la lettera alla città e a papa Francesco del missionario che che si è fatto ultimo tra gli ultimi

“caro Francesco ti scrivo…”

Biagio Conte, che si appresta a passare la terza notte all’addiaccio, si appella a Papa Francesco per risolvere il problema dell’emergenza abitativa a Palermo

Gli occhi di Biagio Conte guardano il cielo. È un cielo uggioso, quello di Palermo, che inzuppa la città di quella pioggerellina che passa oltre i vestiti e inumidisce anche le ossa. “Trovo assurdo – continua a ripetere alla folla sparuta ma costante che si avvicina a lui, sotto i portici delle Poste – che 27 anni dopo io debba tornare in strada per le stesse battaglie. Questa città non può voltarsi ancora dall’altra parte”.

Ha scritto una nuova lettera, questo pomeriggio. C’è l’impegno del deputato Udc Vincenzo Figuccia di portarla all’Assemblea e leggerla ai 70 deputati che rappresentano i siciliani a Sala d’Ercole. “L’umanità – scrive Biagio Conte nella missiva – deve essere solidale verso chi è privo di beni essenziali e muore di fame, verso chi profugo dalla patria, cerca un rifugio per sé e per i suoi bambini, che saranno gli uomini e le donne del futuro. Ogni essere vivente deve avere la sua identità, un riconoscimento, un documento, una residenza, una integrazione per poter ricominciare una nuova vita”.

“È nostro dovere – aggiunge, di suo pugno, la penna blu, le mani spaccate dal freddo – ascoltare il grido di chi è rimasto senza occupazione e vede pericolosamente minacciato il proprio domani, la perdita della casa, della propria famiglia e della sua dignità”.

Così l’appello si allarga. E arriva fino a Papa Francesco: “Fratel Biagio pieno di speranza invita il nostro Papa, il nostro vescovo, le varie religioni, il nostro sindaco, il nostro presidente della Regione, il nostro presidente dello Stato e tutti i cittadini a rispondere al male con la preghiera, il digiuno e le opere, prima che sia troppo tardi”. Firmato “Pace e speranza, Fratel Biagio, piccolo servo inutile”.

L'immagine può contenere: 2 persone, persone che dormono e persone sedute

fratel Biagio invita all’accoglienza

lettera aperta alla città

Biagio Conte, dopo l’ultima morte di freddo avvenuta a Palermo di Giuseppe, che era stato portato in ospedale dai suoi volontari della missione ‘Speranza e Carità’, ha deciso di dormire per strada, scrivendo una lettera aperta alla città, da cui ha lanciato un grido di allarme contro l’indifferenza:

“Vivo un profondo disagio: non riesco a essere tranquillo, non dormo e non riesco a mangiare, sapendo che ancora ad oggi tante persone vivono per strada. Tante famiglie sono sfrattate e non hanno la casa, tante persone non hanno lavoro. La forte indifferenza e il profondo egoismo ancora oggi sono molto diffusi, mi inducono a rispondere al male con il bene.

Per queste ingiustizie mi abbandono anch’io per strada, per solidarizzare con chi è morto per strada, per chi ancora dorme per strada. Mi sosterranno la preghiera e il digiuno, affinché i cuori e le coscienze si scuotano e si sensibilizzino verso i più bisognosi”.

Biagio Conte ha spiegato il suo gesto nella lettera: “Non riesco ancora ad accettare che ci possano essere tanti ancora che vivono queste profonde sofferenze nella loro vita dovuti principalmente all’indifferenza e che continuano a vivere e morire per strada non riesco ancora ad accettare l’idea che tanti ancora siano senza lavoro, senza casa e devono morire per strada, voglio condividere questa vita con loro, stare insieme a loro, così è nata la Missione di Speranza e Carità e questo è il cammino che sento di portare avanti”.

Biagio Conte è consapevole che nella missione ‘Speranza e Carità’ sono ospitate tante persone, ma moltissime non possono essere accolte: “I fratelli e le sorelle sono al riparo nella struttura della Missione che è pienissima e i bisogni sono tanti ma molti ancora sono per strada c’è bisogno di aiuto, c’è bisogno di sostegno profondo, vero, sincero, ognuno deve fare la sua parte prima che sia troppo tardi”.

Quindi nella sua missiva ha lanciato un appello: “Il povero ha bisogno di noi, ma anche noi abbiamo bisogno di loro ‘ricchi e poveri insieme’, chi ha e non dona nulla al bisognoso, al più debole e all’indigente, non può essere un uomo o una donna di giustizia, di pace e di speranza.

