sessismo e razzismo, odio e militarizzazione ottengono consenso maggioritario

quelle urne sommerse da sessismo e razzismo

un commento inedito della filosofa statunitense a proposito dell’elezione presidenziale di Donald Trump. «Con quali condizioni abbiamo a che fare se l’odio più scatenato e la più sfrenata smania di militarizzazione riescono a ottenere il consenso della maggioranza?»

di Judith Butlerjudith-butler

Due sono le domande che gli elettori statunitensi che stanno a sinistra del centro si stanno ponendo. Chi sono queste persone che hanno votato per Trump? E perché non ci siamo fatti trovare pronti, davanti a questo epilogo? La parola «devastazione» si approssima a malapena a ciò che sentono, al momento, molte tra le persone che conosco. Evidentemente non era ben chiaro quanto enorme fosse la rabbia contro le élites, quanto enorme fosse l’astio dei maschi bianchi contro il femminismo e contro i vari movimenti per i diritti civili, quanto demoralizzati fossero ampi strati della popolazione, a causa delle varie forme di spossessamento economico, e quanto eccitante potesse apparire l’idea di nuove forme di isolamento protezionistico, di nuovi muri, o di nuove forme di bellicosità nazionalista. Non stiamo forse assistendo a un backlash del fondamentalismo bianco? Perché non ci era abbastanza evidente? Proprio come alcune tra le nostre amiche inglesi, anche qui abbiamo maturato un certo scetticismo nei riguardi dei sondaggi. A chi si sono rivolti, e chi hanno tralasciato? Gli intervistati hanno detto la verità? È vero che la vasta maggioranza degli elettori è composta da maschi bianchi e che molte persone non bianche sono escluse dal voto? Da chi è composto questo elettorato arrabbiato e distruttivo che preferirebbe essere governato da un pessimo uomo piuttosto che da una donna? Da chi è composto questo elettorato arrabbiato e nichilista che imputa solo alla candidata democratica le devastazioni del neoliberismo e del capitalismo più sregolato? È dirimente focalizzare la nostra attenzione sul populismo, di destra e di sinistra, e sulla misoginia – su quanto in profondità essa possa operare. Hillary viene identificata come parte dell’establishment, ovviamente. Ciò che tuttavia non deve essere sottostimata è la profonda rabbia nutrita nei riguardi di Hillary, la collera nei suoi confronti, che in parte segue la misoginia e la repulsione già nutrita per Obama, la quale era alimentata da una latente forma di razzismo. Trump ha catalizzato la rabbia più profonda contro il femminismo ed è visto come un tutore dell’ordine e della sicurezza, contrario al multiculturalismo – inteso come minaccia ai privilegi bianchi – e all’immigrazione.

trump E la vuota retorica di una falsa potenza ha infine trionfato, segno di una disperazione che è molto più pervasiva di quanto riusciamo a immaginare. Ciò a cui stiamo assistendo è forse una reazione di disgusto nei riguardi del primo presidente nero che va di pari passo con la rabbia, da parte di molti uomini e di qualche donna, nei riguardi della possibilità che a divenire presidente fosse proprio una donna? Per un mondo a cui piace definirsi sempre più postrazziale e postfemminista non deve essere facile prendere atto di quanto il sessismo e il razzismo presiedano ai criteri di giudizio e consentano tranquillamente di scavalcare ogni obiettivo democratico e inclusivo – e tutto ciò è indice delle passioni sadiche, tristi e distruttive che guidano il nostro paese. Chi sono allora quelle persone che hanno votato per Trump – ma, soprattutto, chi siamo noi, che non siamo state in grado di renderci conto del suo potere, che non siamo stati in grado di prevenirlo, che non volevamo credere che le persone avrebbero votato per un uomo che dice cose apertamente razziste e xenofobe, la cui storia è segnata dagli abusi sessuali, dallo sfruttamento di chi lavorava per lui, dallo sdegno per la Costituzione, per i migranti, e che oggi è seriamente intenzionato a militarizzare, militarizzare, militarizzare? Pensiamo forse di essere al sicuro, nelle nostre isole di pensiero di sinistra radicale e libertario? O forse abbiamo semplicemente un’idea troppo ingenua della natura umana? Con quali condizioni abbiamo a che fare se l’odio più scatenato e la più sfrenata smania di militarizzazione riescono a ottenere il consenso della maggioranza?
Chiaramente, non siamo in grado di dire nulla a proposito di quella porzione di popolazione che si è recata alle urne e che ha votato per lui. Ma c’è una cosa che però dobbiamo domandarci, e cioè come sia stato possibile che la democrazia parlamentare ci abbia potuti condurre a eleggere un presidente radicalmente antidemocratico. Dobbiamo prepararci a essere un movimento di resistenza, più che un partito politico. D’altronde, al suo quartier generale a New York, questa notte, i supporter di Trump rivelavano senza alcuna vergogna il proprio odio esuberante al grido di «We hate Muslims, we hate blacks, we want to take our country back». (traduzione di Federico Zappino)

ciò che pensano gli italiani degli zingari … ma tutti iniziano il discorso dicendo “io non sono razzista!”

la nostra fotografia di guerra contro gli zingari

siamo abituati, purtroppo, a sentire e leggere espressioni così cattive e razziste nei confronti degli zingari, ma ascoltarle e leggerle (vedi i il video ‘The Zen Circus – Zingara – il cattivista, qui sotto riportato) così di seguito senza tirare il fiato fa soffrire molto non tanto per gli insulti e le offese nei confronti del popolo zingaro il quale è abituato ad essere calpestato, ma per la bassezza e lo squallore di umanità che dimostrano

