il ‘pizzino’ del card. Mueller contro papa Francesco contiene gravi affermazioni
le gravi affermazioni del card. Mueller contro papa Francesco
di Andrea Grillo
in “Come se non” http://www.cittadellaeditrice.com/munera/come-se-non/ – del 27 novembre 2017
Se “per natura” dice di essere con il Santo Padre, non dimostra affatto di esserlo per cultura. La minaccia di scisma è la coda di paglia di chi non ha argomenti teologici e spirituali da contrapporre alla svolta conciliare di papa Francesco. Il sintomo più grave di questa lettura deficitaria è la esigenza di “superare la definizione di Chiesa come ospedale da campo”. Se c’è un papa che ha recuperato, non solo nell’immaginario collettivo, ma nel cuore stesso della Chiesa, la qualità “paterna e fraterna”, è proprio Francesco
Le accuse che il card. Mueller ha rivolto ieri al papa, direttamente o indirettamente, sono molto gravi e meritano di essere accuratamente identificate
in appendice, il testo integrale della intervista
Presentato da Massimo Franco come “forse il teologo cattolico più rispettato” – espressione davvero ambigua e senza fondamento – nel corso della intervista dimostra proprio di essere debole sul versante squisitamente teologico intorno alle questioni affrontate. Ma andiamo per ordine:
a) la richiesta di “leadership ostile” e la fedeltà
Massimo Franco le definisce “parole dure e risentite”: come un Giobbe offeso, Mueller chiede conto al Papa della ingiustizia subita e dei consiglieri satanici…un quadro a dir poco paradossale e davvero privo di temperanza. Un uomo di Chiesa, che voglia salvaguardare la comunione, in questi casi tace, o parla con discrezione e misura. Se invece parla accusando apertamente il papa di ingiustizia, si chiama fuori dalla Chiesa, si isola su una turris eburnea molto isolata e non poco autoreferenziale. E la sua ribadita fedeltà al Romano Pontefice è puramente formale, astratta. In concreto continua a lottare contro il pontificato, in modo vistosamente sleale. Se “per natura” dice di essere con il Santo Padre, non dimostra affatto di esserlo per cultura.
b) la minaccia di scisma
Se passa il messaggio di una “ingiustizia da parte della Curia romana”… ma che cosa sta facendo Mueller da 5 anni se non continuamente insistere su questa ingiustizia? In un certo senso Mueller mette in guardia la Chiesa da se stesso. Fin dall’inizio ha interpretato se stesso, come Prefetto, come “correttore del papa”. E ora pretende di parlare “super partes”? Come se fosse un osservatore romano disinteressato? Come se non fossero state proprio le sue parole ad alimentare la fronda nostalgica e tradizionalista? La minaccia di scisma è la coda di paglia di chi non ha argomenti teologici e spirituali da contrapporre alla svolta conciliare di papa Francesco. Dare credito ai “dubia” di 4 cardinali e alla lettera di accuse di 62 cattolici poco competenti è un errore irrimediabile del suo approccio.
c) la presunta debolezza teologica e spirituale
Molto grave, ma non nuova, è la affermazione secondo cui oggi la Chiesa di Francesco sarebbe più debole teologicamente e spiritualmente. Questo è davvero il colmo. Mueller identifica nella autoreferenzialità teologica degli ultimi 30 anni il modello teologico e spirituale che “conserva lo status quo”. Per Mueller questo è l’orizzonte: quieta non movere et mota quietare. Non riconosce affatto né la grande dinamica spirituale introdotta dal pontificato di Francesco, né il grande approfondimento teologico, che ha ripreso lo slancio della fase conciliare di riflessione nella Chiesa. Il sintomo più grave di questa lettura deficitaria è la esigenza di “superare la definizione di Chiesa come ospedale da campo”. Quella affermazione è lo specchio di una profonda e forse irrimediabile estraneità di L. Mueller alla Chiesa conciliare, ripensata 50 anni dopo in modo dinamico e capace di “prendere la iniziativa”. Egli legge come “cedimento alla immanenza” la logica della incarnazione. E questo compromette tutto. Applica al papato di Francesco schemi antimodernistici e resta giocato dalla sua teologia non aggiornata. Un deficit teologico sta alla radice del disagio.