Autorità e singoli cittadini, chi ha la possibilità di donare una casa, è doveroso donarla in modo di aiutare chi non ha un riparo, un tetto. Chi non dona e non aiuta contribuisce all’impoverimento della nostra società: è urgentissimo rispondere ai bisogni della gente. Questo prezioso appello è rivolto a tutte le città e a tutte le regioni d’ Italia”.

E durante il suo pellegrinaggio nelle città italiane a settembre fratel Biagio aveva visitato Amatrice ed Arquata del Tronto, raccogliendo il grido di dolore degli abitanti colpiti dal terremoto, ed ha invitato gli italiani a non dimenticare le sofferenze di queste popolazioni.

“vi chiedo scusa” – papa Francesco chiede perdono ai poveri

papa Francesco

le scuse ai poveri

 Se Dio è venuto a capovolgere le gerarchie e le priorità dell’uomo, la Chiesa è se stessa solo se sta dalla parte dei poveri e ne condivide le sofferenze. Scandalizza sia quando si disinteressa di loro mentre rende onori ai potenti in cambio di sovvenzioni e privilegi fiscali sia quando organizza servizi assistenziali dall’alto e dal di fuori. Il paternalismo rende il cibo molto amaro. Il grande dramma della chiesa è che si crede nel giusto imitando le tecniche di sopravvivenza proprie delle classi agiate. Ha introiettato la sua sottocultura e la sua antievangelica visione antropologica.

 Con i poveri sembra trovarsi in imbarazzo. Si infastidisce più per le loro pretese che per la corruzione di un amministratore pubblico. Non si fa problemi a stringere la mano di dittatori o guerrafondai democratici, mentre evita quella dei senzanome che si trovano appena fuori dalla porta. Accetta doni e riconoscimenti da imprenditori senza scrupoli mentre si tiene ben lontano dalle proteste di licenziati e precari. La vediamo continuamente protesa in uno sforzo di compatibilità con il potere nonostante la sua devastante perfidia sociale. Preferisce l’accordo con i potenti al sostegno delle rivendicazioni dei poveri.  Continua ad attribuire all’esterno la colpa della perdita di credibilità non accorgendosi che il problema sta nella imbarazzante contraddizione della sua vocazione. Siamo costretti a cercare testimoni credibili e facciamo fatica a trovarli. È un duro lavoro perché occorre far riemergere dalla polvere e dal pregiudizio i loro testi e poter così riascoltare la loro voce profetica spesso zittita a suo tempo dalla gerarchia. E torniamo così a respirare. Altre volte capita invece che a distanza di anni o secoli, la Chiesa si riappropri di un messaggio che aveva prima ostacolato. Di solito succede quando non può più incidere nella realtà oltre la sala convegni dove viene celebrata la tardiva e inutile riabilitazione.

 

Testo di Papa Francesco

“E vi chiedo scusa se vi posso aver qualche volta offeso con le mie parole o per non aver detto le cose che avrei dovuto dire. Vi chiedo perdono a nome dei cristiani che non leggono il Vangelo trovando la povertà al centro. Vi chiedo perdono per tutte le volte che noi cristiani davanti a una persona povera o a una situazione di povertà guardiamo dall’altra parte. Scusate.

Il vostro perdono per uomini e donne di Chiesa che non  vogliono guardarvi o non hanno voluto guardarvi, è acqua benedetta per noi; è  pulizia per noi; è aiutarci a tornare a credere che al cuore del Vangelo c’è la povertà come grande messaggio, e che noi – i cattolici, i cristiani, tutti – dobbiamo formare una Chiesa povera per i poveri; e che ogni uomo e donna di qualsiasi religione deve vedere in ogni povero il messaggio di Dio che si avvicina e si fa povero per accompagnarci nella vita”.

