i poveri hanno a che fare con la democrazia? il messaggio di papa Francesco per la giornata mondiale dei poveri

giornata mondiale dei poveri

 ignorare i poveri mette in crisi il concetto di democrazia


il Messaggio per la V Giornata mondiale dedicata ai poveri e che sarà celebrata il prossimo 14 novembre dal titolo
“i poveri li avete sempre con voi”

Il Papa: ignorare i poveri mette in crisi il concetto di democrazia

di  Riccardo Maccioni

Occorre un differente approccio alla povertà. «Se i poveri sono messi ai margini, come se fossero colpevoli della loro condizione, allora il concetto stesso di democrazia è messo in crisi e ogni politica sociale diventa fallimentare». Nel Messaggio per la V Giornata mondiale a loro dedicata e che sarà celebrata il prossimo 14 novembre, papa Francesco si sofferma sul legame che c’è tra i poveri, Gesù e l’annuncio del Vangelo. Una riflessione che si riassume nella logica insegnataci da Cristo: «i poveri di ogni condizione e ogni latitudine ci evangelizzano perché ci permettono di riscoprire in modo sempre nuovo i tratti più genuini del volto del Padre». Hanno molto da insegnarci.

Il titolo del Messaggio, “I poveri li avete sempre con voi” (Mc 14,7), prende la mosse dall’episodio del Vangelo di Marco in cui una donna cosparge il capo di Gesù con del profumo molto prezioso suscitando l’ira di Giuda: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». Una vicenda che permette al Pontefice di riflettere sul ruolo da protagoniste delle donne nella storia della rivelazione e su Gesù come «povero tra i poveri perché li rappresenta tutti», ne «condivide la stessa sorte». Una condizione che chiede un cambio di mentalità, cioè non considerare più i bisognosi come persone separate, destinatari di un particolare servizio caritativo ma da coinvolgere nel segno della condivisione e della partecipazione. Una lezione da imparare come scuola di salvezza.

«Se non si sceglie di diventare poveri di ricchezze effimere – spiega il Papa –, di potere mondano e di vanagloria, non si sarà mai in grado di donare la vita per amore; si vivrà un’esistenza frammentaria, piena di buoni propositi ma inefficace per trasformare il mondo». L’esatto contrario della logica del profitto che condiziona le società di oggi, nelle quali «sembra farsi strada la concezione secondo la quale i poveri non solo sono responsabili della loro condizione, ma costituiscono un peso intollerabile per un sistema che pone al centro l’interesse di alcune categorie privilegiate. Un mercato che ignora o seleziona i principi etici crea condizioni disumane che si abbattono su persone che vivono già in condizioni precarie. Si assiste così alla creazione di sempre nuove trappole dell’indigenza e dell’esclusione» aggravate attualmente dalla tragedia della pandemia. Per uscirne, occorre vincere la sfida di «un lungimirante modello sociale, capace di andare incontro alle nuove forme di povertà che investono il mondo e che segneranno in maniera decisiva i prossimi decenni».

A rischio è la stabilità stesse delle nostre democrazie, il loro fondamento. La povertà infatti «non è frutto del destino ma conseguenza dell’egoismo. Pertanto, è decisivo dare vita a processi di sviluppo in cui si valorizzano le capacità di tutti, perché la complementarità delle competenze e la diversità dei ruoli porti a una risorsa comune di partecipazione. Ci sono molte povertà dei “ricchi” che potrebbero essere curate dalla ricchezza dei “poveri”, se solo si incontrassero e conoscessero!».

Occorre in definitiva un cambio nel modo di pensare, un diverso approccio alla povertà e ai poveri: «non possiamo attendere che bussino alla nostra porta – sottolinea Bergoglio –, è urgente che li raggiungiamo nelle loro case, negli ospedali e nelle residenze di assistenza, per le strade e negli angoli bui dove a volte si nascondono, nei centri di rifugio e di accoglienza…È importante capire come si sentono, cosa provano e quali desideri hanno nel cuore». Si tratta di recuperare i rapporti umani, di impegnarsi per restituire la dignità a chi rischia di perderla. «I poveri – diceva don Primo Mazzolari – non si contano, si abbracciano».

il testo integrale

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

V GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

domenica XXXIII del Tempo Ordinario
14 novembre 2021

«I poveri li avete sempre con voi»

(Mc 14,7)

 

1. «I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7). Gesù pronunciò queste parole nel contesto di un pranzo, a Betania, nella casa di un certo Simone detto “il lebbroso”, alcuni giorni prima della Pasqua. Come racconta l’evangelista, una donna era entrata con un vaso di alabastro pieno di profumo molto prezioso e l’aveva versato sul capo di Gesù. Quel gesto suscitò grande stupore e diede adito a due diverse interpretazioni.

La prima è l’indignazione di alcuni tra i presenti, compresi i discepoli, i quali considerando il valore del profumo – circa 300 denari, equivalente al salario annuo di un lavoratore – pensano che sarebbe stato meglio venderlo e dare il ricavato ai poveri. Secondo il Vangelo di Giovanni, è Giuda che si fa interprete di questa posizione: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». E l’evangelista annota: «Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro» (12,5-6). Non è un caso che questa dura critica venga dalla bocca del traditore: è la prova che quanti non riconoscono i poveri tradiscono l’insegnamento di Gesù e non possono essere suoi discepoli. Ricordiamo, in proposito, le parole forti di Origene: «Giuda sembrava preoccuparsi dei poveri […]. Se adesso c’è ancora qualcuno che ha la borsa della Chiesa e parla a favore dei poveri come Giuda, ma poi si prende quello che mettono dentro, abbia allora la sua parte insieme a Giuda» (Commento al vangelo di Matteo, 11, 9).

La seconda interpretazione è data da Gesù stesso e permette di cogliere il senso profondo del gesto compiuto dalla donna. Egli dice: «Lasciatela stare; perché la infastidite? Ha compiuto un’azione buona verso di me» (Mc 14,6). Gesù sa che la sua morte è vicina e vede in quel gesto l’anticipo dell’unzione del suo corpo senza vita prima di essere posto nel sepolcro. Questa visione va al di là di ogni aspettativa dei commensali. Gesù ricorda loro che il primo povero è Lui, il più povero tra i poveri perché li rappresenta tutti. Ed è anche a nome dei poveri, delle persone sole, emarginate e discriminate che il Figlio di Dio accetta il gesto di quella donna. Ella, con la sua sensibilità femminile, mostra di essere l’unica a comprendere lo stato d’animo del Signore. Questa donna anonima, destinata forse per questo a rappresentare l’intero universo femminile che nel corso dei secoli non avrà voce e subirà violenze, inaugura la significativa presenza di donne che prendono parte al momento culminante della vita di Cristo: la sua crocifissione, morte e sepoltura e la sua apparizione da Risorto. Le donne, così spesso discriminate e tenute lontano dai posti di responsabilità, nelle pagine dei Vangeli sono invece protagoniste nella storia della rivelazione. Ed è eloquente l’espressione conclusiva di Gesù, che associa questa donna alla grande missione evangelizzatrice: «In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto» (Mc 14,9).

2. Questa forte “empatia” tra Gesù e la donna, e il modo in cui Egli interpreta la sua unzione, in contrasto con la visione scandalizzata di Giuda e di altri, aprono una strada feconda di riflessione sul legame inscindibile che c’è tra Gesù, i poveri e l’annuncio del Vangelo.

Il volto di Dio che Egli rivela, infatti, è quello di un Padre per i poveri e vicino ai poveri. Tutta l’opera di Gesù afferma che la povertà non è frutto di fatalità, ma segno concreto della sua presenza in mezzo a noi. Non lo troviamo quando e dove vogliamo, ma lo riconosciamo nella vita dei poveri, nella loro sofferenza e indigenza, nelle condizioni a volte disumane in cui sono costretti a vivere. Non mi stanco di ripetere che i poveri sono veri evangelizzatori perché sono stati i primi ad essere evangelizzati e chiamati a condividere la beatitudine del Signore e il suo Regno (cfr Mt 5,3).

I poveri di ogni condizione e ogni latitudine ci evangelizzano, perché permettono di riscoprire in modo sempre nuovo i tratti più genuini del volto del Padre. «Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro. Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro considerandolo come un’unica cosa con sé stesso. Questa attenzione d’amore è l’inizio di una vera preoccupazione per la sua persona e a partire da essa desidero cercare effettivamente il suo bene» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 198-199).

