“Viviamo in una società dominata dalle frustrazioni. La sensazione prevalente è quella di trovarsi in un ambiente in cui ci si sente esclusi, ci si sente insicuri, si ha paura. Si accumula così la frustrazione, che poi diventa rabbia. E la rabbia sa a cosa porta? Porta alla voglia di spaccare tutto. Il nostro tempo non è violento, è distruttivo”.
Vittorino Andreoli, noto psichiatra e prolifico scrittore, riflette così sulla contemporaneità e sull’uomo. Lo fa nel suo ultimo romanzo, presentato al Salone del Libro di Torino,
Il silenzio delle pietre
(Rizzoli, pp.328).
“Non credo alla divisione categorica fra romanzi e saggi” specifica lui. Non a caso, il volume è una lunga narrazione ambientata nel 2028: i tempi non sono più gli stessi, l’uomo non è più libero di scegliere, ma ha solo l’opzione benedetta dell’esilio. Che diventa mitico, e narrativo, quando si rivela volontario e scozzese. “Il mio protagonista – continua Andreoli – scappa da tutto. Scappa dai rumori, da internet, dal mondo virtuale che spaventa e occupa il tempo, impedendo di pensare. Scappa in un luogo in cui l’uomo ancora non c’è. Sceglie una baia meravigliosa, nella natura, per scampare a questa nostra società di frustrati”.
intervista di Flavia Piccinni
Ha parlato di violenza e di distruttività. Che differenza c’è?
La violenza è finalizzata a produrre danno agli altri. Uno è geloso perché c’è qualcuno che gli ha portato via l’oggetto d’amore, e si vendica violentemente: lo ammazza. Ma, realizzato questo scopo, la violenza decade.
E la distruttività?
La distruttività invece è la tendenza a fare del danno agli altri, ma anche a se stessi. Si uccidono moglie, figli e ci si uccide. È una piccola apocalisse. Ed è molto frequente nelle famiglie oggi.
Stiamo vivendo un tempo distruttivo anche per la politica?
C’è il desiderio di fare la guerra, per mascherare situazioni personali, per fare le armi, per alimentare gli arsenali nucleari. C’è aria di guerra, e la guerra è distruttività. Lo ribadisco: la distruttività è la caratteristica fondamentale del nostro tempo.
Quali sono le altre?
La frustrazione e l’insicurezza. Siamo la società della paura. Domina la cultura del nemico.
Questo cosa comporta?
Questo uccide la speranza e la fiducia, e promuove lo stare da soli.
E poi?
Sa, c’è stato il periodo della ragione, dei lumi, delle grandi ideologie e adesso…
Adesso?
Adesso abbiamo il periodo della stupidità.
Perché dice così?
Perché governa l’irrazionalità! Domina l’assurdo. Non c’è il senso dell’etica. Peggio di così… E come conseguenza della stupidità abbiamo la regressione all’homo pulsionale.
Ricordavo che appartenessimo all’homo sapiens sapiens.
No! In questo momento storico in cui domina l’assurdo, noi siamo l’homo stupidus stupidus stupidus.
Per quale motivo?
Tutti pensano a se stessi. Nessuno pensa che siamo un Paese. E questa è la stupidità. Se oggi uno non è stupidus in questa società non può vivere.
Come ci si salva?
Facendo come il protagonista del mio romanzo, che va in un mondo bellissimo dove non esistono commendatori. Dove non esiste l’uomo. La genesi si è fermata al quinto giorno, perché il Padre eterno è molto intelligente e in una parte del mondo non ha fatto l’uomo.
Dove si concentra la stupidità oggi?
Nel potere. Il potere oggi è per definizione stupido. Io uso il potere come verbo: posso, quindi faccio. E faccio perché posso. Il potere è l’aspetto più chiaro della stupidità.
Lei si considera un uomo di potere?
No. Ho scritto dei Nessuno, quelli con la N maiuscola, perché in questa società c’è qualcuno che non è stupido, e sono i Nessuno. Io sono un Nessuno, perché non conto niente.
Ma lei conta…
Essendo Nessuno non devo accettare compromessi. Il Nessuno è colui che c’è, ma è come se non si fosse. Amo questa società, quella fatta dalle persone bellissime che non contano niente.