(Papa FrancescoDiscorso aipartecipanti al Giubileo delle persone socialmente escluse, 11/11/2016)

la ‘giornata mondiale dei poveri’ e le enormi spese per le armi

disarmo integrale

l’impegno per la pace deve diventare prassi pastorale

domenica prossima, 19 novembre, è la prima Giornata mondiale dei poveri. Può essere l’occasione per ricordare che le enormi spese militari sottraggono risorse proprio ai più poveri. Oggi la ricchezza di otto persone (8 di numero!) è pari alla ricchezza del 50% della popolazione mondiale! E sicuramente le folli spese militari sono tra le cause della povertà. Per dirla con don Tonino Bello: dobbiamo “amarci” e non “armarci”

Succede spesso. Lo dobbiamo ammettere. Spesso si fanno i convegni, si torna contenti e soddisfatti. E i documenti finiscono nel cassetto… Credo che non si possa dire così della conferenza a cui ho partecipato lo scorso 10-11 novembre “Prospettive per un mondo libero delle armi nucleari e per un disarmo integrale”, promossa dal Dicastero vaticano per il servizio dello sviluppo umano integrale. Questo incontro che ha ribadito con fermezza un “no” alle armi nucleari ha avuto un grosso stimolo proprio da Papa Francesco che, ricevendo in udienza i circa 350 partecipanti, ha detto:

“Anche considerando il rischio di una detonazione accidentale di tali armi per un errore di qualsiasi genere, è da condannare con fermezza la minaccia del loro uso, nonché il loro stesso possesso, proprio perché la loro esistenza è funzionale a una logica di paura che non riguarda solo le parti in conflitto, ma l’intero genere umano”.

Il testo integrale del discorso del Papa è facilmente reperibile su Internet. Ora sta a tutti noi, non solo ai partecipanti al convegno, dare gambe e tradurre in scelte questa “condanna” di Francesco, che si inserisce in un cammino più grande del magistero della Chiesa, dalla Pacem in Terris, alla Gaudium et Spes.

Sappiamo bene come il tema della pace, declinato come “no” alla guerra, alla produzione e vendita armi (vedi messaggio alla Settimana sociale di Cagliari) siano un punto fisso del magistero di Francesco. E sappiamo che l’Italia non ha aderito al Trattato firmato lo scorso 7 luglio all’Onu. Dobbiamo chiedere con forza al governo italiano di aderire! E sappiamo anche che sul territorio italiano a Ghedi e ad Aviano sono presenti decine  di testate nucleari ben più potenti di quelle di Hiroshima. 

Il lavoro non manca e il convegno appena concluso è una tappa, fondamentale, di un cammino già iniziato sia dalla Santa Sede sia da tutte quelle persone, gruppi, movimenti e associazioni che da anni si impegnano per un disarmo nucleare e integrale, per un mondo libero dalle armi.

Non a caso erano presenti 11 premi Nobel, compresa la rappresentante di Ican, premio Nobel per la pace 2017. Una tappa. Ma non un traguardo raggiunto. Il cammino continua. Per questo il convegno non va archiviato. Ma deve diventare spunto per una ripresa del cammino anche nelle scelte pastorali. Spesso questi temi sono assenti dai dibattiti delle nostre parrocchie. Non sono temi affrontati nelle catechesi, negli incontri di riflessione e formazione. Spesso si rischia di dire che Papa Francesco dice delle belle cose… Ma poi lo si lascia solo. Ecco allora che ognuno deve proseguire questo percorso nella propria realtà e nel proprio territorio.

L’impegno per la pace – la denuncia delle armi nucleari – deve diventare prassi pastorale. Non può restare un impegno di nicchia solo per qualcuno. La pace deve diventare l’impegno di tutti i credenti… Ben sapendo che “Cristo è la nostra pace”.

 

“Le armi di distruzione di massa, in particolare quelle atomiche – ha affermato papa Francesco -, altro non generano che un ingannevole senso di sicurezza e non possono costituire la base della pacifica convivenza fra i membri della famiglia umana, che deve invece ispirarsi ad un’etica di solidarietà”. Non dimentichiamo che pochi giorni fa il Papa parlava di armi e guerra come di “suicidio dell’umanità”.

(*) coordinatore nazionale di Pax Christi

il grido profetico di Zanotelli contro la globalizzazione della riccheza contro i poveri

l’illusione dei ricchi

 

Incredibile l’abuso che noi occidentali abbiamo fatto della Bibbia per dominare il mondo

 

