Doi è nella fragilità umana

confida … nonostante tutto …

Quando stai per fare l’ultimo passo verso il baratro,

quando la disperazione sembra l’unica realtà non solo possibile ma anche immaginabile,

quando ti rendi conto che l’oppressione è imbattibile perché trova molti alleati soprattutto tra gli ipocriti,

quando comprendi che solo i vincitori hanno amici e che le relazioni sono malate di funzionalismo,

quando scopri che dentro di te abita anche il nulla e non trovi qualcosa a cui aggrapparti,

quando vedi soffrire l’innocente e festeggiare l’iniquo,

quando senti uomini esultare in uno stadio di calcio mentre accadono tragedie immani che non fanno neanche più notizia,

quando vivi in Paese molto democratico e molto cattolico in cui governano impunemente le élite e che investe in un anno 23,4 miliardi di euro per le forze armate,

quando vedi passare le Frecce Tricolori al G7 mentre i migranti devono arrivare fino a Napoli per poter sbarcare,

confida sempre nel Signore*

Non chiedermi cosa significhi e come si faccia di preciso. So però che Lui è nel baratro, nella disperazione, con gli sconfitti, nella gratuità, nel nulla, nella sofferenza, nelle tragedie, nella pace, con i migranti, e con tutti quelli che lo ospitano in questo mondo senza vita.

*Isaia 26,4

pubblicato da ‘altranarrazione’

 

le ferite che provoca il sistema economico che ha al centro il dio denaro

“l’economia che produce ferite”

le parole nette di papa Francesco

Capitalismo finanziario

Strutture di peccato

 

 La disuguaglianza sociale nel capitalismo finanziario non è un elemento accidentale o temporaneo ma strutturale. Dovendo garantire un extra-benessere a pochi non può tollerare forme di redistribuzione della c.d. ricchezza. È un sistema economico incompatibile con la democrazia: ne impedisce le dinamiche basilari. Dove c’è il capitalismo, al di là delle denominazioni, vige di fatto l’oligarchia. L’1% è in grado di soggiogare il 99% attraverso un uso smaliziato della forza e l’aiuto fondamentale degli intermedi: di coloro cioè che non appartengono all’1% ma sono pronti a tutto pur di raccogliere le briciole che cadono da quel tavolo. Allora li vedi sostenere le tesi della tecnocrazia europea, della finanza e dei globalizzatori dello sfruttamento. Li vedi tristemente al servizio dell’iniquità, attori non protagonisti di una squallida commedia. Il 99% può indignarsi, ne ha facoltà, ma con calma: nei luoghi, nei modi e nei tempi concessi dal potere. L’importante è che dopo lo sfogo  ritorni velocemente alla catena di montaggio.

testo di Papa Francesco

Le ferite che provoca il sistema economico che ha al centro il dio denaro, e che a volte agisce con la brutalità dei ladri della parabola [del samaritano], sono state criminalmente ignorate. Nella società globalizzata, esiste uno stile elegante di guardare dall’altro lato, che si pratica ricorrentemente: sotto le spoglie del politicamente corretto o le mode ideologiche, si guarda chi soffre senza toccarlo, lo si trasmette in diretta, addirittura si adotta un discorso in apparenza tollerante e pieno di eufemismi, ma non si fa nulla di sistematico per curare le ferite sociali e neppure per affrontare le strutture che lasciano tanti esseri umani per strada. Questo atteggiamento ipocrita, tanto diverso da quello del samaritano, manifesta l’assenza di una vera conversione e di un vero impegno con l’umanità. Si tratta di una truffa morale, che, prima o poi, viene alla luce, come un miraggio che si dilegua. I feriti stanno lì, sono una realtà. La disoccupazione è reale, la corruzione è reale, la crisi d’identità è reale, lo svuotamento delle democrazie è reale. La cancrena di un sistema non si può mascherare in eterno, perché prima o poi il fetore si sente e, quando non si può più negare, nasce dal potere stesso che ha generato quello stato di cose la manipolazione della paura, dell’insicurezza, della protesta, persino della giusta indignazione della gente, che trasferisce la responsabilità di tutti i mali a un “non prossimo”.

(Papa Francesco, Messaggio in occasione dell’incontro dei movimenti popolari a Modesto, California, 16-19 febbraio 2017)

pubblicato da ‘altranarrazione’ 

una teologia preoccupante e antievangelica

 

 

la teologia che sembra sostenere il pensiero di Trump

un importante esponente della teologia della prosperità, Fillmore, riscrisse il Salmo 23, inserendovi questi versi:

“il Signore è il mio banchiere/ il mio credito è buono”

Riccardo Cristiano giornalista 

Molti in questi giorni hanno sostenuto che le parole attribuite al presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sui “paesi cesso” dai quali non vorrebbe più immigrazione, siano state il solito scivolone, una gaffe insomma. In certo parzialissimo modo lo ha confermato lui stesso, rinnegando la forma-“paesi-cesso” o “paesi-merdaio” a seconda della traduzione di shithole countries che si ritenga più appropriata- ma non la sostanza. Ma la discussione a mio avviso non riguarda solo loro, perché in quelle parole, al di là della forma, c’è un messaggio autentico, sincero e profondo. E lo possiamo desumere dalla teologia alla quale Trump fa in certo qual modo riferimento. E’ la teologia della prosperità.


Una figura di assoluto rilievo nel panorama della teologia della prosperità è il pastore Norman Vincent Peale, il quale ha officiato il rito funebre dei genitori di Donald Trump. Apprezzato anche da Richard Nixon e Ronald Reagan, gli va riconosciuto di essere stato un predicatore di enorme successo. Il libro che scrisse già nel 1952, “Il potere del pensiero positivo”, ha venduto milioni di copie. E che cosa ha scritto Norman Vincent Peale in questo volume? Ha scritto che se credi in qualcosa la otterrai, che se ti dici che Dio è con te nulla ti fermerà. E anche altro ovviamente.
La teologia della prosperità oggi, sostengono studi autorevoli, convince il 17% degli americani. E buona parte di questo 17%, protestanti o cattolici che siano, vota per Trump. E se il suo attacco si radicasse  in questo pensiero Trump potrebbe comunicare a costoro: hanno creduto in qualcosa gli abitanti di paesi oggettivamente privi di prosperità?
In un paese dove Dio conta, eccome, tanto che sulla banconota americana è scritto “In Dio crediamo” avere una teologia sulla quale basarsi è importante. In un saggio al riguardo apparso su Vox e relativo a Joel Osteen, esponente di spicco della teologia della prosperità e intitolato “ Perché Joel Osteen crede che le preghiere ti possano rendere ricco” Tara Isabella Burton ha scritto che un altro importante esponente della teologia della prosperità, Fillmore, riscrisse il Salmo 23, inserendovi questi versi: “il Signore è il mio banchiere/ il mio credito è buono”.

