morire da soli è disumano anche in tempi di covid – una riflessione del teologo G. Piana

disumano continuare a

morire da soli

e non si dica che non si poteva fare diversamente

di G. Piana

l’assenza di una persona amica che ti sta accanto, che ti prende per mano o ti fa il dono di una carezza rende tutto molto più tragico e desolante

ANADOLU AGENCY VIA GETTY IMAGES
Ponte San Pietro, Bergamo. La prima fase dell’emergenza Covid (4 aprile 2020)

una riflessione di Giannino Piana, scrittore, teologo, già docente di Etica cristiana all’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Libera Università di Urbino e di Etica ed economia alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Torino

Tra gli aspetti più gravi della pandemia da coronavirus nella quale siamo tuttora immersi quello più drammatico è stato (ed è) senz’altro costituito dallo stato di abbandono in cui si sono venuti a trovare negli ospedali e nelle case di riposo malati gravi ed anziani costretti a vivere le ultime ore della loro esistenza senza l’accompagnamento dei propri familiari o delle persone care che avrebbero voluto avere accanto.

Abbiamo tutti negli occhi – e non potremo a lungo cancellarla – l’immagine di quel macabro corteo di camion militari che portavano in cimiteri lontani dal paese di origine le casse di una serie di persone decedute senza poter ricevere l’ultimo saluto da parte dei propri congiunti ai quali, per un certo periodo, è stato persino impedito di partecipare a un rito di commiato.

Si sa che la morte è un’esperienza individuale, che comporta un livello marcato di solitudine, ma le modalità con cui è stata vissuta (ed è tuttora vissuta) da molti anziani (e non solo) in questo tempo di pandemia ha qualcosa di inquietante. L’assenza di una persona amica che ti sta accanto, che ti prende per mano o ti fa il dono di una carezza rende tutto molto più tragico e desolante. Per non dire del trauma non facilmente rimarginabile di chi è venuto a sapere della gravità della situazione del proprio congiunto di cui apprendeva in seguito, magari a distanza dal momento in cui era avvenuta, la notizia della scomparsa.

Si è toccato qui con evidenza il livello più basso di disumanizzazione di cui è capace la nostra civiltà tecnologica. E non si dica che non si poteva fare diversamente. Certo l’esigenza di salvaguardare dal rischio del contagio ambienti delicati come quelli che ospitano malati e anziani, evitando il diffondersi del virus, era una giusta precauzione alla quale occorreva far fronte. Ma forse una maggiore inventività avrebbe potuto trovare vie praticabili per combinare le misure necessarie a tutela della salute con le esigenze non meno importanti di garantire la vicinanza delle persone sofferenti ai propri affetti, non dimenticando che anche questo fa parte (e in misura rilevante) del processo di cura.

Per questa ragione merita un plauso particolare la giunta della Regione Toscana che, sollecitata dall’Associazione “Tutto è vita onlus” e dalla Fondazione Meyer, nonché dal parere della Commissione regionale di bioetica (CRB), ha approvato all’unanimità su proposta degli assessori alla Sanità Simone Berrini e agli Affari sociali Serena Spinelli una serie di dispositivi concreti che consentono ai pazienti ricoverati in ospedali, case di cura e residenze sanitarie di poter ricevere visite da parte dei loro familiari, pur nel rispetto delle norme anti-Covid.

Le misure previste, che riguardano in maniera prioritaria (ma non esclusiva) le persone affette da patologia grave o con prognosi infausta e che sono già in parte esecutive, sono la chiara testimonianza della possibilità di fare un passo avanti sul terreno della umanizzazione delle cure, e meritano di essere segnalate nella speranza che possano essere assunti provvedimenti analoghi anche nell’intero Paese. È in gioco il livello di civiltà della nostra società.

