la religiosità integrista e crudele presente anche tra i cattolici reazionari
quel Dio crudele dei cattolici reazionari
di Alberto Melloni
La volgarità di un frate domenicano — che dai microfoni di Radio Maria ha letto il terremoto come una punizione ed è stato licenziato dopo una presa di posizione vaticana — ha aperto un piccolo squarcio su una religiosità integrista, solitamente invisibile. È un sottosuolo cattolico opaco e apprensivo, fatto di sentimenti reazionari: nell’era-Francesco è spesso antipapale, da sempre è teologicamente approssimativo.
Riprende il ritornello dell’intransigentismo dell’Otto-Novecento: per cui la modernità produce ribellioni contro le quali un Dio crudele, irriconoscibile alla fede biblica, reagisce mandando flagelli pedagogici. Quel pensiero antimoderno s’è sempre dotato di media “moderni” come i giornali, i movimenti, la radio, la tv. Nel mondo dell’iper-comunicazione questo pulviscolo integrista è diventato più invisibile. Siti e antenne, blog e social, somministrano paure su misura: le paure su quel che si insegna a scuola per i movimenti pro-vita, quelle dei preti tradizionalisti che danno alla xenofobia leghista profumo d’incenso, quelle del radicalismo familista che manifestano verso l’amore omosessuale il risentimento degli irrisolti. Basta ascoltare Radio Maria: che inculca in dosi quotidiane sospetti e inimicizie, con il suo leader, padre Livio Fanzaga che ogni giorno spiega leggendo i giornali dove sono i pericoli, chi sono gli avversari e soprattutto “smaschera” i traditori. Il tutto inframmezzato da momenti spirituali — per chi guida la notte o aspetta l’alba in ospedale, il rosario o l’ufficio divino sono meglio di Isoradio — dietro ai quali traluce la pretesa di essere gli unici battaglieri in una chiesa molle, gli unici fedeli in una chiesa di codardi, gli unici cattolici in una chiesa di apostati. Le fantasticherie antibergogliane di Antonio Socci lì non suscitano compassione, ma ammirazione: la tesi del giornalista, nelle ore del terremoto, era che un vero pontefice avrebbe consacrato l’Italia alla Vergine Maria; e che Francesco non l’aveva fatto perché era un gesto “troppo cattolico” per un papa che egli ritiene grosso modo un usurpatore. È un mondo agli antipodi della autentica pietà popolare: essa è il modo in cui una comunità espropriata della liturgia dal protagonismo clericale trova spazi e linguaggi che nascono da quell’intuito credente che la dottrina cristiana chiama “sensus fidei”. In questo mondo di mezzo, invece, la partita è molto politica. Anche se non sono ancora diventati la variante cattolica delle chiese televisive americane — il cui peso elettorale sul voto americano di oggi è stato ben stimato dal Pew Center — i fans dei blog e delle radio integriste esprimono, sono una potenzialità politica perché nel mondo delle disaffezioni politiche rappresentano una fidelizzazione. La minaccia contro Renzi del raduno familista di Adinolfi — che giurava la vendetta della legge sulle unioni nelle urne del referendum — era solo una di queste possibili declinazioni. Che però potrebbero domani trovare inattese convergenze nel grillismo, la cui cultura, tutta e solo di destra, non ignora che c’è sempre un cattolicesimo opportunista, pronto a “dialogare” con ogni potere disposto a farsene patrono. Che ad una voce onestamente minore come quella del padre Cavalcoli abbia reagito la Santa Sede in persona (non è usuale che il regista della politica italiana, il Sostituto, prenda la parola in modo così netto e categorico) dice che la chiesa di Bergoglio non sottovaluta quel che c’era di “politico” in quelle parole. Che il disastro naturale possa dar adito a questioni filosofiche l’Europa lo sa dal 1755, quando il terremoto di Lisbona permise a Voltaire di polemizzare con i virtuosismi della “teodicea”, che giustificava Dio davanti alle catastrofi del mondo: ma onestamente padre Cavalcoli non è in quell’alveo… Appartiene piuttosto alla deriva che agitando temi reazionari ha fatto scivolare le chiese verso posizioni pericolose: come quelle della omonima Radio Maria polacca, che allarmò
perfino Benedetto XVI nel 2006, quando i deliri antisemiti di quella emittente furono sanzionati, anche se senza grande successo. Oggi con la casa natale di san Benedetto patrono d’Europa che si sbriciola mentre si sbriciola l’Europa, la Santa Sede ha dato un segnale molto cristiano e molto politico. Là dove viene meno il buonsenso umano e il buoncuore cattolico, si annida un bisogno di odio: che è l’aria che si respira in questo paese lacerato e vulnerabile. Che ha pensato per molto tempo di potersi scegliere i suoi grandi problemi — la disoccupazione, la denatalità, le migrazioni, il terrorismo, la crisi economica — e l’ordine in cui affrontarli. Anziché chiedersi quanta umiltà e quanta coesione servono per essere pronti quando ciò che incombeva accade, presentando al domani il conto di molti ieri.