quando il linguaggio tradisce le discriminazioni che neghiamo

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quando mettiamo le mani avanti iniziando il discorso dicendo: “non sono razzista, però … ” , “io non discrimino i rom, i gay, i neri, però … “, stiamo già dicendo molto in proposito, stiamo già tradendo lo sguardo razzista sulla realtà che a parole intendiamo negare a  chi ci ascolta e, prima ancora, a noi stessi

mi piace riportare un trafiletto di M. Valcarenghi apparso su ‘il Fattoquotidiano’ che argutamente evidenzia questa velata, ma neanche tanto, forma di razzismo o discriminazione che assume talvolta anche le forme più gentili ed eleganti (“io tra i rom o tra i gay ho tanti amici, quindi … “):

Né omo né etero: persone

di Marina Valcarenghi

in “il Fatto Quotidiano” del 16 giugno 2014

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“Un mio compagno di università gay suona divinamente il clarinetto”. “Perché mi dice che è omosessuale?” “Beh … così per dire – poi il mio paziente proseguì sospettoso – perché mi fa questa domanda?” “Perché non credo che direbbe: “Un mio compagno di università etero suona … eccetera. Perché questa marcatura della differenza?” ”Non sono omofobo” “Non ho detto questo, ho detto che ha segnalato una diversità di orientamento sessuale in una frase che non la richiedeva. Come se io dicessi: “Una mia amica lesbica cucina il cus cus”. “Ma lo fanno tutti!”, protestò il mio paziente. “È vero, credo infatti che in molti casi – come nel suo – si tratti di un automatismo indotto dall’imitazione, o addirittura di un’inconscia affermazione di apertura alla diversità, ma di fatto, magari senza saperlo né volerlo, si conferma uno stigma”. Un mio amico mi disse: “… in fondo sono un gay di sessant’anni…” “Sei un uomo di sessant’anni” intervenni con tutta la dolcezza che sentivo. “Sì, hai ragione… non ci si accorge nemmeno più, ti hanno messo addosso un marchio e ormai te lo tieni e tanto vale sventolarlo come una bandiera. So che è una cavolata. Non è né un marchio né una bandiera, è un modo di essere”. Io e quel mio amico, come tanti altri, sogniamo un mondo dove l’omosessualità e l’eterosessualità non siano più argomenti, dove la scelta nell’amore e nel sesso, non di rado anche mutevole nel corso di una vita, sia finalmente un fatto privato, irrilevante nell’amicizia, nel lavoro, nello sport, nell’arte, nella politica e dovunque altrove, dove non siano più necessarie manifestazioni carnevalesche e zone separate, dove nessuno osi utilizzare l’opzione sessuale per alzare palizzate e distribuire svantaggi o privilegi. Ce la possiamo fare, è solo questione di tempo. Stiamo attenti al nostro linguaggio: le parole sono importanti.

 




il pregiudizio è disprezzo: papa Francesco tira le orecchie ai romani

Papa Francesco: «Ho visto
i romani disprezzare gli zingari»

bambini rom

 

 

 

 

 

 

Papa Bergoglio rievoca un ricordo personale nell’incontro con i promotori episcopali e la Pastorale degli zingari: «Quando prendevo il bus a Roma e salivano nomadi, l’autista spesso diceva ai passeggeri: `Guardate i portafogli´. Questo è disprezzo»
di Redazione Online Rom
Bergoglio in metrò a Buenos Aires quando era cardinale (foto Ap)<img alt=”Bergoglio in metrò a Buenos Aires quando era cardinale (foto Ap)” title=”Bergoglio in metrò a Buenos Aires quando era cardinale (foto Ap)” src=”/methode_image/2014/06/05/Roma/Foto%20Roma%20-%20Trattate/15int07f2x-041-kxsE-U43020383599696g0E-593×443@Corriere-Web-Roma.JPG?v=20140605121910″/>

Bergoglio in metrò a Buenos Aires quando era cardinale

Papa Francesco accusa i romani di non rispettare i nomadi. Di più, sostiene che alcuni li disprezzano: «Quando prendevo il bus a Roma e salivano degli zingari, l’autista spesso diceva ai passeggeri: `Guardate i portafogli´. Questo è disprezzo, forse è vero, ma è disprezzo». Così il pontefice ha evocato un ricordo personale, giovedì 5 giugno, parlando ai partecipanti all’incontro mondiale dei promotori episcopali e dei direttori nazionali della Pastorale degli zingari. L’evento – organizzato dal Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti – si è tenuto giovedì nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, sul tema «La Chiesa e gli zingari: annunciare il Vangelo nelle periferie».

