l’affidabiità» dei 450 Minuteman III, pronti al lancio con le loro testate nucleari. Il Congresso ha stanziato oltre 200 miliardi di dollari (acconto su circa 1000 miliardi in dieci anni) per potenziare le forze nucleari, con altri 12 sottomarini da attacco (7 miliardi l’uno, il primo già in cantiere), armato ciascuno di 200 testate nucleari, e altri bombardieri strategici (550 milioni l’uno), ciascuno armato di 20 testate nucleari.
L’Esercito sta sperimentando armi laser capaci di abbattere velivoli, mettere fuori uso i visori e accecare i soldati nemici; la Marina ha già istallato un cannone laser sulla nave Ponce, precisando che «deve ancora essere usato in un combattimento reale»; l’Aeronautica annuncia che dal 2022 armerà di laser i suoi cacciabombardieri.
In forte sviluppo anche il settore dei droni e robot da guerra. Mentre si modernizzano i droni teleguidati (il Global Hawk ha superato le 150mila ore di volo), si sperimentano velivoli da attacco completamente robotizzati: l’X-47B ha effettuato in volo il primo rifornimento automatico di carburante. Il caccia F-35C per le portaerei, annuncia il Segretario alla marina, «sarà probabilmente l’ultimo con pilota a bordo». Nel 2016 sarà sperimentato anche un robot subacqueo che, lanciato da un sottomarino, individua e segue automaticamente le navi nemiche.
Dalla guerra robotizzata a quella spaziale il passo è breve: il 20 maggio è partito per la sua quarta missione segreta l’X-37B, un mini-shuttle robotico della U.S. Air Force già testato per quasi 4 anni nello spazio. Il generale Greaves, nuovo capo del Comando spaziale, ha dichiarato che gli Stati uniti «useranno tutti i mezzi per mantenere la supremazia nello spazio».
Alla corsa partecipano sulla scia degli Usa i maggiori paesi europei della Nato: dieci giorni fa, i ministri della difesa di Francia, Germania e Italia hanno firmato il memorandum d’intesa per lo sviluppo di un velivolo robotico da guerra. Israele partecipa alla corsa con nuovi droni e armi nucleari, armi che può continuare a sviluppare dopo che la proposta araba di convocare nel 2016 una conferenza per creare in Medioriente una zona libera da armi nucleari è stata bloccata all’Onu da Usa, Canada e Gran Bretagna.
Russia, Cina e altri paesi, che sono nel mirino strategico Usa/Nato, reagiscono di conseguenza. La Russia sta sviluppando il Sarmat, un nuovo missile balistico intercontinentale le cui testate nucleari manovrano al rientro nell’atmosfera per evitare i missili intercettori dello «scudo» Usa, e il sottomarino della classe Borey, estremamente silenzioso, armato di 200 testate nucleari. Missili e sottomarini analoghi sono costruiti dalla Cina che, secondo il Comando Usa, sta sperimentando anche armi spaziali anti-satellite per accecare i sistemi di attacco statunitensi.
Su tutto questo cala il blackout mediatico, mentre i riflettori vengono puntati sui bambini che, alla parata militare del 2 giugno, festeggiano con ombrelli tricolori. Non la pace, come gli è stato detto, ma la guerra che li aspetta.
(il manifesto, 2 giugno 2015)