italiani brava gente ma: “io meno male che affondano tutti nel mare … io ci passerei sopra con la ruspa”

 

il ‘cattivismo’ ci sta prendendo tutti fino a trasformarsi in vera emergenza nazionale

 “io quelli lì li ammazzerei tutti” in fondo siamo brava gente

una bella riflessione di Alessandro Robecchi

arobecchiC’è un’emergenza nazionale (un’altra!) di cui nessuno sentiva il bisogno, ma soprattutto che pochissimi paiono notare, il che la rende ancora più emergenza e anche molto nazionale (non vedere i muri prima di andarci a sbattere è una specialità di queste parti). Si chiama cattivismo. Si esprime con un rumore di fondo, un rombo sottotraccia, e contiene parole, frasi, espressioni, minacce che solo fino a qualche tempo fa parevano inimmaginabili. Eppure.

Eppure come accendi la tivù, o apri una finestra del browser, ti imbatti in qualcosa di impietoso e trucido fino alla caricatura. Una lingua approssimativa e splatter fatta di “Io ci taglierei la testa con la roncola… io meno male che affondano nel mare… io ci passerei sopra con la ruspa”. Niente che non abbiano già detto certi sceriffi del Nordest negli anni Novanta, certi leader convinti della supremazia della razza padana (ahahah! questa fa sempre ridere). Certo trasformare Matteo Salvini in una specie di inquadratura fissa a reti unificate ha aiutato.

Ma attenzione, non si tratta solo di politica chiacchiere e distintivo. Il problema è che ora quelle parole tracimano nella vita di tutti, chi più chi meno. Tra la buona e brava gente della Nazione il refrain “Io li ammazzerei tutti”, con le sue mille varianti, alcune vergognosamente travestite da intento umanitario, è diventato un mormorio accettato, diffuso, come i gattini su Facebook, come le notizie sceme nelle colonnine a destra dei giornali. Il cattivismo è in un certo senso diventato pre-politico: c’è il cane che sa contare fino a otto, la bellona con le tette a mongolfiera e il “Signora mia io a quelli lì ci spezzerei le braccia col martello”. Tutto uguale, tutto indistinto, tutto sfuggente all’indignazione e allo scandalo. Alla fine, tutto spaventosamente normale.

Chi siano poi “quelli lì” a cui fare del male e per cui si sprecano parole di odio assoluto, vai a sapere, una volta i poveracci che attraversano il mare, la volta dopo il rom, o “quelli dei centri sociali”, o i barboni, i richiedenti asilo, in realtà il destinatario non conta.

Che poi si sa che la lingua precede, non solo il pensiero (spesso) ma anche l’azione. E finisce che le ruspe arrivano davvero, come a Roma alla favela di Ponte Mammolo, dove le cronache riferiscono di un preavviso di un quarto d’ora agli abitanti prima di abbattere le baracche. Brutto spettacolo ai confini del pogrom.

E’ come se trovandosi stretti in una situazione di crisi e – peggio – di paura del futuro, molti italiani si scelgano un nemico facile, molto visibile, chiaramente minoritario e indifeso. Insomma, se c’è la crisi e hai una fifa blu per il tuo domani, sei angosciato, adotti come terapia quella di menare (in metafora, ma purtroppo non sempre) gli unici che stanno peggio di te. Meccanismo elementare con sfondo cattivista che chiede sacrifici umani. Perché prendersela con chi conta niente e soffre di più è facile, comodo, rilassa, e soprattutto è fortemente incoraggiato: finche chiedi la testa dei deboli, i forti brindano.

Politiche economiche, scelte sbagliate, riduzione dei diritti, tagli di qui e di là, strategie industriali miopi, che palle, tutta roba complicata, uno deve studiare, pensarci. Vuoi mettere la comodità di un punching ball nero, o rom, o rumeno? E’ l’odio-à-porter, è il cattivismo, è la vecchia storia dell’”italiano brava gente” che però “io a quelli lì ci sparerei a tutti”. Un imbarbarimento politico, sociale, culturale che non diventerà emergenza per un solo motivo: lo è già.