In difesa dei piccoli rom

Nella Capitale è noto l’aneddoto di un vescovo gesuita latino-americano, il brasiliano Don Luciano de Almeida – amico di Bergoglio e del quale oggi è in corso il processo di beatificazione -, il quale, girando anche lui in bus, prendeva sempre le difese dei ragazzini rom, che venivano trattati con disprezzo dai passeggeri. Il Santo Padre è poi tornato sull’argomento aggiungendo che «spesso gli zingari si trovano ai margini della società e a volte sono visti con ostilità e con sospetto». E ha aggiunto: «Sono tra i più vulnerabili, soprattutto quando mancano gli aiuti per l’integrazione e per la promozione della persona umana nelle varie dimensioni del vivere civile».

«Vittime di nuove forme di schiavitù»

Papa Francesco sottolinea che «i gruppi più deboli sono quelli che più facilmente diventano vittime delle nuove forme di schiavitù: sono infatti le persone meno tutelate che cadono nella trappola dello sfruttamento, dell’accattonaggio forzato e di diverse forme di abuso». E spiega: «Tra le cause che nell’odierna società provocano situazioni di miseria in una parte della popolazione, possiamo individuare la mancanza di strutture educative per la formazione culturale e professionale, il difficile accesso all’assistenza sanitaria, la discriminazione nel mercato del lavoro e la carenza di alloggi dignitosi».

«I pastori siano loro fratelli»

Bergoglio non si nasconde che quella dei nomadi «è una realtà complessa», e precisa che «certo anche il popolo zingaro è chiamato a contribuire al bene comune e questo è possibile con adeguati itinerari di corresponsabilità, nell’osservanza dei doveri e nella promozione dei diritti di ciascuno». Tuttavia c’è bisogno di aiutarli e per questo indirizza ai responsabili della Pastorale per gli zingari un «incoraggiamento a proseguire con generosità la vostra importante opera, a non scoraggiarvi ma a continuare a impegnarvi in favore di chi maggiormente versa in condizioni di bisogno e di emarginazione nelle periferie umane». «Gli zingari -conclude – possano trovare in voi dei fratelli e delle sorelle che li amano con lo stesso amore con cui Cristo ha amato i più emarginati: siate per essi il volto accogliente e gioioso della Chiesa»

«Tra noi disoccupazione al 95%»

Sottoscrive in pieno le parole di Papa Francesco la `Federazione Rom e Sinti Insieme. Anche se Djana Pavlovic, vice presidente della federazione, chiede al pontefice «di non utilizzare il termine `zingari´». «Nessun dubbio, è ovvio, sulla volontà di usare questa parola con un’accezione positiva, ma noi preferiamo essere chiamati `Rom´». «Nessuno al di fuori dell’Italia usa la parola zingaro, Rom nella nostra lingua significa `uomo´ ed è sicuramente la denominazione più adatta». Quanto al discorso del pontefice, «il Papa è da ringraziare perché ha sottolineato una situazione che è riportata in tutti i rapporti sulle condizioni di vita del popolo Rom e Sinti. La disoccupazione è al 95%, il tasso di mortalità infantile è elevatissimo, solo il 3% della popolazione Rom supera il 60mo anno di vita». «La nostra condizione è la conseguenza di un razzismo che dura da secoli. In Italia -denuncia Pavlovic – trent’anni di politiche di assistenzialismo e mancata responsabilizzazione hanno ostacolato l’inclusione sociale. Manca la volontà politica di mettere fine alle discriminazioni e ad una strumentalizzazione che spesso viene usata a fini politici».

Il Paese dei Campi (di segregazione)

L’associazione «21 Luglio» che da anni si occupa dei problemi dei rom nella capitale osserva che «è la prima volta che un Pontefice individua nella mancanza di alloggi adeguati una delle cause principali dello stato di discriminazione e di segregazione in cui vivono le comunità rom e sinte nel nostro Paese». L’Associazione sottolinea poi come l’Italia, denominata il «Paese dei campi», sia lo Stato che più degli altri ha «promosso politiche segnate dalla segregazione abitativa nei confronti di rom e sinti». «Le parole di Papa Francesco, in perfetta sintonia con le raccomandazioni delle istituzioni internazionali ed europee – continua 21 luglio – indicano nel superamento dei “campi nomadi” la strada maestra per una piena inclusione della minoranza rom. Un superamento urgente ma finora disatteso, visto che in molte città italiane, a partire dalla Capitale, gli amministratori continuano a proporre il “campo” come il luogo del margine in cui collocare, su base etnica, uomini, donne e bambini rom




il diploma di una ragazza rom contro i pregiudizi

 Teresa si diploma e prepara una tesi contro i pregiudizi

di Lorena Cotza su Corriere della Sera  

Teresa vive in Italia, ha 18 anni, sta per diplomarsi e sogna di iscriversi all’università. La sua è una di quelle storie che non dovrebbero far notizia. Ma Teresa è una giovane rom e la sua storia è ancora considerata una rara eccezione.

