rom e sinti le prime vittime deportate a Dakau – il monito di mons. Perego

giorno della memoria

mons. Perego della ‘Migrantes’

“non dimenticare i minori rom trucidati in camere a gas e quelli di oggi esclusi”

“Nel Giorno della memoria non possiamo dimenticare la tragedia di un popolo europeo purtroppo non ancora riconosciuto in Italia come minoranza, e non richiamare l’attenzione a fatti di discriminazione, di esclusione sociale ancora troppo presenti nelle nostre città nei confronti dei rom, sfociati talora in nuove forme di violenze e di razzismo che devono preoccupare”.

Lo afferma oggi mons. Gian Carlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, ricordando le vittime del genocidio delle leggi razziali e, tra queste, lo sterminio delle persone e famiglie rom. La Migrantes, in questo giorno vuole ricordare

“i troppi minori rom ancora apolidi nel nostro Paese, che vivono ai margini delle nostre città o la violenza di sgomberi forzati e che rischiano di essere esclusi da percorsi di partecipazione e di cittadinanza. Ieri questi minori rom sono stati i primi a essere trucidati nelle camere a gas, oggi rischiano di essere ancora dimenticati e ed esclusi”.

Le prime deportazioni di rom – ricorda l’organismo pastorale della Cei – avvennero nel 1936 a Dachau. Le prime vittime furono rom e sinti della Germania e dell’Austria, deportati nei lager in Polonia. In Ucraina, in Boemia e in Moravia la popolazione rom fu quasi completamente massacrata. “Volti e storie di violenze e di morte”, anche di molti minori, nei diversi Paesi europei e in Italia, dove sorsero i campi di concentramento dei sinti e rom a Bolzano e in Sardegna, in Molise e Abruzzo, nel Lazio e in Calabria dopo le leggi razziali. Dopo l’8 settembre del 1943, molti rom si unirono alle formazioni partigiane e diedero “un contributo importante, spesso dimenticato, alla Resistenza e alla nascita della democrazia in Italia”.

dopo mezzo secolo gli italiani rifanno la valigia per emigrare

 

“torna l’Italia con la valigia”

intervista a Giancarlo Perego direttore della ‘Migrantes’

a cura di Giacomo Galeazzi
in “La Stampa-Vatican Insider” del 7 ottobre2016Perego

«Si grida all’invasione dell’Italia e invece siamo un paese di emigranti»

 


lo afferma monsignor Giancarlo Perego direttore generale di Migrantes, la Fondazione della Cei che si occupa di immigrati, rifugiati e profughi, commentando con Vatican Insider il rapporto «Italiani nel mondo», presentato ieri dalla stessa Fondazione della Conferenza episcopale italiana.

Sono quasi 5 milioni gli italiani all’estero, circa 110mila se ne sono andati soltanto nell’ultimo anno; dal 2006 al 2016 la mobilità italiana è aumentata del 54,9% passando da poco più di 3 milioni di iscritti all’Aire (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) a oltre 4,8 milioni.

Entrano in Italia meno persone di quante se ne vanno. Cosa significa?

“È uno dei segnali più importanti e misconosciuti della crisi economica e sociale dell’Italia. Numericamente gli immigrati non sostituiscono gli emigranti. L’Italia non è più attrattiva. I mass media si occupano di quelli che arrivano, ma non di chi se ne va. C’è una drammatica perdita di attrazione dell’Italia, soprattutto verso le nuove generazioni. Lo dimostrano i dati. Se noi guardiamo ai numeri di questo rapporto, dietro i quali ci sono delle persone, ci accorgiamo che queste ultime hanno in comune innanzitutto l’età: per il 50% sono giovani, per il 20% anziani. Molti sono senza lavoro e vivono la solitudine del cammino. Provengono dal sud Italia, dal sud Europa, dal sud del mondo anche se sono in ascesa le partenze da Veneto e Lombardia».

Quali sono gli altri indicatori di questa diminuita attrattività dell’Italia?