Alessandro Robecchi

 




Panebianco e le basi teoriche di uno ‘stato disumanitario’

immigrato

A. Panebianco e la soluzione da lui pensata per il problema delle migrazioni: occorre decidersi tra due modalità di comportamento, l’accoglienza e la convenienza

l’accoglienza è buonista, e siamo a posto!  la convenienza o l’interesse sembra a lui il criterio migliore (ancorché ci faccia un po’ vergognare, ma non più di tanto!) per decidere quali immigrati fare entrare e quali no: solo quelli che fanno al nostro interesse, e al diavolo quelli che vengono perché hanno l’acqua alla gola

gli risponde per le rime R. Robecchi su ‘il Fatto quotidiano’ odierno:

Troppe ipocrisie sugli immigrati

di Angelo Panebianco

in “Corriere della Sera” del 13 gennaio 2014

La richiesta di Matteo Renzi di inserire la riforma della Bossi-Fini fra i temi del contratto di

governo, al di là delle motivazioni del neosegretario del Pd, potrebbe essere una occasione da

cogliere per dare basi più razionali alla nostra politica dell’immigrazione. Dobbiamo solo limitarci a

tamponare e contenere i flussi migratori o abbiamo bisogno di interventi più attivi e, soprattutto, più

selettivi? Una domanda che diventa possibile se ci si lascia alle spalle le ambiguità e le ipocrisie che

hanno fin qui dominato il campo. Le ambiguità dipendono dal fatto che sembriamo incapaci, a

causa di certe sovrastrutture ideologiche, di decidere una volta per tutte a quale criterio appendere la

politica dell’immigrazione: la convenienza oppure l’accoglienza (il dovere di accogliere i meno

fortunati di noi)? Troppo spesso i due criteri vengono mescolati, l’immigrazione viene giustificata

alla luce di entrambi. Se non che, si tratta di criteri fra loro in contraddizione. Ne deriva

l’impossibilità di formulare proposte coerenti.

 

Le ragioni della convenienza sono note: abbiamo bisogno di contrastare l’invecchiamento della

popolazione, abbiamo bisogno – almeno se la ripresa economica, come si spera, prima o poi arriverà

– di forza lavoro aggiuntiva e di nuovi consumatori. Ma a queste ragioni, ispirate alla convenienza,

ne vengono sovente aggiunte altre di diversa natura, di ordine umanitario (le ragioni

dell’accoglienza). I piani si confondono rendendo impossibile fare scelte razionali. L’appello

all’accoglienza ha una chiara origine ideologica, nasce dalla confusione, propria di certi cattolici

(ma non tutti), e anche di un bel po’ di laici, fra la missione della Chiesa e i compiti degli Stati. È la

confusione fra il messaggio evangelico e la politica, fra l’universalismo della Chiesa, che parla a

tutti gli uomini, e l’inevitabile particolarismo dello Stato che risponde a un insieme definito di contribuenti.

L’accoglienza non può essere il criterio ispiratore di una seria politica statale. Perché si scontra con l’ineludibile problema della «scarsità »: quanti se ne possono accogliere? Qual è il tetto massimo?

Quante risorse possiamo mettere a disposizione dell’accoglienza se la vogliamo decente? A chi e a quali altri compiti toglieremo queste risorse?

L’unico criterio su cui è possibile fondare una politica razionale dell’immigrazione, per quanto arido o «meschino» possa apparire a coloro che non apprezzano l’etica della responsabilità, è dunque quello della convenienza , della nostra convenienza . Una volta adottato con franchezza ci consente di porci il problema – che altri Stati si sono già posti – di come selezionare gli immigrati. È evidente che se usiamo il criterio dell’accoglienza non possiamo selezionare. Invece, possiamo, e dobbiamo, farlo alla luce delle convenienze. Di quali immigrati abbiamo bisogno? Con quali

caratteristiche, con quali eventuali competenze? Oggi il problema forse non si pone data l’elevata

disoccupazione intellettuale giovanile (che resta grave, anche facendo la tara alle statistiche ufficiali

che, fraudolentemente, imbarcano fra i disoccupati anche gli studenti).

Però, domani potremmo avere bisogno di importare mano d’opera qualificata, per esempio in

settori tecnici lasciati sguarniti dai nostri giovani. In quel caso, una politica dell’immigrazione

lungimirante cercherebbe di attirare quel tipo di mano d’opera a scapito di altri tipi. Considerando

inoltre che un Paese economicamente avanzato non può permettersi di importare troppa mano

d’opera non qualificata. Oltre una certa soglia, non può assorbirla nei mercati legali, finendo così

per favorire quelli illegali, gestiti dalla criminalità. Un effetto collaterale di una politica ispirata alla

convenienza è che faremmo star bene anche gli immigrati che accogliamo.