è una vera e propria  ‘fotografia (di guerra) del paese in cui viviamo’ -annotano gli autori del filmato strabiliati per quello che hanno raccolto da una semplice ‘chiave di ricerca’ – augurandosi che almeno serva ‘per guardrsi allo specchio’

zingara1

 

“per favore smettete di usare la povertà altrui per spargere odio”

 

“io, italiana povera, non penso che i migranti mi stiano togliendo il pane”

e il post di Francesca, 22 anni, diventa virale


COMBO

 

 ha solo 22 anni, Francesca Iacono, ed è una ragazza come ce ne sono tante. Anche la sua storia, raccontata in un lungo sfogo su Facebook, non è poi così inusuale. Per questo, forse, il suo post ha ricevuto oltre 24 mila like ed è stato condiviso da oltre 9mila persone. Perché Francesca racconta della sua vita “da povera”, ma di una “povertà gestibile”, come la chiama lei.

Racconta la trafila della richiesta di sussidi, di quella per un posto in una casa popolare, racconta del lavoro cercato e non travato, dell’adeguarsi a certe condizioni per poter avere di cosa vivere. E poi ancora della macchina di “quinta mano” e dei “libri in comodato d’uso”. Eppure, assicura Francesca, nonostante questo, mai che le sia venuto in mente di credere che i migranti le “stanno togliendo il pane di bocca, le popolazioni rom e sinti non hanno più diritti di me”.

“Non sono arrabbiata con i rifugiati né penso che le difficoltà della mia famiglia siano lontanamente paragonabili alle loro. Siete voi che siete razzisti, credete ad ogni minchiata sparata dal primo Salvini di turno, siete di un’ignoranza e di una cecità crassa e per favore smettete di usare la povertà altrui per spargere odio mentre progettate le vacanze, STRONZI”.

 post

 

stiamo regredendo alla primitiva ‘cultura del nemico’

lo psichiatra Vittorino Andreoli

“livello di civiltà disastroso, regrediti alla cultura del nemico”

 

Migrazioni e razzismo. Lo psichiatra Vittorino Andreoli: “Livello di civiltà disastroso, regrediti alla cultura del nemico”
Nonostante il refrain contro i migranti sia sempre lo stesso: “Premesso che non sono razzista…”, nelle società occidentali il razzismo sta uscendo allo scoperto e rischia di essere legittimato come una opinione.

Nonostante il refrain contro i migranti sia sempre lo stesso: “Premesso che non sono razzista…”, nelle società occidentali il razzismo sta uscendo allo scoperto e rischia di essere legittimato come una opinione. Secondo lo psichiatra Vittorino Andreoli siamo in “una cornice di civiltà disastrosa”, l’Italia e l’Occidente stanno “regredendo alle pulsioni istintive”, al dominio della “cultura del nemico”: “La superficialità porta l’identità a fondarsi sul nemico. Se uno non ha un nemico non riesce a caratterizzare se stesso”.

Dall’America all’Europa all’Italia sembra uscire allo scoperto, fomentato da politici e media irresponsabili e amplificato dai pareri espressi sui social media, un clima aperto di razzismo e xenofobia, come se l’espressione di odio razziale nei confronti dei migranti o delle minoranze, anche con linguaggi e gesti violenti, non sia più un tabù ma una legittima opinione. L’episodio di Fermo, con l’uccisione del nigeriano le cui dinamiche chiarirà la magistratura, ha avuto uno strascico di posizioni opposte sui social. Molti difendono apertamente l’aggressore, come se la violenza, verbale e poi fisica, dell’insulto razziale sia legittima. Mentre il refrain contro i migranti è sempre lo stesso: “Premesso che non sono razzista…”. Cosa ci sta succedendo? Lo abbiamo chiesto allo psichiatra Vittorino Andreoli, ma la premessa che anticipa tutta la riflessione è semplice e sconfortante: “Questa società non mi piace”.

Cosa sta succedendo alle nostre società occidentali?

Sono stati consumati, se non distrutti, alcuni principi, che erano alla base della nostra civiltà, che nasce in Grecia, a cui si aggiunge il cristianesimo. Non c’è più rispetto per l’altro, la morte è diventata banale, tanto che uccidere è una modalità per risolvere un problema. Non c’è più il senso del mistero e del limite dell’uomo. L’episodio di Fermo va inserito in una cornice di civiltà disastrosa. Non esiste più l’applicazione dei principi morali della società e c’è un affastellarsi di leggi, come se le leggi possano sostituire i principi. Oggi domina la cultura del nemico: la superficialità porta l’identità a fondarsi sul nemico. Se uno non ha un nemico non riesce a caratterizzare se stesso. Questa è una regressione antropologica perché si va alle pulsioni. Tutto questo è favorito da partiti che sostengono l’odio, lo stesso agire sociale è fatto di nemici. Perfino nelle istituzioni religiose qualche volta si affaccia il nemico. In questo quadro tornano le questioni razziali.

Qualcuno dice: “non è razzismo, è superficialità”. Io ribatto: no è razzismo.

E’ considerare l’altro inferiore perché ha quelle caratteristiche, per cui bisogna combatterlo. Se uno è diverso da te è un nemico e va combattuto. Si arriva alla legge del taglione. Si torna a fare la guerra perché il diverso è un nemico che porta via soldi, posti di lavoro, eccetera. Così come c’è una gerarchia dei potenti c’è anche una gerarchia di razze. Perché sono presi di mira solo alcuni.

Il razzismo e i pregiudizi sono però universalmente presenti nel cuore dell’uomo, a prescindere dalle nazioni. I fatti di questi giorni negli Usa ne sono un esempio.