3. Gesù non solo sta dalla parte dei poveri, ma condivide con loro la stessa sorte. Questo è un forte insegnamento anche per i suoi discepoli di ogni tempo. Le sue parole “i poveri li avete sempre con voi” stanno a indicare anche questo: la loro presenza in mezzo a noi è costante, ma non deve indurre a un’abitudine che diventa indifferenza, bensì coinvolgere in una condivisione di vita che non ammette deleghe. I poveri non sono persone “esterne” alla comunità, ma fratelli e sorelle con cui condividere la sofferenza, per alleviare il loro disagio e l’emarginazione, perché venga loro restituita la dignità perduta e assicurata l’inclusione sociale necessaria. D’altronde, si sa che un gesto di beneficenza presuppone un benefattore e un beneficato, mentre la condivisione genera fratellanza. L’elemosina, è occasionale; la condivisione invece è duratura. La prima rischia di gratificare chi la compie e di umiliare chi la riceve; la seconda rafforza la solidarietà e pone le premesse necessarie per raggiungere la giustizia. Insomma, i credenti, quando vogliono vedere di persona Gesù e toccarlo con mano, sanno dove rivolgersi: i poveri sono sacramento di Cristo, rappresentano la sua persona e rinviano a Lui.

Abbiamo tanti esempi di santi e sante che hanno fatto della condivisione con i poveri il loro progetto di vita. Penso, tra gli altri, a Padre Damiano de Veuster, santo apostolo dei lebbrosi. Con grande generosità rispose alla chiamata di recarsi nell’isola di Molokai, diventata un ghetto accessibile solo ai lebbrosi, per vivere e morire con loro. Si rimboccò le maniche e fece di tutto per rendere la vita di quei poveri malati ed emarginati, ridotti in estremo degrado, degna di essere vissuta. Si fece medico e infermiere, incurante dei rischi che correva e in quella “colonia di morte”, come veniva chiamata l’isola, portò la luce dell’amore. La lebbra colpì anche lui, segno di una condivisione totale con i fratelli e le sorelle per i quali aveva donato la vita. La sua testimonianza è molto attuale ai nostri giorni, segnati dalla pandemia di coronavirus: la grazia di Dio è certamente all’opera nei cuori di tanti che, senza apparire, si spendono per i più poveri in una concreta condivisione.

4. Abbiamo bisogno, dunque, di aderire con piena convinzione all’invito del Signore: «Convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). Questa conversione consiste in primo luogo nell’aprire il nostro cuore a riconoscere le molteplici espressioni di povertà e nel manifestare il Regno di Dio mediante uno stile di vita coerente con la fede che professiamo. Spesso i poveri sono considerati come persone separate, come una categoria che richiede un particolare servizio caritativo. Seguire Gesù comporta, in proposito, un cambiamento di mentalità, cioè di accogliere la sfida della condivisione e della partecipazione. Diventare suoi discepoli implica la scelta di non accumulare tesori sulla terra, che danno l’illusione di una sicurezza in realtà fragile ed effimera. Al contrario, richiede la disponibilità a liberarsi da ogni vincolo che impedisce di raggiungere la vera felicità e beatitudine, per riconoscere ciò che è duraturo e non può essere distrutto da niente e nessuno (cfr Mt 6,19-20).

L’insegnamento di Gesù anche in questo caso va controcorrente, perché promette ciò che solo gli occhi della fede possono vedere e sperimentare con assoluta certezza: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19,29). Se non si sceglie di diventare poveri di ricchezze effimere, di potere mondano e di vanagloria, non si sarà mai in grado di donare la vita per amore; si vivrà un’esistenza frammentaria, piena di buoni propositi ma inefficace per trasformare il mondo. Si tratta, pertanto, di aprirsi decisamente alla grazia di Cristo, che può renderci testimoni della sua carità senza limiti e restituire credibilità alla nostra presenza nel mondo.

5. Il Vangelo di Cristo spinge ad avere un’attenzione del tutto particolare nei confronti dei poveri e chiede di riconoscere le molteplici, troppe forme di disordine morale e sociale che generano sempre nuove forme di povertà. Sembra farsi strada la concezione secondo la quale i poveri non solo sono responsabili della loro condizione, ma costituiscono un peso intollerabile per un sistema economico che pone al centro l’interesse di alcune categorie privilegiate. Un mercato che ignora o seleziona i principi etici crea condizioni disumane che si abbattono su persone che vivono già in condizioni precarie. Si assiste così alla creazione di sempre nuove trappole dell’indigenza e dell’esclusione, prodotte da attori economici e finanziari senza scrupoli, privi di senso umanitario e responsabilità sociale.

Lo scorso anno, inoltre, si è aggiunta un’altra piaga che ha moltiplicato ulteriormente i poveri: la pandemia. Essa continua a bussare alle porte di milioni di persone e, quando non porta con sé la sofferenza e la morte, è comunque foriera di povertà. I poveri sono aumentati a dismisura e, purtroppo, lo saranno ancora nei prossimi mesi. Alcuni Paesi stanno subendo per la pandemia gravissime conseguenze, così che le persone più vulnerabili si trovano prive dei beni di prima necessità. Le lunghe file davanti alle mense per i poveri sono il segno tangibile di questo peggioramento. Uno sguardo attento richiede che si trovino le soluzioni più idonee per combattere il virus a livello mondiale, senza mirare a interessi di parte. In particolare, è urgente dare risposte concrete a quanti patiscono la disoccupazione, che colpisce in maniera drammatica tanti padri di famiglia, donne e giovani. La solidarietà sociale e la generosità di cui molti, grazie a Dio, sono capaci, unite a progetti lungimiranti di promozione umana, stanno dando e daranno un contributo molto importante in questo frangente.

6. Rimane comunque aperto l’interrogativo per nulla ovvio: come è possibile dare una risposta tangibile ai milioni di poveri che spesso trovano come riscontro solo l’indifferenza quando non il fastidio? Quale via della giustizia è necessario percorrere perché le disuguaglianze sociali possano essere superate e sia restituita la dignità umana così spesso calpestata? Uno stile di vita individualistico è complice nel generare povertà, e spesso scarica sui poveri tutta la responsabilità della loro condizione. Ma la povertà non è frutto del destino, è conseguenza dell’egoismo. Pertanto, è decisivo dare vita a processi di sviluppo in cui si valorizzano le capacità di tutti, perché la complementarità delle competenze e la diversità dei ruoli porti a una risorsa comune di partecipazione. Ci sono molte povertà dei “ricchi” che potrebbero essere curate dalla ricchezza dei “poveri”, se solo si incontrassero e conoscessero! Nessuno è così povero da non poter donare qualcosa di sé nella reciprocità. I poveri non possono essere solo coloro che ricevono; devono essere messi nella condizione di poter dare, perché sanno bene come corrispondere. Quanti esempi di condivisione sono sotto i nostri occhi! I poveri ci insegnano spesso la solidarietà e la condivisione. È vero, sono persone a cui manca qualcosa, spesso manca loro molto e perfino il necessario, ma non mancano di tutto, perché conservano la dignità di figli di Dio che niente e nessuno può loro togliere.

7. Per questo si impone un differente approccio alla povertà. È una sfida che i Governi e le Istituzioni mondiali hanno bisogno di recepire con un lungimirante modello sociale, capace di andare incontro alle nuove forme di povertà che investono il mondo e che segneranno in maniera decisiva i prossimi decenni. Se i poveri sono messi ai margini, come se fossero i colpevoli della loro condizione, allora il concetto stesso di democrazia è messo in crisi e ogni politica sociale diventa fallimentare. Con grande umiltà dovremmo confessare che dinanzi ai poveri siamo spesso degli incompetenti. Si parla di loro in astratto, ci si ferma alle statistiche e si pensa di commuovere con qualche documentario. La povertà, al contrario, dovrebbe provocare ad una progettualità creativa, che consenta di accrescere la libertà effettiva di poter realizzare l’esistenza con le capacità proprie di ogni persona. È un’illusione da cui stare lontani quella di pensare che la libertà sia consentita e accresciuta per il possesso di denaro. Servire con efficacia i poveri provoca all’azione e permette di trovare le forme più adeguate per risollevare e promuovere questa parte di umanità troppe volte anonima e afona, ma con impresso in sé il volto del Salvatore che chiede aiuto.

8. «I poveri li avete sempre con voi» (Mc 14,7). È un invito a non perdere mai di vista l’opportunità che viene offerta per fare del bene. Sullo sfondo si può intravedere l’antico comando biblico: «Se vi sarà in mezzo a te qualche tuo fratello che sia bisognoso […], non indurirai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso, ma gli aprirai la mano e gli presterai quanto occorre alla necessità in cui si trova. […] Dagli generosamente e, mentre gli doni, il tuo cuore non si rattristi. Proprio per questo, infatti, il Signore, tuo Dio, ti benedirà in ogni lavoro e in ogni cosa a cui avrai messo mano.Poiché i bisognosi non mancheranno mai nella terra» (Dt 15,7-8.10-11). Sulla stessa lunghezza d’onda si pone l’apostolo Paolo quando esorta i cristiani delle sue comunità a soccorrere i poveri della prima comunità di Gerusalemme e a farlo «non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7). Non si tratta di alleggerire la nostra coscienza facendo qualche elemosina, ma  piuttosto di contrastare la cultura dell’indifferenza e dell’ingiustizia con cui ci si pone nei confronti dei poveri.