Centrale nella visione della teologia della prosperità è l’idea di dare parte dei propri averi alla propria chiesa come forma di investimento: dimostrando la propria fede, o fiducia, il parrocchiano riceverebbe cento volte il suo investimento, visto che nel Vangelo di Marco si assicura che colui che soffrirà per Cristo otterrà una ricompensa cento volte maggiore. Al di là di quanto a noi possa apparire curioso o “strumentale”, per così dire, di tale teologia, il suo punto rilevante è che legittima un’economia basata sulla speculazione finanziaria e su guadagni forse eccessivi. Il letteralismo può condurre molto lontano, magari complice una lettura non proprio “letterale” del Salmo 23, ma è una teologia che aleggia negli ambienti più cari a Donald Trump e in cui il molto citato Steve Bannon ha elaborato la sua visione dei rapporti tra culture, e persone.
Probabilmente è anche per questo che il cardinale Cupich, arcivescovo di Chicago, in queste ore ha voluto ricordare e ringraziare Jean Baptiste Point Du Sable, fondatore della città dove lui svolge il suo ministero, immigrato da Haiti negli Usa. Per tenere la sua religione fuori da questa deriva.

Scrivere tutto questo nel giorno in cui papa Francesco officia in San Pietro la messa per rifugiati, asilanti, migranti e tanti altri mi conferma che quella frasetta “Bergoglio o barbarie”, non è una battuta, è la fotografia della realtà nella quale ci troviamo.

la povertà dei giovani – i figli stanno peggio dei genitori e i nipoti peggio dei nonni

più sei giovane, più sei povero

di Roberto Ciccarelli
in “il manifesto” del 18 novembre 2017

I figli stanno peggio dei genitori e i nipoti peggio dei nonni. Ad ogni passaggio di testimone tra le generazioni la disuguaglianza aumenta, mentre la povertà cresce al diminuire dell’età. Più sei giovane, più sei precario

Negli anni corrispondenti alle politiche dell’austerità – gli ultimi cinque – questo dato strutturale prodotto dalla crisi finanziaria è esploso, colpendo più i giovani tra i 15 e i 34 anni rispetto agli over 65. Lo sostiene il rapporto su povertà giovanile ed esclusione sociale 2017 «Futuro anteriore», presentato ieri al circolo della Stampa Estera di Roma dalla Caritas italiana.

Un giovane su dieci vive in uno stato di povertà assoluta in Italia. Nel 2007 la proporzione era completamente diversa: era solo uno su cinquanta. Nei dieci anni successivi sono diminuiti i poveri tra gli over 65 (da 4,8% a 3,9%). Tornando indietro nel tempo, rispetto al 1995 il divario di ricchezza tra giovani e anziani si è ampliato: la ricchezza media delle famiglie con capofamiglia di 18-34 anni oggi è meno della metà, mentre quella delle famiglie con capofamiglia con almeno 65 anni è aumentata di circa il 60%. Si presuppone allora che il capofamiglia ultra-sessantenne sia il padre, o comunque un parente, di quello con meno di 34 anni. Questo significa che il primo sostiene il secondo, condividendo risorse e rendite necessarie per proteggere il nucleo ostaggio dei ricatti della precarietà: dall’affitto alla rata dell’asilo, dal sostegno economico in caso di lavori intermittenti o di spese per la nascita di un figlio. È il «welfare parentale» che sostituisce quello «sociale» esploso a causa delle riforme, dei tagli e della negazione dei diritti universali. L’Italia del 2017, in poche parole.

La Caritas osserva la situazione dai «Centri di ascolto in rete». Nel 2016 sono state 205.090 le persone che hanno chiesto qui ciò che non trovano sul «mercato» e non ottengono dallo Stato: un reddito e una tutela. Il 22,7% ha meno di 34 anni. Le richieste sono maggiori a Nord (46%), dove vivono più stranieri, il 33,7% nel Centro, il 20,2% al Sud. Oltre il 43% si è rivolto ai centri per la prima volta. La crisi per loro non è finita, moltiplica silenziosamente i suoi effetti mentre ai piani alti continuano a parlare di una «crescita» che non produce né occupazione fissa, né un’oncia di redistribuzione.

Lo status familiare degli under 34 va compreso meglio. Per la Caritas prevalgono le famiglie «tradizionali» con coniugi e figli (35%), seguite da quelle «uni-personali» (25,7%), in netto aumento rispetto al 2015. Formula macchinosa, e involontariamente parodistica, che significa: persona sola, single, disaffiliato. Persona che potrebbe vivere in coppia, ma si presenta come un individuo e non rientra nel welfare statale, né nelle statistiche. È ragionevole pensare che questa condizione – di «apolide» – sia quella più ricorrente in un paese come il nostro dove non si ha il coraggio di considerare il «precario» come soggetto di diritto, preferendo identificarlo con la «famiglia». Per queste «famiglie di se stessi» non è previsto un sostegno. Nemmeno il miserabile «reddito di inclusione» che il ministro del lavoro Poletti si è affrettato a garantire dal primo dicembre. Stando ai dati della Caritas non andrà nemmeno a gran parte delle famiglie «tradizionali», salvo che non abbiano fino a cinque figli e siano povere «assolute»

come si spiega l’odio per i poveri?

“aporofobia”

perché odiamo così tanto i poveri

“il povero viene a rompere la comodità”

la diagnosi della filosofa Adela Cortina sul nuovo male della nostra epoca: l’odio verso i poveri

Aporofobia, l'odio verso i poveri

aporofobia

l’odio verso i poveri

“ricchi non incontrano i poveri, i ricchi non vedono e non vogliono vedere o ascoltare le storie di vita disperate, il povero è da evitare, è disdicevole, in qualche modo perfino colpevole della propria condizione”

Il tema della povertà rappresenta un problema difficile da affrontare, spesso è pure complessa la definizione di povertà. La povertà intesa non solo come povertà materiale ma anche come assenza di un progetto di vita autonomo scaturente dall’impossibilità o incapacità di utilizzare un reddito o un bene che si possiede per migliorare e assicurarsi una qualità di vita.

Il discorso sul concetto di povertà si sposta verso il significato umano dell’essere poveri riflettendo sulle trasformazioni delle forme di povertà e sulle differenze di percezione dello “stato di povertà” nel passato e nel presente. Un’analisi che conduce al riconoscimento delle vecchie e delle nuove povertà che non godono di ampia visibilità ma che dovrebbero essere continuamente menzionate con maggior attenzione, analisi e approfondimento. Le condizioni di povertà non si misurano a mio parere solo sul reddito perché come diceva il Nobel per la pace Amartya Sen: “è inutile avere un reddito se non hai la capacità, la possibilità di utilizzare un bene o denaro, per migliorare e assicurare una migliore qualità di vita”.