E’ sicuramente un istinto presente nella nostra biologia, nella nostra natura, ossia la lotta per la sopravvivenza di cui parlava Darwin, la lotta per la difesa del territorio. Ma tipico dell’uomo non è solo la biologia ma la cultura. E la cultura dovrebbe essere quella condizione in cui rispettiamo gli altri e riusciamo a frenare un istinto. Il problema è: come mai la cultura che caratterizza l’uomo e consiste nel controllo delle pulsioni non c’è più? Tutta una cultura che si era costruita fino a epigoni che erano quelli dell’amore, della fratellanza, è completamente recitata ma non vissuta.

Questo è un Paese, ma anche tutto l’Occidente, che sta regredendo alla pulsionalità, all’uomo pulsionale. Ciò che mi spaventa e mi addolora è che per raggiungere una cultura ci vuole tanto tempo e la si può perdere in una generazione.

Gli episodi che osserviamo sono silenziosamente sostenuti da tante persone. Non dicono niente ma li approvano. Bisogna impedire che ci sia chi soffia sul fuoco. Nessuno parla del valore della conoscenza utile nell’avvicinare altre storie, altre culture. Tutto viene mostrato come negativo: gli immigrati fanno perdere posti di lavoro, c’è violenza e criminalità. Il problema è che all’origine c’è sempre una esclusione. E’ terribile, stiamo diventando un popolo incivile.

Nei dibattiti pubblici, soprattutto sui social, c’è sempre un “noi” contro “loro”: i migranti, più deboli, diventano il capro espiatorio di tutti i mali.

Certo, questo è il principio darwiniano. L’evoluzione si lega alla lotta per l’esistenza: “mors tua, vita mea”. Bisogna eliminare il nemico, deve vincere la mia tribù che deve prendere il tuo territorio. E’ una regressione spaventosa. Poi c’è la crisi che ha sottolineato la paura, le incertezze. E la paura genera sempre violenza. Ci rendiamo conto che, in un Paese che non legge, un giornale ha regalato il Mein Kampf di Hitler? Perché non hanno regalato “La pace perpetua” di Kant?

Marketing, ricerca di consenso e voti, incoscienza: quali sono, secondo lei, le vere ragioni dietro a scelte così pericolose? Come fare per arginarle?

Non è follia, è stupidità. Bisogna prendere una posizione molto decisa: non è più possibile fare finta. Questa è una società falsa, che recita. Andiamo incontro a situazioni che saranno di nuovo drammatiche.Ci vuole più coraggio anche nella Chiesa. Il Papa lo ha avuto nel suo schierarsi dalla parte dei migranti, ma ci sono quelli che non sono d’accordo. Bisogna cominciare a dire che questa nazione deve cercare di far emergere uomini e donne saggi, intelligenti. Stiamo scegliendo i peggiori. C’è una ignoranza spaventosa.  Bisogna poter parlare, spiegare, capirsi. Occorrono persone credibili per parlare ai giovani, ma la via è sempre quella della cultura. Fare promozione, educazione, dimostrare quanta positività c’è in chi viene odiato, per stimolare al rispetto nei loro confronti.

Con i giovani è più facile perché sono come pagine bianche di un libro da scrivere. Ma con adulti già formati come si fa? E’ una battaglia già persa in partenza?

No, perché l’espressione esplicita dei pregiudizi nasce dal sentirsi sostenuti. Se nascondono ancora il loro pensiero sono recuperabili. Il problema emerge quando ci si sente in tanti a pensarlo. Bisogna far scoprire cosa c’è nell’altro, cosa significa una società diversa.

Purtroppo oggi sui social non si nasconde più il proprio pensiero: lo schermo del computer protegge dal confronto diretto, le affermazioni diventano più violente e l’espressione dei pregiudizi, anche in maniera razionale, serve solo a rafforzare l’ego…

E’ vero. Questo è più grave, perché se uno stava zitto e si esprimeva a casa, agiva male solo in famiglia. Adesso diventa un’azione diffusa, trasformandosi in vera e propria propaganda.

Italia razzista’?

l’Italia non è razzista ma i razzisti ci sono

di Paolo Lambruschi
in “Avvenire”

la vera Italia non è razzista. Lo pensiamo anche noi, perché lo abbiamo verificato tante volte e continuiamo ad averne conferme

Emmanuel nigeriano

Non ci fa cambiare idea neanche il pestaggio mortale di Emmanuel, nostro fratello nato in Nigeria. Non ci fa mutare avviso neanche il gesto orribile di un ultrà della locale squadra di calcio, fermato per «omicidio preterintenzionale con l’aggravante della finalità razziale» e, a quanto pare, non nuovo a intemperanze e violenze. Non è razzista l’Italia, né lo è la popolazione marchigiana e crediamo sia sincero chi oggi si commuove ed è addolorato per quello che è accaduto. L’Italia accogliente di Lampedusa e di Ventimiglia ha molto in comune con le Marche solidali. Questa profonda convinzione non consente, comunque, di abbassare la guardia, perché i segnali di allarme sono numerosi. E i cinici e i razzisti purtroppo ci sono. Per anni li abbiamo visti sistematicamente sottovalutati. Infatti, accanto ai grandi gesti di solidarietà e accoglienza compiuti dalla parte sana del Paese in tante emergenze gestite in modo altalenante dalla pubblica amministrazione, cattivi maestri hanno potuto imperversare diffondendo impunemente in tv, per radio, attraverso giornali compiacenti e sul web fior di menzogne pur di parlare alla ‘pancia’ della gente e guadagnare consensi, popolarità, voti. Come non ricordare, per esempio, chi in Senato ha dato dell’«orango» ad avversari politici nati in Africa, portando l’insulto da osteria nella sede più alta della rappresentanza popolare? E soprattutto come dimenticare chi ha continuato a gridare su tutti i mass media all’«invasione» dei migranti – incurante di ogni smentita dei numeri – ad alimentare sentimenti xenofobi e a predire la «violenza nelle strade»? Questi cinici ‘profeti di sventura’ l’hanno azzeccata. Alcuni si preoccupano di offrire pubblica solidarietà alla fidanzata della persona uccisa. Non è mai troppo tardi, ma non basta. Troppi veleni e troppo male sono stati messi in circolo. Davvero troppi, per non farci altrettanto pubblicamente i conti. È importante, adesso, non sottovalutare più alcun segnale d’allarme.Emmanuel