In questo contesto fa bene ricordare anche le parole di San Giovanni Crisostomo: «Chi è generoso non deve chiedere conto della condotta, ma solamente migliorare la condizione di povertà e appagare il bisogno. Il povero ha una sola difesa: la sua povertà e la condizione di bisogno in cui si trova. Non chiedergli altro; ma fosse pure l’uomo più malvagio al mondo, qualora manchi del nutrimento necessario, liberiamolo dalla fame. […] L’uomo misericordioso è un porto per chi è nel bisogno: il porto accoglie e libera dal pericolo tutti i naufraghi; siano essi malfattori, buoni o siano come siano quelli che si trovano in pericolo, il porto li mette al riparo all’interno della sua insenatura. Anche tu, dunque, quando vedi in terra un uomo che ha sofferto il naufragio della povertà, non giudicare, non chiedere conto della sua condotta, ma liberalo dalla sventura» (Discorsi sul povero Lazzaro, II, 5).

9. È decisivo che si accresca la sensibilità per capire le esigenze dei poveri, sempre in mutamento come lo sono le condizioni di vita. Oggi, infatti, nelle aree del mondo economicamente più sviluppate si è meno disposti che in passato a confrontarsi con la povertà. Lo stato di relativo benessere a cui ci si è abituati rende più difficile accettare sacrifici e privazioni. Si è pronti a tutto pur di non essere privati di quanto è stato frutto di facile conquista. Si cade così in forme di rancore, di nervosismo spasmodico, di rivendicazioni che portano alla paura, all’angoscia e in alcuni casi alla violenza. Non è questo il criterio su cui costruire il futuro; eppure, anche queste sono forme di povertà da cui non si può distogliere lo sguardo. Dobbiamo essere aperti a leggere i segni dei tempi che esprimono nuove modalità con cui essere evangelizzatori nel mondo contemporaneo. L’assistenza immediata per andare incontro ai bisogni dei poveri non deve impedire di essere lungimiranti per attuare nuovi segni dell’amore e della carità cristiana, come risposta alle nuove povertà che l’umanità di oggi sperimenta.

Mi auguro che la Giornata Mondiale dei Poveri, giunta ormai alla sua quinta celebrazione, possa radicarsi sempre più nelle nostre Chiese locali e aprirsi a un movimento di evangelizzazione che incontri in prima istanza i poveri là dove si trovano. Non possiamo attendere che bussino alla nostra porta, è urgente che li raggiungiamo nelle loro case, negli ospedali e nelle residenze di assistenza, per le strade e negli angoli bui dove a volte si nascondono, nei centri di rifugio e di accoglienza… È importante capire come si sentono, cosa provano e quali desideri hanno nel cuore. Facciamo nostre le parole accorate di Don Primo Mazzolari: «Vorrei pregarvi di non chiedermi se ci sono dei poverichi sono e quanti sono, perché temo che simili domande rappresentino una distrazione o il pretesto per scantonare da una precisa indicazione della coscienza e del cuore. […] Io non li ho mai contati i poveri, perché non si possono contare: i poveri si abbracciano, non si contano»(“Adesso” n. 7 – 15 aprile 1949). I poveri sono in mezzo noi. Come sarebbe evangelico se potessimo dire con tutta verità: anche noi siamo poveri, perché solo così riusciremmo a riconoscerli realmente e farli diventare parte della nostra vita e strumento di salvezza.

Roma, San Giovanni in Laterano, 13 giugno 2021,
Memoria di Sant’Antonio di Padova

 

FRANCESCO

a volte anche la dura sofferenza non è sufficiente a cambiarci il cuore

multe per i «samaritani» a Sassuolo

e fare la carità diventò reato

di Marina Corradi

C’è un’Italia che faticosamente cerca di ripartire, e di far fronte a un futuro incerto e duro: che per molti è disoccupazione, e per qualcuno già fame. C’è un’Italia che ha sperimentato, come non avveniva da due generazioni, la morte che passa vicina, le sirene delle ambulanze che spezzano le città silenziose, i defunti, addirittura, che non trovano più un luogo per riposare, esiliati altrove su colonne di camion dell’Esercito. Grazie a Dio ora il virus sembra arretrare, e si comincia a sperare di tornare a vivere.

Ci si potrebbe aspettare, dopo una simile prova – dopo aver visto come rapidamente si sbriciolano un benessere e una salute che davamo per scontati, dopo aver visto come rapidamente si muore – un sentimento collettivo nuovo, più accogliente col prossimo in difficoltà, più grato d’essere vivi, più generoso.

Ma tra le pieghe dei decreti governativi delle prime riaperture già, nella colonna delle agenzie Ansa sui pc nelle redazioni, s’infila una piccola notizia, dieci righe appena. A Sassuolo, Modena, terra emiliana di gente ricordiamo larga di cuore, l’amministrazione comunale a maggioranza Lega ha votato un provvedimento che prevede una sanzione di 56 euro non a quanti chiedono la carità per strada, ma a chi la carità per strada la fa. Proprio così si parla di pura e semplice carità, della moneta allungata a un clochard steso sul marciapiede, o al poveraccio che mostra la foto dei suoi figli. No, fare la carità deve essere proibito, dicono severamente i consiglieri di Sassuolo, e al sollevarsi delle comprensibili proteste dell’opposizione – e, speriamo, di molti cittadini – replicano: «Non pensiamo certo di multare la vecchietta o l’anziano che vuole fare la donazione, ma così si preserva chi è vittima di condotte moleste da parte dei professionisti dell’accattonaggio».

È vero, ci sono anche quelli, ci sono le squadre di mendicanti lasciate giù sempre dallo stesso pullmino nelle grandi città, ogni mattina, e puntualmente, come braccianti dai campi, ritirati alle 18. Ci sono, i racket, e doveroso sarebbe smantellare queste macchine di sfruttamento. Però i ragazzi dell’est europeo o neri che allungano la mano tesa nelle nostre strade ne sono solo le vittime, e chissà come alloggiati e sfamati, e chissà come trattati, se la sera fanno ritorno dai loro padroni a mani vuote. Quei ventenni agli angoli di Milano sono i fuggiti da lembi d’Africa e d’Oriente, ingannati, caduti nelle mani dei trafficanti, segregati in Libia e fortunosamente scampati al Mediterraneo. A volte anche disabili ingannati con la promessa di un lavoro. Strumenti nelle mani della malavita, vero, ma, prima di tutto, uomini, anzi spesso ragazzi, dell’età dei nostri figli.

Disgraziati cui non pare così deprecabile dare, insieme a un euro, almeno uno sguardo, un impotente segno di umana solidarietà, giacché il racket, noi passanti, non sappiamo debellarlo.

Ma a Sassuolo no, a Sassuolo linea dura. Non con il racket: con chi invece cede minimamente alla pietà del samaritano evangelico. «La vecchietta o l’anziano», spiegano dalla Lega, quasi a indicare che la carità è cosa da vecchi, e che chi è giovane e forte non cede a certi “ricatti”. Perché l’italiano immaginato da quei politici lì è “sovrano”: ha una casa, lavora, produce, e non ha bisogno di aiuto.

Quindi gli manca un po’ di capacità, diciamo, d’immedesimazione: non sa proprio che vuol dire, non avere da mangiare. Non conosce, e disdegna, quel trovarsi miserabili, che umanamente insegna più di cento master all’Università.
Dunque, 56 euro di multa – per alcune «vecchiette» un decimo della pensione minima – ai sentimentali che guardano uno sconosciuto, e gli danno i soldi per un pezzo di pane. Dura lex, sed lex. Ci auguriamo tuttavia, nella paurosa crisi che temiamo ci attenda, che non capiti fra qualche mese, a Sassuolo e altrove, di riconoscere in quelli che tendono la mano per strada ex colleghi, padri dei compagni dei figli, o vicini di casa. Magari anche alcuni quelli che gridavano ‘prima gli italiani!’. In pochi mesi edotti dalla storia di quanto facile e veloce sia la povertà. E uguale, per tutti, la fame.

ai poveri, giudicati parassiti, non si perdona neanche la loro povertà – messaggio per la giornata mondiale dei poveri

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO

III GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

Domenica XXXIII del Tempo Ordinario
17 novembre 2019

La speranza dei poveri non sarà mai delusa

1. «La speranza dei poveri non sarà mai delusa» (Sal 9,19). Le parole del Salmo manifestano una incredibile attualità. Esprimono una verità profonda che la fede riesce a imprimere soprattutto nel cuore dei più poveri: restituire la speranza perduta dinanzi alle ingiustizie, sofferenze e precarietà della vita.