d) La domanda di “teologia accademica” e il ruolo della Congregazione
Bisogna infine sottolineare l’esito ultimo di questo approccio distorto al pontificato: la percezione, che Mueller ripete più volte, secondo cui Francesco sarebbe più un sovrano che un “padre nella fede”. Questo è davvero difficile da capire. Se c’è un papa che ha recuperato, non solo nell’immaginario collettivo, ma nel cuore stesso della Chiesa, la qualità “paterna e fraterna”, è proprio Francesco. E questo è dovuto non anzitutto al suo “personaggio mediatico”, ma alla sua spiritualità e alla sua teologia. Su questo punto Mueller sembra aver vissuto, in questi 5 anni, in un altro mondo, in un’altra storia, con altre prospettive e preoccupazioni. Anche la domanda di “teologia accademica” mi sembra paradossale. Proprio in questi 5 anni abbiamo avuto una ripresa e un rilancio del pensiero teologico, che ha riscoperto profondamente il prezioso tesoro della sua immaginazione, della sua incompletezza e della sua inquietudine nel restituire il “depositum fidei” con nuova forza e con efficace eleganza. Le “tre i” con cui Francesco ha identificato il “lavoro teologico” sembrano totalmente estranee alla cultura di L. Mueller. Che un teologo tanto sordo alle prospettive teologiche e spirituali di Francesco e tanto preoccupato di dover condizionare come Prefetto un papato davvero proficuo avesse la pretesa di restare in carica e di condizionare così pesantemente il pontificato, risulta difficile da comprendere.
appendice
la Intervista integrale del Card Mueller al Corriere della sera di ieri (26/11/2017)
di Massimo Franco
«C’è un fronte dei gruppi tradizionalisti, così come dei progressisti, che vorrebbe vedermi a capo di un movimento contro il Papa. Ma io non lo farò mai. Ho servito con amore la Chiesa per 40 anni da prete, 16 anni da cattedratico della teologia dogmatica e 10 anni da vescovo diocesano. Credo nell’unità della Chiesa e non concedo a nessuno di strumentalizzare le mie esperienze negative degli ultimi mesi. Le autorità della Chiesa, però, devono ascoltare chi ha delle domande serie o dei reclami giusti; non ignorarlo o, peggio, umiliarlo. Altrimenti, senza volerlo, può aumentare il rischio di una lenta separazione che potrebbe sfociare in uno scisma di una parte del mondo cattolico, disorientato e deluso. La storia dello scisma protestante di Martin Lutero di cinquecento anni fa dovrebbe insegnarci soprattutto quali sbagli evitare».
Il cardinale Gerhard Müller parla con voce piana e un marcato accento tedesco. Siamo nell’appartamento di Piazza della Città Leonina che in passato aveva occupato Joseph Ratzinger prima di diventare Benedetto XVI, in un palazzo abitato da alti prelati. Müller, forse il più rispettato teologo cattolico, è l’ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, sostituito a sorpresa nel luglio scorso da Jorge Mario Bergoglio.
«Il Papa mi confidò: “Alcuni mi hanno detto anonimamente che lei è mio nemico” senza spiegare in qual punto»,
racconta affranto.
«Dopo quarant’anni al servizio della Chiesa, mi sono sentito dire questo: un’assurdità preparata da chiacchieroni che invece di instillare inquietudine nel Papa farebbero meglio a visitare uno strizzacervelli. Un vescovo cattolico e cardinale di Santa Romana Chiesa è per natura con il Santo Padre. Ma credo che, come diceva il teologo del Cinquecento, Melchior Cano, i veri amici non sono coloro che adulano il Papa ma quelli che lo aiutano con la verità e la competenza teologica ed umana. In tutte le organizzazioni del mondo i delatori di questa specie servono solo se stessi».
Parole dure, risentite, di chi sente di avere subito un torto immeritato. Il cardinale esclude, come sostengono alcune voci allarmistiche, che qualcuno stia ordendo complotti contro Francesco, in polemica con alcune prese di posizione ritenute troppo progressiste: lo considera «un’assoluta esagerazione». Ma ammette che la Chiesa è percorsa da tensioni profonde.
«Le tensioni nascono dalla contrapposizione tra un fronte tradizionalista estremista su alcuni siti web, e un fronte progressista ugualmente esagerato, che oggi cerca di accreditarsi come superpapista»,
secondo Müller. Si tratta di minoranze, ma agguerrite. Per questo il cardinale trasmette un messaggio di unità ma anche di preoccupazione.