Essere poveri, se dobbiamo sintetizzare, significa trovarci di fronte a persone che non hanno un reddito da lavoro e una casa, dei beni materiali; ma non solo, sono povere anche quelle persone che non sono in grado, pur avendo un reddito e una casa, di servirsene o coloro che non hanno accesso ad un’istruzione sufficiente tale da permettere loro di agire con libertà e autonomia, per esempio nel mercato del lavoro. E, in più, non avere accesso a quelle condizioni di benessere psicofisico per esprimere al meglio tutte le proprie potenzialità in quanto persone.

Nel suo ultimo libro, “Aporofobia, il rifiuto del povero”, Adela Cortina (Valenzia, 1948), cita Ortega per dire quanto segue: ciò che sta capitando è che non sappiamo quello che ci capita. Cosa passa nella testa di un uomo davanti al corpo di un mendicante o di un barbone avvolto nel suo vomito nei pressi di un aeroporto? Che ci capita nella metro quando li rendiamo invisibili affinchè non ci disturbino? Cosa succede a questa donna, mettiamo il caso, cattedratica di Etica, filosofia, intellettuale, laureata e oltre, quando le si avvicina un familiare indigente che non ha un euro, e che le chiede aiuto economico?
Alcune risposte le troviamo dentro il saggio scritto da Adela Cortina sull’avversione viscerale verso coloro che vivono nell’indigenza. “Dopo la crisi – scrive l’autrice –  la gente teme che “gli altri” gli portino via le cose: l’impiego, la casa… “.
Quello che disturba è il povero. Incluso il povero della propria famiglia. Un parente povero è qualcosa da nascondere, perchè a tutti piace presumere che i parenti siano tutti ben sistemati.
Se c’è un rifiuto del povero, l’opposto è che tutti adoriamo il ricco, in qualche modo? E’ una delle frasi del libro. Curiosamente – scrive l’autrice – è di Adam Smith, che si suppone sia l’economista che ha creato il liberismo economico. Nel suo libro “La teoria dei sentimenti morali dice che la corruzione del carattere consiste nell’ammirare i ricchi e disprezzare i poveri, invece di ammirare i saggi e le buone persone e disprezzare gli stupidi. Questa è la corruzione di una società: quando una società disprezza quelli che hanno fallito nella vita, quelli che hanno avuto cattiva sorte, è patologico.

Il muro del Messico, le frontiere dell’Europa – sottolinea la filosofa – hanno a che vedere più con l’aporofobia rispetto ad altre cose. Totalmente, scrive la docente. Quali stranieri disturbano Trump? I messicani. Ma non solo a lui o a certi americani. Ma anche ad altri messicani che sono lì da tempo installati e hanno paura verso chi viene da fuori. Perchè gli altri sono poveri e vengono per complicare la vita. La salita di Le Pen è un altro esempio chiarissimo, quello che succede in Ungheria con Orban, la Brexit… Tutto quello che si fa – rimarca Cortina –  lo si fa per escludere i poveri. Il povero viene a rompere la comodità. Se sta bene e arriva un altro, bisogna muoversi. Perchè hanno bisogno di lavoro, sicurezza sociale. E gli altri arrivano con necessità ed esigenze.

I bambini e i giovani crescono vedendo come si comportano i personaggi politici, come agiscono. Cresciamo molto per imitazione, è la chiave degli essere umani: i famosi neuroni a specchio, che ci portano a imitare gli altri. Per questo è importante che la gente che sta nella vita pubblica cerchi di essere meno egoista e aporofoba possibile.
L’odio ha molto a che vedere con la paura. Credo – scrive la cattedratica – che si agisca più per paura che per altre cose. La paura è molto pericolosa, molto maneggiabile, molto corta, strumento dei totalitarismi.
La parola aporofobia proviene dai termini greci (dal greco: άπορος (á-poros), indigente, povero; e φόβος, (-fobos), paura).

Trent’anni fa, la frattura sociale tra chi non aveva i mezzi di sussistenza e chi li aveva non era così profonda; penso a chi non aveva la terra, penso alle famiglie contadine numerose, per le quali c’era almeno il riconoscimento del valore della forza lavoro, che consentiva anche a chi non aveva altri strumenti, se non le proprie braccia e testa e salute, di poter sopravvivere dignitosamente, mettendosi a servizio di chi invece aveva beni e ricchezza.
Penso anche ai nostri emigrati che nel passato riuscivano a trovare, seppur con grandi sacrifici, una collocazione, un inserimento.

I ricchi non incontrano i poveri, i ricchi non vedono e non vogliono vedere o ascoltare le storie di vita disperate, il povero è da evitare, è disdicevole, in qualche modo perfino colpevole della propria condizione. In mezzo c’è la televisione che mostra un mondo diverso da quello che è, che ti fa desiderare di ambire a consumi impossibili per i livelli di reddito medi reali, “false necessità” che determinano, per molte famiglie, una maggiore spesa a cui poi non si riesce a far fronte, cadendo improvvisamente nel tunnel del debito e della povertà. Andiamo verso una società e una larga fetta di popolazione addormentata, quasi addomesticata, dove tutto passa e vive nella speranza.

85 ‘paperoni’ pari a tanti milioni di persone

La ricchezza di 85 “paperoni” è pari a quella della metà più povera del pianeta

Il rapporto dell’Oxfam fotografa un pianeta dove le élite (ecco la lista) si sono arricchite sulle spalle dei poveri, evadendo il fisco e influenzando la politica. E chiede di “reprimere più severamente segretezza finanziaria ed evasione”. Il direttore dell’Fmi: “Benefici della crescita goduti da troppe poche persone”

di | 20 gennaio 2014

L’ultimo rapporto di Oxfam, Working for The Few – Political capture and economic inequality, descrive un quadro dell’ineguaglianza mondiale terrificante. La metà della popolazione più povera, circa 3,5 miliardi di persone ha un reddito annuale pari a quello degli 85 uomini più ricchi del pianeta. “L’estrema disuguaglianza tra ricchi e poveri – dice Oxfam – implica un progressivo indebolimento dei processi democratici a opera dei ceti più abbienti, che piegano la politica ai loro interessi a spese della stragrande maggioranza”.

Il dato si inserisce nel quadro più generale della ripartizione della ricchezza a livello mondiale. “Circa metà della ricchezza – continua il rapporto – è detenuta dall’1% della popolazione mondiale. E questo reddito dell’1% dei più ricchi del mondo ammonta a 110.000 miliardi di dollari, 65 volte il totale della ricchezza della metà della popolazione più povera del mondo” circa 1700 miliardi di dollari. Esattamente a quanto ammonta la somma del reddito degli 85 super ricchi – il rapporto indica la lista di Forbes che riepiloghiamo qui di seguito. La fotografia scattata dalla Ong mostra una mondo che evolve continuamente verso la diseguaglianza: sette persone su 10, infatti, vivono in Paesi dove la disuguaglianza economica è aumentata negli ultimi 30 anni. L’1% dei più ricchi ha aumentato la propria quota di reddito in 24 su 26 dei Paesi con dati analizzabili tra il 1980 e il 2012. Negli Usa, l’1% dei più ricchi ha intercettato il 95% delle risorse a disposizione dopo la crisi finanziaria del 2009, mentre il 90% della popolazione si è impoverito».