Quanti Lazzaro stesi davanti alle porte delle Chiese, segnati da ferite fisiche o esistenziali, desiderosi di avere le stesse opportunità dei benestanti. Quanti ricchi che frequentano piamente il tempio e disertano gli altri luoghi in cui vive Dio, deformato e sfigurato da povero. Se fa impressione l’inarrestabile calo di presenze in chiesa non sorprendono invece le assenze sugli attuali Golgota. Infatti anche nelle crocifissioni di oggi Dio continua a rimanere terribilmente solo (o quasi). Non si può non provare pena per i ricchi. Vivono nell’illusione che il “successo” sociale di cui godono sia il segno del favore del Cielo. Purtroppo per loro Dio ha scelto la sconfitta, ciò che non luccica, la contraddizione, i rifiutati. I ricchi senza conversione conosceranno un solo momento di verità: la morte. Lì si renderanno conto che hanno rinunciato alla propria umanità e alla possibilità di infinito per contare dei sudici pezzi di carta. “Gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi”(1) è la giustizia al contrario del nostro meraviglioso Dio. Così quelli che oggi stanno fuori entreranno e quelli che credono di stare dentro usciranno o comunque aspetteranno. Così quelli piegati dalla sbarra dell’oppressione saranno sollevati, rimessi in piedi e saliranno, quelli che stanno sul piedistallo, sui pulpiti del legalismo/moralismo/rigorismo scenderanno e senza gli applausi a cui sono abituati. Così quelli calunniati, perseguitati, uccisi per i loro richiami profetici saranno ascoltati pubblicamente, quelli che hanno predicato di giorno il Vangelo e stretto accordi di notte con il potere saranno messi a tacere.

(1) Vangelo di Matteo 20,16

Vangelo di Luca 16, 19-31

C’era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell’inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento. Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi».

pubblicato da altranarrazione

fede e opzione per i poveri

papa Francesco

la fede è tangibile se si concretizza in servizio ai poveri

lo afferma in udienza alla delegazione del Consiglio Metodista mondiale
«Siamo fratelli che, dopo un lungo distacco, sono felici di ritrovarsi e di riscoprirsi a vicenda»
«La fede diventa tangibile soprattutto quando si concretizza nell’amore, in particolare nel servizio ai poveri e agli emarginati»
Lo ha detto il Papa ricevendo in udienza il Consiglio Metodista mondiale. «Quando, Cattolici e Metodisti, accompagniamo e solleviamo insieme i deboli e gli emarginati, coloro che, pur abitando le nostre società, si sentono lontani, stranieri, estranei, rispondiamo all’invito del Signore», ha sottolineato il Papa.  

Parlando del cammino tra metodisti e cattolici, il Papa ha messo in evidenza: «Il dialogo vero incoraggia continuamente a incontrarci con umiltà e sincerità, desiderosi di imparare gli uni dagli altri, senza irenismi e senza infingimenti. Siamo fratelli che, dopo un lungo distacco, sono felici di ritrovarsi e di riscoprirsi a vicenda, di camminare insieme, aprendo con generosità il cuore all’altro. Così proseguiamo, sapendo che questo cammino è benedetto dal Signore: per Lui è iniziato e a Lui è diretto».

come si spiega l’odio per i poveri?

“aporofobia”

perché odiamo così tanto i poveri

“il povero viene a rompere la comodità”

la diagnosi della filosofa Adela Cortina sul nuovo male della nostra epoca: l’odio verso i poveri

Aporofobia, l'odio verso i poveri

aporofobia

l’odio verso i poveri

“ricchi non incontrano i poveri, i ricchi non vedono e non vogliono vedere o ascoltare le storie di vita disperate, il povero è da evitare, è disdicevole, in qualche modo perfino colpevole della propria condizione”

Il tema della povertà rappresenta un problema difficile da affrontare, spesso è pure complessa la definizione di povertà. La povertà intesa non solo come povertà materiale ma anche come assenza di un progetto di vita autonomo scaturente dall’impossibilità o incapacità di utilizzare un reddito o un bene che si possiede per migliorare e assicurarsi una qualità di vita.

Il discorso sul concetto di povertà si sposta verso il significato umano dell’essere poveri riflettendo sulle trasformazioni delle forme di povertà e sulle differenze di percezione dello “stato di povertà” nel passato e nel presente. Un’analisi che conduce al riconoscimento delle vecchie e delle nuove povertà che non godono di ampia visibilità ma che dovrebbero essere continuamente menzionate con maggior attenzione, analisi e approfondimento. Le condizioni di povertà non si misurano a mio parere solo sul reddito perché come diceva il Nobel per la pace Amartya Sen: “è inutile avere un reddito se non hai la capacità, la possibilità di utilizzare un bene o denaro, per migliorare e assicurare una migliore qualità di vita”.

