“non si costruisce niente sulla menzogna», sull’ignoranza e sul rifiuto dell’altro”
Pierre Claverie
il dialogo per disarmare il fanatismo
di Anna Pozzi
in “Avvenire” del 9 agosto 2016
“«Non si costruisce niente sulla menzogna», ripeteva. Così come non si costruisce niente sull’ignoranza e sul rifiuto dell’altro. E se l’incontro può essere difficile, esso però rappresenta un indispensabile «accrescimento di vita»”
«Possiamo comporre la realtà solo insieme. Negando l’altro, cancello una parte di me stesso, una parte della realtà, alla quale non posso più accedere. È come se mi mutilassi. Soli non siamo nulla». Così ripeteva indefessamente monsignor Pierre Claverie, vescovo di Orano, ucciso vent’anni fa, il primo agosto 1996, insieme all’amico Mohamed, davanti alla porta di casa. Un’autobomba – su cui restano molti misteri – metteva fine alla vita di due uomini, un cristiano e un musulmano, che con la loro amicizia avevano testimoniato che era possibile vivere insieme anche in quegli anni orribili della guerra civile algerina. Un messaggio di grandissima attualità, in un mondo segnato da divisioni, violenza e odio, in cui il tema della religione – e dell’islam in particolare, con tutte le manipolazioni e le strumentalizzazioni di chi ne fa strumento di morte – ha fatto irruzione anche nelle nostre società secolarizzate, seminando paura e disorientamento. Il pensiero di monsignor Claverie, domenicano divenuto vescovo, riecheggiano oggi al di là delle frontiere dell’Algeria come monito e soprattutto come invito alla speranza. Speranza di un mondo unito e in pace, di un mondo plurale, fondato sull’incontro e sul dialogo nella verità. «Non si costruisce niente sulla menzogna», ripeteva. Così come non si costruisce niente sull’ignoranza e sul rifiuto dell’altro. E se l’incontro può essere difficile, esso però rappresenta un indispensabile “accrescimento di vita”. Il tema del dialogo e dell’incontro per Pierre Claverie non rappresenta semplicemente un esercizio spirituale o retorico. È una parte fondante della sua vita. Nato da famiglia francese in Algeria, Claverie, come molti altri cristiani, non aveva voluto lasciare il Paese che tanto amava, neppure dopo lo scoppio del conflitto interno che ha imperversato per tutti gli anni Novanta. È stato l’ultimo della lunga serie di martiri cristiani d’Algeria, 19 in tutto, religiosi e religiose, che dalla primavera del 1994 sino appunto al primo agosto del 1996, sono stati brutalmente assassinati. Per la loro fede. Ma anche per la loro fedeltà all’Algeria e al popolo musulmano che vi abita. «Il dialogo – diceva già nel 1981 al momento del suo insediamento come vescovo di Orano – è un’opera che va continuamente ripresa: è la sola possibilità di disarmare il fanatismo, in noi e nell’altro. È attraverso il dialogo che siamo chiamati a esprimere la nostra fede nell’amore di Dio che avrà l’ultima parola su tutte le potenze di divisione e di morte».
Su questo tema ha insistito moltissimo, ha scritto e predicato esercizi, ha rilasciato interviste ai giornali e partecipato a trasmissioni televisive. Non si sottraeva alla denuncia pubblica anche dei temi politici e sociali più scottanti, che spesso chiamavano in causa la politica francese o quella dell’Occidente. Già trent’anni fa parlava dell’inevitabile ondata migratoria che avrebbe interessato l’Europa, «che si è arricchita e si è spopolata», mentre gran parte dell’umanità continua a vivere in condizioni di povertà. «L’Europa cambierà volto – preconizzava –. Sarà perciò necessario apprendere a vivere insieme e, se possibile, a mantenere uno spazio che non sia monopolizzato da una religione, da una cultura o da un’ideologia». Allo stesso tempo, vivendo in un Paese musulmano, dove gruppi di terroristi avevano usato e storpiato l’islam per farne un’arma di guerra, avvertiva sul rischio di una deriva che avrebbe potuto travalicare, come in effetti sta succedendo, i confini dell’Algeria. Claverie parlava di un islam «sradicato dai suoi valori profondi, al tempo stesso umani e spirituali, e divenuto un fattore politico, che lo trasforma oggi in uno strumento di violenza». Ma metteva anche in guardia – e pure questo sembra un grido per l’oggi – dai “compromessi facili” e dal rischio dell’indifferenza. «Né la religione, né una qualche ideologia, né un progetto politico – scriveva in una lettera del 1993, pubblicata in Italia nella raccolta Lettere dall’Algeria (Edizioni Paoline) – possono giustificare le morti quotidiane alle quali l’opinione pubblica sembra purtroppo abituarsi e rassegnarsi». Certo, per questo suo parlare franco, Claverie era una figura scomoda per molti. Il suo collocarsi nei “luoghi di frattura”, come lui stesso amava ripetere – senza tuttavia abbandonarvisi, ma cercando il senso profondo della sua vocazione religiosa e l’intimo anelito all’incontro con l’altro, cristiano o musulmano che fosse – lo hanno messo spesso in posizioni difficili e delicate. Eppure lui ha sempre scelto di “stare in mezzo”, sino al dono estremo della vita. «L’incontro era la questione centrale nella vita di Pierre Claverie – scrive suor Anne-Catherine Mayer, nella prefazione al libro Petit traité de la rencontre et du dialogue (Cerf, 2004). Ha operato senza sosta per mettere in relazione le persone più diverse. L’incontro è anche per noi una sfida permanente nella varietà delle nostre comunità umane: quelle del lavoro, della famiglia o della vita religiosa… Senza sosta, ci troviamo di fronte all’altro, viviamo insieme situazioni identiche, ma – si interroga, e ci interroga, la religiosa – ci incontriamo per davvero?».