10 ottobre 1944 anno orribile per i bambini rom

10 ottobre 1944

olocausto dei bambini rom ad Auschwitz

i pregiudizi, oggi, su cui riflettere

sono passati 71 anni dal terribile massacro di 800 bambini rom ad Auschwitz: scopriamo, oggi, quali sono i pregiudizi verso questo popolo che devono essere sfatati

pregidizi Rom

era il 10 ottobre 1944 quando ad Auschwitz si è consumata una delle tragedie più drammatiche di tutti i tempi, per quanto spesso dimenticata: stiamo parlando dell’Olocausto di 800 bambini rom

Da sempre la storia dei rom è segnata da deportazioni e stermini, a partire dal Medioevo – quando il nomadismo veniva considerata una maledizione e le arti divinatorie un aspetto correlato alla stregoneria – fino ad arrivare ai giorni nostri, come dimostrano i messaggi lanciati da diverse forze politiche, in Italia ma non solo. Molti i paesi europei che hanno cercato di espellerli, fino ad arrivare all’eliminazione fisica, che è diventata programmatica durante gli anni del Nazismo in Germania.

Proviamo a vedere quali sono i miti da sfatare attorno alla cultura rom, di cui, ad oggi, non riusciamo a liberarci.

– Nomadismo. Come documentato nel Rapporto annuale 2014 a cura dell’Associazione 21 luglio, che fotografa la situazione di Rom e Sinti in Italia, la maggioranza delle popolazioni rom presenti sul territorio italiano – 4 persone su 5 – conduce una stile di vita sedentario, vivendo in abitazioni regolari.

– Gli “zingari” rubano i bambini? Dal dopoguerra ad oggi (dati aggiornati al 2008) solo una sentenza ha condannato un Rom o Sinti per un reato del genere: stiamo parlando di Angelica, la minorenne condannata nel 2008 per aver provato a rapire una neonata a Napoli (pag. 32 del “Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia” a cura del Senato della Repubblica).

– Il problema dei campi. Sono 40mila su 180mila i Rom in Italia che vivono in roulotte, container o baracche di fortuna, nelle periferie di grandi città: si tratta di strutture autorizzate in buona parte dalle leggi locali, pensate però per la sosta temporanea e non per una vita sedentaria. Osserva la Comunità di Sant’Egidio: “Molte municipalità hanno dato autorizzazioni (temporanee) a “campi” senza le minime strutture d’accoglienza previste dalla legge (acqua corrente, fogne, luce) e ciò ha comportato che 2-3 generazioni di Rom/Zingari siano sostanzialmente nate e vissute in luoghi non molto dissimili dalle discariche, con tutte le conseguenze umane e sociali.” Il risultato? L’aumento della devianza minorile.

– Rom e criminalità. L’impossibilità di trovare lavoro a causa dei pregiudizi diffusi genera un terreno fertile per comportamenti socialmente poco accettati, come l’accattonaggio, o atti criminali di varia entità che contribuiscono a rafforzare il pregiudizio: per i dati, rinviamo al rapporto già citato. L’unica via d’uscita? Lavorare per l’integrazione.

 




contro la violenza degli sgomberi forzati dei rom

#peccatocapitale, Roberto Saviano firma contro gli sgomberi forzati dei rom

l’autore di Gomorra e dei noti reportage-denuncia sulla criminalità organizzata ha sottoscritto la campagna lanciata dell’Associazione 21 Luglio: “Questo appello è prima di tutto un richiamo al nostro dovere”

Anche lo scrittore partenopeo, noto nel Paese per i suoi scritti-denuncia sul fenomeno della criminalità organizzata, ha sottoscritto #peccatocapitale, la campagna lanciata dall’Associazione 21 Luglio per denunciare la politica di sgomberi forzati ai danni delle comunità rom della città.

Come denunciato nel rapporto presentato il 5 Ottobre alla stampa, se ne contano in sette mesi “già 71”, con “circa 1100 persone” coinvolte e un costo per il Comune di 1.342.850 euro”. Il tutto da marzo 2015, da quando il Papa ha annunciato il Giubileo.

Di seguito riportiamo quanto pubblicato da Roberto Saviano sul suo blog. 

Ci sono persone a Roma che le istituzioni vorrebbero far sparire come la polvere. Sono le famiglie rom e sinti che vivono ai margini della capitale, in baracche fatiscenti. Eppure quelle baracche sono casa. L’unica per i loro figli.