“Sino all’anno scorso nessuno a scuola sapeva che ero rom” racconta Teresa Suleymanovic. “Quando i miei compagni mi chiedevano da dove venissi, dicevo solo che ero bosniaca. Non volevo dire che vivevo in un campo. Perché tutti pensano che i rom dei campi rubino e siano sporchi”.

Teresa sta frequentando l’ultimo anno dell’Istituto Alberghiero di Monserrato, in provincia di Cagliari, dove sono iscritte anche altre tre ragazze del campo in cui abita.

“Dopo il diploma mi piacerebbe studiare Scienze dell’Alimentazione e diventare una dietologa” dice Teresa. “Oppure mi piacerebbe lavorare nel settore della ristorazione, ho svolto diversi tirocini in alcuni ristoranti della zona e ho imparato tantissimo su questo mestiere”.

L’amore per la cucina gliel’ha trasmesso sua madre, Visna, trasferitasi dalla Bosnia in Sardegna circa 30 anni fa. “Il pane per noi è il cibo più importante” mi spiega Visna mentre con gesti sicuri prepara la pita, una finissima ed elastica pasta che riempie con carne e verdure. “È una tradizione che si tramanda di generazione in generazione, tutte le mie figlie lo sanno fare”. Oltre alle tradizioni culinarie, i diritti umani sono l’altro tema a cui Teresa vorrebbe dedicarsi in futuro. Nella tesi di diploma che sta preparando, ha infatti scelto di raccontare la storia del suo popolo, il genocidio nazista e la resistenza della cultura rom, ancora intatta nonostante secoli di persecuzioni.

“Ho scelto questo argomento perché ci sono ancora tanti, troppi pregiudizi sui rom. Se davvero non sei razzista non dovresti fare differenze tra nessuno. Non puoi pretendere di dire che non odi i marocchini, ma al tempo stesso odiare i rom. Altrimenti che senso ha?” si chiede Teresa.

Quest’anno Teresa ha partecipato a “Italia-Romanì”, convegno sull’inclusione dei rom e dei sinti in Italia, organizzato dall’Associazione 21 Luglio e tenutosi a Roma dal 3 al 5 aprile. Racconta con entusiasmo del flash-mob organizzato di fronte al Colosseo: “Abbiamo indossato dei sacchi neri, con dei biglietti che descrivevano i pregiudizi che ci portiamo addosso. Nel mio ho scelto di scrivere “Io non voglio studiare”. E poi ce li siamo strappati di dosso”.

“Vicino al convegno c’era anche una manifestazione anti-rom, ci gridavano di tutto ma per fortuna vicino c’era la polizia” continua Teresa. “Ma durante il flash-mob è stato bello rispondere alle domande della gente e far vedere che ci sono tanti giovani rom in gamba”.

Tra i tanti temi affrontati durante il convegno, uno dei più dibattuti è stato quello dei campi rom. Una questione di non facile soluzione: alcuni rom vorrebbero trasferirsi in case normali, ma altri non vogliono rinunciare alla vita comunitaria del campo. Teresa vive in un piccolo e isolato insediamento a circa 7 km dal primo centro abitato, in cui vivono 14 famiglie rom. Il campo si trova in cima a una collina da cui si domina il Golfo di Cagliari ed era la sede di un vecchio inceneritore, di cui oggi resta solo lo scheletro spettrale della struttura.

“È stata dura – dice Visna, raccontando con orgoglio di come ha costruito la sua baracca. – Abbiamo lavorato duramente per raccogliere i pezzi di lamiera, ma siamo riusciti a costruire una stanza per tutti i miei figli. Quando sgomberano i campi e buttano giù le case su cui hai lavorato per anni non è bello”.

Teresa vorrebbe vivere in una casa in città, come una delle sue sorelle, che ha sposato un italiano e lavora nel settore della ristorazione. Ma capisce anche la scelta di chi non vuole spostarsi. Le abitazioni fornite dal comune sono spesso troppo piccole per le famiglie più numerose e a molti manca la solidarietà che si crea all’interno dei campi.