L’aumento della concentrazione della ricchezza è strettamente legata all’illegalità: “Ovunque, gli individui più ricchi e le aziende nascondono migliaia di miliardi di dollari al fisco in una rete di paradisi fiscali in tutto il mondo”. Una ricchezza stimata in 21mila miliardi di dollari. “Negli Stati Uniti, anni e anni di deregolamentazione finanziaria sono strettamente correlati all’aumento del reddito dell’1% della popolazione più ricca del mondo che ora è ai livelli più alti dalla vigilia della Grande Depressione”. Ma anche nei paesi emergenti la situazione è analoga: “In India, il numero di miliardari è aumentato di dieci volte negli ultimi dieci anni a seguito di un sistema fiscale altamente regressivo”.

Dal rapporto si ricava che già dalla fine degli anni 70 la tassazione per i più ricchi è diminuita in 29 paesi sui 30: “In molti Paesi, i ricchi non solo guadagnano di più, ma pagano anche meno tasse”. Winnie Byanyima, direttrice di Oxfam International, spiega che “il rapporto dimostra, con esempi e dati provenienti da molti Paesi, che viviamo in un mondo nel quale le éliteche detengono il potere economico hanno ampie opportunità di influenzare i processi politici, rinforzando così un sistema nel quale la ricchezza e il potere sono sempre più concentrati nelle mani di pochi, mentre il resto dei cittadini del mondo si spartisce le briciole”. 

Ecco la lista degli 85 più ricchi del pianeta stilata da Forbes:
       NOME                      REDDITO (mld di dollari)    ETA’   SETTORE           PAESE  
1  

Carlos Slim Helu & family

$73 B 73 Telecom Mexico
2  

Bill Gates

$67 B 58 Microsoft United States
3  

Amancio Ortega

$57 B 77 Zara Spain
4  

Warren Buffett

$53.5 B 83 Berkshire Hathaway United States
5  

Larry Ellison

$43 B 69 Oracle United States
6  

Charles Koch

$34 B 78 diversified United States
6  

David Koch

$34 B 73 diversified United States
8  

Li Ka-shing

$31 B 85 diversified Hong Kong
9  

Liliane Bettencourt & family

$30 B 91 L’Oreal France
10  

Bernard Arnault & family

$29 B 64 LVMH France
 Citizenship
11  

Christy Walton & family

$28.2 B 59 Wal-Mart United States
12  

Stefan Persson

$28 B 66 H&M Sweden
13  

Michael Bloomberg

$27 B 71 Bloomberg LP United States
14  

Jim Walton

$26.7 B 66 Wal-Mart United States
15  

Sheldon Adelson

$26.5 B 80 casinos United States
16  

Alice Walton

$26.3 B 64 Wal-Mart United States
17  

S. Robson Walton

$26.1 B 70 Wal-Mart United States
18  

Karl Albrecht

$26 B 93 Aldi Germany
19  

Jeff Bezos

$25.2 B 50 Amazon.com United States
20  

Larry Page

$23 B 40 Google United States
21  

Sergey Brin

$22.8 B 40 Google United States
22  

Mukesh Ambani

$21.5 B 56 petrochemicals, oil & gas India
23  

Michele Ferrero & family

$20.4 B 88 chocolates Italy
24  

Lee Shau Kee

$20.3 B 85 diversified Hong Kong
24  

David Thomson & family

$20.3 B 56 media Canada
26  

Prince Alwaleed Bin Talal Alsaud

$20 B 58 investments Saudi Arabia
26  

Carl Icahn

$20 B 77 leveraged buyouts United States
26  

Thomas & Raymond Kwok & family

$20 B real estate Hong Kong
29  

Dieter Schwarz

$19.5 B 74 retail Germany
30  

George Soros

$19.2 B 83 hedge funds United States
31  

Theo Albrecht, Jr. & family

$18.9 B 63 Aldi, Trader Joe’s Germany
32  

Alberto Bailleres Gonzalez & family

$18.2 B 82 mining Mexico
33  

Jorge Paulo Lemann

$17.8 B 74 beer Brazil
34  

Alisher Usmanov

$17.6 B 60 steel, telecom, investments Russia
35  

Iris Fontbona & family

$17.4 B 71 mining Chile
36  

Forrest Mars, Jr.

$17 B 82 candy United States
36  

Jacqueline Mars

$17 B 74 candy United States
36  

John Mars

$17 B 77 candy United States
36  

Georgina Rinehart

$17 B 59 mining Australia
40  

German Larrea Mota Velasco & family

$16.7 B 60 mining Mexico
Rank Name Net Worth Age Source Country of Citizenship
41  