A cominciare, ad esempio, dagli attentati alle chiese di Fermo compiuti nei mesi scorsi, come ha ricordato più volte don Vinicio Albanesi, e dalle continue intimidazioni ai danni di diverse Caritas diocesane che praticano l’accoglienza (in Romagna non è stato risparmiato neppure un convento di clausura). Gesti compiuti da estremisti di destra. Comunque sia andata l’aggressione mortale (sarà l’autopsia a stabilirlo) anche l’uomo che ha ucciso Emmanuel ha fama di essere di quella brutta scuola e di quegli oscuri manipoli. L’opinione pubblica italiana – che, insistiamo, non è razzista – ha un grosso problema che si potrà risolvere soltanto nel lungo periodo: è il Paese più «ignorante» dell’area Ocse in materia di immigrazione. E la colpa è soprattutto dei giornalisti e dei politici che disinformano o distorcono la realtà dei fatti per mediocri tornaconti. Per di più, storie come quella del giovane nigeriano pestato a sangue, e stavolta a morte, per aver difeso la propria donna, la propria madre, la propria sorella da chi la oltraggia o la chiama «scimmia africana» sono sconosciute ai più, anche se sono purtroppo dannatamente comuni. Raccontiamola di nuovo, in breve. Emmanuel, 36enne richiedente asilo, era un profugo dalla Nigeria, un cristiano che in un assalto compiuto dai terroristi jihadisti di Boko Haram contro la sua chiesa aveva perso i genitori e una figlioletta. Con la sua promessa sposa Chinyery aveva raggiunto la Libia e anche lì i due erano stati aggrediti e picchiati da trafficanti, lei aveva anche subito un aborto durante la traversata. Da settembre la coppia viveva nel seminario vescovile di Fermo, che accoglie profughi e migranti in attesa di documenti, avevano di recente celebrato il rito della benedizione degli anelli. Un
fidanzamento davanti a Dio e alla comunità. È la storia semplice di un amore profondo, di due persone che avevano deciso di condividere la vita e che hanno avuto il torto di nascere e amarsi in una terra dalla quale i cristiani sono costretti a fuggire per sopravvivere. Emmanuel aveva chiesto asilo, Chinyery l’ha ottenuto ieri mentre cantava straziata il dolore per l’amato ucciso. Non si torna indietro, ma se si vuole avere davvero rispetto di quest’uomo e di questa donna e della loro speranza infranta, questa volta non possiamo dimenticare nulla, non possiamo farci riprendere dall’indifferenza. La vera malattia da cui dobbiamo difenderci per non lasciare che i professionisti della paura e della menzogna narcotizzino le nostre coscienze e preparino altre tragedie.

riviste missionarie reagiscono duramente per l’uccisione del nigeriano da parte di un ultrà

difende la compagna da insulti razzisti

nigeriano picchiato a morte da ultrà locale

Fermo, difende la compagna da insulti razzisti. Nigeriano picchiato a morte da ultrà locale
Emmanuel Chidi Namdi e la compagna Chinyery 

Emmanuel Chidi Namdi, 36 anni, era fuggito con la 24enne Chinyery da Boko Haram, trovando ospitalità presso il seminario della cittadina marchigiana. Martedì l’aggressore si è rivolto alla donna chiamandola “scimmia”. Don Albanesi: “Stesso giro delle bombe davanti alle chiese”. Renzi: il governo a Fermo contro odio, razzismo e violenza

di PAOLO GALLORI e CHIARA NARDINOCCHI

Morto, ammazzato di botte. Un nigeriano di 36 anni, Emmanuel Chidi Namdi, richiedente asilo, è stato aggredito nel pomeriggio di ieri, martedì 5 luglio, da un fermano di 38 anni, ultrà della squadra di calcio locale. Camminava in via XX Settembre insieme alla compagna Chinyery, 24 anni, non lontano dal seminario arcivescovile di Fermo dove la coppia era ospite.

La dinamica di quanto accaduto non è ancora stata accertata. Stando a una prima ricostruzione della polizia, Namdi stava camminando con la ragazza quando due residenti del posto hanno iniziato a insultarla chiamandola “scimmia”. Emmanuel ha reagito, mossa che ha scatenato la violenza. Non è chiaro chi tra Namdi e l’ultrà 38enne abbia sradicato un palo della segnaletica usandolo come arma. L’unica cosa certa è che alla fine della rissa, il richiedente asilo è caduto a terra, poi è stato finito a calci e pugni. Uno dei colpi ha causato un’emorragia cerebrale che l’ha portato in coma irreversibile. Anche lei è stata picchiata, ha riportato escoriazioni alle braccia e a una gamba guaribili in sette giorni. 
 