Ci sono, però, problemi che potrebbero essere affrontati e risolti con poche risorse: “Da anni chiediamo al sindaco di creare una piazzola per una fermata del pullman – dice Teresa – Le corriere passano lungo questa strada, ma non si fermano, quindi per andare a scuola devo sempre chiedere un passaggio a mio padre. C’è un pulmino per i bambini iscritti alla scuola elementare, ma non per tutti gli altri”.

Teresa è riuscita a proseguire gli studi grazie a una borsa di studio della Fondazione Anna Ruggiu, dedicata al sostegno della popolazione rom. Ma c’è un male che nessun benefattore riesce a curare: quello dei pregiudizi.

“Quando ho detto ai miei compagni dove vivevo, alcuni mi hanno detto che avrebbero voluto vedere il mio campo, ma hanno paura e pensano che siamo cattivi. So che non verranno qui. Ma bisognerebbe prima conoscere e poi giudicare”.




gli ‘zingari’ e i nostri stereotipi

 

«Così educata, non sembra proprio zingara»

riproduco qui una bella pagina che nei giorni scorsi Sergio Bontempelli ha pubblicato nel suo sito: il racconto, più o meno, di un’ordinaria giornata nella quale percepiamo e respiriamo in abbondanza le precomprensioni e i pregiudizi o stereotipi attraverso i quali ci rapportiamo agli ‘zingari’ che presumiamo di racchiudere tutti entro precisi atti, comportamenti, atteggiamenti, stili di vita e in base a questi identificarli con certezza, valutarli e condannarli:”I rom, quelli veri e in carne ed ossa, non sono come li immaginiamo. Come dice un mio amico sinto, «se vuoi davvero sapere chi siamo, devi conoscerci uno a uno, perché i sinti non sono tutti uguali». E’ una verità semplice, questa. Ma chissà perché, quando si parla di rom, anche le cose banali diventano complicate da vedere e da capire”

Donna rom che chiede l'elemosina

 

Per un attivista che “si occupa di rom” – come si usa dire – il posto più difficile da frequentare è il bar. Perché se tieni una conferenza, o se entri in una scuola a discutere coi ragazzi, hai tempo e modo di articolare un discorso. Provi a decostruire pregiudizi e stereotipi, e i tuoi uditori ti ascoltano in silenzio. Lo vedi che sono scettici, che non credono a quel che dici: ma almeno ti guardano con il rispetto che si deve all’«esperto».
Al bar no. Al bar, davanti a un cappuccino caldo, tutti sono “esperti”, soprattutto dell’argomento “zingari”. «Te lo dico io, non si integrano, vivono di furti e di illegalità». Le tue statistiche e i tuoi studi non contano nulla. «Puoi raccontarmi quel che ti pare, ma io li conosco, l’altro giorno mi sono entrati in casa e hanno rubato l’argenteria di famiglia…». Stop. Fine del ragionamento.

Come si distingue un rom?
Ecco, fuori dal bar il discorso sull’argenteria sarebbe interessante da approfondire. Ti hanno rubato in casa, e tu hai visto il ladruncolo mentre scappava. Era uno “zingaro”, dici: ma come fai a saperlo? Con quale criterio distingui un rom? Lo riconosci dal colore della pelle, dai tratti somatici, dall’aspetto? Impossibile, perché tra i rom ci sono i biondi, i mori e i castani, c’è chi ha la pelle chiara e chi è più scuretto, chi è alto e chi è basso…
Forse hai riconosciuto il “tipico abbigliamento zingaro”. Magari non era un ladro ma una ladra, e aveva la gonna lunga e colorata… Ora, ammesso (e non concesso) che la gonna lunga sia “tipicamente rom”, non ti viene il sospetto che la ragazza in fuga abbia usato un travestimento per sviare i sospetti? E d’altra parte, se la ladra era davvero rom perché è andata a rubare vestita in modo così riconoscibile?
Forse un buon criterio per identificare un rom potrebbe essere la lingua, ma quanti sono in grado di riconoscere una persona che parla romanes?
Al bar, però, obiezioni del genere non contano. Suonano come i sofismi di uno che ha studiato troppo. «Il ladruncolo era uno zingaro, l’ho visto coi miei occhi, cosa vuoi di più?». Stop. Fine del ragionamento.
Al bar non contano i ragionamenti, contano le storie. E allora proviamo a raccontarla, una storia. E’ una storia vera che mi è accaduta in questi giorni. E che mostra come i pregiudizi condizionino non solo le nostre idee, ma anche le percezioni, quel che “vediamo coi nostri occhi”, quel che ci sembra oggettivo e irrefutabile.

