non è facile comprendere la passione
di p. José M. Castillo
in “Religión Digital” del 21 marzo 2016
Non risulta facile comprendere quello che vediamo e viviamo ogni Settimana Santa. Perché non è facile capire per quale motivo, ogni anno e quando arrivano questi giorni, girano per le nostre strade immagini di dolore, agonia e morte, in processioni di rispetto e di devozione. E – quello che è più stupefacente – esibiamo le immagini del fallimento con troni di esaltazione trionfale, con musica gregoriana, incenso e bande di musica, grancasse e trombe. Tutto questo è l’espressione più eloquente del tentativo incomprensibile di fare, del fallimento più umiliante della vita, il trionfo sognato delle nostre più sublimi illusioni. Perché nell’ambito della religione succede quello che nessuno può immaginare negli altri settori della vita? Non so se questo fenomeno – così chiaramente contraddittorio – si verifichi, con tanta naturalezza, nella storia e nelle pratiche di altre religioni. Nel cristianesimo è un fatto, che ha una storia di secoli ed alcune radici che risalgono alle origini della Chiesa. Ed è il fatto che, comunque rigiriamo la questione, non è facile comprendere la passione di Gesù. Dove sta la chiave del problema? Negli scritti più antichi della Chiesa, nei documenti che chiamiamo Nuovo Testamento, ci sono due teologie, che non si sono integrate debitamente l’una con l’altra, ma sono state pensate e scritte indipendentemente l’una dall’altra. Ed in questioni molto decisive ci dicono cose che non sono facili da armonizzare. La prima di queste teologie (quella che è stata scritta per primo) è stata quella di Paolo (tra gli anni 45 e 55). La seconda è stata quella dei vangeli (dopo l’anno 70, fino agli anni 90). La differenza più ovvia, che si nota tra queste due teologie, è che quella dei vangeli è una “teologia narrativa”, ossia è costruita sulla base di una serie di racconti mediante i quali a noi si spiega la maniera di vivere o il progetto di vita del protagonista di tali racconti, un modesto galileo del sec. I, Gesù di Nazareth. La teologia di Paolo è una “teologia speculativa”, cioè è costruita sulla base di una serie di riflessioni religiose, che non si riferiscono più direttamente all’umile galileo che è stato Gesù, ma al Figlio di Dio, Messia e Signore nostro (Rm 1, 4), che è Cristo, il Risorto che è unito al Padre del Cielo. Detto ciò – e come è logico -, queste due teologie ci offrono due spiegazioni della passione e morte di Gesù. Secondo la teologia dei vangeli, la decisione della morte di Gesù fu presa dall’autorità religiosa (il Sinedrio: sommi sacerdoti, anziani e dottori della Legge). E questa decisione fu approvata dall’autorità politica, il prefetto dell’Impero. Il motivo della condanna a morte è stato religioso (Gesù fu accusato di essere un pericolo per il tempio, di essere e di agire come un bestemmiatore ed un delinquente); ed è stato politico (poiché il governatore ordinò di crocifiggerlo). Secondo la teologia di Paolo, Cristo morì sulla croce non per una decisione umana (una questione che Paolo non cita mai), ma perché “i peccati si espiano con il sangue”, cosa che si riferisce a Cristo che sopporta l’ira di Dio scatenata su tutti i peccatori (Rm 3, 19-20. 25). Così sul Crocifisso ricadde il giudizio distruttore di Dio, che con la morte di Gesù condannò “il peccato nella carne” (Rm 8, 3). Questo dimostra il fatto che, per Paolo, Gesù si è fatto “maledizione” (Gal 3, 13) e “peccato” (2 Cor 5, 21) per noi. In definitiva, la teologia di Paolo viene ad essere l’accettazione del principio spaventoso che presenta la lettera agli Ebrei: “senza effusione di sangue non vi è remissione” (Eb 9, 22). Riassumendo: la passione di Gesù, secondo la teologia narrativa dei vangeli, si spiega perchè Gesù, nel quale è presente Dio e che ci rivela Dio (Gv 1, 18; 14, 9; Mt 11, 27 par), ha affrontato la sofferenza umana (malattia, povertà, fame, emarginazione, disprezzo, umiliazione, odio…). Secondo la teologia speculativa di Paolo, la passione di Cristo si spiega perchè Dio ha avuto bisogno del “sacrificio” e dell’“espiazione” dei peccati, per redimere in questo modo l’uomo peccatore.
Ebbene, accettando il fatto che nel Nuovo Testamento si trovano queste due spiegazioni della passione e della morte di Gesù, il problema concreto che si presenta di solito, negli insegnamenti della Chiesa e nella vita dei credenti, sta nel fatto che la spiegazione della passione offerta da Paolo si è costituita, si presenta ed è richiesta alla gente che la si viva come il dogma di fede della nostra salvezza. Mentre la spiegazione della passione presentata dai vangeli viene spiegata alla gente come un criterio di spiritualità per praticare la devozione e la carità cristiana.
Certo, sappiamo che Paolo ha insistito sulla carità e sull’amore cristiano (1 Cor 13, 1-13; Gal 5, 1324; Rm 13, 8-10). Così come sappiamo che i vangeli parlano ripetutamente della fede e della salvezza. Ma si consideri che, quando Gesù parla di “salvezza”, si riferisce alla “cura delle malattie”. Cioè, nei vangeli “salvare” è rimediare alla “sofferenza”. Per questo, quando Gesù diceva a qualcuno: “La tua fede ti ha salvato”, in realtà gli diceva: “La tua salda fiducia in me ti ha curato” (Mc 5, 34; Mt 9, 22; Lc 8, 48; cf. Mc 10, 52; Mt 8, 10. 13; 9, 30; 15, 28; Lc 7, 9; 17, 19; 18, 42). E richiama l’attenzione il fatto che Gesù elogia la fede di un centurione romano (Mt 8, 5-13; Lc 7, 1-10), di una donna cananea (Mt 15, 21-28; Mc 7, 24-30) o di un lebbroso samaritano (Lc 17, 11-19), tutte persone che non avevano la fede nel Dio di Israele. Senza alcun dubbio, l’elemento centrale nella teologia di Paolo è la vittoria sul peccato. Ma, se ci atteniamo alla teologia dei vangeli, l’elemento centrale è la vittoria sulla sofferenza. Detto tutto ciò, mi azzardo a dire che, finchè questa questione non abbia la giusta ed autorevole spiegazione (ed applicazione alla vita), la Chiesa non potrà adempiere al suo ruolo ed alla sua missione nel mondo. In definitiva, con una teologia disarticolata e sgangherata possiamo solo avere una Chiesa ugualmente disarticolata e sgangherata. In altre parole, finché Paolo continuerà ad essere più decisivo di Gesù nella teologia e nella gestione della Chiesa, come Chiesa e come cristiani non andiamo da nessuna parte.
articolo pubblicato il 21.3.2016 nel Blog dell’Autore in Religión Digital