Mikhail Fridman

$16.5 B 49 oil, banking, telecom Russia
41  

Lakshmi Mittal

$16.5 B 63 steel India
43  

Aliko Dangote

$16.1 B 56 cement, sugar, flour Nigeria
44  

Len Blavatnik

$16 B 56 diversified United States
44  

Cheng Yu-tung

$16 B 88 diversified Hong Kong
46  

Joseph Safra

$15.9 B 75 banking Brazil
47  

Rinat Akhmetov

$15.4 B 47 steel, coal Ukraine
47  

Leonid Mikhelson

$15.4 B 58 gas, chemicals Russia
49  

Leonardo Del Vecchio

$15.3 B 78 eyeglasses Italy
49  

Michael Dell

$15.3 B 48 Dell United States
51  

Steve Ballmer

$15.2 B 57 Microsoft United States
52  

Viktor Vekselberg

$15.1 B 56 oil, metals Russia
53  

Paul Allen

$15 B 60 Microsoft, investments United States
53  

Francois Pinault & family

$15 B 77 retail France
55  

Vagit Alekperov

$14.8 B 63 Lukoil Russia
56  

Phil Knight

$14.4 B 75 Nike United States
56  

Andrey Melnichenko

$14.4 B 41 coal, fertilizers Russia
58  

Dhanin Chearavanont & family

$14.3 B 74 food Thailand
58  

Susanne Klatten

$14.3 B 51 BMW, pharmaceuticals Germany
58  

Vladimir Potanin

$14.3 B 53 metals Russia
61  

Michael Otto & family

$14.2 B 70 retail, real estate Germany
62  

Vladimir Lisin

$14.1 B 57 steel, transport Russia
62  

Gennady Timchenko

$14.1 B 61 oil & gas Russia
64  

Luis Carlos Sarmiento

$13.9 B 80 banking Colombia
65  

Mohammed Al Amoudi

$13.5 B 69 oil, diversified Saudi Arabia
66  

Tadashi Yanai & family

$13.3 B 64 retail Japan
66  

Mark Zuckerberg

$13.3 B 29 Facebook United States
68  

Henry Sy & family

$13.2 B 89 diversified Philippines
69  

Donald Bren

$13 B 81 real estate United States
69  

Serge Dassault & family

$13 B 88 aviation France
69  

Lee Kun-Hee

$13 B 72 Samsung South Korea
69  

Mikhail Prokhorov

$13 B 48 investments Russia
73  

Alexey Mordashov

$12.8 B 48 steel, investments Russia
74  

Antonio Ermirio de Moraes & family

$12.7 B 85 diversified Brazil
74  

Abigail Johnson

$12.7 B 52 money management United States
76  

Ray Dalio

$12.5 B 64 hedge funds United States
76  

Robert Kuok

$12.5 B 90 diversified Malaysia
78  

Miuccia Prada

$12.4 B 64 Prada Italy
79  

Ronald Perelman

$12.2 B 71 leveraged buyouts United States
80  

Anne Cox Chambers

$12 B 94 media United States
81  

Stefan Quandt

$11.9 B 47 BMW Germany
82  

Ananda Krishnan

$11.7 B 75 telecoms Malaysia
82  

Alejandro Santo Domingo Davila

$11.7 B 36 beer Colombia
82  

James Simons

$11.7 B 75 hedge funds United States
82  

Charoen Sirivadhanabhakdi

$11.7 B 69 drinks Thailand
86  

Zong Qinghou

brutto essere povero!

romni

nei confronti dei rom la povertà è una colpa, e neanche piccola: merita spesso una punizione proporzionata, anche la sottrazione dei figli

talvolta la storia fiinisce bene, quando per esempio spunta il buon cuore di qualche privato benestante, altrimenti! è questo il caso di un nucleo familiare di sei persone rom fuggite un anno fa dalla Romania documentata dal free lance Marco Reis e raccontata, qui sotto, da Remo Bassini de ‘il Fatto quotidiano’:

Così vivono le bambine rom, senza acqua e luce

di Remo Bassini
in “il Fatto Quotidiano” del 18 dicembre 2013

Tre bimbe rom, di 6, 8, 11 anni. È la sera di venerdì 30. Ed è tutto documentato da un video. Si
vedono i piumini colorati delle bimbe, e i volti dispiaciuti di giornalisti e vigili urbani di Vercelli.
Cercano di rassicurarle. “Questa notte dormirete al caldo, con la mamma. Salite in macchina,
venite, le previsioni dicono che nevicherà”. Non si muovono, loro. Le piccole mani artigliano il
giubbotto del papà, vogliono che resti con loro. Non si può.
Le porta a scuola tutte le mattine, in bicicletta. Lui magari ha le scarpe rotte, ma le bimbe sono
pulite, vestite bene, e hanno sempre un tramezzino, una mela” dicono le mamme e le maestre delle
piccole. È stato un giornalista free lance, Marco Reis, a scoprire che all’interno di un vecchio
casermone cadente, vivono tredici nuclei familiari di cui nulla si sa. O forse si sa, fingendo di non
vedere: in fondo è gente invisibile , quella che sta dentro. Tra questi nuclei c’è una famiglia di sei
persone. Sei rom, fuggiti, un anno fa, dalla Romania. Le tre bimbe, la madre Helena di 28 anni, il
padre Stephan, 32, la nonna della mamma, 72 anni, un bastone e una busta con le medicine per il
cuore sempre dietro. Non hanno trovato né casa né lavoro. Forse in Italia, lo hanno scoperto sulla
loro pelle, si sta come in Romania. Per mangiare o prendono dai cassonetti gli avanzi dei
supermercati, oppure chiedono l’elemosina. Per l’abitazione, trovano il grande casermone in un
rione periferico. Ci sono altri disperati, lì. Il padre, costruisce una baracca. Si sistemano, anche se
mancano acqua e luce, finché non arriva il freddo. Per lavarsi usano dei grandi recipienti. A
settembre provano a mandare le figlie a scuola: vengono accettate. Non potranno mangiare in
mensa con gli altri perché non hanno l’euro a pasto previsto, ma almeno possono imparare
l’italiano, integrarsi. Per illuminare i loro quaderni quando è buio, si usano le candele. Come i
poveri di una volta. Sta di fatto, però, che vivono in un tugurio. Il free lance Marco Reis entra nella
baracca, filma tutto e si stupisce, perché ogni cosa è a suo posto: l’angolo per il cibo, l’angolo della
nonna, quello delle bimbe con un paio di bamboline e delle lattine vuote, di coca, che d’estate
servivano da recipienti per i fiorellini. Ma non c’è il bagno, e per scaldarsi c’è solo una stufa
rudimentale, a legna. E di notte, raccontano le bambine, a volte arrivano i topi. C’è dell’altro però.
Il padre infatti deve sempre vigilare. Qualche vicino ubriaco la sera potrebbe avere intenzioni non
belle. Un anno fa, alcune baracche sono state incendiate, non si sa da chi. Delle bambine non
possono vivere in una situazione così precaria. E così intervengono vigili, assistenti sociali e
giornalisti. E viene trovata una soluzione: tre giorni in una struttura, si chiama Piccola Opera
Charitas, che ospita anziani e donne con problemi. Le tre bimbe non vorrebbero, meglio il gelo e i
topi che staccarsi dal padre. La popolazione si mobilita affinché il nucleo familiare non venga
diviso e così lunedì 2 dicembre viene trovata una seconda soluzione: i Salesiani sono disposti a
ospitare l’intero nucleo familiare. Alle bimbe brillano gli occhi, sono felici. Arriva però la doccia
fredda: non si può. Non si può perché la famiglia risulta in carico ai Servizi sociali del Comune e
quindi non c’è tempo perché la burocrazia, si sa, ha ritmi lenti. Non solo. Il caso è stato segnalato al
Tribunale dei Minori, a Torino. Gli amici italiani e rom della famiglia si preoccupano, temono il
peggio. “Non è che le bimbe verranno tolte a una famiglia colpevole d’essere povera ma che, a
queste bimbe, ha sempre badato nel migliore dei modi?”. “Sarebbe folle, e non può accadere, questa
è gente povera che ci ha insegnato qualcosa” dice il consigliere comunale Mariapia Massa, già
assessore all’assistenza. La voce di una possibile separazione è nata (lunedì e martedì) dal fatto che,
per alcune ore, alla mamma e alle bimbe non sono stati (lentezze burocratiche) restituiti i
documenti. Immediata, l’ipotesi di un comitato a sostegno della famiglia.
NESSUN RIGURGITO razzista, in città, anzi. “Se non si trovano soluzioni, ospito io tutta la
famiglia”, dice un imprenditore. Alla fine i documenti sono tornati nelle mani dei legittimi
proprietari. Che per un mese potranno vivere in tre stanze messe a disposizione dai Salesiani. E poi si vedrà.