Nel pomeriggio i medici hanno decretato la morte cerebrale di Namdi. Chinyery ha chiesto la donazione degli organi, ma il suo desiderio non è stato esaudito per la mancanza dei documenti necessari.

L’autore del pestaggio era già noto alle forze dell’ordine per altri episodi di violenza che gli sono costati un Daspo di quattro anni. 

La difesa dell’ultrà e del suo amico – secondo il racconto della donna – è stata in un primo momento dire che avevano visto la coppia guardare in modo sospetto dentro le macchine parcheggiate sulla via. Ma ci sono molti testimoni, e saranno ascolati dalla procura. L’ultrà diffidato è stato denunciato a piede libero per lesioni gravissime. Ma dopo la morte di Emmanuel probabilmente la procura formulerà un nuovo capo d’imputazione.

Emmanuel Chidi Namdi e la compagna Chinyery erano arrivati al seminario vescovile di Fermo lo scorso settembre, fuggiti dalla Nigeria dopo l’assalto di Boko Haram a una chiesa. Nell’esplosione erano morti i genitori della coppia e una figlioletta. Prima di sbarcare a Palermo, avevano attraversato la Libia, dove erano stati aggrediti e picchiati da malviventi del posto. Durante la traversata, Chinyery aveva abortito. 

E adesso don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, accusa: “E’ stata una provocazione gratuita e a freddo, ritengo che si tratti dello stesso giro delle bombe davanti alle chiese“. Riferimento ai quattro ordigni piazzati nei mesi scorsi di fronte a edifici di culto di Fermo. Don Albanesi, anche presidente della fondazione Caritas in Veritate che assiste migranti e profughi, si costituirà parte civile.

Il premier Matteo Renzi ha telefonato a don Albanesi per esprimere la sua solidarietà e vicinanza per la morte del cittadino nigeriano. Renzi, come lui stesso ha ricordato al telefono, aveva conosciuto don Albanesi quando faceva parte dei giovani scout. Il premier ha anticipato la presenza a Fermo domani del ministro dell’Interno Angelino Alfano.

Parla di “sgomento e indignazione” la presidente della Camera Laura Boldrini, appresa la notizia che “un uomo che era venuto via dal suo Paese per scampare alla ferocia dei terroristi di Boko Haram ha perso la vita qui da noi, in Italia, sotto i colpi dell’odio razzista e xenofobo”. “Mi addolora ancor di più – scrive Boldrini in una nota – che questo fatto orribile sia avvenuto nella mia regione, che è sempre stata terra di solidarietà e di accoglienza. Abbraccio nel modo più affettuoso la giovane compagna dell’uomo ucciso e mi auguro che dal territorio, già investito nei mesi scorsi da episodi inquietanti come gli attentati alle chiese della zona, arrivi la risposta più netta, capace di isolare ed espellere i violenti”.

Monsignor Albanesi aveva unito secondo un rituale risalente al medioevo Emmanuel e Chinyery poiché senza documenti non era possibile celebrare il matrimonio: “La ragazza era sua convivente stabile, ma non si erano ancora sposati. Se la legge lo permetterà, lei potrebbe donare gli organi”.

Fermo, difende la compagna da insulti razzisti. Nigeriano picchiato a morte da ultrà locale

Nelle stesse ore, quando la sorte del nigeriano era parsa segnata, il sindaco di Fermo, Paolo Calcinaro, in una nota, aveva espresso il suo dolore e condannato non solo il brutale episodio ma anche lo “strisciante razzismo che non può e non deve trovare spazio nel modo più assoluto nella nostra città”. “La comunità di Fermo – ribadisce Calcinato – è conosciuta come esempio virtuoso di integrazione e accoglienza anche rispetto a chi rifugge da drammi inenarrabili. Non merita di essere bollata per quanto emergerà da questo episodio, ma deve invece rivendicare con forza lo spirito che ha sempre contraddistinto la sua realtà, le etnie straniere, i nuovi cittadini italiani e i figli di tutti loro, che stanno crescendo insieme, senza discriminazione”.

Era intervenuta anche l’Anpi provinciale di Fermo, per ricordare come Emmanuel e Chinyery, “nostri fratelli e compagni, vittime delle persecuzioni e delle guerre civili nel loro Paese” sono anche “vittime della violenza fascista e razzista in Italia”. Perché, sottolinea l’Anpi, i “due cosiddetti cittadini italiani” coinvolti nella brutta vicenda sono “noti da tempo alle forze dell’ordine come ultras ed elementi della destra fascista”, “stupidi pericolosi sicari generati da un clima di intolleranza, di paura e d’odio innescato volutamente da quanti pensano di far leva sulle angosce e i timori della gente in difficoltà per avvantaggiarsene politicamente ed economicamente”.

Apparteniamo tutti alla stessa famiglia umana

Apparteniamo tutti alla stessa famiglia umana”. Così reagiscono “Missione Oggi” e “Missionari Saveriani”, le riviste dei Saveriani in Italia, alla barbara morte di Emmanuel Chidi Namdi, nigeriano 36enne, richiedente asilo, aggredito martedì 5 luglio, da un ultrà di Fermo, mentre camminava non lontano dal seminario arcivescovile dov’era ospite insieme alla compagna Chinyery. Ancora una volta, nel nostro paese ha preso forma la folle “gratuità” del male paradossalmente nello stesso luogo, via XX Settembre, in cui il richiedente asilo era stato toccato dalla “gratuità” del bene, l’ospitalità del seminario. Diciamo no alla follia del male “gratuito”, alimentato della cecità dell’odio, del razzismo e della violenza, che ci sta facendo perdere la fiducia in noi stessi come italiani, la fiducia nell’altro come straniero e la fiducia nel futuro del nostro bel paese.