Il Salmista descrive la condizione del povero e l’arroganza di chi lo opprime (cfr 10, 1-10). Invoca il giudizio di Dio perché sia restituita giustizia e superata l’iniquità (cfr 10, 14-15). Sembra che nelle sue parole ritorni la domanda che si rincorre nel corso dei secoli fino ai nostri giorni: come può Dio tollerare questa disparità? Come può permettere che il povero venga umiliato, senza intervenire in suo aiuto? Perché consente che chi opprime abbia vita felice mentre il suo comportamento andrebbe condannato proprio dinanzi alla sofferenza del povero?

Nel momento della composizione di questo Salmo si era in presenza di un grande sviluppo economico che, come spesso accade, giunse anche a produrre forti squilibri sociali. La sperequazione generò un numeroso gruppo di indigenti, la cui condizione appariva ancor più drammatica se confrontata con la ricchezza raggiunta da pochi privilegiati. L’autore sacro, osservando questa situazione, dipinge un quadro tanto realistico quanto veritiero.

Era il tempo in cui gente arrogante e senza alcun senso di Dio dava la caccia ai poveri per impossessarsi perfino del poco che avevano e ridurli in schiavitù. Non è molto diverso oggi. La crisi economica non ha impedito a numerosi gruppi di persone un arricchimento che spesso appare tanto più anomalo quanto più nelle strade delle nostre città tocchiamo con mano l’ingente numero di poveri a cui manca il necessario e che a volte sono vessati e sfruttati. Tornano alla mente le parole dell’Apocalisse: «Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo» (Ap 3,17). Passano i secoli ma la condizione di ricchi e poveri permane immutata, come se l’esperienza della storia non insegnasse nulla. Le parole del Salmo, dunque, non riguardano il passato, ma il nostro presente posto dinanzi al giudizio di Dio.

2. Anche oggi dobbiamo elencare molte forme di nuove schiavitù a cui sono sottoposti milioni di uomini, donne, giovani e bambini.

Incontriamo ogni giorno famiglie costrette a lasciare la loro terra per cercare forme di sussistenza altrove; orfani che hanno perso i genitori o che sono stati violentemente separati da loro per un brutale sfruttamento; giovani alla ricerca di una realizzazione professionale ai quali viene impedito l’accesso al lavoro per politiche economiche miopi; vittime di tante forme di violenza, dalla prostituzione alla droga, e umiliate nel loro intimo. Come dimenticare, inoltre, i milioni di immigrati vittime di tanti interessi nascosti, spesso strumentalizzati per uso politico, a cui sono negate la solidarietà e l’uguaglianza? E tante persone senzatetto ed emarginate che si aggirano per le strade delle nostre città?

Quante volte vediamo i poveri nelle discariche a raccogliere il frutto dello scarto e del superfluo, per trovare qualcosa di cui nutrirsi o vestirsi! Diventati loro stessi parte di una discarica umana sono trattati da rifiuti, senza che alcun senso di colpa investa quanti sono complici di questo scandalo. Giudicati spesso parassiti della società, ai poveri non si perdona neppure la loro povertà. Il giudizio è sempre all’erta. Non possono permettersi di essere timidi o scoraggiati, sono percepiti come minacciosi o incapaci, solo perché poveri.

Dramma nel dramma, non è consentito loro di vedere la fine del tunnel della miseria. Si è giunti perfino a teorizzare e realizzare un’architettura ostile in modo da sbarazzarsi della loro presenza anche nelle strade, ultimi luoghi di accoglienza. Vagano da una parte all’altra della città, sperando di ottenere un lavoro, una casa, un affetto… Ogni eventuale possibilità offerta, diventa uno spiraglio di luce; eppure, anche là dove dovrebbe registrarsi almeno la giustizia, spesso si infierisce su di loro con la violenza del sopruso. Sono costretti a ore infinite sotto il sole cocente per raccogliere i frutti della stagione, ma sono ricompensati con una paga irrisoria; non hanno sicurezza sul lavoro né condizioni umane che permettano di sentirsi uguali agli altri. Non esiste per loro cassa integrazione, indennità, nemmeno la possibilità di ammalarsi.

Il Salmista descrive con crudo realismo l’atteggiamento dei ricchi che depredano i poveri: “Stanno in agguato per ghermire il povero…attirandolo nella rete” (cfr Sal 10,9). È come se per loro si trattasse di una battuta di caccia, dove i poveri sono braccati, presi e resi schiavi. In una condizione come questa il cuore di tanti si chiude, e il desiderio di diventare invisibili prende il sopravvento. Insomma, riconosciamo una moltitudine di poveri spesso trattati con retorica e sopportati con fastidio. Diventano come trasparenti e la loro voce non ha più forza né consistenza nella società. Uomini e donne sempre più estranei tra le nostre case e marginalizzati tra i nostri quartieri.

3. Il contesto che il Salmo descrive si colora di tristezza, per l’ingiustizia, la sofferenza e l’amarezza che colpisce i poveri. Nonostante questo, offre una bella definizione del povero. Egli è colui che “confida nel Signore” (cfr v. 11), perché ha la certezza di non essere mai abbandonato. Il povero, nella Scrittura, è l’uomo della fiducia! L’autore sacro offre anche il motivo di tale fiducia: egli “conosce il suo Signore” (cfribid.), e nel linguaggio biblico questo “conoscere” indica un rapporto personale di affetto e di amore.

Siamo dinanzi a una descrizione davvero impressionante che non ci aspetteremmo mai. Ciò, tuttavia, non fa che esprimere la grandezza di Dio quando si trova dinanzi a un povero. La sua forza creatrice supera ogni aspettativa umana e si rende concreta nel “ricordo” che egli ha di quella persona concreta (cfr v. 13). È proprio questa confidenza nel Signore, questa certezza di non essere abbandonato, che richiama alla speranza. Il povero sa che Dio non lo può abbandonare; perciò vive sempre alla presenza di quel Dio che si ricorda di lui. Il suo aiuto si estende oltre la condizione attuale di sofferenza per delineare un cammino di liberazione che trasforma il cuore, perché lo sostiene nel più profondo.

4. È un ritornello permanente delle Sacre Scritture la descrizione dell’agire di Dio in favore dei poveri. Egli è colui che “ascolta”, “interviene”, “protegge”, “difende”, “riscatta”, “salva”… Insomma, un povero non potrà mai trovare Dio indifferente o silenzioso dinanzi alla sua preghiera. Dio è colui che rende giustizia e non dimentica (cfr Sal 40,18; 70,6); anzi, è per lui un rifugio e non manca di venire in suo aiuto (cfr Sal 10,14).

Si possono costruire tanti muri e sbarrare gli ingressi per illudersi di sentirsi sicuri con le proprie ricchezze a danno di quanti si lasciano fuori. Non sarà così per sempre. Il “giorno del Signore”, come descritto dai profeti (cfr Am 5,18; Is 2-5; Gl 1-3), distruggerà le barriere create tra Paesi e sostituirà l’arroganza di pochi con la solidarietà di tanti. La condizione di emarginazione in cui sono vessati milioni di persone non potrà durare ancora a lungo. Il loro grido aumenta e abbraccia la terra intera. Come scriveva Don Primo Mazzolari: «Il povero è una protesta continua contro le nostre ingiustizie; il povero è una polveriera. Se le dai fuoco, il mondo salta».

5. Non è mai possibile eludere il pressante richiamo che la Sacra Scrittura affida ai poveri. Dovunque si volga lo sguardo, la Parola di Dio indica che i poveri sono quanti non hanno il necessario per vivere perché dipendono dagli altri. Sono l’oppresso, l’umile, colui che è prostrato a terra. Eppure, dinanzi a questa innumerevole schiera di indigenti, Gesù non ha avuto timore di identificarsi con ciascuno di essi: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Sfuggire da questa identificazione equivale a mistificare il Vangelo e annacquare la rivelazione. Il Dio che Gesù ha voluto rivelare è questo: un Padre generoso, misericordioso, inesauribile nella sua bontà e grazia, che dona speranza soprattutto a quanti sono delusi e privi di futuro.

Come non evidenziare che le Beatitudini, con le quali Gesù ha inaugurato la predicazione del regno di Dio, si aprono con questa espressione: «Beati voi, poveri» (Lc 6,20)? Il senso di questo annuncio paradossale è che proprio ai poveri appartiene il Regno di Dio, perché sono nella condizione di riceverlo. Quanti poveri incontriamo ogni giorno! Sembra a volte che il passare del tempo e le conquiste di civiltà aumentino il loro numero piuttosto che diminuirlo. Passano i secoli, e quella beatitudine evangelica appare sempre più paradossale; i poveri sono sempre più poveri, e oggi lo sono ancora di più. Eppure Gesù, che ha inaugurato il suo Regno ponendo i poveri al centro, vuole dirci proprio questo: Lui ha inaugurato, ma ha affidato a noi, suoi discepoli, il compito di portarlo avanti, con la responsabilità di dare speranza ai poveri. È necessario, soprattutto in un periodo come il nostro, rianimare la speranza e restituire fiducia. È un programma che la comunità cristiana non può sottovalutare. Ne va della credibilità del nostro annuncio e della testimonianza dei cristiani.