“Se ci dividono, ci ammazzano” ha detto la mamma. Sembra una pellerossa, parla poco e
parla male l’italiano. Ma è stata chiara.

povertà a LUCCA

 

La povertà è un’emergenza: 1.500 famiglie ai centri Caritas

Il rapporto annuale dell’organismo diocesano fotografa una situazione drammatica

Il vescovo Castellani

Il vescovo Castellani

Lucca, 22 novembre 2013 

Un dato su tutti: nell’ultimo anno ai Centri ascolto «Caritas» della Lucchesia hanno chiesto aiuto ben 1.500 persone, un terzo un più rispetto all’anno precedente. Ognuno portavoce delle istanze di una famiglia con almeno un figlio: lo specchio statistico riflette dunque un popolo di almeno 4.500 persone che nella nostra provincia sono in cerca di un sostegno e, nel 70 per cento dei casi, anche di un lavoro. L’emergenza non arretra di un passo, secondo quanto rivela l’ultimo report sulla povertà della Caritas, significativamente intitolato «Forti nella speranza». Ormai non si tratta solo più di immigrati in cerca di «primo approdo». Quasi un caso su due parla italiano, e tra gli italiani uno su quattro si trova in una situazione di frattura familiare, diviso dal coniuge.
Padri separati che si rifugiano in alloggi di fortuna e, dall’altra parte di un fossato che si divarica, madri che non ricevono l’assegno di mantenimento e non sanno come mettere in tavola la cena per sè e e per i figli. La crisi avanza e non ne fa mistero il vescovo Italo Castellani che ha dovuto ritagliare uno spazio apposito da dedicare all’ascolto nel centro Caritas.  «Fino a qualche tempo fa il venerdì la mia porta era sempre aperta per chi aveva dei problemi su cui confrontarsi — ha dichiarato monsignor Castellani —. Oggi, purtroppo, il fronte dell’emergenza si è notevolmente allargato e ogni 15 giorni ho creato uno spazio al centro Caritas dedicato a chi cerca risposte. E’ in atto una forte crisi non solo dal punto di vista economico, ma anche dei valori, morali, spirituali e culturali. E c’è un altro campanello d’allarme che suona fortissimo: l’aumento della rassegnazione e, di conseguenza, del numero degli inoccupati, coloro che hanno rinunciato a trovare un lavoro». La classe media è nel vortice di una crisi che non molla, e i bisogni che rappresenta sono quelli essenziali: il cibo e l’abitare.
«La povertà ha un nuovo identikit — ha spiegato Donatella Turri, direttrice della Caritas Lucca —. Attraversa tutta la società, bussa a casa di chi fino all’altro giorno ha avuto un buon tenore di vita e di colpo dalla vita ha ricevuto un fendente violento e improvviso che l’ha gettato nel baratro. E i parenti aiutano, ma le risorse non sono infinite». La povertà colpisce soprattutto sotto i 34 anni, e il dato rivela tutta la difficoltà di entrare nel mondo del lavoro, anche da laureati. In seconda battuta chi ha sotto i 44 anni, mentre è leggermente più clemente nella fascia intermedia, per poi tornare a colpire duro nella zona degli ultra 65enni. Gli stranieri in cerca di aiuto sono soprattutto marocchini, poi romeni, originari dello Sri Lanka, albanesi, ucraini e, in ultimo, tunisini.
«Di solito — afferma la dottoressa Elisa Matutini che ha collaborato alla stesura del resoconto — la richiesta va nella direzione di una ricerca di autonomia. Prima ancora che sussidi economici e viveri, cercano un lavoro full time. E, purtroppo, una volta che si sono affacciati ai nostri centri di ascolto, in un caso su due ritornano perché il problema negli anni non si è risolto». I numeri lo confermano. I 20 centri di ascolto della Caritas nel 2000 accoglievano 109 persone; nel 2005 sono saliti 827, nel 2012 quasi il doppio, 1.500. La fame di lavoro non trova appagamento: in provincia oggi sono quasi 20mila le persone in cerca di occupazione di cui 3.400 stranieri. E poi l’emergenza sfratti: nel 2012 sono stati ben 377 nella nostra provincia, più di uno al giorno. Peggio del 2011 (358), molto peggio dell’anno in cui è iniziata la crisi, il 2008 (218). Le famiglie non riescono a far fronte a bollette, affitti, spese vive necessarie. E i provvedimenti di sgombero coatto delle abitazioni si moltiplicano

un viaggio tra i nuovi poveri

Povertà in Italia

C. Verdelli ne ‘la Repubblica’ odierna, in “l’ultimo viaggio della povertà” si impegna in un viaggio tra i nuovi poveri:

Con la cravatta alla Caritas

Imprenditori travolti dal crac, impiegati rimasti senza lavoro per la crisi: viaggio tra i nuovi poveri che affollano mense e dormitori.

 

Rotolato grande e grosso com’era dal posto fisso alla strada, va in giro in scarpe da tennis, come il “barbun” di Jannacci. Come tanti e tante italiane che la crisi sta sbalzando fuori in massa dal treno della vita normale.

Rotolato grande e grosso com’era dal posto fisso alla strada, ci ha lasciato 30 chili, la dignità e anche il portafoglio, rubato una notte nella stazione centrale di Milano, binario laterale. Dentro ci teneva la foto del figlio. «È uguale a me, sputato, peccato non poterglielo far vedere». In compenso, ha conservato il biglietto da visita: Davide Prestifilippo, agente di commercio, salumi e formaggi (in piccolo, anche il numero di partita Iva e cellulare). Va in giro in scarpe da tennis, come il “barbun” di Jannacci cinquant’anni prima (“barbun” da barba lunga, ultimo gradino del vivere civile). Scarp de tennis come tanti e tante italiane che la crisi sta sbalzando fuori in massa dal treno della vita normale. La porta del vagone di Davide si è spalancata di schianto il 26 settembre 2011, ore 7.30, via sms: la ditta per cui andava in giro a vendere mozzarelle per la pizza gli annunciava la chiusura. Da allora, infiniti tentativi di risalire, zero risultati. Perito industriale, 44 anni, dopo essere finito nel tritacarne Parmalat («Sono anch’io una vittima di Tanzi») e incappato nel fallimento di un paio di cooperative, Davide ha lasciato Vercelli per Milano, fuori di casa, niente più famiglia, uno scivolo rapido e stordente in fondo al quale c’è il marciapiede. «Non vado nei dormitori perché ho vergogna, non chiedo l’elemosina per lo stesso motivo. Da un po’ frequento una mensa dei frati, ho accettato di farmi fare il tesserino. Si passa uno a uno dai tornelli, sembrano quelli dello stadio. Sa che ero a Madrid a vedere l’Inter del triplete? E adesso qui a sgrinare, a sbattersi per trovare due lire, scusi, cinque euro, e un lavoro, sì, ciao».