Essere poveri, se dobbiamo sintetizzare, significa trovarci di fronte a persone che non hanno un reddito da lavoro e una casa, dei beni materiali; ma non solo, sono povere anche quelle persone che non sono in grado, pur avendo un reddito e una casa, di servirsene o coloro che non hanno accesso ad un’istruzione sufficiente tale da permettere loro di agire con libertà e autonomia, per esempio nel mercato del lavoro. E, in più, non avere accesso a quelle condizioni di benessere psicofisico per esprimere al meglio tutte le proprie potenzialità in quanto persone.

Nel suo ultimo libro, “Aporofobia, il rifiuto del povero”, Adela Cortina (Valenzia, 1948), cita Ortega per dire quanto segue: ciò che sta capitando è che non sappiamo quello che ci capita. Cosa passa nella testa di un uomo davanti al corpo di un mendicante o di un barbone avvolto nel suo vomito nei pressi di un aeroporto? Che ci capita nella metro quando li rendiamo invisibili affinchè non ci disturbino? Cosa succede a questa donna, mettiamo il caso, cattedratica di Etica, filosofia, intellettuale, laureata e oltre, quando le si avvicina un familiare indigente che non ha un euro, e che le chiede aiuto economico?
Alcune risposte le troviamo dentro il saggio scritto da Adela Cortina sull’avversione viscerale verso coloro che vivono nell’indigenza. “Dopo la crisi – scrive l’autrice –  la gente teme che “gli altri” gli portino via le cose: l’impiego, la casa… “.
Quello che disturba è il povero. Incluso il povero della propria famiglia. Un parente povero è qualcosa da nascondere, perchè a tutti piace presumere che i parenti siano tutti ben sistemati.
Se c’è un rifiuto del povero, l’opposto è che tutti adoriamo il ricco, in qualche modo? E’ una delle frasi del libro. Curiosamente – scrive l’autrice – è di Adam Smith, che si suppone sia l’economista che ha creato il liberismo economico. Nel suo libro “La teoria dei sentimenti morali dice che la corruzione del carattere consiste nell’ammirare i ricchi e disprezzare i poveri, invece di ammirare i saggi e le buone persone e disprezzare gli stupidi. Questa è la corruzione di una società: quando una società disprezza quelli che hanno fallito nella vita, quelli che hanno avuto cattiva sorte, è patologico.

Il muro del Messico, le frontiere dell’Europa – sottolinea la filosofa – hanno a che vedere più con l’aporofobia rispetto ad altre cose. Totalmente, scrive la docente. Quali stranieri disturbano Trump? I messicani. Ma non solo a lui o a certi americani. Ma anche ad altri messicani che sono lì da tempo installati e hanno paura verso chi viene da fuori. Perchè gli altri sono poveri e vengono per complicare la vita. La salita di Le Pen è un altro esempio chiarissimo, quello che succede in Ungheria con Orban, la Brexit… Tutto quello che si fa – rimarca Cortina –  lo si fa per escludere i poveri. Il povero viene a rompere la comodità. Se sta bene e arriva un altro, bisogna muoversi. Perchè hanno bisogno di lavoro, sicurezza sociale. E gli altri arrivano con necessità ed esigenze.

I bambini e i giovani crescono vedendo come si comportano i personaggi politici, come agiscono. Cresciamo molto per imitazione, è la chiave degli essere umani: i famosi neuroni a specchio, che ci portano a imitare gli altri. Per questo è importante che la gente che sta nella vita pubblica cerchi di essere meno egoista e aporofoba possibile.
L’odio ha molto a che vedere con la paura. Credo – scrive la cattedratica – che si agisca più per paura che per altre cose. La paura è molto pericolosa, molto maneggiabile, molto corta, strumento dei totalitarismi.
La parola aporofobia proviene dai termini greci (dal greco: άπορος (á-poros), indigente, povero; e φόβος, (-fobos), paura).

Trent’anni fa, la frattura sociale tra chi non aveva i mezzi di sussistenza e chi li aveva non era così profonda; penso a chi non aveva la terra, penso alle famiglie contadine numerose, per le quali c’era almeno il riconoscimento del valore della forza lavoro, che consentiva anche a chi non aveva altri strumenti, se non le proprie braccia e testa e salute, di poter sopravvivere dignitosamente, mettendosi a servizio di chi invece aveva beni e ricchezza.
Penso anche ai nostri emigrati che nel passato riuscivano a trovare, seppur con grandi sacrifici, una collocazione, un inserimento.