«Da anni si registra un costante calo di studenti stranieri iscritti nelle università italiane. L’Italia è al penultimo posto in Europa. Peggio dell’Italia solo la Grecia. Nel dopoguerra cinque milioni di italiani sono emigrati in Germania, ma poi ne sono tornati quattro milioni e mezzo perché nell’Italia dei decenni successivi trovarono quelle nuove opportunità che invece mancano oggi. Senza queste opportunità chi se ne va oggi dall’Italia, non tornerà domani».

Millennials in fuga?

«Esiste un mondo giovanile in movimento da intercettare. La cittadinanza premia i giovani in cammino, che cercano opportunità lavorative. In Italia il 39,6% è disoccupato e le università italiane sono tra le ultime nelle classifiche europee». In che modo la politica può correre ai ripari? «Va cambiata politica economica e sociale. L’Italia di oggi soffre di emorragia di talenti: i giovani migliori e più preparati se ne vanno e il Paese è incapace ad attrarne di nuovi. Il 75% della popolazione è convinto che l’emigrazione giovanile sia solo un impoverimento per la cultura italiana e non piuttosto utile per il confronto con altre culture. Bisogna rileggere la geografia urbana, che sta cambiando. Occorre investire in innovazione e cultura per rendere attrattiva l’Italia rispetto all’estero».

spreco di soldi e di bombe che non salvano …

«l’Europa spende per bombardare, non per salvare vite»

intervista a Gian Carlo Perego

a cura di Massimo Solani 
in “l’Unità” del 10 dicembre 2015

Perego

«Il rischio è che queste morti vengano lasciate in secondo piano, dimenticate in un clima di guerra come quello che si è creato nel contesto dell’Unione Europea dopo i terribili attentati di Parigi. Come se questi morti non meritassero lo stesso trattamento e la medesima attenzione»

monsignor Gian Carlo Perego è direttore della Fondazione Migrantes e i suoi numeri sulla strage silenziosa nelle acque del Mediterraneo hanno per un giorno riacceso i riflettori sulle tragedie dell’immigrazione che l’Europa sembra aver dimenticato, travolta dall’esigenza di sicurezza e contrasto al terrorismo

«Purtroppo – dice – l’esigenza della lotta al terrorismo genera una situazione di emergenza in cui rischiamo di dimenticare queste vittime e di mettere da parte il dibattito sul diritto di asilo». 

Le cifre del 2015 ci dicono chiaramente che nel Mediterraneo è in corso un’ecatombe. E l’Europa cosa fa dopo tanto discutere?

«Il primo segnale negativo è stato l’abbandono delle missione Mare Nostrum e il passaggio a Triton che ha causato il doppio delle morti nel Mediterraneo. L’Europa non si è preoccupata di spendere 588 milioni di euro in una solo settimana per bombardare la Libia ma ha ritenuto eccessivo spendere appena un quinto di quella cifra per salvare invece delle vite in mare. Parimenti, adesso, non ci si pone il problema di spendere altri soldi per bombardare la Siria senza tuttavia preoccuparsi di investire soldi per mettere in atto sistemi realmente efficaci di soccorso in mare che permettano di evitare altre tragedie come quelle a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni. Purtroppo, ancora una volta prevale la logica di guerra sul diritto umanitario e la solidarietà internazionale. Il secondo segnale preoccupante, invece, è quello a cui assistiamo in queste settimane di lotta al terrore con la creazione di altri muri in Europa e altre divisioni. Sta tornando a prevalere il concetto per cui le frontiere non sono più luoghi di passaggio fra Stato e Stato, ma barriere fisiche viste come argine alle migrazioni e agli spostamenti di popoli in cerca di aiuto. Eppure sia Papa Francesco che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella hanno più volte segnalato che occorre evitare questo rischio»

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. Ma in questo clima non può essere un caso la crescita di formazioni politiche marcatamente xenofobe come il Front National di Marine Le Pen.