6. Nella vicinanza ai poveri, la Chiesa scopre di essere un popolo che, sparso tra tante nazioni, ha la vocazione di non far sentire nessuno straniero o escluso, perché tutti coinvolge in un comune cammino di salvezza. La condizione dei poveri obbliga a non prendere alcuna distanza dal Corpo del Signore che soffre in loro. Siamo chiamati, piuttosto, a toccare la sua carne per comprometterci in prima persona in un servizio che è autentica evangelizzazione. La promozione anche sociale dei poveri non è un impegno esterno all’annuncio del Vangelo, al contrario, manifesta il realismo della fede cristiana e la sua validità storica. L’amore che dà vita alla fede in Gesù non permette ai suoi discepoli di rinchiudersi in un individualismo asfissiante, nascosto in segmenti di intimità spirituale, senza alcun influsso sulla vita sociale (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 183).

Recentemente abbiamo pianto la morte di un grande apostolo dei poveri, Jean Vanier, che con la sua dedizione ha aperto nuove vie alla condivisione promozionale con le persone emarginate. Jean Vanier ha ricevuto da Dio il dono di dedicare tutta la sua vita ai fratelli con gravi disabilità che spesso la società tende ad escludere. È stato un “santo della porta accanto” alla nostra; con il suo entusiasmo ha saputo raccogliere intorno a sé tanti giovani, uomini e donne, che con impegno quotidiano hanno dato amore e restituito il sorriso a tante persone deboli e fragili offrendo loro una vera “arca” di salvezza contro l’emarginazione e la solitudine. Questa sua testimonianza ha cambiato la vita di tante persone e ha aiutato il mondo a guardare con occhi diversi alle persone più fragili e deboli. Il grido dei poveri è stato ascoltato e ha prodotto una speranza incrollabile, creando segni visibili e tangibili di un amore concreto che fino ad oggi possiamo toccare con mano.

7. «L’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via» (ibid., 195) è una scelta prioritaria che i discepoli di Cristo sono chiamati a perseguire per non tradire la credibilità della Chiesa e donare speranza fattiva a tanti indifesi. La carità cristiana trova in essi la sua verifica, perché chi compatisce le loro sofferenze con l’amore di Cristo riceve forza e conferisce vigore all’annuncio del Vangelo.

L’impegno dei cristiani, in occasione di questa Giornata Mondiale e soprattutto nella vita ordinaria di ogni giorno, non consiste solo in iniziative di assistenza che, pur lodevoli e necessarie, devono mirare ad accrescere in ognuno l’attenzione piena che è dovuta ad ogni persona che si trova nel disagio. «Questa attenzione d’amore è l’inizio di una vera preoccupazione» (ibid., 199) per i poveri nella ricerca del loro vero bene. Non è facile essere testimoni della speranza cristiana nel contesto della cultura consumistica e dello scarto, sempre tesa ad accrescere un benessere superficiale ed effimero. È necessario un cambiamento di mentalità per riscoprire l’essenziale e dare corpo e incisività all’annuncio del regno di Dio.

La speranza si comunica anche attraverso la consolazione, che si attua accompagnando i poveri non per qualche momento carico di entusiasmo, ma con un impegno che continua nel tempo. I poveri acquistano speranza vera non quando ci vedono gratificati per aver concesso loro un po’ del nostro tempo, ma quando riconoscono nel nostro sacrificio un atto di amore gratuito che non cerca ricompensa.

8. A tanti volontari, ai quali va spesso il merito di aver intuito per primi l’importanza di questa attenzione ai poveri, chiedo di crescere nella loro dedizione. Cari fratelli e sorelle, vi esorto a cercare in ogni povero che incontrate ciò di cui ha veramente bisogno; a non fermarvi alla prima necessità materiale, ma a scoprire la bontà che si nasconde nel loro cuore, facendovi attenti alla loro cultura e ai loro modi di esprimersi, per poter iniziare un vero dialogo fraterno. Mettiamo da parte le divisioni che provengono da visioni ideologiche o politiche, fissiamo lo sguardo sull’essenziale che non ha bisogno di tante parole, ma di uno sguardo di amore e di una mano tesa. Non dimenticate mai che «la peggiore discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale» (ibid., 200).

I poveri prima di tutto hanno bisogno di Dio, del suo amore reso visibile da persone sante che vivono accanto a loro, le quali nella semplicità della loro vita esprimono e fanno emergere la forza dell’amore cristiano. Dio si serve di tante strade e di infiniti strumenti per raggiungere il cuore delle persone. Certo, i poveri si avvicinano a noi anche perché stiamo distribuendo loro il cibo, ma ciò di cui hanno veramente bisogno va oltre il piatto caldo o il panino che offriamo. I poveri hanno bisogno delle nostre mani per essere risollevati, dei nostri cuori per sentire di nuovo il calore dell’affetto, della nostra presenza per superare la solitudine. Hanno bisogno di amore, semplicemente.

9. A volte basta poco per restituire speranza: basta fermarsi, sorridere,  ascoltare. Per un giorno lasciamo in disparte le statistiche; i poveri non sono numeri a cui appellarsi per vantare opere e progetti. I poveri sono persone a cui andare incontro: sono giovani e anziani soli da invitare a casa per condividere il pasto; uomini, donne e bambini che attendono una parola amica. I poveri ci salvano perché ci permettono di incontrare il volto di Gesù Cristo.

Agli occhi del mondo appare irragionevole pensare che la povertà e l’indigenza possano avere una forza salvifica; eppure, è quanto insegna l’Apostolo quando dice: «Non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio» (1 Cor 1,26-29). Con gli occhi umani non si riesce a vedere questa forza salvifica; con gli occhi della fede, invece, la si vede all’opera e la si sperimenta in prima persona. Nel cuore del Popolo di Dio in cammino pulsa questa forza salvifica che non esclude nessuno e tutti coinvolge in un reale pellegrinaggio di conversione per riconoscere i poveri e amarli.

10. Il Signore non abbandona chi lo cerca e quanti lo invocano; «non dimentica il grido dei poveri» (Sal 9,13), perché le sue orecchie sono attente alla loro voce. La speranza del povero sfida le varie condizioni di morte, perché egli sa di essere particolarmente amato da Dio e così vince sulla sofferenza e l’esclusione. La sua condizione di povertà non gli toglie la dignità che ha ricevuto dal Creatore; egli vive nella certezza che gli sarà restituita pienamente da Dio stesso, il quale non è indifferente alla sorte dei suoi figli più deboli, al contrario, vede i loro affanni e dolori e li prende nelle sue mani, e dà loro forza e coraggio (cfr Sal 10,14). La speranza del povero si fa forte della certezza di essere accolto dal Signore, di trovare in lui giustizia vera, di essere rafforzato nel cuore per continuare ad amare (cfr Sal 10,17).

La condizione che è posta ai discepoli del Signore Gesù, per essere coerenti evangelizzatori, è di seminare segni tangibili di speranza. A tutte le comunità cristiane e a quanti sentono l’esigenza di portare speranza e conforto ai poveri, chiedo di impegnarsi perché questa Giornata Mondiale possa rafforzare in tanti la volontà di collaborare fattivamente affinché nessuno si senta privo della vicinanza e della solidarietà. Ci accompagnino le parole del profeta che annuncia un futuro diverso: «Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia» (Ml 3,20).

Dal Vaticano, 13 giugno 2019

Memoria liturgica di S. Antonio di Padova

Francesco

guerra spietata ai poveri! ma solo loro possono aiutarci a recuperare umanità

umanità perduta!

il più ingiusto dei mondi possibili

Dio è morto … di nuovo

Un padre e la sua bimba di due anni, di origine sudamericana, sono annegati nel Rio Grande mentre cercavano di attraversare il confine tra Messico e Stati Uniti evitando il muro che separa i due paesi. Abbracciati. Per sempre. Con i loro piccoli normalissimi sogni. Un po’ di pace, di umana felicità

L’immagine che li ritrae è emblematica della crudeltà che domina questo nostro tempo.

Il più ricco dei mondi possibili, il nostro mondo, ha concentrato ricchezza e potere nelle mani di pochi. A tutti gli altri ha lasciato briciole e lacrime amare, speranze disperate.

Chi prova a fuggire da guerre e povertà è un nemico, un pericoloso criminale. Viola la vera legge di fatto che governa il mondo e che pretende che i poveri accettino la loro ingiusta povertà a capo chino senza disturbare la tranquillità dei loro carnefici.

In fondo le migrazioni di questi nostri tempi altro non sono che una prima, disperata, ribellione a un ordine violento e crudele.