Dal 13 marzo scorso gli sgomberi forzati di comunità rom a Roma sono triplicati. La data coincide con l’annuncio da parte di Papa Francesco del Giubileo della Misericordia. Il Giubileo inizierà l’8 dicembre e sembra che entro quella data si voglia far pulizia degli insediamenti informali in cui i rom vivono, togliendo il problema dalla vista, ma senza affrontarlo, senza provare a risolverlo.

Perché, come denuncia l’Associazione 21 luglio, che da anni si occupa della difesa dei diritti umanitari fondamentali disconosciuti alle comunità rom, gli sgomberi forzati violano i trattati internazionali e spostano il problema un po’ più in là, di qualche settimana o di qualche chilometro.

Gli sgomberi forzati sono una violazione dei diritti umani, avvengono in disaccordo con le procedure legali, contro la volontà di chi occupa gli alloggi, senza alcuna garanzia formale, senza offrire un’alternativa e lasciando intere famiglie senza tetto.

A farne le spese sono soprattutto i più piccoli, i bambini, che perdono continuamente un riferimento abitativo. Ma sono anche i municipi, le amministrazioni comunali, a cui gli sgomberi costano centinaia di migliaia di euro, denaro che potrebbe essere meglio investito nella ricerca di soluzioni definitive.

Invece si preferisce esacerbare le tensioni, creare muri tra queste comunità e le istituzioni. Innalzare barriere sempre più alte di diffidenza e paura, sentimenti che non hanno mai il pregio di risolvere, ma sempre di complicare situazioni complesse.

Impedire gli sgomberi forzati significa difendere il diritto a un alloggio adeguato, riconosciuto dai trattati internazionali sottoscritti anche dall’Italia. Significa impedire che si violi la legge oltre che la dignità umana.

L’Associazione 21 luglio ha lanciato la petizione #PeccatoCapitale contro quanto sta accadendo

 

 

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i giovani rom e sinti si incontrano per dialogare per la loro ‘integrazione’

il messaggio di Mattarella ai giovani rom

Mattarella«Desidero rivolgere un caloroso saluto ai ragazzi che partecipano da oggi all’iniziativa dell’Associazione 21 luglio, “Primavera Romanì“, dedicata all’integrazione delle comunità rom e sinti in Italia. La presenza attiva di giovani appartenenti a queste due minoranze rappresenta un elemento fondamentale nel cammino paziente verso forme sempre più efficaci di integrazione e inclusione».

Con queste parole, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha voluto rivolgere il suo personale messaggio di auguri di buon lavoro ai giovani rom e sinti, provenienti da diverse città italiane, che da questo pomeriggio sono impegnati, insieme a coetanei non rom, nella Convention Primavera Romanì promossa dall’Associazione 21 luglio.

«La consapevolezza piena dei propri diritti, unitamente alla conoscenza dei propri doveri nei confronti della società e dello Stato, è un passo indispensabile per far cadere diffidenze e pregiudizi reciproci e assicurare un futuro di dialogo e di convivenza – prosegue il messaggio di Mattarella – Sicuro che questi due giorni di dialogo e di confronto susciteranno proposte, spunti e idee per garantire una sempre maggiore integrazione, invio i miei auguri di pieno successo dell’iniziativa».

Lunedì 21 settembre, al termine dei lavori della Convention, i giovani partecipanti presenteranno un documento comune in una conferenza stampa che si terrà in Senato alle ore 12. Interverranno alla conferenza la senatrice della Commissione Diritti Umani del Senato Manuela Serra, il deputato Khalid Chaouki e la senatrice rom spagnola Silvia Heredia Martin.

Non è la prima volta che il Capo dello Stato interviene riguardo a una iniziativa dell’Associazione 21 luglio. Lo scorso 8 aprile, in occasione della Giornata Internazionale dei Rom, Segio Mattarella aveva rivolto «un particolare ringraziamento all’Associazione 21 luglio e a quanti si dedicano quotidianamente a combattere le ingiustizie e le disuguaglianze di cui ancora oggi le comunità rom sono vittime».




Moni Ovadia e i Rom

perché riconoscere i Sinti e i Rom come ‘minoranza’

 




espulsioni dei rom: la condanna dell’Onu

Onu

Francia e Bulgaria cessino espulsioni forzate Rom

sgomberi anche in altri Paesi Ue tra cui Italia, Ungheria

 

(ANSA) – GINEVRA 

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Zeid Ra’ad Al Hussein ha espresso grave preoccupazione per le espulsioni forzate di Rom e nomadi in diversi Stati europei e in particolare i recenti episodi di sgombero in Francia e Bulgaria. In Francia “sta diventando sempre più evidente che esiste una politica nazionale sistematica di espulsioni con la forza dei Rom”, ha detto Zeid in un comunicato reso noto oggi a Ginevra.