Ci sembra più che mai pertinente il pensiero del pastore luterano tedesco, internato 9 anni a Dachau, Martin Niemöller, Berlino 1932:

Prima di tutto vennero

a prendere gli zingari

e fui contento

perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere

gli ebrei

e stetti zitto perché

mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere

gli omosessuali

e fui sollevato

perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere

i comunisti

ed io non dissi niente

perché non ero comunista.

Un giorno vennero

a prendere me

e non c’era rimasto

nessuno a protestare.


bimba rom di due anni: un sorriso che converte

rom

lezioni di vita

da sud a sud…

Rom-elemosina
Bari, Piazza Mercantile: sono al bar, con due cari amici. Si dialoga sui mali della società, delle cose che non vanno, di quel che si potrebbe cambiare. Idee per un Sud migliore, capace di camminare sulle proprie gambe, senza stampelle. Ho avuto una brutta settimana. E mi è capitato, come a chissà quanti altri, di aver avuto viscido contatto con gente talmente “per bene” da ridurre la propria dignità a raschiare il fondo del barile dell’umano squallore. Si scambiavano impressioni anche su questo, ahimè.

Si avvicina al nostro tavolo una donna rom con bimba in braccio. Noi pronti a fingere di non averla vista. Il solito carosello di venditori di rose, ragazzi addobbati di chincaglierie come abeti natalizi, e altri mendicanti. Lei sorride e ci chiede di prendere un gelato per la bimba, dall’età apparente di 2 anni. Bimba bellissima, che ci guardava con occhi curiosi e vispi. Ci scruta, dalla sua postazione, quasi asettica, probabilmente avvezza a reazioni di ogni tipo, a fronte delle richieste di denaro avanzate dalla mamma.  Così inopinatamente interrotti, noi ci guardiamo e quasi all’unisono diciamo alla mamma: “Va bene, ma solo se prendiamo il gelato”. Lei: “Certo, grazie”. Quasi sorpresa per la nostra richiesta.
Entro, vado alla cassa, mamma e figlia al seguito, acquisto un gelato. Lei aveva già preso lo scontrino dalla cassiera e non me ne ero neanche accorto. Attendevo, come appeso, la bimba mi guardava, forse sorpresa perché mi attardavo. Sorridiamo un attimo, di quel mio indugiare superfluo. Decido che il mio ruolo di accusatore etnico ha già messo a dura prova tutta la mia dignità.
Saluto e vado via. Dopo pochi istanti, la bimba arriva di corsa al nostro tavolo, rimane immobile e ci guarda. Noi le sorridiamo e le diciamo: “Vai da mamma, sù, a prendere il gelato”. Lei attende, inspiegabilmente, sceglie un momento di silenzio, come un bimbo che deve dire la poesia nel giorno di festa, infine sussurra un tenerissimo “Grazie!”. Poi sorride. I nostri cuori si sono sciolti in un istante. Uno di noi, interpretando perfettamente forse il pensiero di tutti e tre, fa notare quanto fossimo prevenuti, anche noi, come tanti altri sporchi razzisti. Proprio come quelli che tanto ribrezzo ci fanno. Anche questi sono i rom che la società preferisce emarginare, anche per creare i grandi affari su cui speculare? Come a Roma?

Tuttavia, non convinto del tutto l’accusatore che è dentro di me, quasi inavvertitamente, con un gesto automatico, ruoto la sedia di quel tanto che mi consente di guardare l’ingresso, per verificare se davvero quella bimba abbia ricevuto il suo cono o meno. Dubitavo, ancora. Partecipando, un po’ distratto, alla nostra conversazione, che nel frattempo è ricominciata. Finché la mamma esce con la bimba trionfante in un braccio, con in mano il suo bel cono gelato. La mamma ci saluta educatamente e va via. La piccolina ci guarda, sorridente.

Predichiamo quotidianamente contro le varie declinazioni della discriminazione, ci indigniamo, e poi compiamo, più o meno inconsapevolmente, i nostri piccoli gesti di razzismo interiore. Non si combatte il razzismo con il cuore gonfio di pregiudizi e alimentando i luoghi comuni. Parola di meridionale.

Forza, piccolina, cambia questo mondo orribile, comincia con la forza irresistibile del sorriso, come hai fatto oggi col mio cuore…

‘scimmia’, ‘schiavo’, ‘tornatene in Africa’ … gli epiteti razzisti sui nostri social

razzismo e social network

l’esperimento contro i pregiudizi

vedi, qui sotto, il video:

Marisa Labanca Marisa Labanca

In quella che sembra essere una sala di attesa, un extracomunitario chiede alle persone, che di volta in volta gli siedono accanto, di tradurgli dei post che qualcuno ha pubblicato scrivendo in lituano sulla sua pagina Facebook. E’ arrivato da poco in Lituania, non sa ancora parlare bene la lingua e ha bisogno di un aiuto per capire il senso di quelle parole. Donne, uomini e perfino un bambino si dimostrano subito molto disponibili, ma non appena gli occhi si posano sul tablet la loro espressione cambia.

Scuotono la testa, stringono le labbra perché quelli che stanno leggendo non sono semplici commenti ma pesanti insulti razziali. Talmente umilianti che nessuno di loro ha il coraggio di ripeterli. “Scimmia”, “schiavo”, “tornatene in Africa”. E alla fine, ognuna di quelle persone sente il dovere di chiedere scusa. Nonostante non siano loro gli autori dei commenti, il solo fatto di averli letti genera vergogna e dispiacere.