I ricchi non incontrano i poveri, i ricchi non vedono e non vogliono vedere o ascoltare le storie di vita disperate, il povero è da evitare, è disdicevole, in qualche modo perfino colpevole della propria condizione. In mezzo c’è la televisione che mostra un mondo diverso da quello che è, che ti fa desiderare di ambire a consumi impossibili per i livelli di reddito medi reali, “false necessità” che determinano, per molte famiglie, una maggiore spesa a cui poi non si riesce a far fronte, cadendo improvvisamente nel tunnel del debito e della povertà. Andiamo verso una società e una larga fetta di popolazione addormentata, quasi addomesticata, dove tutto passa e vive nella speranza.

va eliminato non il povero ma la povertà

si vuole rimuovere chi «disturba»

eliminare la povertà non gli ultimi


Camillo Ripamonti
invece di colpire la povertà, sii eliminano gli ultimi, sempre più criminalizzati. Sii spara a zero, in modo indiscriminato, su chi salva vite nel Mediterraneo. E’ la cultura dello SCARTO, che genera I muri e, come vediamo dalle cronache quotidiane, tantissime manifestazioni di razzismo, violenza, intolleranza..
 

Alzi la mano chi non desidera una città in cui il trasporto pubblico sia efficiente e continuativo, una città in cui l’inquinamento non sia una presenza con cui convivere. Una città in cui un lavoro sia un diritto e non un privilegio. In cui i nidi siano una possibilità accessibile per tutte le famiglie, in cui la scuola di tutti non abbia bisogno di donazioni periodiche di carta igienica e matite colorate, in cui prenotare un’ecografia in un servizio pubblico non richieda 6 mesi di attesa, in cui chi arriva da un altro Paese non per turismo possa immaginare percorsi di integrazione e non di abbandono.

Tutto lascia intendere però che viviamo in un Paese in cui le politiche sociali non rappresentano una priorità, in cui la noncuranza, la superficialità, l’immobilismo limitano fortemente l’accesso delle persone a servizi basilari che diventano sempre più un privilegio. Oggi sembrerebbe che chi ha la responsabilità di guidare il nostro Paese abbia deciso di partire dalla sicurezza e dal decoro. E allora quello che non si riesce a ottenere attraverso politiche sociali serie che si mettano al passo di chi è più fragile e svantaggiato lo si risolve allontanandolo dalla vista (per decoro) o voltando la faccia e dicendo che il problema non esiste perché non esiste chi rimane indietro, e forse dopo tutto, per alcune categorie (senza dimora, migranti carcerati), è un po’ colpa loro se rientrano nella cultura dello scarto. Pensiamo nei giorni scorsi a Roma e Milano.

Assolutamente in linea con questo ragionamento è parso ovvio che la povertà, la cultura dello scarto, si risolve allontanando i poveri dalla nostra vista. Milano e Roma in quelle occasioni hanno mostrato il loro aspetto peggiore, quello più debole, anche se si è mostrato il lato forte, l’aspetto muscolare: quanto di più lontano c’è dalla città in cui vorremmo vivere. Quanta distanza, quanto stridore tra quello che vorremmo e quello che ci sta accadendo, o meglio, quello che la politica ci sta offrendo. Aveva ragione papa Francesco quando, nell’udienza generale del 5 giugno 2013, lanciava l’allarme: «La persona umana è in pericolo: questo è certo, la persona umana oggi è in pericolo, ecco l’urgenza dell’ecologia umana! E il pericolo è grave perché la causa del problema non è superficiale, ma profonda: non è solo una questione di economia ma di etica e di antropologia».

Abbiamo la responsabilità di eliminare la povertà e le sue cause: sbagliato e pericoloso pensare di poter eliminare dalla vista fisicamente i poveri, e nel caso dei poveri migranti eliminarli proprio fisicamente abbandonandoli nel mare (anche delle polemiche) o nel deserto. Non si può eliminare chi non ci piace, chi puzza, chi dà fastidio, frutto dell’odierna cultura dello scarto. Un povero «che muore non è una notizia, ma se si abbassano di dieci punti le Borse è una tragedia! Così le persone vengono scartate, come se fossero rifiuti». L’unico modo per ottenere la decorosa armonia di vita cui tutti ambiamo è trovare soluzioni, alternative, che accrescano ogni giorno di più la gamma dei diritti esigibili dal maggior numero possibile di persone. Occorre tornare all’idea che il godimento dei diritti civili sia sciolto da vincoli di cittadinanza intesa come una cittadinanza escludente. I diritti ineriscono l’uomo e tutto l’uomo.

