la nostra identità di fondo è ‘relazione’
la completezza
«Dite all’uomo che è fine a se stesso e la sua risposta sarà la disperazione»
(AJ Heschel)
Siamo tutti alla ricerca di un incontro che ci salva: che sia un uomo, una donna o Dio. Avvertiamo una mancanza o più precisamente un’assenza. Comprendiamo che alcuni nodi della nostra esistenza possono essere sciolti solo con l’aiuto di un’altra mano, che i sotterranei della nostra anima sono così bui che non ce la facciamo a percorrerli da soli e che di frustrazione affettiva alla lunga si muore. La vita, in definitiva, è attesa di un incontro che restituisca senso all’attesa stessa. Un incontro capace di spiegare la sofferenza precedente e che promette di alleviare, condividendola, quella futura.
Vediamo nella nostra vita spuntare dei germogli che vorremmo far crescere e che invece a volte calpestiamo.
È necessario che Qualcuno li metta al riparo dalla nostra imperizia o meschinità e sappia curarli dopo essere stati danneggiati. Non siamo autarchici anche se spesso, ingannandoci, ci convinciamo del contrario. La relazione è iscritta nel nostro DNA. Siamo incompleti ed abbiamo una spinta, anche inconsapevole, alla pienezza. All’origine di tutti gli isolamenti c’è una ferita nelle relazioni. Nell’isolamento pensiamo di curarla meglio mentre la aggraviamo. Riconoscendo le nostre ferite riusciremo a perdonarci e la smetteremo di giocare all’uomo o donna invincibile. Accogliendo le nostre ferite vedremo con sguardo diverso anche quelle degli altri e potremo costruire relazioni autentiche. Siamo come malati in cerca di un incontro che ci guarisca. E tutto si compie in questo paradosso: entrare in se stessi per poterne uscire. Con l’aiuto di un Altro. Potremo impegnarci in tutti i lavori che troviamo, potremo distrarci con tutti gli hobby che esistono rimarrà sempre il problema della nostra anima in cerca di Qualcuno che le dica: “Sono io la tua salvezza”*.
*Salmo 35,3
da ‘altranarrazione’