Enrico Chiavacci, la ricerca teologico-morale nel rinnovamento postconciliare
di Giannino Piana
Con la scomparsa di Enrico Chiavacci la ricerca teologico-morale italiana (e non solo) ha perso uno dei più importanti protagonisti del rinnovamento postconciliare. Docente per moltissimi anni presso lo Studio teologico fiorentino (divenuto successivamente Facoltà teologica dell’Italia Centrale), Chiavacci ha concorso alla formazione di intere generazioni di sacerdoti e di laici e ha soprattutto contribuito, con le sue numerose pubblicazioni di carattere scientifico, a far uscire la teologia morale dalla lunga stagione di stagnazione in cui era precipitata – la stagione della casistica giuridico-negativa dove a contare era anzitutto l’elencazione dei peccati – restituendole l’originario respiro umano ed evangelico. Impegnato già prima della celebrazione del Concilio in questa opera di ripensamento e di reinterpretazione del messaggio morale cristiano, Chiavacci ha da subito intravisto nella svolta conciliare l’aprirsi di nuove e feconde possibilità, cogliendo soprattutto nella Gaudium et spes, di cui è celebre un suo commento pubblicato dall’editrice Studium nel 1967, l’indicazione di una metodologia innovativa con la quale affrontare le diverse questioni etiche, in particolare quelle delicate e complesse sollevate sia dagli sviluppi della ricerca scientifico-tecnologica che dall’avanzare della tematica dei diritti soggettivi. Parola di Dio ed esperienza umana – i due cespiti richiamati dalla Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo – sono diventati per lui, nella loro stretta correlazione, il riferimento obbligato di una riflessione rigorosa, che ha spaziato dall’ambito della morale fondamentale e generale a quello della morale speciale, affrontando una serie vastissima di problematiche di grande attualità. L’apporto specifico di Chiavacci al rinnovamento della teologia morale va anzitutto collocato sul terreno metodologico. La preoccupazione che ha sollecitato, fin dall’inizio, la sua ricerca è stata quella di ridare dignità culturale a una disciplina che era ridotta a «scienza pratico-pratica» ad uso dei confessori, cioè a strumento funzionale all’amministrazione del sacramento della Penitenza secondo le regole fissate dal Tridentino. Al di là di una seria fondazione biblica mai trascurata, Chiavacci si è soprattutto impegnato a conferire solide basi teoriche all’etica teologica, attraverso l’utilizzo di categorie filosofiche antiche e nuove, capaci di ridarle – come auspicava il Concilio (cfr. Optatam totius , n. 16) – credibilità scientifica, e di favorire una positiva mediazione tra vangelo e cultura. Il taglio squisitamente teoretico dell’opera di Chiavacci ha, d’altronde, radici profonde. Figlio di Gaetano Chiavacci, un nome illustre della filosofia italiana del primo Novecento, ordinario di filosofia teoretica presso l’Università di Firenze (dopo essere stato vicedirettore della Normale di Pisa), egli ha iniziato la sua carriera di insegnamento come professore di storia della filosofia e di filosofia morale, acquisendo in tal modo una solida strumentazione teorica la quale non poteva che imprimere un forte rigore intellettuale alla sua successiva ricerca teologico-morale. Lo testimoniano in particolare alcuni saggi dedicati a questioni di frontiera, quali la legge naturale – esemplare rimane a tale proposito la voce da lui curata per il Dizionario enciclopedico di teologia morale del 1973 (Edizioni Paoline) ripubblicata con gli opportuni aggiornamenti, insieme a pochissime altre, nel Nuovo dizionario di teologia morale del 1990 (Edizioni S. Paolo) -la fondazione della norma morale, la distinzione tra argomentazione deontologica e argomentazione teleologica, l’autonomia della morale, ecc., espressi anche negli articoli pubblicati su Rocca negli anni dal 1968 al 2011. Alla profonda conoscenza dei classici, del cui pensiero non esita ad avvalersi, Chiavacci associa l’interesse per il contributo di autori e di scuole contemporanee con cui entra in dialogo rispettoso e costruttivo, accogliendone gli stimoli e facendone proprie alcune chiavi interpretative, soprattutto nell’accostamento a questioni di carattere etico-normativo. Questo vale non solo per la fenomenologia e per l’ermeneutica, ma anche per la filosofia analitica e per l’analisi linguistica, nonché per le nuove forme di