«La cultura del terrore e la paura crescono e si rafforzano nei momenti di grande incertezza e proprio in condizioni come quelle attuale generano quello che Piero Calamandrei definiva “il sonno della ragione”. In quasi tutta Europa stiamo assistendo al progressivo rafforzamento di formazioni politiche che teorizzano il rifiuto dell’altro e che minano il necessario percorso di dialogo, convivenza e inclusione sociale. Si tratta di un pericolo grave che va sconfitto attraverso l’educazione: bisogna tornare a far prevalere la ragionevolezza perché la paura e la diffidenza generano soltanto nuovi scontri e radicalizzano ulteriormente le tensioni. Il dialogo, dobbiamo ricordarlo, rappresenta l’unica strada per la convivenza pacifica in Europa. La tragedia dei Balcani a cui abbiamo assistito soltanto pochi anni fa deve essere un monito: non possiamo restare inermi di fronte al crescere di nuovi focolai di tensione e scontro in quei Paesi che, ad est, stanno costruendo la nuova Europa».

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Dopo l’emergenza umanitaria dell’estate e il cordoglio unanime per i lutti come quello del piccolo Aylan, l’Europa è tornata a voltare la testa dall’altra parte? Cosa è rimasto di quella mobilitazione?

«L’Europa si è resa conto che la costruzione di questa realtà politica manca ancora di pezzi importanti che riguardano la solidarietà e la tutela del diritto d’asilo. Dopo aver firmato l’accordo di Dublino sul diritto d’asilo europeo ci siamo accorti che di fatto solo 5 paesi su 28 accoglievano e avevano un piano di accoglienza dei richiedenti asilo. Ci siamo accorti che non tutti concepiscono le frontiere come luoghi di passaggio delle persone ma come luoghi di chiusura totale. Questo mondo di richiedenti asilo e rifugiati ci ha ricordato che un diritto fondamentale espresso nella costituzione  europea e nelle costituzioni di tutti i Paesi europei di fatto non è salvaguardato e ha messo in luce la latitanza di tutti gli Stati sul piano della cooperazione internazionale di aiuto dei paesi più poveri. Un’urgenza che già Paolo VI, negli anni 60, aveva affermato con la sua “Populorum progressio”. Questa consapevolezza chiede un nuovo cammino insieme nella solidarietà in un momento in cui la solidarietà non sembra essere affatto premiale sul piano politico. E prova ne sono i risultati delle ultime elezioni regionali in Francia».

700 bambini affogati in meno di un anno

 “nel 2015 raddoppiati i migranti morti: 700 sono bambini” 

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monsignor Gian Carlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, ha esposto un quadro drammatico: “L’Europa che trova sempre risorse per bombardare, non trova risorse per salvare vittime innocenti

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di Davide Falcioni

parla di “strage silenziosa” monsignor Gian Carlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, nell’esporre i numeri delle tragedie dell’immigrazione, che da mesi ormai si verificano con cadenza quotidiana a largo del Mar Mediterraneo, spesso nel silenzio più totale, nell’indifferenza quando non nell’odio. I morti del 2015 sono più che raddoppiati rispetto al 2014, passando da 1.600 a 3.200 e dimostrando che la commozione all’indomani della strage di Lampedusa non ha sortito, purtroppo, azioni positive. Impressionante il dato riguardante i bambini: in 700 hanno perso la vita in mare dall’inizio dell’anno.
Perego

Il direttore della Fondazione Migrantes attacca il Vecchio Continente: “L’Europa che trova sempre risorse per bombardare, non trova risorse per salvare vittime innocenti. L’operazione Triton non ha saputo rafforzare il salvataggio in mare delle vite umane rispetto all’operazione italiana Mare Nostrum: una vergogna che pesa sulla coscienza europea. L’Europa sembra ora – a fronte della minaccia terroristica – giustificare i muri e la chiusura delle frontiere, oltre che il disimpegno nel creare canali umanitari che avrebbero potuto oltre che salvare vite umane, combattere il traffico degli esseri umani, una delle risorse del terrorismo”.

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La situazione, insomma, sembra peggiorare di giorno in giorno, con il dramma che i naufragi sembrano essere anche spariti dalle prime pagine dei giornali, relegati tra le notizie “varie ed eventuali”. Ciò, inevitabilmente, non ha contribuito a al miglioramento delle condizioni di accoglienza che, insiste Pelago, “sembra affidarsi ancora una volta a centri chiusi, gli ‘hotspots’, come dimostra il Centro di accoglienza di Lampedusa: più di 20mila persone arrivate al porto e trasferite nel Centro, chiuso ad ogni ingresso e uscite. La paura insieme alla convenienza sembra far ritornare indietro di anni il cammino di protezione internazionale costruito in Europa”.