Gli sgomberi forzati di rom e nomadi sono continuati negli ultimi anni in diversi Paesi europei, tra cui l’Italia, ma anche in Albania, Repubblica Ceca, Francia, Grecia,Ungheria, Romania, Russia, Serbia, Turchia e Regno Unito, afferma l’Onu.

In Francia, lo sgombero forzato di oltre 150 abitanti del bidonville del Samaritain a La Courneuve il 28 agosto si è svolta senza un preavviso di almeno 24 ore al giorno e un riparo è stato offerto solo a una manciata di famiglie. L’Alto Commissario ha osservato che gli eventi a La Courneuve sono solo l’ultimo di una serie di espulsioni forzate di migranti rom in Francia dal 2012 ed altre sarebbero previste.

In Bulgaria, lo scorso 7 settembre, le autorità hanno proceduto all’espulsione dei Rom del campo di Kremikovtzi (Gurmen) e secondo fonti della società civile, nessuna sistemazione alternativa è stata offerta. Un totale di 41 persone, tra cui 21 bambini risulterebbero senza casa, riferisce l’Onu.




a proposito del funerale del Casamonica: una riflessione più compiuta

un funerale rom  e il teatrino razzista della politica

Marcello Palagi

Marcello

Sono della razza degli accusati

Jean Cocteau

 

M. Palagi ha riletto la sua riflessione provvisoria sul funerale del rom Casamonica (pubblicata in questo sito col titolo: ‘a proposito di un funerale: i fatti e la loro contestualizzazione’) e ne presenta qui la sua versione compiuta e definitiva:

carozza

I fatti sono fatti

Non c’è nessuna dichiarazione meno utile di questa, per cercare di capire la vicenda del funerale di Vittorio Casamonica. I fatti, da sè, non parlano;  vanno contestualizzati, analizzati e interpretati. Anche perchè poi, di fatti, in questa storia, ne sono stati appurati meno di quanto si creda. Ad esempio, si è detto che a partecipare a questi funerali “oceanici” c’era tutta la Roma “mafiosa” e invece, c’erano quasi solo dei rom abruzzesi (non sinti, come si trova scritto – e tutti hanno ripetuto pedissequamente, senza andare a cercare riscontri -, in Wikipedia). E non mi  sembra, almeno stando alle immagini trasmesse dai mass media, che la partecipazione al funerale sia stata così di massa come si vuol far credere: alcune centinaia di persone. Anche una persona di una certa notorietà, da noi, vedrebbe la sua bara seguita da un numero di parenti, amici e conoscenti, egualmente se non più numerosi. Ma l’affermazione iniziale, di un funerale a cui avrebbero assistito tantissimi e tutti mafiosi, è servita e serve ancora per dire che il funerale è stato una prova di forza  “che le associazioni mafiose” hanno esibito, “per affermare il mito della loro impunità,  per affermare la supremazia  della mafia sullo Stato”. Se queste sono le prove di forza… ! Anche se sono stati Caselli e il prefetto di Roma che l’hanno detto e sostenuto, al seguito, però, di molti altri,  si tratta di affermazioni sbagliate e frutto di pregiudizi. I Casamonica non appartengono  alla mafia ed è sbagliato estendere il concetto di mafia a realtà, magari altrettanto malavitose, ma che hanno strutture e organizzazioni, modi di funzionare, assolutamente diversi e che si muovono secondo mentalità e culture di altro genere. Dirò poi quali fraintendimenti ha determinato, nella lettura dei fatti, l’uso della parola mafia. I pochi fatti, se si esclude, pare, il volo dell’elicottero, non sembrano  contro legge. Il feretro di un personaggio noto come appartenente a una famiglia considerata malavitosa e ricca, di rom abruzzesi, arriva in chiesa, per le cerimonie funebri, su una lugubre e nera carrozza trainata da sei cavalli (si dice sia la stessa servita per i funerali di Totò) ed è seguita da un lungo corteo di automobili lussuose che, sembra abbia determinato un rallentamento nel traffico e l’intervento dei vigili urbani. Mentre in chiesa si svolgono la messa e i riti dei defunti, fuori, nella piazza, un buon numero di rom attende più o meno “compostamente” l’uscita della cassa. Improvvisamente appare nel cielo un velivolo che sgancia sulla piazza petali di rosa. Che cosa ci sia in questi “fatti” di illegale, salvo, forse, quanto riguarda l’elicottero, non è dato sapere. Se i fatti sono questi e se, dal punto di vista del diritto e della legge italiana, Vittorio Casamonica non era mai stato condannato, anche se più volte denunciato e inquisito, ci si deve domandare non solo perchè non avrebbe dovuto avere questo funerale, ma come, le autorità competenti civili e religiose avrebbero potuto vietarlo.