Un viaggio da manager
E’ Martedì, e come sempre vado al lavoro di buon mattino. Oggi però è un giorno speciale, devo uscire dall’ufficio un po’ prima perché parto: mi hanno invitato a tenere un ciclo di seminari proprio sull’argomento rom, a Udine. Per arrivare dalla mia Toscana al lontano Friuli devo fare un percorso lungo e accidentato, con tre cambi di treno: dopo il regionale da Montecatini Terme a Firenze, devo prendere l’Alta Velocità per Venezia-Mestre, quindi di nuovo un regionale che mi porta a Udine.
Armato di pazienza, comincio il mio viaggio sul regionale. Salgo, prendo posto, mi siedo e accendo il computer: devo finire le slide che mi servono per far lezione, e comincio a lavorare. Sono ben vestito (meglio del solito, almeno…), consulto libri e documenti, armeggio col mouse, prendo qualche appunto sull’Ipad e di tanto in tanto rispondo al cellulare: devo avere l’aria di uno quegli odiosissimi manager che lavorano ovunque, sul treno come in ufficio, alla fermata dell’autobus come sulla panchina al parco… Intorno a me noto occhi curiosi che mi scrutano, con un senso di rispetto misto a invidia.

La “zingara” del treno regionale…
Mentre lavoro vedo passare Maria, una ragazza rom romena che conosco di vista: di solito chiede l’elemosina sul treno, e io le do sempre qualcosa. Si avvicina e mi tende la mano per chiedere qualche spicciolo: poi mi riconosce, trasale e sorride. Col mio rumeno un po’ maccheronico le chiedo come sta. Mi dice che nelle ultime settimane la vita è più dura del solito, la questua non “rende” bene e lei non ha i soldi per mangiare.
Può darsi che sia vero, può darsi che sia un modo per strappare qualche spicciolo in più: per me non ha importanza, e le allungo una moneta da due euro. Lei sorride di nuovo, mi ringrazia e si siede un attimo. Continuiamo a parlare del più e del meno, le chiedo se ha programmi per Natale e lei mi dice che, finalmente, passerà le vacanze a casa, in Romania. «Fa freddo laggiù», spiega, «adesso c’è la neve». Poi si alza, saluta e se ne va.
La scenetta non è passata inosservata. I viaggiatori mi guardano attoniti. Prima sembravo un manager indaffarato, ma i manager di solito non parlano con gli zingari. Già, perché Maria sembra proprio una “zingara”: ha l’aspetto trasandato, chiede l’elemosina e porta una gonna lunga e colorata…

… e la strana ragazza sull’Eurostar
Arrivato a Firenze, corro al binario e salgo sul treno Alta Velocità, quello per Venezia. L’ambiente è decisamente diverso: qui non ci sono i pendolari, ma – appunto – i manager indaffarati. Rispondono al telefono e li senti parlare di bilanci, di contratti, di accordi commerciali da perfezionare, di meeting da organizzare. La voce dell’altoparlante invita a gustare le prelibatezze del bar al centro del treno: fuori dal finestrino, le gallerie si alternano ai paesaggi delle montagne toscane. Cullato dal treno, mi addormento.
Dopo poco più di mezzora siamo a Bologna. Sale una ragazza giovanissima e si siede accanto a me. E’ vestita elegante ed è truccata con molta cura. Saluta il fidanzato dal finestrino e gli manda un bacio romantico, uno di quelli “soffiati” sul palmo della mano… Poi, quando il treno riparte, si mette a sfogliare una rivista.
Nel bel mezzo del viaggio le squilla il cellulare. Si mette a conversare al telefono e sento che non è italiana: parla una lingua che non riesco a identificare. Frequentando gli immigrati, mi sono abituato a sentirne tante, di lingue: ovviamente non le capisco, ma sono in grado di distinguere un albanese da uno slavo, un rumeno da un ucraino, un russo da un georgiano. Ma la ragazza proprio no, non capisco da dove viene. La ascolto con attenzione e mi pare di sentire qualche parola in romanes. Però no, non può essere rom: non ne ha l’aspetto, non parla con la tipica gestualità “alla zingara”, non è vestita da rom… E poi, si è mai vista una rom sul treno ad Alta Velocità?