«Attenzione: se passa la percezione di un’ingiustizia da parte della Curia romana, quasi per forza di inerzia si potrebbe mettere in moto una dinamica scismatica, difficile poi da recuperare. Credo che i cardinali che hanno espresso dei dubbi sull’Amoris Laetitia, o i 62 firmatari di una lettera di critiche anche eccessive al Papa vadano ascoltati, non liquidati come “farisei” o persone brontolone. L’unico modo per uscire da questa situazione è un dialogo chiaro e schietto. Invece ho l’impressione che nel “cerchio magico” del Papa ci sia chi si preoccupa soprattutto di fare la spia su presunti avversari, così impedendo una discussione aperta ed equilibrata. Classificare tutti i cattolici secondo le categorie di “amico” o “nemico” del Papa, è il danno più grave che causano alla Chiesa. Uno rimane perplesso se un giornalista ben noto, da ateo si vanta di essere amico del Papa; e in parallelo un vescovo cattolico e cardinale come me viene diffamato come oppositore del Santo Padre. Non credo che queste persone possano impartirmi lezioni di teologia sul primato del Romano Pontefice».
Müller non vede una Chiesa più divisa di quanto fosse negli anni di Benedetto XVI.
«Però la vedo più debole. Fatichiamo ad analizzare i problemi. I sacerdoti scarseggiano e diamo risposte più organizzative, politiche e diplomatiche che teologiche e spirituali. La Chiesa non è un partito politico con le sue lotte per il potere. Dobbiamo discutere sulle domande esistenziali, sulla vita e la morte, sulla famiglia e le vocazioni religiose, e non permanentemente sulla politica ecclesiastica. Papa Francesco è molto popolare, e questo è un bene. Ma la gente non partecipa più ai Sacramenti. E la sua popolarità tra i non cattolici che lo citano con entusiasmo, non cambia purtroppo le loro false convinzioni. Emma Bonino, per esempio, loda il Papa ma resta ferma sulle sue posizioni in tema di aborto che il Papa condanna. Dobbiamo stare attenti a non confondere la grande popolarità di Francesco, che pure è un enorme patrimonio per il mondo cattolico, con una vera ripresa della fede: anche se tutti sosteniamo il Papa nella sua missione».
Nell’ottica del cardinale Müller, dopo quasi cinque anni di pontificato una fase si è chiusa: quella della Chiesa intesa come «ospedale da campo», definizione felice che Francesco affidò alla Civiltà Cattolica nel 2013, poco dopo l’elezione.
«Fu una grande intuizione del Papa. Ma forse ora bisogna andare oltre l’ospedale da campo, e archiviare la guerra contro il bene naturale e soprannaturale degli uomini di oggi che lo ha reso necessario»,
sostiene.
«Oggi avremmo bisogno più di una Silicon Valley della Chiesa. Dovremmo essere gli Steve Jobs della fede, e trasmettere una visione forte in termini di valori morali e culturali e di verità spirituali e teologiche».
Non basta, aggiunge,
«la teologia popolare di alcuni monsignori né la teologia troppo giornalistica di altri. Abbiamo bisogno anche della teologia a livello accademico».
Dalle sue parole si intuisce che le critiche sono rivolte soprattutto ad alcuni collaboratori di Francesco.
«Va bene la divulgazione. Francesco tende giustamente a sottolineare la superbia degli intellettuali. A volte, tuttavia, i superbi non sono solo loro. Il vizio della superbia è una impronta del carattere e non dell’intelletto. Io penso alla umiltà di San Tommaso, il più grande intellettuale cattolico. La fede e la ragione sono amiche».
Nell’ottica del cardinale, il modello di papato che tende a emergere a intermittenza,
«più come sovrano dello Stato del Vaticano che come supremo insegnante della fede»,
può suscitare qualche riserva.
«Ho la sensazione che Francesco voglia ascoltare e integrare tutti. Ma gli argomenti delle decisioni devono essere discussi prima. Giovanni Paolo II era più filosofo che teologo, ma si faceva assistere e consigliare dal cardinale Ratzinger nella preparazione dei documenti del magistero. Il rapporto fra il Papa e la Congregazione per la dottrina della fede era e sarà sempre la chiave per un proficuo pontificato. E ricordo anche a me stesso che i vescovi sono in comunione con il Papa: fratelli e non delegati del Papa, come ci ricordava il Concilio Vaticano II».
Müller non ha ancora smaltito «la ferita», la chiama così, dei suoi tre collaboratori licenziati poco prima della sua sostituzione. «Sono stati dei preti buoni e competenti che lavoravano per la Chiesa con dedizione esemplare»,
è il suo giudizio.
«Le persone non possono essere mandate via ad libitum, senza prove né processo, solo perché qualcuno ha denunciato anonimamente vaghe critiche al Papa mosse da parte di uno di loro…».