Non conta niente, però c’è un qualcuno, Gene Gnocchi, che le fa l’imitazione in televisione.
L’ho vista poco tempo fa. Considero l’umorismo e l’ironia come difensive. Aiutano la gente a sopravvivere. Io amo i matti, considero la follia stupenda, umana, e quello che ho sempre cercato è l’uomo rotto. E l’ho sempre cercato con un’arma, l’ironia. Anche se non l’ho mai incontrato, considero Gene Gnocchi molto bravo.
Anni fa con Andrea Purgatori su Huffington Post fece una diagnosi al nostro Paese ormai storica. Possiamo aggiornarla, questa diagnosi?
L’Italia è solo peggiorata perché non è mai stata curata.
E gli italiani?
Siamo dei masochisti felici: viviamo in un costante e grave pericolo economico e sociale, però siamo capaci di divertirci.
E poi?
Siamo frustrati. Pieni di rabbia. Darwin parlava di istinto, ma noi stiamo regredendo all’epoca della pulsionalità. Si guardi intorno.
Lo faccio ogni giorno.
Ecco: ormai non c’è l’etica, ma ci sono i comitati etici. Domina l’io e non il noi. Io voglio questo. Lo voglio, lo voglio, lo voglio.
In questo contesto, crede che sia significativo l’aumento della violenza sulle donne?
Antropologicamente, la donna è stata da sempre preda dell’uomo. Salomone, che era la saggezza del popolo, diceva: “Più terribile della morte è la donna, solo l’uomo timorato di Dio ne può scampare, mentre il peccatore ne è avvinto, abbindolato”.
Dopo cosa è accaduto?
Poi è arrivato Cristo, che le donne le ha rispettate. C’è stata la cultura che faticosamente ha dato valore alla donna, alla femminilità, alla sua resistenza. Ma se precipitiamo nell’uomo pulsionale, la donna ritorna ad essere la preda.
L’altro giorno a Cannes 83 attrici hanno sfilato silenziosamente in segno di protesta contro l’industria cinematografica, e le discriminazioni di genere. Cosa pensa di quel movimento globale che è #metoo e delle conseguenze inevitabili che avrà sul presente?
La donna ha ancora bisogno di un movimento forte. Ricordo ancora che presi parte alla storica marcia delle donne da Central Park fino a Broadway. Oggi però la donna non deve fare l’errore del femminismo degli anni Settanta.
Quale?
Escludere gli uomini. Averlo fatto, in passato, non le ha permesso di crescere. Il movimento, come diceva quella grande donna che era Ida Magli, bisogna farlo insieme. Altrimenti l’uomo resterà culturalmente distaccato. Resterà un omuncolo.
Lei come si sente?
Io sono un infelice gioioso.
Mi spiega meglio?
Oggi si parla solo di felicità, ma la felicità è qualcosa di individuale. È una sensazione positiva, piacevole, che appartiene all’io. La gioia appartiene invece a una condizione che riguarda il noi: l’io insieme all’altro. Si trasmette e la si riceve, ma riguarda sempre un gruppo. Oggi solo gli imbecilli possono essere felici.
Per quale motivo?
Apparteniamo a una società troppo complessa perché non venga considerata la condizione degli altri. Come fa uno a essere felice se ogni giorno vede persone che soffrono?
Non lo so.
Io non stimo molte persone, ma quell’uomo di Nazareth, quell’uomo con la U maiuscola, quello insegnava la gioia. Oggi però tutto è diverso.
In che senso?
Oggi non ci sono più i padroni della terra, degli immobili, ma quelli dell’umanità. Li racconta bene Avram Noam Chomsky.
Chi sono questi padroni?
L’economia dipende da circa 20-25 persone. La maggior parte dei Nessuno fa fatica a vivere, mentre alcuni non sanno vivere perché hanno troppo.
Per esempio?
Mark Zuckerberg! La prossima volta lo guardi bene: ha perso 100 miliardi in un giorno. E sa cosa ha detto? “Non è niente per me”. Ecco, così divento infelice e un po’ arrabbiato. Ed è un bene.
Per quale motivo?
Perché fino a quando continuerò a indignarmi, continuerò a scrivere.