G.Piana e le innovazioni del ‘questionario’

bel giglio

G. Piana riflette sul ‘questionario’ che papa Francesco ha voluto mettere in mano ad ogni membro ecclesiale, vedendovi novità significative (metodo ‘democratico’, affermazione della sinodalità, della corresponsabilità) e contenutistiche (sguardo positivo sul matrimonio e attenzione ai nodi critici nella prospettiva della misericordia):

il questionario per una chiesa viva

di Giannino Piana
in “Rocca” n. 23 del 1 dicembre 2013

A poco più di sette mesi dalla elezione Papa Francesco (o meglio il nuovo vescovo di Roma, per
usare la formula da lui prediletta) non cessa di sorprendere. Tantissimi sono ormai gli interventi, fatti con
i gesti e con le parole (ma anche – non dimentichiamolo – con precise decisioni di governo), che hanno
contrassegnato di una chiara impronta innovativa il suo pontificato. La scelta preferenziale dei poveri
e l’esercizio della misericordia nei confronti delle molte situazioni difficili che l’umanità oggi
sperimenta sono i tratti qualificanti della sua azione pastorale dal timbro schiettamente evangelico, che
coinvolge a vasto raggio credenti e non credenti, risuscitando la speranza in un mondo attraversato da una
profonda crisi, non solo economica e sociale ma anche (e soprattutto) culturale e morale, e afflitto
proprio per questo dalla paura del futuro.
L’ultimo importante atto di Papa Bergoglio, che non ha mancato di suscitare vivaci e in generale
positive reazioni nell’ambito dell’opinione pubblica (non mancano tuttavia, anzi vanno moltiplicandosi,
nei confronti del Papa anche posizioni di dissenso negli ambienti della conservazione ecclesiale e della
destra politica), è stata la pubblicazione (anticipata da alcune agenzie e poi fornita ufficialmente dagli
organi della Santa Sede) del questionario inviato alle diocesi di tutto il mondo in preparazione del Sinodo
straordinario sulla famiglia, che avrà luogo a Roma nell’ottobre del 2014 e al quale parteciperanno per la
prima volta (in omaggio alla collegialità) tutti i Presidenti delle 114 Conferenze episcopali nazionali del
mondo.
dall’ Instrumentum laboris al questionario
La «novità» di questo modo di procedere è anzitutto metodologica. I sinodi, finora celebrati, dopo il
Vaticano II, sono sempre stati preceduti dalla pubblicazione di un ampio e dettagliato documento
denominato Instrumentum laboris, destinato ai vescovi, e in particolare a quelli designati a partecipare,
nonché ai periti e osservatori invitati, che riproponeva le linee fondamentali della dottrina della chiesa
attorno al tema prescelto come oggetto dell’assise sinodale e conteneva alcune domande su questioni
aperte, di carattere soprattutto pastorale, che dovevano essere fatte oggetto di discussione e di confronto.
Ora, a parte la restrizione del campo al solo ambito dei vescovi e degli esperti, in particolare dei
partecipanti ai lavori (i quali certo avevano la possibilità, di consultare, se lo volevano, sacerdoti e laici),
ad essere fatti oggetto di riflessione erano semplicemente alcuni temi che riguardavano l’applicazione della
dottrina tradizionale alle nuove situazioni o, nel migliore dei casi, l’individuazione di piste efficaci di
carattere pastorale.
Il passaggio al questionario costituisce perciò un vero e proprio ribaltamento di metodo. Non si tratta,
infatti, di procedere dall’alto, in modo deduttivo, ribadendo i principi di sempre e disponendosi ad
affrontare, a partire da essi, i problemi che vengono emergendo dalla realtà. Si tratta piuttosto di partire dal
basso, da una conoscenza approfondita della realtà, perciò facendo spazio a una consultazione di base,
finalizzata a rilevare ciò che le comunità cristiane e, in senso più ampio, gli uomini di buona volontà, pensano
per interrogarsi seriamente su come impostare l’azione pastorale, cioè su come rendere attuale l’annuncio
evangelico così da raggiungere la coscienza dell’uomo contemporaneo.
La novità consiste pertanto nell’impegno ad ascoltare anzitutto il popolo di Dio nella sua interezza – clero,
religiosi e laici – mettendo in tal modo in atto l’ecclesiologia del Concilio, che ha sottolineato con
forza la corresponsabilità di tutti i credenti nella costruzione della Chiesa e il ruolo specifico e fondamentale
dei laici nell’apertura della Chiesa al mondo. La seria considerazione di quanto si registra nelle comunità
cristiane in tema di credenze e di costume non ha, perciò, soltanto un significato sociologico, per quanto
importante; risponde, più profondamente, a un’istanza teologica, quella della ricezione del sensus
fidelium, che è un elemento essenziale dal quale il magistero non può prescindere nell’esercizio delle
proprie funzioni dottrinali e pastorali.
i contenuti del questionario
Un altro dato di grande interesse – quello senza dubbio più eclatante e ampiamente commentato dai media per gli immediati riflessi sull’opinione pubblica – riguarda i contenuti del questionario. Le
trentotto domande, suddivise in nove sezioni, affrontano un ampio spettro di questioni relative allo sviluppo
della vita matrimoniale e familiare, non eludendo i temi più scottanti senza alcuna reticenza e con un
linguaggio diretto, per nulla curiale.
La preoccupazione, che traspare dalla lettura del questionario, è anzitutto quella della trasmissione della