La romnì «invisibile»
Mentre cerco di identificare la provenienza della ragazza, mi squilla il telefono. E’ un amico senegalese che ha problemi con il permesso di soggiorno. Gli fornisco qualche consiglio, poi gli dico di passare al mio ufficio: l’argomento è delicato, ed è bene capire la situazione controllando di persona documenti e carte.
Quando riaggancio mi accorgo che la ragazza mi sta guardando. «Ma tu sei un avvocato?», mi chiede. Le rispondo che no, non sono avvocato, lavoro per i Comuni e mi occupo di permessi di soggiorno. Mi spiega che suo padre ha problemi con i documenti, e mi chiede consigli. Scopro così che la ragazza è macedone. Ma qualcosa non torna.
Conosco bene la lingua macedone. Voglio dire, non la parlo e non la capisco, ma la riconosco quando la sento. E la ragazza no, proprio non parlava macedone. Nei Balcani ci sono consistenti minoranze albanesi, ma lei non parlava neanche albanese. Non riesco a vincere la curiosità, e mi faccio avanti: «ma che lingua era quella al telefono?». La ragazza trasale, ha un momento di imbarazzo e farfuglia: «no, non era macedone… la mia lingua è…». Si ferma un attimo. Si vede che non sa proprio come dirmelo. «Ecco, in casa parliamo una specie di… di lingua sinta…».
«Una specie di lingua sinta» significa che la ragazza parla romanes. E’ una romnì macedone («romnì», per chi non lo sapesse, è il femminile di «rom»). Provo a sciogliere il suo imbarazzo, le dico che ho molti amici rom che vengono proprio dalla Macedonia. Ci mettiamo a parlare, e scopro che la ragazza abita a Bologna, ma il fidanzato è un sinto di Pisa, la mia città. Facciamo amicizia e alla fine ci scambiamo i numeri di telefono. «Se mi sposo a Pisa ti chiamo e vieni alla mia festa di matrimonio».

La morale della favola
La “morale” di questa piccola storiella ci riporta alle conversazioni da bar di cui si parlava prima. Crediamo tutti di sapere chi sono gli “zingari”, e come sono fatti. Chiunque è (crede di essere) in grado di riconoscere un rom, o una romnì. E su questa percezione intuitiva costruiamo i nostri discorsi: «tutti i nomadi chiedono l’elemosina, nessuno lavora» (come se l’elemosina fosse una cosa orribile, e non un lavoro come gli altri: ma questo è un altro discorso, e ci porterebbe lontano…). «Io li ho visti, rubavano i portafogli ai passanti». «Ero sull’autobus e c’era una nomade che non aveva pagato il biglietto: non ce n’è una che rispetti le regole…». E gli esempi potrebbero continuare.
Non pensiamo mai che quel che vediamo è anch’esso frutto di pregiudizi. Non ci viene in mente che il nostro educato vicino di casa, che incontriamo sull’ascensore al mattino, potrebbe essere rom. Sul treno, non ho pensato che la mia “compagna di viaggio”, elegante e ben vestita, era una romnì macedone.
I rom, quelli veri e in carne ed ossa, non sono come li immaginiamo. Come dice un mio amico sinto, «se vuoi davvero sapere chi siamo, devi conoscerci uno a uno, perché i sinti non sono tutti uguali». E’ una verità semplice, questa. Ma chissà perché, quando si parla di rom, anche le cose banali diventano complicate da vedere e da capire.

Sergio Bontempelli




i pregiudizi dei politici

 la «calata degli zingari»!

 

alcuni ‘nomadi’ fermatisi nei giorni scorsi a Spinetta Marengo (Alessandria) hanno fatto scattare la reazione indignata del dirigente provinciale del pdl di Alessandria Mario Bocchio che si è espresso in modo preoccupato col termine ‘calata’ degli zingari su Alessandria, confondendoli addirittura cogli Unni o i Goti o i Lanzichenecchi …

Il Dirigente provinciale del PdL Mario Bocchio (Alessandria), lo scorso 26 settembre ha espresso il proprio malcontento per la presenza di “nomadi” a Spinetta Marengo, dichiarando: «La “calata” degli zingari su Alessandria? Sembrerebbe proprio di sì […] Non è logico che vengano spesi i soldi delle tasse dei nostri cittadini per rimediare ai danni che causano queste persone. Mi auguro che possa venire individuata una rapida soluzione, che non può che essere lo sgombero immediato e l’adozione di un’apposita ordinanza che vieti la sosta degli zingari sul territorio comunale di Alessandria. Questa città ha già altri problemi alquanto gravi, e non vedo la necessità che ci si interessi anche dei nomadi».

la reazione e la denuncia  dell’Associazione 21 luglio

Le affermazioni del Dirigente provinciale del PdL, per le generalizzazioni effettuate e per i toni adottati, oltre a connotare indistintamente la mera presenza di persone rom come un “problema”, contribuiscono ad alimentare un’atmosfera di ostilità e di allarme sociale infondato. Infine, cavalcando lo stereotipo “rom = zingaro = nomade = problema”, il Dirigente provinciale del PdL di Alessandria delinea la sua proposta di “soluzione”, che per come esposta si connoterebbe comeuna misura dal profilo discriminatorio su base etnica.

