A. Prosperi ne ‘la Repubblica’ di oggi riflette sul metodo umanissimo di papa Francesco che sconvolge ogni ritualità e formalismo:
Il metodo di Francesco
di Adriano Prosperi
C’è una strategia che si dispiega sotto i nostri occhi negli atti e nelle parole di papa Francesco: fermarsi alla superficie, allo sconvolgimento delle forme rituali dei contatti e degli approcci, ci farebbe perdere di vista la sostanza. Un giornale gli pone alcune domande: e lui risponde con disponibilità larghissima di parole e spontanea e dimessa gentilezza di forme. Siamo lontani dall’epoca delle lettere encicliche. Lo dice un semplice confronto con l’ultima, appena uscita a due nomi, quello del papa dimissionario e quello di quest’uomo che non definiremo “pontefice regnante” ma piuttosto un uomo che tasta cautamente il terreno del governo della Chiesa ma che, intanto, guarda fuori dalle mura vaticane, saggia uomini e coglie occasioni. La lettera a Eugenio Scalfari arriva dopo la visita a Lampedusa; e dopo la parola sottolineata nella sua visita al Centro Astalli di Roma: “Solidarietà, questa parola che fa paura per il mondo sviluppato. Cercano di non dirla. È quasi una parolaccia per loro. Ma è la nostra parola”. Il dialogo con Scalfari è un esempio del metodo di Francesco. Un non credente di convinzioni illuministiche e razionaliste ha invitato il Papa a un dialogo, a un confronto di idee e di convinzioni intellettuali; e lui ha accolto immediatamente e con grandissima disponibilità l’invito. Ma come ha risposto? Ha aperto il suo cielo cristiano senza limiti a chi segue la retta coscienza e così ha spostato il terreno dalla teologia e dai dogmi alla morale. E ha dato una bella lezione a questa Italia di cui Leopardi scriveva che “non è luogo dove la religion cattolica, anzi la cristiana… sia più rilasciata nell’esterno ancora, e massime nell’interno”. Cioè poco creduta dentro e poco praticata fuori. Morale, non dogma. Nell’Italia dove i monsignori vaticani dovevano meditare non molto tempo fa se si poteva concedere l’Eucarestia a un divorziato molto ricco e molto potente, oggi si comincia a parlare un’altra lingua. Intorno alla solidarietà si gioca l’offerta di un gran pezzo di strada da fare insieme tra gli eredi della dichiarazione settecentesca dei diritti, dove la fraternità saldava il nodo tra libertà e uguaglianza, e gli eredi del celebre, indimenticabile elogio della carità di San Paolo. Che ce ne sia bisogno, in Italia, non c’è dubbio. Da quando il crollo del muro di Berlino ha seppellito l’idea della lotta per una maggiore giustizia sociale, rivolta a quelli che l’inno dei lavoratori di Filippo Turati chiamava “fratelli e compagni”, si è imposta una morale d’uso che vede dovunque “un mercato e in tutto la specolazione”, per dirla con le parole del giacobino Vincenzio Russo. In questa Italia d’oggi, la parola di papa Francesco comincia a scuotere un’opinione pubblica dove, come dicono i sondaggi, c’è un gran mucchio di persone che concepisce la libertà come qualcosa che va in direzione opposta rispetto all’uguaglianza. Qui, grazie a una poliennale e pervasiva educazione morale a mezzo televisione, al vincolo collettivo della solidarietà si oppone il diritto all’egoismo come esito necessario della libertà: libertà di godimento dei beni che mi so procurare; libertà di evadere anche il fisco; sacro egoismo in un mondo abitato dalla belva umana, che consapevole della brevità della vita vuole godere di tutto quello che si offre ai suoi appetiti e attraversa ogni volta che può le barriere fissate dalla legge. E se i giudici lo condannano, noi vediamo quello che fa. La partita che si è aperta è questa: riguarda la morale. La loro morale e la nostra, si potrebbe dire con un celebre scritto di Lev Trotzski (molto favorevole ai gesuiti). Fu su questo terreno che le avanguardie missionarie del cristianesimo europeo varcarono i limiti teologici tra cristianesimo e cultura cinese. Poi però ci fu nella Chiesa chi li condannò come eretici. Oggi un gesuita è diventato papa. Ma intanto molte cose sono cambiate. Tra la morale della Chiesa quale abbiamo visto all’opera in tanti recenti e laceranti conflitti nel paese Italia, dominato ancora dalle regole del Concordato del 1929, e quella dei diritti di libertà sanciti nelle costituzioni moderne a partire dal 1789, esistono fratture profonde. A questo ha fatto una delicata allusione ieri su la Repubblica
Umberto Veronesi. Ma la cosa è così importante che bisogna ricordarla ancora, a rischio di sembrare importuni. È qui che aspettiamo alla prova quest’uomo di buona volontà che oggi siede sul trono di Pietro.