fede, dell’individuazione cioè delle strade per una rinnovata evangelizzazione del matrimonio cristiano, del
suo significato sacramentale e dei valori ad esso connaturati. Papa Francesco è consapevole – e lo esplicita di
continuo nei suoi interventi, soprattutto nella riflessione che svolge quotidianamente attraverso le omelie di
Santa Marta – che la situazione di marcato secolarismo nella quale viviamo, ha finito per offuscare, anche
nel mondo dei battezzati che accedono al sacramento del matrimonio, la consapevolezza del
significato che esso riveste e dei doveri che da esso scaturiscono. L’impegno prioritario delle comunità
cristiane è dunque – come risulta dalle prime sezioni del questionario – quello di restituire credibilità al
matrimonio cristiano e di alimentare la vita spirituale delle coppie e delle famiglie che fanno ad esso
riferimento, perché diano testimonianza dell’amore di Dio che si rende presente nella storia degli
uomini mediante l’esperienza del loro amore. Ma il questionario non manca di mettere a fuoco, con
grande realismo, anche alcuni nodi critici della vita matrimoniale e familiare, propri della situazione
odierna. Contraccezione, coppie di fatto, etero ed omosessuali, convivenze ad experimentum,rapporti
prematrimoniali, comunione ai divorziati risposati sono alcune delle questioni poste sul tappeto;
questioni delicate – come è facile intuire – la cui rilevanza è oggi particolarmente consistente, e che non
possono (e non devono) pertanto essere eluse sul piano pastorale. Significativo è soprattutto il modo con
cui le domande sono costruite, sia perché l’accento è posto anzitutto sull’annuncio della misericordia di
Dio (si veda la domanda che riguarda i separati e i divorziati risposati), sia perché l’attenzione
privilegiata è ai soggetti deboli, in particolare ai bambini, come risulta con chiarezza da una delle
domande (ben quattro) riferite alle «unioni di persone dello stesso sesso».
Non manca, infine – e anche questo è un dato di indubbia novità – il riferimento al giudizio sulla
legislazione civile, soprattutto laddove è in gioco il riconoscimento delle unioni di fatto omosessuali:
«Quale è – recita il questionario – l’atteggiamento delle Chiese particolari e locali sia di fronte allo Stato
civile promotore di unioni civili tra persone dello stesso sesso, sia di fronte alle persone coinvolte in
questo tipo di unione?». La domanda così posta, che ha come obiettivo la registrazione dei pareri delle
diverse Chiese locali, sembra riconoscere implicitamente la complessità di un giudizio, quello sulla
legislazione civile, la quale, in quanto riflette la situazione di una società democratica e pluralista, non
può certo assumere direttamente la concezione etica propria di una religione – di quella cattolica ad
esempio – o di una ideologia; ma, senza rinunciare a far valere l’istanza etica, deve rintracciarla tuttavia
nella possibile convergenza attorno a un denominatore comune condiviso, le diverse posizioni etiche
presenti nella società.
si avvera il sogno del cardinale Martini?
Quest’ultimo importante atto di Papa Francesco sembra dunque confermare la linea di condotta
innovatrice, che ha contrassegnato fin dall’inizio il suo pontificato. La perfetta sinergia di gesti, parole ed
atti di governo rende trasparente la scelta inequivocabile di una nuova direttrice di marcia, destinata a segnare
una svolta epocale nella vita della Chiesa. Che si avveri il sogno del cardinale Martini, che, in una delle
ultime interviste, denunciava con sofferenza l’arretratezza della Chiesa nei confronti delle trasformazioni
intervenute nella società, giungendo persino a parlare di un gap di ben duecento anni? È troppo presto per
dirlo. Ma è certo che le questioni messe a tema attraverso il questionario del Sinodo straordinario del
prossimo autunno sono le stesse alle quali egli ha ripetutamente alluso negli anni del suo episcopato milanese e
per le quali auspicava appunto la celebrazione di un Sinodo straordinario, se non addirittura (ma su questo
non si è mai espresso ufficialmente) di un nuovo Concilio.
Non c’è che da restare in attesa dei lavori sinodali per verificare quanto delle premure pastorali di Papa
Francesco verrà recepito. Ciò che, in ogni caso, appare assodato è il fatto che si respira oggi nella Chiesa
un clima nuovo e carico di attesa. L’apertura decisa alla sinodalità come forma di conduzione della
chiesa a tutti i livelli (perciò non solo come esercizio della collegialità episcopale) – la destinazione
del questionario rappresenta, a tale proposito, un segno eloquente – e la capacità di immergersi profondamente nel vivo delle vicende umane, a partire da quelle nelle quali si rende più
immediatamente trasparente la fragilità creaturale e il peso del peccato e della sofferenza per
annunciare la misericordia di Dio, sono altrettanti segni di un ritorno allo spirito del Concilio,
peraltro da Papa Francesco ripetutamente proposto come traccia sicura e irrinunciabile del cammino
della Chiesa di oggi. Sembrano tornare di attualità le parole contro i «profeti di sventura» con cui Papa
Giovanni apriva cinquanta anni fa l’assise conciliare e riaffacciarsi, dopo una stagione incerta e non
esente da tendenze involutive, una rinnovata e promettente primavera.

