il papa sferza la viltà della ‘Fortezza Europa’
papa Francesco riceve in Vaticano il premio Carlo Magno dalle mani dei leader europei e gli fa la predica:
«Sogno che nella patria dei diritti umani essere un migrante non sia un delitto»
«sogno un’Europa in cui essere migrante non è un delitto», invece quella che si vede oggi è un’Europa che costruisce attorno a sé «recinti» e «trincee»
Papa Francesco ha salutato con queste parole i leader europei che ieri sono accorsi in Vaticano per presenziare al conferimento al pontefice del premio internazionale «Carlo Magno», il riconoscimento che ogni anno la città di Aquisgrana – dove venivano incoronati gli imperatori del Sacro romano impero e nella cui cattedrale sono tumulati i resti di Carlo Magno, il primo imperatore «europeo» – assegna a personalità che si siano contraddistinte per il loro ruolo in favore dei valori europei. La scelta di premiare Bergoglio, recitano le motivazioni del premio, è legata al suo «straordinario impegno a favore della pace, della comprensione e della misericordia in una società europea di valori»».
Una «Europa nonna», «stanca e invecchiata», ha detto Francesco, rilanciando l’espressione che già aveva usato durante la sua visita al Parlamento di Strasburgo, nel novembre 2014. Un’Europa che ha smarrito i «grandi ideali» dei fondatori – ha citato Schuman e De Gasperi, ma non Altiero Spinelli -, «un’Europa tentata di voler assicurare e dominare spazi più che generare processi di inclusione e trasformazione», «che si va “trincerando” invece di privilegiare azioni che promuovano nuovi dinamismi nella società».
In prima fila c’erano tutti i leader della «fortezza Europa»: il presidente del Parlamento europeo Schulz, il presidente della Commissione europea Juncker, il presidente del Consiglio europeo Tusk, l’alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza Mogherini, poi la cancelliera tedesca Merkel, Filippo VI di Spagna, Renzi, Draghi. Soprattutto a loro il papa ha fatto notare che questa Europa «sembra sentire meno proprie le mura della casa comune», allontanandosi «dall’illuminato progetto architettato dai padri» e cedendo invece agli «egoismi, guardando al proprio utile e pensando di costruire recinti particolari».
«L’Europa è la patria dei diritti umani, e chiunque metta piede in terra europea dovrebbe poterlo sperimentare», aveva detto Francesco il mese scorso, all’isola di Lesbo. Ieri lo ha ripetuto, in forma di domanda, senza risposta: «Cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?».
Per capirlo servirebbe una «trasfusione di memoria», quella auspicata da Elie Wiesel, sopravvissuto ai lager nazisti. «La memoria – ha spiegato il papa – non solo ci permetterà di non commettere gli stessi errori del passato, ma ci darà accesso a quelle acquisizioni che hanno aiutato i nostri popoli ad attraversare positivamente gli incroci storici che andavano incontrando» e ad «aggiornare l’idea di Europa», lungo tre direttrici: la capacità di «integrare», «dialogare» e «generare». Integrare popoli e persone perché, ha ricordato Francesco, «l’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale», mentre «i riduzionismi e tutti gli intenti uniformanti, lungi dal generare valore, condannano i nostri popoli a una crudele povertà: quella dell’esclusione. Che lungi dall’apportare grandezza, ricchezza e bellezza, provoca viltà, ristrettezza e brutalità. Lungi dal dare nobiltà allo spirito, gli apporta meschinità».
Poi il «dialogo»: il compito dell’Europa non è realizzare «coalizioni militari o economiche, ma culturali, educative, filosofiche, religiose», le quali «mettano in evidenza che, dietro molti conflitti, è spesso in gioco il potere di gruppi economici». E la «capacità di generare», con lo sguardo rivolto ai giovani. «Come possiamo fare partecipi i nostri giovani di questa costruzione quando li priviamo di lavoro» e «gli indici di disoccupazione e sottoccupazione sono in aumento?», ha chiesto Bergoglio. «La giusta distribuzione dei frutti della terra e del lavoro umano non è mera filantropia, è un dovere morale».