Dopo aver valutato l’episodio, l’équipe dell’Osservatorio ha inoltrato una segnalazione agli organi competenti.

FonteTuonoNews




quanti pregiudizi si formano sulla base di niente!

 

«Hanno tentato di rapirmi la figlia»

Invece aveva solo perso il portafogli
«Hanno tentato di rapirmi la figlia»<br />
Invece aveva solo perso il portafogli

«Una nomade ha tentato di rapirmi la figlia che era seduta nel passeggino»

Le indagini dei carabinieri hanno però permesso di accertare che la donna si era inventata tutto per nascondere al convivente il fatto d’aver perso il portafogli.

Tutto è accaduto mercoledì pomeriggio a Capriate San Gervasio: protagonista una 28enne che si è presentata alla locale stazione dei carabinieri. Ai militari ha raccontato che nel corso della mattinata, mentre si trovava davanti bar Fuori Onda era stata avvicinata da sconosciuta che, approfittando di una sua distrazione, aveva tentato di afferrare la bimba di un anno che seduta nel passeggino.

Stando al racconto della donna, un sua immediata ed energica reazione aveva costretto la sconosciuta a desistere. La mancata rapitrice, sempre secondo il racconto, ne avrebbe però approfittato per strappare la borsetta contenente 250 euro, documenti ed effetti personali.

Nella denuncia la 28enne ha anche dichiarato che, durante una breve colluttazione, la sconosciuta l’aveva colpiva al volto con una gomitata, riuscendo poi a dileguarsi vie circostanti.

La donna, alla quale sono state mostrate alcune foto segnaletiche, avrebbe anche riconosciuto la donna che l’aveva aggredita: ha indicato il volto di una rumena di 33 anni.

Le indagini però hanno permesso ai carabinieri di accertare che tutto il racconto era falso, e che la nomade indicata dalla donna era completamente estranea ai fatti.

Messa alle strette la 28enne ha ammesso di essersi inventata tutto per giustificare con il proprio convivente la perdita del portafogli e dei soldi contenuti. E’ stata così deferita in stato di libertà per simulazione di reato, procurato allarme, e calunnia.

 




stereotipi sui rom

Rapporto “Antiziganismo 2.0″:

stereotipi sui rom alimentati da politici e stampa

COPERTINA-ANTIZIGANISMO

copertina rapporto Antiziganismo

Ogni giorno, in Italia, si registrano 1,43 casi di incitamento all’odio e discriminazione nei confronti di rom e sinti, per lo più attraverso dichiarazioni di esponenti politici diffuse da giornali, siti web e social network. Stereotipi e pregiudizi verso tali comunità, del resto, sono alimentati da una media giornaliera di 1,86 episodi di informazione scorretta ad opera di giornalisti di testate locali e nazionali.

Sono questi i dati che emergono da “Antiziganismo 2.0”, il rapporto dell’Osservatorio nazionale sull’incitamento alla discriminazione e all’odio razziale dell’Associazione 21 luglio, presentato questa mattina a Roma nella sede della Federazione Nazionale della Stampa Italiana.

Dal 1 settembre 2012 al 15 maggio 2013, il monitoraggio dell’Osservatorio 21 luglio, effetuato su circa 140 fonti, ha rilevato 370 casi di incitamento all’odio e discriminazione e 482 casi di informazione scorretta in grado di alimentare il cosiddetto fenomeno dell’antiziganismo, definito dalla Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza come «una forma di razzismo particolarmente persistente, violenta, ricorrente e comune che viene espressa, tra gli altri, attraverso violenza, discorsi d’odio, sfruttamento, stigmatizzazione e attraverso le più evidenti forme di discriminazione».

Dei 370 casi di incitamento all’odio e discriminazione, 281 (il 75% del totale) sono riconducibili ad esponenti politici, 58 a privati cittadini e 20 a giornalisti. I giornali si sono rivelati il principale strumento di diffusione (234 casi), seguiti da siti internet (51),Twitter (23) e Facebook (10).