G. Piana ricorda E. Chiavacci

 

margheritona

Ricordo di Enrico Chiavacci

La morale e la sua dimensione sociale

di Giannino Piana

Cresciuto nel crogiolo della Chiesa fiorentina, che ha vissuto nell’immediato dopoguerra una stagione di vivo fervore intellettuale e spirituale, Enrico Chiavacci è stato un maestro indiscusso nel campo della teologia morale postconciliare, dove ha lasciato, con il suo insegnamento e con il suo impegno nella ricerca, una traccia profonda e altamente innovativa. I fermenti suscitati dal Vaticano II sono stati da lui recepiti con entusiasmo – è sufficiente ricordare qui il suo grande interesse per la Gaudium et spes alla quale ha dedicato uno dei primi commenti – e tradotti in uno sforzo di rinnovamento, che si è sviluppato nei vari campi della riflessione etica, con particolare attenzione alle questioni di frontiera. La sensibilità squisitamente teoretica lo ha, fin da principio, sollecitato a preoccuparsi delle basi concettuali della teologia morale per farla uscire dalla condizione di arretratezza in cui era sprofondata, grazie alla sua riduzione a casistica giuridica ad uso dei confessori, e per restituirle dignità culturale e credibilità scientifica. I suoi saggi meno conosciuti, perché più tecnici, ma forse anche più importanti, perché fondativi, sono dedicati alla ridefinizione delle categorie che stanno alla radice del fatto morale. Qui Chiavacci rivela le sue qualità di profondo conoscitore delle diverse scuole filosofiche contemporanee – dalla filosofia analitica alle nuove forme di utilitarismo e di contrattualismo – e la capacità di intrattenere con esse un dialogo costruttivo. E rivela anche l’interesse per gli apporti delle scienze umane, in particolare della sociologia e dell’antropologia culturale, alle quali fa frequentemente ricorso per spiegare fenomeni complessi, che esigono di essere anzitutto analizzati nelle loro dinamiche interne prima di poterli assoggettare al giudizio morale. Ma, al di là di questa importante opera di rifondazione metodologica, gli aspetti della ricerca di Chiavacci che meritano di essere ricordati sono i contenuti della sua proposta teologico-morale, la quale ha come asse portante la centralità assegnata alla dimensione sociale dell’agire umano. La sua dura reazione alla deriva individualistica dell’etica della modernità, deriva che non ha risparmiato neppure la morale cattolica, si è tradotta anzitutto – anche a questo livello affiora la sua preoccupazione teoretica – nella introduzione, all’interno della morale generale (cfr. il suo Complementi di morale generale, Cittadella editrice, Assisi 1980), delle categorie del “sociale” e della “cultura” in quanto fattori indispensabili per la comprensione dell’agire umano e per la sua valutazione. L’attenzione al “sociale” ha poi indotto Chiavacci ad occuparsi dei grandi nodi critici della situazione mondiale – dal lavoro all’economia, dalla politica alla giustizia sociale, dall’innovazione tecnologica ai diritti umani fino alla costruzione della pace – con posizioni nette e precise, che non hanno mancato di procurargli difficoltà da parte delle gerarchia ecclesiastica. Sono note le sue critiche radicali alla massimizzazione del profitto e la sua rigorosa (e profetica) denuncia dei giochi speculativi di Borsa, nonché l’accusa severa di immoralità verso ogni forma di guerra e l’adesione a un pacifismo radicale, quello della Pacem in terris, di cui non si è mai stancato di diffondere il messaggio. Il tratto distintivo della teologia morale di Chiavacci è l’attenzione alla dignità della persona e il rispetto della sua libertà di coscienza. Questa attenzione ha senz’altro trovato una forte motivazione esistenziale nel suo impegno di pastore della piccola comunità di San Silvestro a Ruffignano sopra Firenze nel comune di Sesto Fiorentino. Da questo rapporto con una comunità vera (anche se piccola) Chiavacci è stato costantemente sollecitato – lo riconosceva spesso parlando con gli amici – a condividere i problemi della gente, che sono poi i veri problemi della vita. Anche da questa condivisione viene la fecondità della sua ricerca teologica. * Teologo