E poi ci sono altre considerazioni che dovrebbero entrare nelle valutazioni di chi decide la politica

dell’immigrazione. Per esempio, certi gruppi, provenienti da certi Paesi, dovrebbero essere

privilegiati rispetto ad altri gruppi, provenienti da altri Paesi, se si constata che gli immigrati del

primo tipo possono essere integrati più facilmente di quelli del secondo tipo. È possibile che

convenga favorire l’immigrazione dal mondo cristiano-ortodosso a scapito, al di là di certe soglie, e

tenuto conto del divario nei tassi di natalità, di quella proveniente dal mondo islamico. Quanto

meno, questo dovrebbe essere un legittimo tema di discussione.

Una politica realistica , fondata sulla convenienza, si dovrebbe insomma porre problemi di scelta,

di selezione (da monitorare e rivedere nel tempo, alla luce dell’esperienza). Non si tratta di

inventare nulla. Altri Paesi hanno già imboccato questa strada.

 

La selezione di Panebianco ”Sì agli immigrati, solo se utili”

di Alessandro Robecchi

in “il Fatto Quotidiano” del 15 gennaio 2014

Meno male, gente, tirate un sospiro di sollievo! Ora che Angelo Panebianco dalla tolda del Corriere

della Sera, da cui scruta l’orizzonte in servizio di avvistamento, ci illumina su come gestire il

complesso tema dell’immigrazione, i nostri problemi sono finiti. Finalmente uno sguardo lucido.

Finalmente un ribaltamento delle prospettive . Basta con le pippe umanitarie e l’accoglienza di chi

fugge a guerre e carestie, dittature, fame, tortura. Magari attraversa il deserto, magari se ne sta in

qualche galera libica per mesi e anni, magari carica donne e bambini su barconi malmessi tirando a

sorte con la propria vita. Basta con queste “troppe ipocrisie”, ci dice Pane-bianco.

Il fatto è che siccome abbiamo delle “sovrastrutture ideologiche” (malattia grave, si direbbe), non

sappiamo decidere tra due linee di comportamento, che sarebbero l’accoglienza e la convenienza.

Cioè l’accoglienza sarebbe una specie di malinteso cattolico e/o buonista che confonde messaggio

evangelico e politica. Insomma, ci ammonisce Panebianco con un immaginifico giro di parole, bello

il messaggio evangelico di aiutare gli ultimi, ma i contribuenti? Le tasse? Il nostro amato

tornaconto? Noi cosa ci guadagniamo?

E invece, perbacco, la convenienza sì che è un criterio valido! Perché persino Pane-bianco si rende

conto di alcune cosucce: che siamo vecchi, che l’immigrazione ci serve, che quando finirà la crisi

avremo bisogno di nuova forza lavoro (astenersi vecchi e bambini, quindi) e persino di nuovi

consumatori per il nostro mercato interno. Non ha dubbi, il guardiano delle frontiere Pane-bianco: il

criterio da seguire è quello della convenienza (e dice: “per quanto arido e meschino possa

sembrare”, excusatio non petita e coda di paglia infiammabile). E dunque, via con la selezione. Sì,

proprio: così la selezione dell’immigrato. Sa fare l’idraulico? Prego si accomodi, ci può servire. Lei

invece è stata torturata e violentata dagli sgherri di una dittatura africana? Spiacenti, non c’è posto.

Non fa una grinza, diciamolo. Panebianco pone finalmente, senza se e senza ma, e anche senza

vergogna, le basi teoriche dello Stato “disumanitario”. Davanti all’universo di gente, uomini, donne,

persone che fuggono dai posti in cui non riescono a vivere, vuole fare una selezione. La selezione

della specie, appunto. Sui criteri di selezione, si può aprire il dibattito, certo, e Panebianco dice la

sua. Per esempio lui vorrebbe che immigrasse qui da noi “mano d’opera specializzata”. Ingegneri

spaziali, biologi molecolari, esperti di nanotecnologie. Pure muratori e camerieri non gli vanno più

bene, perché, spiega, “un Paese economicamente avanzato non può permettersi di importare troppa

mano d’opera”.

Insomma, astenersi perditempo. Ma poi, per non irrigidire troppo la selezione, si può procedere a

grandi linee. Per esempio, dice il Panebianco al culmine della sua requisitoria, sarebbe meglio

importare immigrati di cultura cristiana-ortodossa, piuttosto che islamici che poi vogliono un posto

per pregare e incasinano il piano regolatore con le moschee. Ecco sistemato l’antico dubbio su cosa

scegliere tra accoglienza e convenienza: la prima è un lusso per mollaccioni cattolici e laici

stupidamente umanitari, la seconda è un affarone. Sulla convenienza di avere pensatori come

Panebianco, invece, il dibattito è aperto: lo stato disumanitario che gli piace tanto sarà abbastanza

cinico da apprezzarlo.