«L’altro giorno, al tavolo con me, c’era un tizio distinto, pettinato. Giacca e cravatta. A un certo punto, prende l’Iphone 4 dalla tasca e se lo mette accanto al piatto. Allora gli ho detto: amico, non so cosa ti è capitato per essere qui, ma l’Iphone 4 mettilo via. È uno schiaffopernoieunrischioperte». Povera Italia che improvvisamente si scopre povera. Ai 4,8 milioni dipersonechesecondol’Istat non ce la fanno più (8 per cento della popolazione, il doppio rispetto a 5 anni fa), vanno aggiunti altri 9 milioni e mezzo che tirano a campare con meno di 506 euro al mese. Il totale fa spavento, 14 milioni e rotti. E lo spavento cresce con i 6 milioni di analfabeti e un tasso di abbandono scolastico tra i più alti dell’Unione europea. Come mai una simile bomba atomicasocialenonoccupailcentro del dibattito politico? Dice da tempo, inascoltato, Luigi Ciotti, preteeprofetadegliultimi,un’esistenza spesa a riscattarli, rincuorarli: «Dobbiamo rendere illegale la povertà». Basterebbe anche cominciare a riconoscerla, guardarla in faccia. Guardare oltre lo spread, indicatore nobile ma parziale. Guardare dietro la classifica, pubblicata proprio da Repubblica, che da quinta potenza industriale del mondo (anni Ottanta) ci ha visti scivolare al nono posto, e molto presto ancora più giù, fuori dai primi dieci, anche dodici. Milano, la città col più alto reddito d’Italia,èunbuonpuntodiosservazione per misurare la nostra febbre da miseria. Al Centro Aiuto di via Ferrante Aporti, la prima boa per chi sta per affondare, bussano ormai in 13mila, 3mila in più di due anni fa. Il 30 per cento sono italiani, spiega Silvia Fiore che lo coordina. E la curva è destinata a crescere. L’invernorenderàancorapeggiori le cose, e la vita di gente come il signor Davide, ex agente per salumi e formaggi, uno dei 13mila. La povertà si misura (anche) in metri. E si sta allungando. Due file mute e ordinate compaiono ogni mattino, domenica esclusa, di fronte e alle spalle del centro di Milano. Una sta in via Concordia, ma chi la frequenta dice “Piazza Tricolore” perché è la fermata annunciata dalla voce registrata dei tram 9 e 23 che passano di lì: piazza san Babila è a due passi. L’altra, via Canova, è la porta d’ingresso opposta, appena dietro Cadorna e il Castello. Il cuore ricco e famoso di Milano ha le arterie che si stanno vistosamente ingrossando di miseria: 6mila pasti al giorno nelle mense con la fila. E si concentrano non a caso qui i figli inattesi della grande depressione, come sulla poppadelTitanicdopol’iceberg:il tentativo estremo di salvarsi, di ritrovare unostipendio,unalloggio, la speranza. Persone dai 30 ai 60 anni in attesa di un pasto caldo gratis, una doccia, una camicia da lavare, un sacco a pelo o una coperta per dormire. La maggior parte sono stranieri, ma gli italiani stanno scalando in fretta posizioni. In pochi mesi, in molti dei centri comunali o cattolici che offrono aiuto, sono già diventati la seconda comunità dopo i rumeni e prima dei marocchini. Sono poveri del terzo tipo: non hanno il barbone, anzi sono puliti e quasi sempre ben rasati, non mendicano, preferiscono sistemazioni di fortuna ai dormitori perché ancora non ci vogliono credere di essere arrivati a quel punto, perché non era previsto né prevedibile. Accanto a loro, vagano perlacittà,incercadiunrifugio, cibo o alcol, i poveri del primo e secondo tipo, cioè gli emarginati che si sono definitivamente arresi alla strada e le migliaia di nuovi migranti, molti dei quali ormai vivono l’Italia come una stazione di passaggio verso altri Paesi. Dei 150 siriani ospitati dal Comune in via Aldini, nessuno pensa di restare qui: per tutti, il sogno sono Germania o Svezia. Proprio accanto a via Aldini, periferia nord ovest, quartiere Quarto Oggiaro, c’è uno dei nuovi dormitori della Milano invisibile, quello di via Mambretti, nato due anni fa sulla scorta dell’emergenza recessione. È l’unico gratuito, gestitodallacooperativaArca(l’altro grande dormitorio pubblico, quello storico di via Ortles, arriva a 600 presenze ma costa un euro e mezzo per dormire e lo stesso per la cena: tutto esaurito, comunque, con un 40 per cento di italiani, moltissimi dei quali esodati di fresco nel vecchio casermone dallo tsunami della crisi). In via Mam-bretti, dove prima c’era una scuola, i posti sono 170, i letti (da 8 a 20 per stanza) hanno sostituito i banchi, valigie e borsoni gli zaini degli studenti. Al primo piano le donne, in qualche caso con bimbi piccoli, al secondo gli uomini. Si sta il tempo di dormire, dalle 19 (cena compresa) alle 8 (prima colazione). Il resto del giorno, aria. Tra gli inquilini, regole comprensibilmente severe: due assenze ingiustificate e si perde il posto, niente risse, niente urla. Un riparo dignitoso. Che però a Carau Antonio, camionista fino al fatidico 2011, sta diventando insopportabile. «Ho la patente C, 40 anni di esperienza, l’ultima nel trasporto di carta igienica ai supermercati. Licenziato, sbam, e nessuno che mi riprende perché a 60 anni, dicono, sono vecchio.Duranteilgiornogiro,come tutti noi fregati dal Duemila, spesso vado alla libreria Sormani dove danno dei film, faccio le code alle mense, mi ammazzo di colloqui per un lavoro. Ma il vero tormento è la notte. Dormo tra due marocchini. Ruttano, scoreggiano, non hanno rispetto, si lavano i piedi dove io devo lavarmi la faccia. Fortuna che ho un amico imbianchino. Gli ho chiesto di lasciarmi lasuamacchinaperlanotte. Farà più freddo ma almeno non sentirò la puzza dei cameroni». Anche Dario Colucci è un inquilino di Mambretti, anche lui ha conosciuto il salto in basso repentino, da rompersi le ossa. Odontotecnico diplomato, 30 anni da artigiano di dentiere e ponti fino alla specializzazione in modellazioni tridimensionali, ha perso tutto in un colpo, come al casinò: lavoro, casa, famiglia, tre figli. «I clienti non pagavano, il laboratorio è soffocato, ci hanno uccisi di tasse. Avevo il mutuo della casa da pagare, ho consegnato le chiavi alla banca e mi sono trasferito nella mia Ford Fiesta». Licenziato, poi sfrattato: un classico. A Milano e provincia“saltano”18milaappartamenti l’anno per morosità (va peggio solo a Roma). Nel 2007 c’era uno sfratto ogni 841 appartamenti, adesso uno ogni 358. E dopo la Fiesta, signor Dario? «Non resistevo più, ghiacciava anche dentro. Mi sono trovato un localino segreto all’ospedale di Niguarda, vicino alla sala prelievi. In cambio di non venir denunciato, aiutavo gratis quello che caricava le macchinette di bibite e merende alle 5 di mattina. Anche quando sono venuto in Mambretti, ho dato una mano. Pitturare i muri, pulizie. Adesso quelli dell’Arca mi hannoaffidatol’incaricodioperatore notturno. Lo dico sottovoce ma sto ritrovando fiducia». Quella fiducia che perdi per strada e che, se qualcuno non ti aiuta prima che sia dissolta l’ultima traccia di resistenza, non ritrovi mai più. La fortuna di Milano è che, di gentecheaiuta,cen’èparecchia.Il centro dell’Opera di San Francesco di via Concordia è un prodigio di carità organizzata, con 700 volontari di cui 200 medici. Lo coordina, non a caso, un ingegnere civile, padre Maurizio: 2.700 pasti al giorno (niente dolce, che però offrono i carmelitani scalzi di via Canova), 25mila docce in un anno, di cui 1.328 per le donne, 8.421 cambi di vestiti, 10.219 barbe, 37mila visite mediche nell’ambulatorio, 63mila farmaci prescritti e regalati. Tutti numeri, va da sé, in crescicetto ta, con i nuovi italiani in fuorigioco a ingrossare le fila. Ci trovi di tutto, tra questi italiani maltrattati dalla recessione e trascurati dalle istituzioni romane. Per esempio, una signora sulla cinquantina, golfino verde, capelli lunghi biondi e occhi azzurri, che mangia da sola, molto composta, mentre il figlio trentenne fa lo stesso in tavolo riservato ai maschi. Vengono dal Piemonte, avevano una ditta di import-export finita in tribunale. Storia complicata, lei ha le lacrime trattenute, sembra cedere al pianto, poi s’accende: «Sono cresciuta nel mito di Almirante. Ora più che mai il mio motto è boia chi molla». Il figlio sembra più mesto ma ugualmente elegante. Mentre se ne vanno dopo il pranzo delle11sottolapioggiaeunombrello grande per due, lui si volta con un sorriso e dice: «Da imprenditore a questo posto qua. Bella carriera, non trova?». Già, la pioggia. E presto anche il gelo. Il Comune ha appena avviato il “piano freddo” per i senza dimora: da novembre a fine marzo, 3.672 interventi nel 2012, molti di più nel 2013. Verrà a costare più di un milione di euro, a cui vanno aggiunti i soldi per il fondo anti crisi, quelli per il sostegno al reddito (domande aumentate del 300 per cento). In tutto, 25 milioni di euro, e solo per Milano. Allapresentazionedellaleggedi Stabilità, l’ineffabile ministro per le Politiche agricole, alimentari e forestali, Nunzia De Girolamo, ha comunicato al Paese: «Sono molto soddisfatta di poter dire che il governo ha destinato 5 milioni di euro agli indigenti». Cinque. Molto soddisfatta. Pierfrancesco Majorino è l’assessore per le Politiche sociali di Milano, e non l’ha presa bene. «Che vergogna. Miliardi di euro ci vorrebbero. Tutto il peso della miseria delle persone ricade sulle nostre spalle di amministratori locali e sulla disperata voglia di fare qualcosa dei volontari, della Curia. Ma manca lo Stato, mancano misure nazionali di sostegno al reddito. Ci sono ovunque, tranne che in Grecia e da noi. Vorrei veder cadere un governo su una tragedia come questa della povertà, e invece se ne fa un tema di compassione». Caterina Disi ha 48 anni, dei lunghi capelli neri senza neanche uno bianco e non cerca compassione. Nata in Sardegna, diploma di educatrice professionale alla Sapienza di Roma, un curriculum di dieci pagine, ultimo lavoro riconosciuto alla Asl di Ravenna che però la licenzia, da due anni e mezzo è in giro con le sue valigie. Single, dorme in un convento di suore, aspetta gli esiti della causa che ha intentato alla Asl («Mi daranno dei soldi ma non mi ridaranno il posto»), non va alle mense per la vergogna («Mangio biscotti, piuttosto »), entra ed esce dagli uffici di collocamento come dalle librerie, senza mai niente in mano. «Ma la fede non mi fa perdere la speranza. Avrei potuto schiantarmi nella depressione, invece non ho mai preso un farmaco. Il mio unico sonnifero è il rosario. Ma non ac- tutto, non accetto più. Ho studiato tanto, lavorato tanto, non ho commesso reati e mi ritrovo nella povertà assoluta. Pretendo rispetto dal mio Paese. Pretendo autonomia e ruolo sociale. Voglio giustizia, perché la merito».