in ricordo di E. Chiavacci

calle viola

 

Enrico Chiavacci, la ricerca teologico-morale nel rinnovamento postconciliare

di Giannino Piana

Con la scomparsa di Enrico Chiavacci la ricerca teologico-morale italiana (e non solo) ha perso uno dei più importanti protagonisti del rinnovamento postconciliare. Docente per moltissimi anni presso lo Studio teologico fiorentino (divenuto successivamente Facoltà teologica dell’Italia Centrale), Chiavacci ha concorso alla formazione di intere generazioni di sacerdoti e di laici e ha soprattutto contribuito, con le sue numerose pubblicazioni di carattere scientifico, a far uscire la teologia morale dalla lunga stagione di stagnazione in cui era precipitata – la stagione della casistica giuridico-negativa dove a contare era anzitutto l’elencazione dei peccati – restituendole l’originario respiro umano ed evangelico. Impegnato già prima della celebrazione del Concilio in questa opera di ripensamento e di reinterpretazione del messaggio morale cristiano, Chiavacci ha da subito intravisto nella svolta conciliare l’aprirsi di nuove e feconde possibilità, cogliendo soprattutto nella Gaudium et spes, di cui è celebre un suo commento pubblicato dall’editrice Studium nel 1967, l’indicazione di una metodologia innovativa con la quale affrontare le diverse questioni etiche, in particolare quelle delicate e complesse sollevate sia dagli sviluppi della ricerca scientifico-tecnologica che dall’avanzare della tematica dei diritti soggettivi. Parola di Dio ed esperienza umana – i due cespiti richiamati dalla Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo – sono diventati per lui, nella loro stretta correlazione, il riferimento obbligato di una riflessione rigorosa, che ha spaziato dall’ambito della morale fondamentale e generale a quello della morale speciale, affrontando una serie vastissima di problematiche di grande attualità. L’apporto specifico di Chiavacci al rinnovamento della teologia morale va anzitutto collocato sul terreno metodologico. La preoccupazione che ha sollecitato, fin dall’inizio, la sua ricerca è stata quella di ridare dignità culturale a una disciplina che era ridotta a «scienza pratico-pratica» ad uso dei confessori, cioè a strumento funzionale all’amministrazione del sacramento della Penitenza secondo le regole fissate dal Tridentino. Al di là di una seria fondazione biblica mai trascurata, Chiavacci si è soprattutto impegnato a conferire solide basi teoriche all’etica teologica, attraverso l’utilizzo di categorie filosofiche antiche e nuove, capaci di ridarle – come auspicava il Concilio (cfr. Optatam totius , n. 16) – credibilità scientifica, e di favorire una positiva mediazione tra vangelo e cultura. Il taglio squisitamente teoretico dell’opera di Chiavacci ha, d’altronde, radici profonde. Figlio di Gaetano Chiavacci, un nome illustre della filosofia italiana del primo Novecento, ordinario di filosofia teoretica presso l’Università di Firenze (dopo essere stato vicedirettore della Normale di Pisa), egli ha iniziato la sua carriera di insegnamento come professore di storia della filosofia e di filosofia morale, acquisendo in tal modo una solida strumentazione teorica la quale non poteva che imprimere un forte rigore intellettuale alla sua successiva ricerca teologico-morale. Lo testimoniano in particolare alcuni saggi dedicati a questioni di frontiera, quali la legge naturale – esemplare rimane a tale proposito la voce da lui curata per il Dizionario enciclopedico di teologia morale del 1973 (Edizioni Paoline) ripubblicata con gli opportuni aggiornamenti, insieme a pochissime altre, nel Nuovo dizionario di teologia morale del 1990 (Edizioni S. Paolo) -la fondazione della norma morale, la distinzione tra argomentazione deontologica e argomentazione teleologica, l’autonomia della morale, ecc., espressi anche negli articoli pubblicati su Rocca negli anni dal 1968 al 2011. Alla profonda conoscenza dei classici, del cui pensiero non esita ad avvalersi, Chiavacci associa l’interesse per il contributo di autori e di scuole contemporanee con cui entra in dialogo rispettoso e costruttivo, accogliendone gli stimoli e facendone proprie alcune chiavi interpretative, soprattutto nell’accostamento a questioni di carattere etico-normativo. Questo vale non solo per la fenomenologia e per l’ermeneutica, ma anche per la filosofia analitica e per l’analisi linguistica, nonché per le nuove forme di