utilitarismo e di contrattualismo – frequente è nei suoi scritti il riferimento al pensiero di John Rawls – dalle quali è possibile ricavare criteri di scomposizione e di valutazione dell’agire che, applicati alla teologia morale, consentono una migliore comprensione del significato delle azioni umane. L’assegnazione di centralità alla mediazione filosofica non impedisce, d’altra parte, a Chiavacci di considerare con attenzione anche l’apporto di altre fonti. Non solo della Bibbia, alla quale si è già accennato, e della successiva tradizione della Chiesa, che egli dimostra di conoscere in maniera dettagliata e da cui riprende soprattutto l’istanza di aderenza alla concretezza delle situazioni presente nella casistica, ma anche delle scienze umane, in particolare della sociologia e dell’antropologia culturale, alle quali fa frequentemente ricorso per spiegare fenomeni umani complessi, che esigono di essere anzitutto analizzati nelle loro dinamiche interne prima di poterli assoggettare al giudizio morale. Da questo punto di vista sorprendono le competenze tecniche che egli dimostra di possedere nell’ambito di settori specialistici, quali quelli dell’economia e della sessuologia, della biomedicina e dellinformatica; competenze che hanno fatto di lui un interlocutore privilegiato di molti uomini di scienza appartenenti ai vari campi della ricerca. Un metodo dunque, quello di Chiavacci, che risponde pienamente alle indicazioni di rinnovamento suggerite dal Vaticano II e che ha determinato uno sviluppo significativo della teologia morale, che oltre a restituirle dignità e autorevolezza, le ha consentito di interagire positivamente non solo con le altre discipline teologiche, ma anche con il più vasto campo della cultura e della scienza, mettendola in grado di fornire una forma di discernimento assolutamente indispensabile per orientare in senso umanizzante i processi di trasformazione in atto nella società del nostro tempo. Ma il contributo di Chiavacci non è stato soltanto di ordine metodologico. Profondamente innovativi sono pure i contenuti della sua proposta teologico-morale, che ha come asse portante la centralità assegnata alla dimensione sociale dell’agire umano. La piena adesione data a una concezione antropologica, peraltro presente in diverse correnti del pensiero moderno – dal personalismo alla fenomenologia, dall’esistenzialismo al pensiero ebraico -, per la quale la socialità non è qualcosa di accidentale o di sopraggiunto, ma appartiene in maniera costitutiva alla natura del soggetto umano, in quanto essere di e in relazione, ha spinto Chiavacci a criticare duramente la deriva individualistica che ha caratterizzato l’etica della modernità (non esclusa quella cattolica) e a suggerire alcune piste da percorrere per il suo superamento. Uno degli aspetti più originali dell’opera di rinnovamento da lui intrapresa è costituito in proposito dall’inserimento del «sociale» nell’ambito della stessa morale generale. Egli ha infatti avvertito con chiarezza che le categorie tradizionali che stanno alla base dell’impianto dell’etica, e che non possono per questo essere accantonate, erano andate soggette a un processo di privatizzazione che le ha rese incapaci di fare spazio, se lasciate a se stesse, alla valenza sociale della moralità. Di qui il tentativo di accostare ad esse altre categorie – quelle del «sociale» e della «cultura» – come fattori di integrazione complementare – è questo il senso del titolo Complementi di morale generale assegnato al secondo volume di teologia morale pubblicato presso l’editrice Cittadella di Assisi nel 1980 e rifuso, dopo una sua accurata revisione, insieme al primo in unico volume Teologia morale fondamentale dalla stessa casa editrice nel 2007 – che hanno il compito di allargare