E’ un mafioso, lo dicono tutti, anche se non ha subito condanne

Perchè, si risponde, tutti sanno e dicono che era un mafioso e apparteneva a una famiglia mafiosa. E, per dimostrarlo, si riportano rapporti di polizia sulla famiglia che indubbiamente danno da pensare, ma che non sono sentenze e, soprattutto, non hanno comportato incriminazioni per Vittorio Casamonica. L’argomentazione è perciò preoccupante, perchè eleva il “sentire comune”, come diceva a suo tempo il vecchio Bossi, cioè la medietà-mediocrità e il pregiudizio, a verità indiscutibili e giudiziarie: siccome appartiene a una famiglia “mafiosa”, è “mafioso” e quindi si deve proibire che abbia funerali sfarzosi e appariscenti. E chi l’ha detto?

casamonica-funerale-ansa

Perchè in Calabria, a Napoli ecc. si è stabilito che i funerali dei mafiosi e camorristi si devono svolgere in forma privata e alle sei di mattina. C’è da chiedersi se sia legittimo limitare, per legge,  il lusso, lo spreco, l’ostentazione e la partecipazione alle esequie anche di un criminale e i desideri e  libertà di decisione della famiglia, ma anche se fosse, il fatto è che tale regola, fino ad oggi, per Roma non c’è. C’è invece un’altra domanda, da porre:  una norma limitativa di questo genere, là dove fosse approvata, dovrebbe valere per tutti i membri di una famiglia considerata malavitosa, anche per quanti non lo fossero o non avessero subito condanne? Non è ipotizzabile, ad esempio, che tra i Casamonica ci siano anche persone oneste e non malavitose?  Se si pensa che non lo sia, il razzismo non è lontano.

Lo sanno tutti

Molte sono le cose che erano e sono note a tutti, ma non hanno impedito, per esempio, che per un ventennio Berlusconi abbia dominato la scena politica italiana o che sia stato assolto Scajola per essersi trovato a sua insaputa, proprietario di una casa miliardaria, o Andreotti che con i mafiosi si baciava pure. E il ministro Poletti, che con qualche Casamonica si  è trovato cena, come è noto, non dovrebbe suscitare maggiore sdegno e inquietudine di un funerale sopra le nostre righe? Tanti di quelli che ora si scandalizzano per la notorietà “mafiosa” di Vittorio Casamonica, sapevano bene che i loro partiti riscuotevano laute tangenti, che permettevano, se non altro, di tenere aperte sedi, pagare funzionari, rimborsare spese esorbitanti, fare del clientelismo  e finanziare le campagne elettorali. Eppure non hanno rinunciato a sostenerli e, se candidati, a farsi pagare le campagne elettorali con quei soldi di provenienza malavitosa e indebita (non era ricettazione anche questa?), e a partecipare a governi e amministrazioni locali corrotti dai denari della mafia vera. Tutti sapevano e non era possibile che non fossero informati.  Ma se la prendono con i marginalissimi rom di cui non sanno niente.

Mafia-capitale solo a Roma?

Anche il sacco delle risorse pubbliche europee, nazionali e locali per i progetti sui rom, la “Ziganopoli” come venne definito a suo tempo e giustamente da un rom abruzzese, Spinelli, onesto, e imparentato con i Casamonica,  era noto a tutti e non avveniva solo a Roma, ma dovunque, anche in questo territorio. Possibile che chi ha usufruito di quei facili e discutibili finanziamenti locali, grazie a superficiali e incolti progetti,  non abbia almeno il pudore di starsene in silenzio sul questo funerale? Lo dico perché la “ziganopoli” locale  non ha fagocitato pochi spiccioli, ma decine e decine di milioni di vecchie lire. Ci sono le delibere ufficiali a provarlo e storie di volontariato “a pagamento” niente affatto edificanti, anche se, come per i Casamonica e i rom, non è legittimo fare di ogni erba un fascio: il volontariato, normalmente, anche da noi, ha operato  in modo disinteressato e gratuito  – ma non per i rom – e non sarebbe giusto discreditarlo per le incapacità e le velleità di alcuni o per le mele marce che ci sono state.