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Ai numeri forniti dalla Fondazione Migrantes si aggiungono quelli dell’Unicef: secondo il “Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia” da gennaio 2015 876mila persone hanno raggiunto le coste europee, con una percentuale di donne e bambini in continua ascesa da qualche mese a questa parte: se a giugno rappresentavano il 27% degli arrivi a novembre la quota è salita al 52%: un profugo su due ormai è un minore o una donna. Ne consegue che anche il numero di vittime sale: solo a ottobre 90 bimbi sono deceduti nel Mare Egeo, il 20% dei quali aveva meno di 2 anni. Una situazione drammatica che rischia di aggravarsi nelle prossime settimane e mesi, con l’arrivo dell’inverno. Marie-Pierre Poirier, Coordinatore speciale UNICEF per la crisi dei Rifugiati e dei Migranti in Europa, ha dichiarato: “Finora l’inverno in Europa è stato relativamente mite, ma ora la stagione sta cambiando. La nostra più grande preoccupazione è che il clima invernale e le imprevedibili restrizioni alle frontiere lascino migliaia di bambini in un limbo, esposti al rischio di naufragi e di gravi malattie respiratorie. Purtroppo c’è carenza di abiti pesanti, sciarpe e calzini da bambino. I bambini migranti e rifugiati hanno sperimentato guerra, privazioni e disagi di ogni genere. Ora hanno bisogno di stabilità, protezione e assistenza”. Per questo, nel tentativo di fronteggiare l’emergenza, l’Unicef ha predisposto nei luoghi di sbarco punti di assistenza specializzati, incapaci però per il momento di fronteggiare le richieste di tutti: occorrerebbero 14 milioni di dollari per garantire continuità alle attività di assistenza ai bambini migranti e rifugiati, ma al momento la comunità internazionale ne ha sborsati solo 3. Parliamo di numeri insignificanti rispetto ai bilanci degli stati.

i migranti e le esigenze basilari dell’umanità e del vangelo


«Chi respinge i migranti ignora il Vangelo e nega la democrazia». Intervista a mons. Perego

«Chi respinge i migranti ignora il Vangelo e nega la democrazia».

intervista a mons. Perego

rilasciata a Luca Kocci:

Perego

«Penso che noi italiani dovremmo un poco di più imparare a distinguere il percepire dal reale. Cosa intendo dire? Noi qui sentiamo dire e sentiamo parlare di “insopportabilità” del numero di richiedenti asilo: guardate, questo, secondo me, è un atteggiamento che viene, in questi giorni, purtroppo alimentato da questi quattro “piazzisti” da quattro soldi che pur di prendere voti, di raccattare voti, dicono cose straordinariamente insulse!»

 così mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, lo scorso 10 agosto, in un’intervista alla Radio Vaticana al termine del suo viaggio in Giordania («la Giordania ha una popolazione che è di circa 6 milioni, 6 milioni e mezzo, ma sapete che lì ci sono due milioni e mezzo di profughi che vengono accolti?»), ha liquidato – senza fare nomi – i vari Matteo Salvini, Luca Zaia e Beppe Grillo che, anche negli ultimi giorni, hanno invocato misure draconiane contro gli immigrati che arrivano in Italia attraverso il Mediterraneo.

Il 12 agosto ha poi aggiunto a Famiglia Cristiana (che però in serata ha rimosso l’intervista dal sito internet e ha cercato di smorzare, senza tuttavia smentire: «Le dichiarazioni attribuite a mons. Galantino sono state riportate in modo esagerato nei toni all’interno di un colloquio confidenziale con il nostro giornalista»): il governo «è del tutto assente sul tema immigrazione», «non basta salvare i migranti in mare per mettere a posto la coscienza nazionale», le nostre leggi – «prima la Turco-Napolitano e adesso la Bossi-Fini» – di fatto «respingono gli immigrati e non prevedono integrazione positiva. Rispedendo al mittente – a Salvini e a Zaia – le accuse rivolte alla Chiesa di guadagnare con gli immigrati: si tratta, ha detto Galantino, «una banalità spaventosa», «ci sono vescovi che ospitano immigrati a casa propria e non si sono mai riempiti le tasche di soldi, anzi. Lo fanno anche Salvini, Zaia e Grillo?» E ribadendo: «I piazzisti sono molti, piazzisti di fanfaronate da osteria, chiacchiere da bar che rilanciate dai media rischiano di provocare conflitti».