l’orizzonte dell’esperienza etica, situandola nel contesto di precise condizioni socioculturali e rendendo trasparente la responsabilità che va esercitata da ciascuno nei confronti delle situazioni da esse derivanti. L’attenzione al sociale non si arresta tuttavia qui. Chiavacci ha dedicato gran parte del suo impegno di teologo ad un approccio tematico alle numerose (e scottanti) questioni presenti sullo scenario di un mondo in costante e rapido cambiamento. Il lavoro e l’economia, la politica e la giustizia sociale, l’innovazione tecnologica, i diritti umani e la costruzione della pace sono i grossi nodi critici, che hanno maggiormente occupato l’interesse della sua ricerca e che sono stati fatti anche oggetto di interventi pubblici – Chiavacci era anche un brillante conferenziere assai ricercato sia in Italia che all’estero – con prese di posizione nette e decise che gli hanno talora provocato difficoltà di non poco conto da parte della gerarchia ecclesiastica. È nota, al riguardo, la sua critica radicale all’idea della massimizzazione del profitto e la sua rigorosa (e profetica) denuncia di immoralità di un sistema finanziario, che favorisce facili guadagni dovuti a giochi speculativi come quelli della Borsa; come è nota, l’altrettanto sua severa denuncia di immoralità di ogni forma di guerra – Chiavacci è stato a lungo membro della Commissione scientifica internazionale di Pax Christi – e l’adesione a un pacifismo radicale, quello della Pacem in terris , di cui non si è mai stancato di diffondere il messaggio. Altri (e numerosi) sono, ovviamente, i contributi da lui offerti nei vari ambiti della riflessione
morale. Basti qui ricordare i settori dell’etica sessuale e della bioetica, dove, al di là delle soluzioni tecniche, peraltro mai a priori demonizzate ma fatte oggetto di accoglienza critica e di serio discernimento, quelli che per lui contavano come criteri inderogabili erano il rispetto della dignità della persona e la salvaguardia della libertà della coscienza, la quale non può essere asservita a nulla e a nessuno, e di conseguenza il riconoscimento dei diritti di ogni soggetto umano, senza distinzione di sesso, di genere, di ceto sociale e di appartenenza culturale e religiosa. È significativo, a tale riguardo, che il suo ultimo intervento sulla Rivista di teologia morale abbia come oggetto la questione omosessuale, e che in esso Chiavacci evidenzi la vanificazione delle argomentazioni tradizionali e l’esigenza di ricercare nuove chiavi interpretative e valutative del fenomeno (Omosessualità, un tema da ristudiare, n. 167/2010, pp. 469-477). Questa attenzione alla persona, alla sua dignità e al rispetto della sua libertà di coscienza, che è un tratto distintivo della teologia morale di Chiavacci, quasi un leitmotiv trasversale, che percorre l’intera sua produzione – anche in questo egli è debitore alla lezione del Concilio, in particolare a documenti come la Gaudium et spes e la Dignitatis humanae – ha trovato senz’altro una forte motivazione esistenziale nella sua esperienza pastorale. Chiavacci – non molti forse lo sanno – ha sempre conciliato la sua vita di docente e di ricercatore con un impegno diretto in parrocchia, dapprima come viceparroco, poi per lunghi anni come parroco della piccola comunità di San Silvestro a Ruffignano sulla collina sopra Firenze nel comune di Sesto Fiorentino. Questa esperienza, che ha vissuto con grande intensità e senso di responsabilità – difficilmente accettava impegni di convegni o di conferenze in giorno di domenica per non stare lontano dai suoi parrocchiani – costituiva per lui un motivo di vanto che rivelava con orgoglio agli amici, perché da questo rapporto diuturno con una comunità vera (anche se piccola), oltre a ricavare una condizione di stabilità e di normalità, veniva sollecitato a guardare le cose dal basso, a misurarsi con le fatiche quotidiane di donne e uomini comuni, a condividere i problemi della gente, che sono poi i veri problemi della vita. Forse anche a questa esperienza va ascritta la fecondità e la coerenza della sua ricerca teologica.