L’esperimento è stato realizzato da un’agenzia lituana per contrastare gli insulti razziali diffusi sul web. Il 21 marzo è la Giornata mondiale per l’eliminazione delle discriminazioni razziali e anche l’Italia ha preso posizione con l’XI settimana di azione contro il razzismo organizzata dall’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razzial Lo slogan di quest’anno è “Accendi la mente, spegni i pregiudizi”, invitando tutti ad utilizzare la propria intelligenza per aprirsi all’altro, imparare a conoscerlo superando le barriere di razza, cultura o religione.

 

italiani brava gente?

“Noi italiani, popolo di emigranti senza cultura dell’ospitalità”

intervista a Giovanni De Luna

De Luna

a cura di Mattia Feltri in “La Stampa” del 20 luglio 2015

Professor Giovanni De Luna, la ribellione di molti italiani agli immigrati è razzismo? «Credo che l’essenza del razzismo sia nell’umanità vista attraverso un concetto gerarchico, nell’individuazione di uomini inferiori da parte di uomini che si dicono superiori non soltanto per il colore della pelle, ma per l’etnia, per la cultura, per l’appartenenza ideologica o religiosa».

Lei crede che gli italiani si sentano superiori?

«Dico che non tutti gli uomini sono messi su un piano di parità: quante volte sentiamo dire che noi siamo meglio di loro? Questo è razzismo. C’è anche altro, c’è uno slogan che rende l’idea: ognuno è padrone a casa propria. È uno slogan che dà l’idea di una concezione esclusivista, del rifiuto di includere il diverso. E che cosa possiamo aspettarci se descriviamo l’Italia come una fortezza assediata? C’è una netta separazione fra noi e loro che nasce da una paura del confronto».

E da che cosa dipende tutta questa paura? Non può essere soltanto autosuggestione. «Ci sono importanti ragioni culturali. Negli ultimi venti anni siamo stati scaraventati dentro un mondo globalizzato che ha scardinato tutte le nostre certezze, si è sbriciolato lo stato nazionale, sono stati cancellati i confini. Si fa fatica a trovare la bussola. E si reagisce con paura. Pensate alla Lega degli esordi, quella degli anni Ottanta…».

Ma quella era una Lega ostile al centralismo e che voleva staccarsi dall’Italia per essere europea.

«Naturalmente, era la Lega dei padroncini del nord est che dovevano confrontarsi con la fine del Novecento e dei suoi punti di riferimento, con l’avvento della dimensione immateriale del commercio. E come reagivano? Con paura e odio. Si diceva “Roma ladrona”. C’era un forte razzismo verso i meridionali additati come causa di ogni nostro male, e fino all’altro ieri: ricordate il video in cui Matteo Salvini dà ai napoletani dei terremotati e dei colerosi?».

Oggi non è soltanto la Lega.

«No, ci sono anche gruppi di estrema destra come Casa Pound e Forza Nuova. Ma ricordo una recente campagna elettorale del centrodestra (Politiche e Amministrative 2008, ndr) tutta puntata sulla sicurezza. Sono imprenditori della politica per i quali la paura è diventato un capitale da spendere. E poi c’è un altro problema: non abbiamo nessuna tradizione di ospitalità, noi italiani siamo sempre partiti, siamo emigranti».

Tutta colpa della destra?

«Non soltanto. La classe politica nel suo complesso offre una sensazione di inadeguatezza. Le reazioni degli italiani in questi giorni dipendono da una paura che discende dal pregiudizio e il pregiudizio è nemico della conoscenza. E come si fa a scalzare il pregiudizio? Confrontandosi con la realtà e non con la sua rappresentazione. Guardate, non sono dinamiche nuove: ricordo che quando ero bambino si leggevano sui giornali del nord titoli come “donna scippata da un meridionale”. Però allora c’erano strumenti di integrazione formidabili. A Torino c’era la Fiat, dove lavoravano 60 mila operai, moltissimi del sud, che conoscendosi hanno superato il pregiudizio».

Professore, poi c’è il terrorismo islamico. C’è la criminalità.

«La criminalità non è aumentata, lo dicono tutte le statistiche. Poi, certo, davanti al terrorismo islamico chiunque di noi si schiera sul canale di Otranto perché nessuno passi. Però le immagini di decapitazioni o quelle dei ragazzini che giustiziano i prigionieri sono terribili ma anche produzioni da set televisivi. Non c’è più niente di arcaico. E poi mi viene in mente la testa di Abuna Petròs, il capo supremo della chiesa copta in Etiopia che nel 1936 fu decapitato dagli italiani, e la sua testa esposta dentro una scatola di biscotti Lazzaroni».

Dunque è un abbaglio collettivo.

«Attenzione, ci sono problemi reali. Penso ai rom. Certo che i rom rubano, ma la nostra reazione si limita a due stereotipi, uno secondo cui tutti i rom rubano e l’altro secondo cui tutti i rom sono buoni».

L’incontro fra noi e gli immigrati porterà alla conoscenza e alla fine del pregiudizio? «Lo spero. Abbiamo un tessuto civile che mi rende ottimista. A Ventimiglia c’era un contrasto straordinario fra l’inettitudine delle istituzioni europee e i volontari che portavano ombrelloni, acqua e cibo agli immigrati accampati sugli scogli».

peggio che razzisti!