utilitarismo e di contrattualismo – frequente è nei suoi scritti il riferimento al pensiero di John Rawls – dalle quali è possibile ricavare criteri di scomposizione e di valutazione dell’agire che, applicati alla teologia morale, consentono una migliore comprensione del significato delle azioni umane. L’assegnazione di centralità alla mediazione filosofica non impedisce, d’altra parte, a Chiavacci di considerare con attenzione anche l’apporto di altre fonti. Non solo della Bibbia, alla quale si è già accennato, e della successiva tradizione della Chiesa, che egli dimostra di conoscere in maniera dettagliata e da cui riprende soprattutto l’istanza di aderenza alla concretezza delle situazioni presente nella casistica, ma anche delle scienze umane, in particolare della sociologia e dell’antropologia culturale, alle quali fa frequentemente ricorso per spiegare fenomeni umani complessi, che esigono di essere anzitutto analizzati nelle loro dinamiche interne prima di poterli assoggettare al giudizio morale. Da questo punto di vista sorprendono le competenze tecniche che egli dimostra di possedere nell’ambito di settori specialistici, quali quelli dell’economia e della sessuologia, della biomedicina e dellinformatica; competenze che hanno fatto di lui un interlocutore privilegiato di molti uomini di scienza appartenenti ai vari campi della ricerca. Un metodo dunque, quello di Chiavacci, che risponde pienamente alle indicazioni di rinnovamento suggerite dal Vaticano II e che ha determinato uno sviluppo significativo della teologia morale, che oltre a restituirle dignità e autorevolezza, le ha consentito di interagire positivamente non solo con le altre discipline teologiche, ma anche con il più vasto campo della cultura e della scienza, mettendola in grado di fornire una forma di discernimento assolutamente indispensabile per orientare in senso umanizzante i processi di trasformazione in atto nella società del nostro tempo. Ma il contributo di Chiavacci non è stato soltanto di ordine metodologico. Profondamente innovativi sono pure i contenuti della sua proposta teologico-morale, che ha come asse portante la centralità assegnata alla dimensione sociale dell’agire umano. La piena adesione data a una concezione antropologica, peraltro presente in diverse correnti del pensiero moderno – dal personalismo alla fenomenologia, dall’esistenzialismo al pensiero ebraico -, per la quale la socialità non è qualcosa di accidentale o di sopraggiunto, ma appartiene in maniera costitutiva alla natura del soggetto umano, in quanto essere di e in relazione, ha spinto Chiavacci a criticare duramente la deriva individualistica che ha caratterizzato l’etica della modernità (non esclusa quella cattolica) e a suggerire alcune piste da percorrere per il suo superamento. Uno degli aspetti più originali dell’opera di rinnovamento da lui intrapresa è costituito in proposito dall’inserimento del «sociale» nell’ambito della stessa morale generale. Egli ha infatti avvertito con chiarezza che le categorie tradizionali che stanno alla base dell’impianto dell’etica, e che non possono per questo essere accantonate, erano andate soggette a un processo di privatizzazione che le ha rese incapaci di fare spazio, se lasciate a se stesse, alla valenza sociale della moralità. Di qui il tentativo di accostare ad esse altre categorie – quelle del «sociale» e della «cultura» – come fattori di integrazione complementare – è questo il senso del titolo Complementi di morale generale assegnato al secondo volume di teologia morale pubblicato presso l’editrice Cittadella di Assisi nel 1980 e rifuso, dopo una sua accurata revisione, insieme al primo in unico volume Teologia morale fondamentale dalla stessa casa editrice nel 2007 – che hanno il compito di allargare