Il giorno in cui gli oppressi di ogni parallelo e latitudine prenderanno coscienza, si organizzeranno. E non ci sarà muro o barriera che potrà fermarli.

Cambieranno il mondo. Lo faranno nuovo. Bello e giusto. Si salveranno. Ci salveranno.

Che venga presto quel giorno!

 

silvestro montanaro

 

il vangelo letto cogli occhi dei poveri – intervista a frei Betto


leggere il vangelo a partire dai poveri
un dialogo con frei Betto
“Per tre giorni appeso al ‘pau-do-arara’ o seduto sulla ‘sedia dei drago’, fatta di placche metalliche e fili, ricevette scosse elettriche alla testa, ai tendini dei piedi e alle orecchie. Gli dettero legnate sulla schiena, sul petto e sulle gambe, gonfiarono le sue mani con staffilate, lo vestirono di paramenti e gli fecero aprire la bocca ‘per ricevere l’ostia consacrata’: scariche elettriche sulla bocca”.
A subire queste brutalità erano giovani religiosi domenicani arrestati nel 1969 in Brasile con l’accusa di essere al fianco delle forze comuniste. Uno di loro, frei Tito, non riuscì a reggere la prova e, una volta liberato, qualche anno più tardi, si impiccò su un albero nel convento di Lione.
Ricordo ancora la splendida poesia di padre Turoldo:
“Che Dio ci perdoni ci perdoni di esistere / ci perdoni di dirci cristiani / ci perdoni questi anni / santi Frei Tito / ancora pendente all’albero / (della vita nel nuovo giardino!) / davanti al convento di Lione”.
Insieme a frei Tito in carcere a subire torture c’era anche frei Betto. Il quale due anni dopo pubblicò un libro doloroso e magnifico dal titolo “Dai sotterranei della storia” dove ripercorreva quella brutale vicenda. Frei Betto, autore di numerose pubblicazioni, viene spesso in Italia a tenere incontri e conferenze.
Frei Betto, qual è il senso, oggi, della teologia della liberazione?
È credere, nonostante tutto, nel Dio della vita. Teologia della liberazione significa coniugare la visione della fede con l’anelito alla liberazione. Penso che ogni cristiano che viva il mistero della fede con gioia, con senso di liberazione, che vive l’amore, l’impegno per la lotta per la giustizia, pratichi la teologia della liberazione.
Una volta un vescovo mi chiese: “Ma perché cercare un’altra teologia quando c’è già la teologia della Chiesa di Roma?” Gli risposi: “Nel Vangelo ci sono quattro teologie diverse, quella di Matteo, di Giovanni, di Luca e di Marco. E se ci sono già queste quattro visioni diverse di Gesù, queste quattro diverse visioni della Chiesa, perché stupirsi proprio della teologia della liberazione?”. Gesù, a differenza di quanto crediamo, ha attraversato molti conflitti. Dalla nascita alla morte in croce. Ha spesso conflitto con quanti si consideravano molto religiosi: i farisei, i sadducei, i dottori della legge. Questi accettavano la Torah, proprio come Gesù. Ma la differenza stava nell’ottica.
Nessun testo è evidente per se stesso. Testo, contesto, pretesto: sono i principi della teoria letteraria e dell’ermeneutica. Voi italiani comprendete meglio di me la poesia di Dante perché vivete nel contesto in cui il testo è stato prodotto. Però noi capiamo meglio l’opera di Jorge Amado perché abitiamo nel contesto in cui lui ha scritto. La teologia della liberazione è una lettura della bibbia partendo da un contesto di oppressione. Il principio base è semplice. Crediamo che sia compito della Chiesa fare quello che Gesù ha detto: difendere e promuovere il maggiore dono di Dio, la vita.
In America Latina la maggior parte della gente vive nella povertà e la maggioranza è di fede cristiana. Quindi la domanda principale di questa gente è: Dio vuole che noi rimaniamo in questa sofferenza? Oppure, come sta scritto nella prima pagina della Bibbia, ha creato il mondo in modo che fosse un giardino, un meraviglioso giardino con uccelli, fiori, acqua cristallina? La teologia della liberazione, non è una teoria, non è un qualcosa nato nelle biblioteche, alle scrivanie, nelle accademie, nelle università religiose… No! È la sistematizzazione dell’esperienza di fede dei poveri alla ricerca della loro liberazione.
Cosa vuol dire rileggere la Bibbia da questo punto di vista?
Ti faccio un esempio. Se noi analizziamo i quattro Vangeli ci rendiamo conto che le domande che vengono rivolte a Gesù sono essenzialmente due. La prima è: “Signore cosa devo fare per guadagnare la vita eterna?” In nessuno dei quattro Vangeli questa domanda esce dalla bocca di un povero; esce sempre dalla bocca di chi ha assicurata la vita terrena e allora vuole sapere come guadagnare anche quella celeste. Ebbene, tutte le volte che Gesù ascolta questa domanda reagisce con una certa irritazione. È il caso di Zaccheo, o del dottore della legge che ode la parabola del buon samaritano, del ricco che ha finito col far inquietare Gesù, chiamandolo in un modo che gli aveva dato fastidio: chiamandolo maestro.
L’altra domanda è la domanda dei poveri: “Signore, cosa devo fare per avere vita in questa vita?” “Il mio occhio non vede, io voglio vedere; la mia mano è secca, ho bisogno di lavorare; mia figlia è malata e io voglio vederla sana”. I poveri chiedono a Gesù una vita in questa vita. Una vita in abbondanza. A loro Gesù risponde con compassione e amore. Quindi per noi nella Chiesa del Brasile la vita è il dono maggiore di Dio. Una Chiesa indifferente alla fame del popolo, una Chiesa indifferente ai bambini di strada, una Chiesa indifferente a quindici milioni di persone senza terra, una Chiesa indifferente a quanti lavorano ancora oggi in Brasile in uno stato letterale di schiavitù, è una Chiesa che considera il Sabato più importante dell’uomo.
Per fortuna però, una parte molto significativa della Chiesa del Brasile ha cercato, e lo sta facendo ancora, di mettere l’uomo davanti al Sabato; di essere fedele alla vita di questo popolo latinoamericano che ha sofferto per secoli a partire dalla colonizzazione e che oggi continua a soffrire a causa della globo-colonizzazione.
Leggere la Bibbia è un invito al cambiamento e alla speranza…
Proprio cosi. Vivere la fede in America Latina è avere la speranza di superare la miseria e la povertà. La gente incontra nella Bibbia, nella parola di Dio, il proprio alimento per capire meglio se stessi, per capire la lotta che sta vivendo e per trovare soluzioni. Faccio una metafora per spiegare meglio questo concetto. Per molta gente aprire la Bibbia è come aprire una finestra su interessanti fatti del passato. Nelle comunità ecclesiali di base, invece, la gente povera, quando apre la Bibbia, è come se guardasse se stessa in uno specchio, lo fa per riuscire a capirsi meglio, qui e ora.
Lei ha incontrato spesso mons. Helder Camara. Qual è il suo ricordo?
Dom Helder era un esponente della teologia della liberazione quando ancora non esisteva questo termine. Durante la dittatura fu censurato da tutti mezzi di comunicazione brasiliani ma, dato che era molto popolare, i militari avevano paura che potesse essere vittima di un attentato e che la responsabilità cadesse su di loro. Mandarono dunque la polizia federale ad offrire a Dom Helder una scorta di sicurezza. Lui disse di non aver bisogno della protezione della polizia perché diceva che aveva già delle persone che si occupavano di lui e lo proteggevano. Il capo della polizia disse che era proibito avere delle guardie private e voleva sapere i nomi degli i agenti privati perché dovevano essere registrati presso gli elenchi della polizia. Dom Helder rispose: “Può scrivere i loro nomi: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo”.
In un’altra occasione un operaio venne confuso con un trafficante di droga, fu arrestato in una favela, portato al commissariato e torturato. La moglie di quest’operaio andò bussare alla porta di Dom Helder. Dom Helder andò al commissariato e disse all’ufficiale di polizia: sono venuto qui, signore, perché mio fratello è stato arrestato; e l’ufficiale rispose: ma come signore, suo fratello? Come è possibile, siete così diversi! Nemmeno il nome corrisponde! Sì, siamo fratelli, disse dom Helder, ma solo da parte di Padre.
Gesti che raccontano l’amore passa attraverso scelte…
Come in Gesù del resto. In tutta la sua predicazione, il diritto alla vita, diritto per tutti, è presente in modo continuativo. Per lui più che avere fede è importante avere amore. Gesù non può concepire una fede senza gesti d’amore. Per questo, alcuni teologi dicono che più che importante avere fede in Gesù è avere la fede di Gesù: questa è l’essenza della vita cristiana.
La fede di Gesù era centrata su due dimensioni. La prima era una profonda intimità con Dio. È impressionante il tempo che Gesù, in una giornata, dedicava alla preghiera. Amava stare in intimità con Dio, ritagliarsi lunghi tempi e momenti. L’altra dimensione è il rapporto con il prossimo. Che lo portava a fare scelte precise. Dovremmo ricordarcelo più spesso. I cambiamenti in atto sono profondi e quando cambiano le epoche, cambiano pure i paradigmi. Il paradigma medioevale fu la fede, il paradigma moderno la ragione, che ha prodotto due figlie predilette, la scienza e la tecnologia. Il paradigma della post modernità pare essere il mercato, la mercantilizzazione di tutte le ragioni della vita. Se cosi è, noi dove siamo? Che volto di Dio mostriamo con le nostre scelte?

auguri di buon natale a …

 

da TG ROM   

Buon Natale agli ultimi,
ai dimenticati, a chi ha lottato per tutta la vita contro la sorte ed oggi lotta contro l’indifferenza.
A chi ha perso il treno giusto e la vita non gli ha concesso una seconda possibilità.