Non siamo razzisti, siamo peggio

caccia agli immigrati a Casale San Nicola (Roma)

da ‘il manifesto’

La sim­bo­lo­gia del pogrom si era già espressa, a Quinto di Tre­viso, col rogo delle sup­pel­let­tili di uno degli alloggi desti­nati ai pro­fu­ghi: raz­ziate, get­tate in strada e date alle fiamme tra la folla plau­dente. Ora il maca­bro festino dell’intolleranza si arric­chi­sce di un det­ta­glio ancor più espli­cito: le minacce al pre­fetto di Roma, Franco Gabrielli, reo di non aver ceduto al ricatto dei cit­ta­dini «esa­spe­rati» di Casale San Nicola.

In uno sgan­ghe­rato mes­sag­gio via Face­book, l’autore delle minacce, il vice­pre­si­dente, leghi­sta, del con­si­glio regio­nale delle Mar­che, inde­gno della carica isti­tu­zio­nale che rico­pre, pro­mette «olio di ricino» al «porco di un comunista».

Siamo ormai a un punto di svolta allar­mante, con Sal­vini che vomita quo­ti­dia­na­mente ingiu­rie e cli­ché raz­zi­sti come: «Smet­tete di coc­co­lare migliaia di clan­de­stini. Acco­glie­teli in pre­fet­tura o a casa vostra, se pro­prio li volete».

Men­tre il sistema di acco­glienza dei pro­fu­ghi mostra tutta la sua ina­de­gua­tezza, men­tre sugli sco­gli di Ven­ti­mi­glia il gruppo di gio­vani esuli con­ti­nua a resi­stere da più di un mese, abban­do­nato da ogni isti­tu­zione cen­trale, il blocco fascio­le­ghi­sta, aiz­zato da capo­rioni quali Zaia e Sal­vini, imper­versa da Nord a Sud, gui­dando la rivolta dei «pro­prie­tari del ter­ri­to­rio»: marce, molo­tov, cas­so­netti incen­diati e saluti romani.

Arduo è que­sta volta giu­sti­fi­care i ten­tati pogrom con la reto­rica della guerra tra poveri, seb­bene alcuni media per­si­stano. Non siamo in peri­fe­rie estreme, degra­date e abban­do­nate, ma in un comune tutt’altro che povero, ammi­ni­strato da un mono­co­lore leghi­sta, e in un sob­borgo romano tutto ville e piscine.

In realtà, gli impren­di­tori poli­tici del raz­zi­smo, spal­leg­giati da quelli mediali, non fanno che legit­ti­mare od orga­niz­zare pro­te­ste che si nutrono di una per­ce­zione deli­rante degli altri: quella che li col­loca, sim­bo­li­ca­mente e fat­tual­mente, nella sfera dell’estraneità all’umano. Solo così è spie­ga­bile come si possa par­te­ci­pare o con­sen­tire al lan­cio di sassi e bot­ti­glie con­tro il fur­gone che a Casale San Nicola tra­spor­tava i dician­nove gio­vani richiedenti-asilo, già sgo­menti per aver dovuto abban­do­nare d’un tratto la siste­ma­zione pre­ce­dente e ter­ro­riz­zati dalla torma degli scalmanati.

In realtà, coloro che si sono lasciati gui­dare dai fascio­le­ghi­sti niente sanno dei pro­fu­ghi allog­giati o da allog­giare nel «loro ter­ri­to­rio»: non ne cono­scono nep­pure le nazio­na­lità. Gra­zie al mar­tel­la­mento mediale dovreb­bero, però, essere edotti dell’epopea che li vede tra­gici eroi del nostro tempo: la fuga da mondi in fiamme o in sfa­celo, l’estenuante tra­ver­sata peri­gliosa del Medi­ter­ra­neo, i cada­veri, anche di bam­bini, abban­do­nati alle acque nostre, le madri che sbar­cano orfane dei figli e i figli che appro­dano orfani dei geni­tori… Ma quel che forse sanno non li muove a pietà, non fa scat­tare la molla dell’empatia o solo della com­mi­se­ra­zione: il deli­rio pro­duce anche anaf­fet­ti­vità, com’è ben noto.

Nulla sanno di ognuno di loro. E di tutti non pos­sono dire nean­che che sono ladri e rapi­tori di bam­bini, come dicono abi­tual­mente degli «zin­gari». Eppure li hanno già cata­lo­gati come nemici della loro medio­cre tran­quil­lità bor­ghese o piccolo-borghese, che essa alber­ghi nelle ville con piscina di Casale San Nicola oppure in alloggi ordi­nari di Quinto di Treviso.

Sanno o dovreb­bero sapere quali gaglioffi siano i mili­tanti di Casa­Pound, Forza Nuova, Mili­tia Chri­sti, Fra­telli d’Italia, Lega Nord e via dicendo. Eppure è a loro che si affi­dano «per pro­teg­gere il nostro ter­ri­to­rio dagli extra­co­mu­ni­tari». Così una resi­dente di Casale San Nicola all’inviato del Cor­riere della Sera, Fabri­zio Ron­cone, in una dichia­ra­zione pre­ce­duta dal clas­sico «Noi non siamo raz­zi­sti, ma…», sublime per emble­ma­ti­cità razzista.

La molla dell’empatia, ma verso i difen­sori del loro ter­ri­to­rio, è invece scat­tata nel M5S: una dele­ga­zione, costi­tuita da par­la­men­tari e da con­si­glieri comu­nali e muni­ci­pali di Roma, si è affret­tata a rice­vere il «comi­tato spon­ta­neo di Casale San Nicola, riu­nito in presidio».

Niente di nuovo. Del pari, tutt’altro che ine­dita nella sto­ria ita­liana recente è la ten­ta­zione del pogrom. Ma è pro­prio que­sto a farci temere: il fatto che nulla cambi, se non in peg­gio, dopo quasi quarant’anni d’immigrazione in Italia.

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