«Non sono sorpreso dalle polemiche sollevate da alcuni esponenti politici», spiega ad Adista mons. Gian Carlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, l’organismo pastorale della Cei che si occupa di migrazioni. «Del resto già in altre occasioni alcuni esponenti della Lega Nord avevano evidenziato un vuoto assoluto di proposta politica e un’incapacità di formulare proposte concrete per fare fronte ad uno dei drammi del nostro tempo. Le parole di mons. Galantino cercano solo di contrastare qualunquismo e vuoto politico».

Insomma si tratta di piazzisti da quattro soldi…

«Ognuno colora come meglio crede le proprie espressioni e il proprio sdegno di fronte ad affermazioni insensate, pericolose per la vita delle persone e irrispettose di un diritto, che è il diritto di asilo. In ogni caso mons. Galantino non ha fatto altro che ribadire quello che sostiene anche il magistero sociale della Chiesa dalla Populorum progessio in poi : tutelare un richiedente asilo, che non può essere etichettato come clandestino prima di averlo incontrato e ascoltato, e tutelare la vita delle persone, perché respingere in mare significa uccidere. Del resto già nel 2011 l’Italia fu condannata dal Tribunale dei diritti umani dell’Europa quando furono respinti alcuni migranti che poi trovarono la morte in mare».

Salvini chiede di portare gli immigrati in Vaticano. Zaia dice che se la Chiesa interviene lo fa perché guadagna sui migranti. Come risponde?

«Noi facciamo il nostro dovere accogliere e di sostenere migranti, rifugiati, richiedenti asilo e persone in povertà. È un dovere che ci viene dal Vangelo: “Ho avuto fame – dice Gesù – e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito”, dice Gesù. Ma c’è dell’altro…».

Cosa?

«Sulla questione immigrazione, la politica sta evidenziando gravi carenze e inadempienze, per cui spesso la Chiesa, con le proprie strutture, si trova a fare opera di supplenza di uno Stato assente, che non ha saputo organizzare un piano di accoglienza, di assistenza e di asilo richiesto dagli accordi di Dublino. Sono le Prefetture che ci chiamano, ci chiedono di accogliere le persone e ci pregano di fare quello che non stanno facendo Stato, Regioni e Comuni. E anche le risorse che arrivano non vanno alla Chiesa ma sono per gli operatori, alcuni dei quali hanno trovato lavoro anche in seguito a questa situazione. Il direttore della Caritas di Bergamo, per fare un unico esempio, mi ha detto di aver assunto 70 persone impegnate nei servizi di accoglienza».

Cosa rimprovera alla politica?

«Stato centrale, Regioni e Comuni non sono capaci di collaborare per organizzare e gestire l’accoglienza. Inoltre dal 2011 ad oggi ancora non c’è stata quella pianificazione richiesta di alcuni luoghi dove tutelare il diritto di asilo. Si tratta oggi di 85mila persone che, spalmate su 8mila Comuni, non avrebbero l’impatto drammatico che si vuole far credere».

Nel mondo politico, oltre ai negligenti, ci sono anche i seminatori di odio…

«Alcuni politici e alcune forze politiche non fanno nulla perché hanno paura di perdere consenso, oppure alzano la voce e sfruttano le paure delle persone per raggranellare un po’ di voti. E questo è davvero vergognoso»

Il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, ha accusato la Chiesa di parlare ma di non agire, perché, per esempio, potrebbe ospitare i migranti nei conventi vuoti…

«Prima di tutto vorrei dire al presidente del Veneto che non può scaricare su altri quelli che sono compiti istituzionali propri. Quindi deve innanzitutto fare il proprio dovere, che oggi mi pare molto debole. Ripeto: oggi sta facendo supplenza alle mancanze di Stato, Regioni e Comuni, e in diversi territori, seminari e conventi sono stati aperti ai migranti, molte comunità religiose stanno adeguando alcune strutture per l’accoglienza. Poi ovviamente si può fare di più e meglio: ogni comunità, per esempio, dovrebbe riuscire a creare al proprio interno uno spazio e un luogo di accoglienza, e non limitarsi solo a fare catechesi».