l’orizzonte dell’esperienza etica, situandola nel contesto di precise condizioni socioculturali e rendendo trasparente la responsabilità che va esercitata da ciascuno nei confronti delle situazioni da esse derivanti. L’attenzione  al sociale non si arresta tuttavia qui. Chiavacci ha dedicato gran parte del suo impegno di teologo ad un approccio tematico alle numerose (e scottanti) questioni presenti sullo scenario di un mondo in costante e rapido cambiamento. Il lavoro e l’economia, la politica e la giustizia sociale, l’innovazione tecnologica, i diritti umani e la costruzione della pace sono i grossi nodi critici, che hanno maggiormente occupato l’interesse della sua ricerca e che sono stati fatti anche oggetto di interventi pubblici – Chiavacci era anche un brillante conferenziere assai ricercato sia in Italia che all’estero – con prese di posizione nette e decise che gli hanno talora provocato difficoltà di non poco conto da parte della gerarchia ecclesiastica. È nota, al riguardo, la sua critica radicale all’idea della massimizzazione del profitto e la sua rigorosa (e profetica) denuncia di immoralità di un sistema finanziario, che favorisce facili guadagni dovuti a giochi speculativi come quelli della Borsa; come è nota, l’altrettanto sua severa denuncia di immoralità di ogni forma di guerra – Chiavacci è stato a lungo membro della Commissione scientifica internazionale di Pax Christi – e l’adesione a un pacifismo radicale, quello della Pacem in terris , di cui non si è mai stancato di diffondere il messaggio. Altri (e numerosi) sono, ovviamente, i contributi da lui offerti nei vari ambiti della riflessione
morale. Basti qui ricordare i settori dell’etica sessuale e della bioetica, dove, al di là delle soluzioni tecniche, peraltro mai a priori demonizzate ma fatte oggetto di accoglienza critica e di serio discernimento, quelli che per lui contavano come criteri inderogabili erano il rispetto della dignità della persona e la salvaguardia della libertà della coscienza, la quale non può essere asservita a nulla e a nessuno, e di conseguenza il riconoscimento dei diritti di ogni soggetto umano, senza distinzione di sesso, di genere, di ceto sociale e di appartenenza culturale e religiosa. È significativo, a tale riguardo, che il suo ultimo intervento sulla Rivista di teologia morale abbia come oggetto la questione omosessuale, e che in esso Chiavacci evidenzi la vanificazione delle argomentazioni tradizionali e l’esigenza di ricercare nuove chiavi interpretative e valutative del fenomeno (Omosessualità, un tema da ristudiare, n. 167/2010, pp. 469-477). Questa attenzione alla persona, alla sua dignità e al rispetto della sua libertà di coscienza, che è un tratto distintivo della teologia morale di Chiavacci, quasi un leitmotiv trasversale, che percorre l’intera sua produzione – anche in questo egli è debitore alla lezione del Concilio, in particolare a documenti come la Gaudium et spes e la Dignitatis humanae – ha trovato senz’altro una forte motivazione esistenziale nella sua esperienza pastorale. Chiavacci – non molti forse lo sanno – ha sempre conciliato la sua vita di docente e di ricercatore con un impegno diretto in parrocchia, dapprima come viceparroco, poi per lunghi anni come parroco della piccola comunità di San Silvestro a Ruffignano sulla collina sopra Firenze nel comune di Sesto Fiorentino. Questa esperienza, che ha vissuto con grande intensità e senso di responsabilità – difficilmente accettava impegni di convegni o di conferenze in giorno di domenica per non stare lontano dai suoi parrocchiani – costituiva per lui un motivo di vanto che rivelava con orgoglio agli amici, perché da questo rapporto diuturno con una comunità vera (anche se piccola), oltre a ricavare una condizione di stabilità e di normalità, veniva sollecitato a guardare le cose dal basso, a misurarsi con le fatiche quotidiane di donne e uomini comuni, a condividere i problemi della gente, che sono poi i veri problemi della vita. Forse anche a questa esperienza va ascritta la fecondità e la coerenza della sua ricerca teologica.

image_pdfimage_print