Da La Repubblica del 30/10/2013.

la povertà non può mai essere una colpa!

povertà

non sappiamo più metterci nei panni di chi soffre la povertà ed è costretto ad emigrare per le più gravi varie situazioni: oggi che non abbiamo più bisogno di emigrare, guardiamo alla povertà degli emigranti con paura considerandola come colpa
una bella riflessione in questo senso da parte di M. Serra ne:
L’AMACA del 4 ottobre 2013 (Michele Serra)

Un flusso ininterrotto di persone povere verso i paesi ricchi, questa è sempre stata l’immigrazione. Se perfino dopo giornate come quella di ieri molti ne parlano con paura, ira, astio, è anche perché è cambiato fino a snaturarsi, negli anni, il concetto stesso di povertà. Per secoli la povertà è stata una piaga dalla quale guarire, una condanna alla quale ribellarsi. Oggi, nella società del benessere obbligatorio, è diventata una colpa. I poveri, per il nostro sguardo reso grasso e opaco dalla cessazione della fame, sono colpevoli di povertà. Non è solamente lo spirito del capitalismo ad avere generato questa colossale e molto funzionale mistificazione. È una scorciatoia morale, una comodità psicologica che ci rassicura tutti – mica solo quelli di destra, o i razzisti che ghignano, o i leghisti che latrano – perché se la povertà è un demerito (e non una condizione ingiusta, subita per debolezza e sovente inflitta con la prepotenza) allora i poveri fanno meno pena, e in quei barconi alla deriva, in quegli annegati, oltre a non riconoscere i nostri avi gracili e spaesati come eritrei che fuggivano dall’Italia, neppure riconosciamo la ribellione di nostri simili a una vita grama e infame, dalla quale fuggono esattamente come faremo noi se fossimo al loro posto.

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