La Lega Nord difende il crocefisso nelle scuole e chiede di respingere i migranti. Non le pare una contraddizione?

«Non metto in dubbio la fede dei singoli. Esprimo però il mio giudizio su alcune idee che fanno a pugni non solo con il Vangelo, ma con l’idea stessa di democrazia. Il diritto di asilo nasce con la democrazia, negarlo significa cadere in una sorta di medioevo della democrazia».

Non le sembra che in passato ci sia stata grande indulgenza da parte della Chiesa nei confronti di alcune forze politiche, come per esempio la Lega, che potevano essere utili alleati per altre battaglie su temi cari ai vescovi?

«Bisogna distinguere il magistero dalla politica. Noi oggi, di fronte al dramma dell’immigrazione, chiediamo di governare questo fenomeno, nel rispetto della dignità della persona e del diritto di asilo. Allo stesso modo, sul tema della famiglia, chiediamo la tutela della famiglia fondata sul matrimonio. E questo indipendentemente da collateralismi con una o un’altra forza politica».

La Chiesa fa politica?

«Se fare politica significa interessarsi della città, della dignità di ogni persona, della giustizia sociale allora in questo momento la Chiesa sta facendo politica, indipendentemente da qualsiasi formazione partitica. E mi rendo conto che questo può dare fastidio a chi ha idee diverse».

Quello dell’immigrazione è un problema non solo italiano ma europeo…

«E va affrontato anche a livello europeo. Rimettendo in discussione la chiusura di Mare nostrum che ha provocato il 30% di morti in più. Ridefinendo gli accordi di Dublino così da permettere una libera circolazione dei migranti in tutta Europa. E prevedendo una reale condivisione dell’accoglienza da parte di un’Europa di 500 milioni di abitanti che non può trovarsi in ginocchio per 200mila persone che arrivano dal Mediterraneo. Occorre una nuova politica europea sul tema delle migrazioni. Diversamente la chiusura e il ritorno dei nazionalismi non faranno altro che provocare un effetto domino che riporterà l’Europa indietro di 50 anni».

macché invasione di migranti!