A noi servono politiche e politici che si occupino dei nostri diritti, non misure di facciata che colpiscono chi è più debole. Chiediamo risposte (questa è democrazia, non solo i clic o le primarie), non accontentiamoci di sentirci dire che prima viene il decoro poi verrà il resto… perché tutto il resto è molto più urgente. La politica dimostri prima di tutto che sa adempiere alla missione che le compete: lavorare per la felicità e la dignità dei cittadini, di tutti. Eliminare gli ultimi non risolverà nessuno dei nostri problemi, Si farà spazio solo a nuovi ultimi. Oggi sono gli immigrati e i senza dimora, domani a chi toccherà?

*sacerdote, presidente Centro Astalli Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati in Italia

“chi guarda i clochard come parte del panorama è sulla cattiva strada” dice papa Francesco

papa Francesco

“non si guardano i clochard come parte del paesaggio!”

domenico agasso jr
Città del Vaticano
la provocazione a Santa Marta: sono «come una statua, la fermata del bus?». Cosa «sentiamo quando vediamo bimbi chiedere l’elemosina…? “Sono dell’etnia che ruba?”»

«cosa sentiamo nel cuore quando vediamo i bambini da soli che chiedono l’elemosina… “No, ma questi sono di quella etnia che rubano…”, vado avanti, faccio così?»

lo chiede papa Francesco nella omelia della Messa del 16 marzo 2017, a Casa Santa Marta, di cui Radio Vaticana fornisce stralci. Il Pontefice avverte:

“chi guarda i clochard come parte del panorama è sulla cattiva strada”

«I senzatetto – afferma il Pontefice – i poveri, quelli abbandonati, anche quelli senzatetto benvestiti, perché non hanno soldi per pagare l’affitto perché non hanno lavoro… cosa sento io? Questo è parte del panorama, del paesaggio di una città, come una statua, la fermata del bus, l’ufficio della posta, e anche i senzatetto sono parte della città? È normale, questo? State attenti. Stiamo attenti. Quando queste cose nel nostro cuore risuonano come normali – “ma sì, la vita è così… io mangio, bevo, ma per togliermi un po´ di senso di colpa dò un offerta e vado avanti” – la strada non va bene».

 

Francesco, richiamando il Salmo odierno, sottolinea: «Maledetto l’uomo che confida in se stesso, che confida nel suo. Niente è più infido del cuore, e difficilmente guarisce. Quando tu sai quella strada di malattia, difficilmente guarirai». Di qui il Papa rivolge una domanda: «Cosa sentiamo nel cuore quando andiamo per strada e vediamo i senzatetto, vediamo i bambini da soli che chiedono l’elemosina … “No, ma questi sono di quella etnia che rubano…”, vado avanti, faccio così?».

 

Il vescovo di Roma poi ammonisce: quando una persona «vive nel suo ambiente chiuso, respira quell’aria propria dei suoi beni, della sua soddisfazione, della vanità, di sentirsi sicuro e si fida soltanto di se stesso, perde l’orientamento, perde la bussola e non sa dove sono i limiti». Lo dice commentando il brano del Vangelo in cui il ricco «passava la vita a fare feste e non si curava del povero che stava alla porta della sua casa».

 

Rimarca il Papa: «Lui sapeva chi era quel povero: lo sapeva. Perché poi, quando parla con il padre Abramo, dice: “Ma inviami Lazzaro”: ah, sapeva anche come si chiamava! Ma non gli importava. Era un uomo peccatore? Sì. Ma dal peccato si può andare indietro: si chiede perdono e il Signore perdona. Questo, il cuore lo ha portato su una strada di morte a tal punto che non si può tornare indietro. C’è un punto, c’è un momento, c’è un limite dal quale difficilmente si torna indietro: è quando il peccato si trasforma in corruzione. E questo non era un peccatore, era un corrotto. Perché sapeva delle tante miserie, ma lui era felice lì e non gli importava niente».

 

Francesco evidenzia la necessità di accorgersi quando si è sulla strada «scivolosa dal peccato alla corruzione»: «Cosa sento, io – si chiede – quando al telegiornale» si vede che «è caduta una bomba là, su un ospedale, e sono morti tanti bambini», la «povera gente»? Si recita una preghiera e poi si continua a vivere come se niente fosse? «Entra nel mio cuore questo» o «sono come questo ricco che il dramma di questo Lazzaro, del quale avevano più pietà i cani, non entrò mai nel cuore?». Se fosse così ci si troverebbe in un «cammino dal peccato alla corruzione», puntualizza.