A chi non ha nessun posto dove andare, nessuno da abbracciare e nessuno con cui parlare.
A chi chiude la porta al mondo e in silenzio piange la sua solitudine, sperando solo che questo Natale passi in fretta.
Perché vedere gli altri felici fa male, quando sai che anche tu meriteresti un briciolo di felicità.
Buon Natale a chi si ricorderà di queste persone, e con un gesto, una parola, un abbraccio o un invito a sorpresa accenderà la luce nei loro occhi.
Buon Natale a chi crede alla famiglia e, se ci crede, ha il dovere di pensare anche a chi non ha famiglia.

alcune parrocchie lucchesi contro la politica disumana di Salvini

parrocchie lucchesi contro il decreto sicurezza e la Lega si arrabbia

Dura presa di posizione dell’Unità pastorale: “Effetti della legge peggiori del ‘male’, accelerazione di barbarie nel nostro Paese”.

I dirigenti toscani del Carroccio: “Pensate alle anime, non fate politica

“Una certa parte dei cristiani e delle loro comunità, più che seguire il vangelo ‘secondo’ Matteo, ‘assecondano’ l’altro Matteo, difendendone le idee e l’operato”
Ad ammonire i propri fedeli, contro i provvedimenti su immigrazione e sicurezza del ministro dell’Interno, sono un gruppo di parrocchie toscane del Lucchese: un avvertimento contro i consensi nei confronti delle politiche di Matteo Salvini e che senza mezzi termini – in linea con molti esponenti del mondo cattolico – condanna la nuova legge sulla sicurezza. E la Lega Toscana reagisce invitando “i pastori di Dio a limitarsi al compito di curare le anime e non di fare dichiarazioni politiche”.
Nuove polemiche, dunque, che seguono quelle degli ultimi giorni sul presepe, in particolare dopo l’appello del prete padovano Don Luca Favarin, affinché “non si faccia il presepio quest’anno”, scelta “evangelica”  per evitare “ipocrisie” (visto che “Gesù era un migrante e noi li lasciamo per strada”).
Stavolta a manifestare aspre critiche nei confronti del nuovo provvedimento, approvato da qualche giorno, sono le parrocchie di Massarosa, Bozzano, Pieve a Elici, Gualdo e Montigiano, le quali hanno uno dei loro punti di riferimento in don Virginio Colmegna, il presidente della Casa della Carità di Milano che ha invitato i cristiani a mettere in atto “atti di disobbedienza civile”. Le parrocchie sottolineano citazioni del mondo cattolico secondo cui gli effetti della legge sicurezza “saranno peggiori del ‘male’ che si vuole curare. Ma poco importa a chi bada più ai consensi elettorali che al bene comune e all’affermazione dei diritti e dei valori”.
Per l’Unità Pastorale delle comunità del Lucchese, che scrive sul suo blog ai fedeli,
“la gran parte dei cittadini attende indolente in una sorte di ‘letargo di civiltà’, spettatori passivi di un continuo regredire dell’Italia nell’ambito dei diritti umani e civili” ma “in alcune città qualche segno di risveglio si è manifestato, tentando di rallentare un’accelerazione di barbarie che corrode il Paese”.
Altrettanto dura è  la reazione dei leader locali del Carroccio:
“Uno dei problemi che affligge la Chiesa di oggi  la ‘fuga’ dei fedeli dai luoghi sacri, con messe sempre meno partecipate. E dichiarazioni politiche come queste, certo, non aiutano a tornare a frequentare, come noi auspichiamo, i nostri luoghi di culto”,
spiegano Elisa Montemagni e Andrea Recaldin, rispettivamente capogruppo in Consiglio regionale Toscana e commissario provinciale della Lega. 

E anche il ministro dell’interno Matteo Salvini in una diretta Facebook è tornato a rispondere a quella parte di mondo cattolico che critica la legge sicurezza sottolineando che ci sono molti

“parroci, suore, missionari, vescovi, cardinali che privatamente e pubblicamente mi dicono di andare avanti perché c’è bisogno di regole”.

il ‘cattivismo’ di questo governo contri poveri e i disperati

la miseria di un governo che prende in giro i poveri e i disperati

con il dl sicurezza di Salvini, agli oltre un milione di vagabondi italiani viene tolta persino la possibilità di umiliarsi chiedendo l’elemosina

Un barbone

un barbone

“Stasera, davanti a una chiesa, mi ha fermato un mendicante che mi ha chiesto qualche spicciolo, avevo un euro e gliel’ho dato. Lui, nel ringraziarmi, mi ha detto, in siciliano stretto: “sa dottore (si mi ha chiamato dottore, chissà perché), io prego perché questo governo cada a gennaio, io ho votato 5 stelle, ma questo governo sta prendendo in giro i poveri e questo non è giusto, se prendevano in giro i ricchi va bene, ma i poveri no, non si prendono in giro i poveri! E io prego il Signore perché li faccia cadere il primo gennaio! Non si prendono in giro i poveri!”

Ho scelto di condividere questo messaggio, inviatomi da mio padre ieri sera, e che mi ha dato la conferma di un pensiero, terrificante, che mi ronza in testa dall’approvazione del decreto sicurezza.

Ora, che questo dl sia una legge infame e razzista è facilmente intuibile: levare qualsiasi possibilità di guadagno onesto e integrazione agli immigrati costringerà centinaia di irregolari a riversarsi nelle strade d’Italia. Persone, famiglie, esseri umani che come tali hanno bisogno di ripararsi dal freddo e di mangiare. E davanti alle porte chiuse in faccia da questo governo, questi disperati faranno ciò che ognuno di noi farebbe nella stessa situazione: cominceranno a rubare e a delinquere, portando acqua al mulino di Salvini che potrà dire che aveva ragione lui, gli immigrati sono tutti criminali. Un tipo di narrazione illogica cui però gli italiani boccaloni credono ciecamente essendo incapaci, come vediamo drammaticamente in questi mesi, di ragionare lucidamente.

Ma, come direbbe Salvini, pensiamo agli italiani: secondo l’Istat, Nel 2017 si stimavano in povertà assoluta 1 milione e 778 mila famiglie italiane.

Oltre un milione di concittadini cui il dl sicurezza toglie la possibilità di chiedere aiuto elemosinando: l’accattonaggio ‘molesto’ è infatti ora considerato reato. Per un motivo semplice: i poveri ci fanno schifo.

Fa schifo vederli ammassati davanti alle stazioni, immersi nel puzzo che impesta l’aria. Fa schifo trovarli davanti alle Chiese e ai supermercati. E fa schifo perché sono lì a dimostrare quanto siamo fortunati, quanto poco abbiamo il diritto di lamentarci finché abbiamo una casa cui tornare, un tetto sopra la testa e un pasto in tavola. Fanno schifo perché ci mettono di fronte, con la loro semplice esistenza, alla nostra ipocrisia, alla nostra cattiveria. Perché sarebbe bello uscire il sabato sera senza senza tetto e venditori di rose che ci interrompono mentre ci lamentiamo delle nostre lunghe giornate di lavoro, giusto? Sarebbe fantastico non dover assistere alla pietosa scena della bambina che ci chiede due spicci al semaforo, o del lavavetri che insiste per insaponarci il parabrezza. Quanto ci fanno schifo i poveri, e quanto in fretta ci abitueremo a non vederli più in giro. Perché, come si dice, ‘lontano dagli occhi, lontano dal cuore’. Se ne avessimo ancora uno, di cuore.