Perego: nessuna invasione, proteste di irresponsabili

intervista a Giancarlo Perego, direttore della Migrantes

Perego

a cura di Ilaria Solaini
in “Avvenire” del 19 luglio 2015

“No immigrazione”, “Stop immigrazione”, “Lottare per non migrare”: sono gli slogan degli striscioni affissi la scorsa notte dai militanti di CasaPound al porto di Cagliari, dove ieri pomeriggio è avvenuto lo sbarco di 456 migranti, tra loro vi era anche un morto, deceduto durante la traversata, una decina di feriti e tre neonati. Le proteste e i disordini provocate in Italia dall’arrivo di alcuni profughi riflettono il disagio che suscita lo straniero. Come è possibile evitare altre situazioni di conflittualità sociale, dopo quelle che abbiamo visto a Treviso e Roma? Stiamo parlando di 20 persone, non parliamo di un’invasione, non sono certo numeri consistenti. Da un lato non è stato gestito con attenzione lo spostamento su questi territori dei profughi, dall’altra qualcuno ha soffiato sul fuoco, trasformando il loro arrivo in un motivo di contrapposizione e instabilità sociale. Quelle proteste sono state il frutto di un’irresponsabilità sul piano politico e sociale da parte di gruppi e di forze politiche che hanno strumentalizzato l’arrivo dei richiedenti asilo. Il diritto d’asilo viene garantito dalla nostra Costituzione, cosa si può fare concretamente affinché il sistema di accoglienza italiano funzioni a dovere? Il diritto d’asilo, garantito dalla nostra Costituzione, è stato rafforzato da altre forme di protezione internazionale, e dunque non può essere lasciato all’improvvisazione. La nostra proposta di organizzazione va oltre i grandi centri per la prima accoglienza, che hanno generato non solo la corruzione nella gestione e lo spreco di denaro, ma anche una nuova strada di guadagno delle mafie e la non tutela di alcuni diritti fondamentali, come il ricongiungimento familiare, la salute, la scuola per i minori. Quale può essere, quindi, l’alternativa ai grandi centri di accoglienza? L’accoglienza va ripensata attraverso un sistema strutturale che veda nei Comuni, tutti e 8mila, i soggetti che direttamente gestiscono il richiedente asilo. Un Paese di 60 milioni di persone che può ospitare 45 milioni di turisti all’anno non può essere messo in ginocchi di fronte a di fronte a 75mila profughi: se ogni famiglia prendesse in carico un richiedente asilo, si eviterebbe che l’arrivo di un gruppo di giovani profughi si trasformi in un’occasione nuova di conflittualità sociale. Va considerato anche l’arrivo di 12mila minori arrivati, il doppio rispetto a quelli accolti l’anno scorso: vanno tutelati subito al loro arrivo, attraverso una forma di affido presso alcune famiglie. “Chiesa senza frontiere: madre di tutti” sono parole del messaggio che il Papa ha rivolto per la giornata mondiale del rifugiato. Come si sta muovendo la Chiesa per gestire l’accoglienza? Le stesse contraddizioni sull’accoglienza dei profughi dividono anche le nostre comunità, com’è accaduto a Crema, in una diocesi con una grande tradizione sociale, dove si è verificata la non accettazione in una struttura adeguata di 16 richiedenti asilo. Anche le nostre famiglie rischiano di respirare la stessa aria di paura, di rifiuto e di contrapposizione ai migranti, ci aspetta, quindi, un forte lavoro culturale e sociale nelle nostre Chiese: da una parte non possiamo tornare al collateralismo nel lavoro sociale rispetto allo Stato, sostituendosi alle sue responsabilità e dall’altra dobbiamo evitare il rischio di non sentirci responsabili di un nuovo impegno sociale, per paura di vedere allontanarsi alcuni fedeli delle nostre comunità. Servono gesti e opere che siano segno di un amore e di un’attenzione verso chi ha perso tutto, verso i lontani che si sono fatti prossimo. In Europa è in corso la delicata trattativa per il piano di redistribuzione dei richiedenti asilo, come vede la situazione e il possibile accordo su cui si sta lavorando a Bruxelles?
Purtroppo l’Europa si sta frantumando sulla politica dell’asilo: quello della redistribuzione dei 60mila profughi è un primo passo verso il superamento di un forte nazionalismo che si è espresso anche nella protezione internazionale. L’Europa con 600 milioni di abitanti come può essere in difficoltà nell’accogliere 600mila persone, se si pensa che il Libano dove vivono 4 milioni di persone ha accolto un milione e mezzo di profughi.

un piano vergognoso per gli immigrati

Fondazione Migrantes: “Piano Ue per l’emergenza immigrati è vergognoso”

la Fondazione Migrantes della C.E.I.: “Il piano in 10 punti approvato dell’Ue è assolutamente debole e per certi versi vergognoso”

“Ancora una volta – denuncia il prelato – si pensa di contrastare i trafficanti e non tutelare le persone attraverso i canali umanitari, un piano sociale europeo nei paesi di arrivo dei profughi e migranti, la cooperazione locale”.

“Parole come affondare, distruggere, respingere, senza che siano accompagnate da parole come tutelare, salvare, accogliere, non hanno prospettiva”, ha detto il direttore della Fondazione Migrantes. “L’aspetto importante – ha spiegato – è contrastare i trafficanti, come già faceva ’Mare Nostrum’, ma al tempo stesso non dimenticare che ci sono vite da salvare. Se è vero che occorre un piano internazionale di intervento nel Nord Africa, deve essere di pace, di messa in sicurezza delle persone e di una collaborazione con tutte le realtà e le forze locali per combattere i trafficanti”.

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