 

Perciò, bisogna chiedere a Dio: «“Scruta, o Signore, il mio cuore. Vedi se la mia strada è sbagliata, se io sono su quella strada scivolosa dal peccato alla corruzione, dalla quale non si può tornare indietro” – abitualmente: il peccatore, se si pente, torna indietro; il corrotto – osserva – difficilmente, perché è chiuso in se stesso». Dunque «”Scruta, Signore, il mio cuore”: che sia oggi la preghiera. “E fammi capire in quale strada sono, su quale strada sto andando”».

a Venezia si vorrebbe creare un ghetto dei poveri per nasconderli dal resto della città

Venezia vuole nascondere i poveri

“Spostiamo le mense dal centro”

di Lorenzo Padovan
in “La Stampa”

Il Chilometro della cultura da una parte, la «Cittadella della povertà» dall’altra. In mezzo, una città, Mestre, da sempre sorellastra di Venezia, che si interroga sul proprio futuro e assiste allo scontro tra il sindaco Luigi Brugnaro e il Patriarca Francesco Moraglia sulla collocazione delle mense per gli indigenti, ora a due passi dalla zona dello strùscio.

A Mestre una serie di iniziative promozionali sta faticosamente cercando di garantire nuova linfa e opportunità socio-culturali ad un centro perennemente offuscato dalla Perla della laguna. È stato il vulcanico primo cittadino Brugnaro a lanciare la provocazione: «Spostiamo le tre mense che sono ricettacolo di disperazione: dobbiamo armonizzare la presenza di queste persone, liberando quell’area, comunque centrale, da un assembramento ormai insostenibile. Non solo refettori, ma ipotizziamo anche altri servizi complementari. Insomma, una “Cittadella della povertà” che concentri le opportunità per i senza tetto e offra solidarietà, non a scapito dei residenti». Un esercito di clochard che conta su almeno 200 unità: italiani e stranieri, con contaminazioni della delinquenza comune, che nel degrado sguazza e camuffa meglio i propri affari loschi.

Nessuna indicazione sull’ubicazione del «Quartiere dei poveri», ma numerosi indizi lo collocherebbero nei pressi del nuovo ospedale dell’Angelo. Peccato che le strutture in odore di trasloco siano di proprietà della Diocesi, che ha subito intimato l’altolà al progetto: «Sono rimasto un po’ sorpreso da questa iniziativa che immagino abbia buone intenzioni – è il pensiero del Patriarca di Venezia Moraglia -. Portare tutto in un luogo deputato alla carità, quasi come se ci fossero barriere divisive all’interno della comunità civica-sociale, non è solo nascondere la verità, è creare una disparità tra una società che crede di aver eliminato la sofferenza e una realtà che, per i suoi bisogni primari, vive ai suoi margini e la vede come un mondo proibito».
C’è apertura al dialogo, ma nessun preludio ad accordi che possano anche solo minimamente portare al rischio di ghettizzazione dei senzatetto: «Una riorganizzazione delle mense ci vede favorevoli, per scongiurare difficoltà anche a chi vive nel quotidiano», ha sottolineato il presule. Ma ha aggiunto: «Nello stesso tempo, dobbiamo prendere atto che la società è un corpo che comunica tra i suoi membri. Ci sono ricchezza, povertà, bambini, nonni, adulti, sani e malati e bisogna cercare, nel rispetto, di offrire servizi migliori a tutti, rimanendo attenti all’uomo concreto, alle sue stagioni e sofferenze».

Se la Chiesa stoppa il Comune, l’idea di Brugnaro – che a Mestre ha il suo feudo elettorale – è stata accolta dai residenti come un principio rivoluzionario: «Abito in zona da 50 anni – fa sapere Luciano Niero, portavoce del Comitato di via Querini, che già dieci anni fa chiese, invano, un intervento all’allora sindaco Massimo Cacciari -, ma adesso siamo al limite. Non si può uscire di casa senza imbattersi in chi urina sulla soglia, defeca sullo zerbino, bivacca per ore avvolto in qualche straccio. Nessuno più investe nel quartiere e le attività commerciali stanno scomparendo. Le parole del Patriarca mi sorprendono perché nel nobile sentimento della carità cristiana non ci sentiamo ricompresi: tutti protesi a stare vicini agli ultimi, ci si scorda dei cittadini invisibili che vivono una sofferenza silenziosa, in un’area che di fatto non è più casa loro».

image_pdfimage_print

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.

Chiudi