Eppure, questi poveri continueranno a esistere. E a pregare che chi li sta prendendo in giro la smetta di fare campagna elettorale sulle loro già misere vite. Quest’uomo era già povero prima di Di Maio e di di Salvini, lo sarà anche quando il dl sicurezza sarà effettivamente entrato in vigore (cosa che accadrà presto, dato che Mattarella ha apposto la sua firma e il decreto è il Gazzetta Ufficiale). Non è colpa di Salvini se quest’uomo è costretto a chiedere l’elemosina. Ma è colpa sua, colpa dei cinque stelle, colpa di tutti coloro che plaudono a questo governo che sbatte in strada i disperati e ciancia di Gesù e di presepe, se a questo poveraccio gli verrà tolta anche l’umiliazione di essere un accattone. Non sia mai che rovini il decoro urbano mentre siamo impegnati a fare le spese di Natale.

fede e capacità di riconoscer … Lo

la nostra fede

«”È reo di morte!”. Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; altri lo bastonavano, dicendo: “Indovina, Cristo! Chi è che ti ha percosso?» (1).

Signore, sì, ti riconosciamo in tutti i calunniati e torturati dai regimi, in tutti i dissidenti e in tutti i derisi dal Potere.

«Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra; poi mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: “Salve, re dei Giudei!”. E sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo così schernito, lo spogliarono del mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo» (2).

Signore, sì, ti riconosciamo in tutti gli spogliati, gli impoveriti dalle strutture di peccato economico-sociali, negli espropriati di opportunità, nei piegati, nei disoccupati/precari/operai colpevolizzati dai loro oppressori, in tutti i crocifissi dalla storia.

«”Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!”. Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano: “Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. È il re d’Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo. Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!”. Anche i ladroni crocifissi con lui lo oltraggiavano allo stesso modo» (3).

Signore, sì, ti riconosciamo in tutti i testimoni della compassione, della giustizia, della profezia, della misericordia che non hanno pensato prima a salvare se stessi.

«Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: “Elì, Elì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: “Costui chiama Elia”. E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, imbevutala di aceto, la fissò su una canna e così gli dava da bere. Gli altri dicevano: “Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo!”. E Gesù, emesso un alto grido, spirò» (4).

Signore, sì, ti riconosciamo in tutti gli abbandonati al loro destino,  nei disperati perché traditi e venduti come schiavi, nei reietti per motivi sociali, religiosi, sessuali, in tutti quelli che si sentono lontani da Dio.

Signore, sì, ti riconosciamo in quell’uomo nudo e crocifisso. Non ci vergogniamo, né ci scandalizziamo ma al contrario proviamo solo immensa gratitudine.

(1) Vangelo di Matteo 26, 67-68

(2) Vangelo di Matteo 27, 28-31

(3) Vangelo di Matteo 27, 40-44

(4) Vangelo di Matteo 27, 46-50

è la guerra contro i deboli della società

Erri de Luca

“qui siamo alla persecuzione dei mendicanti”

A partire dallo sgombero di Baobab, lo scrittore si sofferma sul clima nel Paese: “Non chiamatelo fascismo ma Salvini imita a pappagallo qualche slogan del ventennio, per quel conosciuto disturbo della personalità definito delirio di potenza dell’improvvisato al potere”. Poi parla dello snaturamento del M5S e sorvola, per pietà, sul Pd favorevole alla Tav: “A sinistra si è aperta una voragine che non ha ancora una voce di rappresentanza. Questa opposizione che esiste nella società aspetta una nuova espressione”.

intervista a Erri De Luca di Giacomo Russo Spena

Parla di guerra in atto contro i deboli della società ma, nello stesso momento, rifiuta categorie come il fascismo: “Non ci sono gli estremi per usare oggi tale termine”. Lo scrittore Erri de Luca si dice disgustato per la fase politica che il Paese sta vivendo senza però lasciarsi andare alla rassegnazione: “Al pianoterra della società, che frequento, trovo continue ragioni di conforto e di allegria. Ci sono forze che mi rendono lieto di appartenere al loro tempo”. Il problema è che nessuno, al momento, pare riuscirle a rappresentare.

Erri de Luca, per il governo gialloverde è tempo di primi bilanci: qual è il suo giudizio?
Non arrivo a chiamarlo governo, si tratta per me di uno stupro elettorale, fatto da due componenti che si sono presentate agli elettori come opposte e poi con un borseggio ai danni degli elettori stessi si sono piazzati sulle sedie di governo. Sono degli occupanti provvisori di quelle poltrone. Lo sanno e stanno svolgendo una continua campagna elettorale ognuno per proprio conto in vista di un imminente scioglimento di governo e di Camere.
Dopo il ddl sicurezza, il caso della mensa di Lodi o l’ennesimo sgombero a Roma di Baobab, per citare qualche episodio emblematico, c’è chi parla di deriva xenofoba del governo. E’ un timore che condivide o è solo una boutade giornalistica?

La xenofobia non distingue tra stranieri ricchi e poveri, li detesta entrambi. Qui si tratta piuttosto di persecuzione di mendicanti: nello sgombero del Baobab c’erano anche italiani sgomberati. Qui si pratica accanimento sui più esposti alle intemperie, effetto che misteriosamente rassicura chi rasenta la povertà. Intanto gli sbarchi alla spicciolata continuano e i provenienti dalle coste Africane sono solo una minoranza degli immigrati extracomunitari, rispetto a Ucraini, Albanesi, Moldavi.

Poveri e migranti vengono sgomberati in nome della legalità, Casa Pound sembra godere invece dell’impunità. Il ministro degli Interni utilizza due pesi e due misure?

Questo ministro degli Interni fece una manifestazione a Roma a Piazza del Popolo con i fascisti di Casa Pound. Sono un suo bacino elettorale.

Qualcuno arriva a dire che Salvini è culturalmente fascista. E’ d’accordo?

Il fascismo si manifesta con la violenza squadrista, gli assalti alle sedi di sinistra, la messa fuorilegge delle opposizioni, la soppressione della libertà di stampa. Non ci sono gli estremi per usare oggi il termine fascismo. C’è un ministro che imita a pappagallo qualche slogan del ventennio, per quel conosciuto disturbo della personalità definito delirio di potenza dell’improvvisato al potere.

Intanto, però, la Lega continua a salire nei sondaggi: la politica della ruspa sembra convincere i cittadini. Dopo il berlusconismo, è in atto una (nuova) rivoluzione antropologica degli italiani?

Le ruspe contro i campi nomadi e le tende dei senzatetto ci sono state anche prima. Il Baobab è stato sfrattato 22 volte in questi anni. Prevale in questo momento il sentimento politico della paura e del malanimo, che gonfia i sondaggi, che non sondano affatto, ma raccolgono solo la irritazione cutanea. Ma l’Italia si regge su sentimenti politici opposti, quelli del volontariato diffuso, capillare, solidale, di mutuo soccorso. Sono poco rappresentati dai sondaggi perché appunto non sanno sondare.

Quali sono le responsabilità del M5S? E’ deluso dai grillini?

Hanno cambiato i loro connotati da quando li sosteneva una persona di coerente sinistra come Dario Fo. Hanno smesso di raccogliere un’astensione che oggi riguarda più di un terzo di elettori. Hanno smesso di opporsi a opere pubbliche oscene per le quali hanno ottenuto consenso elettorale. Hanno smesso di conservarsi equidistanti da destra e sinistra accordandosi alla Lega. Insomma hanno smesso molto e continueranno a smettere. Le delusioni riguardano il loro corpo elettorale nel quale non rientro, non avendo voluto votare.

In passato si è schierato contro il condono ad Ischia dichiarando: “Ci sono ministri che trasformano l’oro in fango”. Ieri il governo è andato sotto proprio su questo provvedimento. Una buona notizia?

La maggioranza è scomposta e si sgambetta da sola. Mi spiace per l’isola della mia infanzia che è diventata titolo di un caso di favoritismi.

Parliamo anche dell’opposizione. Possiamo dire che, al momento, non esiste?

Esiste, composta da Forza Italia e in secondo piano dal Pd che però da un anno è in cerca di autore. Ma a sinistra si è aperta una voragine che non ha ancora una voce di rappresentanza. Questa opposizione che esiste nella società aspetta una nuova espressione.

Non posso esimermi dal farle una domanda sul corteo pro Tav che ha organizzato il Pd a Torino. Cosa ha pensato nel vedere quella piazza?

Ne dovranno fare altri novantanove di cortei per pareggiare quelli che ho fatto io stesso contro quel treno merci e prima che si possa prendere in considerazione la esistenza politica di piazza di un sì che sta invece da sempre dentro i governi, i ministeri e le ditte appaltatrici dello scempio.

Recentemente si è detto “disgustato” dalla politica. Non le entusiasma nulla? Non c’è nessuno all’orizzonte capace di ridarle speranza?

Il disgusto è per me un sentimento politico nuovo, da elaborare. Si manifesta cambiando prontamente canale all’apparizione di pubblici rappresentanti e rifiutando di pronunciarne i nomi, per misura di igiene orale. Ma al pianoterra della società, che frequento, trovo continue ragioni di conforto e di allegria. Ci sono forze che mi rendono lieto di appartenere al loro tempo.

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