Dal rapporto emerge che il 59% delle segnalazioni si riferisce ad iscritti ad un partito di destra e di centro destra. In 90 casi, l’autore di una dichiarazione discriminatoria e incitante all’odio è stato un esponente della Lega Nord; seguono il Popolo della Libertà (74), La Destra (30) e Forza Nuova (11). In 9 casi l’autore è stato invece un esponente del Partito Democratico.

Dal punto di vista della collocazione geografica delle segnalazioni, al centro-nord va il primato relativo, con una percentuale del 52% delle segnalazioni, con il 22% nella sola Lombardia, mentre il centro-sud si attesta al 43%. Il dato più significativo appare quello relativo alla città di Roma, che da sola copre il 32% circa delle segnalazioni, praticamente un terzo di tutto il territorio nazionale.

Per quanto riguarda i casi di informazione scorretta, ovvero quelle notizie, diffuse in maniera acritica, atte ad alimentare e rinforzare stereotipi e pregiudizi nei confronti di rom e sinti, tra le testate monitorate il rapporto evidenzia che il Corriere della Sera, nelle sue numerose edizioni locali, oltre a quella nazionale, raggiunge il numero più elevato di segnalazioni (12,9%), mentre il Tirreno si attesta su una percentuale dell’11%.

Seguono Il Messaggero con il 7,5%, il Tempo (6%), La Repubblica, soprattutto nelle edizioni milanesi e romane ((6%) e il Giornale d’Italia (4%). Il territorio lombardo, accumulando le percentuali di Libero, Il Giornale e Il Giorno raggiunge una rappresentatività sul campione di quasi il 20%.

In seguito ai casi descritti, l’area legale dell’Associazione 21 luglio ha intrapreso 135 azioni correttive, tra cui 75 segnalazioni all’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), 29 lettere di diffida, 10 esposti al Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti, 7 segnalazioni all’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori di Polizia di Stato e Carabinieri (OSCAD).

Tra i riscontri positivi ottenuti, la chiusura di due blog che diffondevano contenuti lesivi della dignità delle comunità rom e la rettifica dei contenuti di un paragrafo della guida National Geographic su Roma che criminalizzava indistintamente i rom.

«Il fenomeno dell’antiziganismo assume oggi in Italia dimensioni preoccupanti. Ai rom si associano indistintamente ed automaticamente degrado, incuria, malvivenza, pericolosità sociale, incapacità genitoriale, inadeguatezza sociale, rifiuto consapevole delle regole e una “genetica” attitudine alla delinquenza e alla non-integrazione», afferma l’Associazione 21 luglio.

«È necessario contrastare questi stereotipi e pregiudizi, alimentati da dichiarazioni di esponenti politici che intendono parlare alla pancia del proprio elettorato e da notizie giornalistiche incapaci di approfondimento e di analisi complessa, attraverso tutte le forme possibili, istituzionali e governative, attraverso il diritto e la produzione intellettuale, nella lotta politica e nel lavoro nei territori, nei media, a scuola e in strada. Si potrebbe cominciare dal linguaggio: i termini “nomadi” e “zingari” denotano una connotazione negativa e pertanto non andrebbero più utilizzati, né dai politici né dai giornalisti».

 




l’onestà che non fa notizia

 

Paura, pregiudizio e… l’onestà che non “fa notizia”!
Essere inseguiti per strada è una cosa che fa paura un po’ a tutti, specie se a usare clacson, lampeggianti e frecce per fare segno di fermarsi sono tre stranieri scuri di pelle, che nel racconto di molti media italiani sono quasi sempre pericolosi e potenziali delinquenti. Non ha fatto eccezione Efisio Leori, 67 anni, ristoratore di Domus de Maria, che rientrava da una visita fatta al fratello e in quella occasione aveva scordato il portafogli sopra il cofano di una macchina. 
Hidayat Ullah uno dei tre “inseguitori”
Ebbene i tre inseguitori, tre pakistani, non avevano alcuna intenzione di picchiare o derubare lo spaventatissimo signor Efisio, anzi volevano restituirgli quello che aveva scordato, compreso dei 200 euro che conteneva, della patente e delle carte di credito. Insomma, una storia che dimostra come il luogo comune dell'”immigrato criminale” sia, appunto, un luogo comune, ma che ci fa anche riflettere sull’atteggiamento dei nostri mezzi di informazione. Sempre pronti, nella maggior parte dei casi, a raccontare la storia dello straniero stupratore, ladro o spacciatore, ma che invece non danno nessun rilievo ad eventi come questi…