Il funerale

bara Casamonica

Credo che non si possa comprendere il senso di questo funerale se non si conosce il ruolo della morte e del culto dei morti, per l’identità-sopravvivenza culturale dei rom. Se si capisce questo, si comprende anche perchè il funerale di Casamonica non abbia niente a che vedere con messaggi mafiosi, avvertimenti crimi
nali e sfide allo stato. Preciso che le considerazioni che seguono, sinteticissime e non esaurienti, sul rapporto che i rom in generale, e con modalità anche differenti da gruppo a gruppo e da famiglia a famiglia, hanno con la morte e il ricordo dei morti, riguardano (se li riguardano)  solo i gruppi rom che ho conosciuto, tra cui gli abruzzesi, ma non pretendo che valgano anche per altri che non ho mai avuto la ventura di incontrare e conoscere. Tanto più che, oggi, i rom sono in fase di grossi cambiamenti e specie le nuove generazioni non sempre seguono le tradizioni, anche se  le mentalità dominanti, che sono quelle che assicurano la  loro continuità e identità, sopravvivono forti, anche tra i giovani. Il momento della morte e del funerale di qualsiasi rom, ricco o povero,  autorevole o no, è cruciale, per il doveroso mantenimento e la fissazione della memoria del defunto, perchè dopo non si potrà più parlare liberamente di lui; anche se oggi le attenuazioni  e le trasgressioni di questo tabù sono sempre più diffuse, perchè la società rom non ne ha probabilmente più bisogno.  Ma nei “riti”, mi sembra, conservi tutta la sua forza. La morte e il funerale definiscono la memoria del defunto per l’ultima volta.  Ma al morto vanno resi obbligatoriamente grandi onori, più o meno lussuosi a seconda delle possibilità della famiglia, anche perché si vuole evitare che ne derivino pericoli per chi resta, per aver  mancato di rispetto nei suoi confronti. Lo sfarzo  e l’ostentazione hanno,  questa funzione. Tutti i rom che hanno avuto rapporti col defunto, di parentela, di amicizia, di affari, devono necessariamente partecipare al funerale. Non bastano, come tra noi, una telefonata o un telegramma di condoglianze. Occorre essere presenti di persona. E’ la conseguenza di quella concezione del rapporto vivi-morti a cui ho accennato prima. Anche chi è all’estero o vive lontano, se non ha impedimenti gravissimi, deve partecipare, nei modi più consoni alla circostanza e alle proprie possibilità. E se il defunto è un uomo ricco o autorevole, si cerca di partecipare ai funerali, in modo da non sfigurare.  Il corteo di macchine di lusso, va letto in questi termini, anche se è probabile che molte di queste siano state prese a noleggio.

Funerale per i rom, non per i gagé

Il funerale riguarda solo il defunto e i rom, non è per i gagé. Che invece vi hanno letto, pregiudizialmente, intenzioni e finalità che non c’erano  e si sono, per questo, scandalizzati e non vogliono credere che si possano avere rapporti diversi con la morte e il lutto, lontani da quelli nostri correnti,  piagnoni e lugubri. Tutto quel lusso e quell’ostentazione che definiamo, con supponenza da civilizzatori, kitsch,  non dovevano trasmettere un bel niente ai gagé, ma parlavano solo ai rom, dicevano la permanenza pericolosa e da tacitare del morto presso chi gli era legato affettivamente.

Il ruolo dei gagé

I gagé presenti, se ce ne sono stati, devono essere stati pochi, perché in queste cerimonie non sono né ricercati né significativi, se si eccettuano i sacerdoti. Si deve capire che, con il funerale, si entra in un territorio pericoloso, quello dei morti rom, un territorio da cui i gagé sono esclusi totalmente. I morti gagé non fanno paura, quelli rom  sono potenti e vanno trattati con cautela, e sono i rom vivi che devono farci i conti e regolare i rapporti con loro.

Il lutto rom

Il lutto rom  è bere, fumare, mangiare per il morto, ascoltare la musica che amava, ma anche, al contrario, non radersi per un certo periodo di tempo, digiunare, non mangiare più determinati cibi, magari per tutta la vita, non ascoltare più quella determinata canzone, ecc. per continuare a ricordarselo, onorarlo e tenerlo lontano. Nelle “pomane”, a capotavola, c’è il posto vuoto riservato per il defunto, e gli si servono piatti di cibo, bevande, liquori, sigarette e caffè, come agli altri commensali. Il momento della morte e del funerale di un parente sono troppo importanti per i rom, troppo intrecciati alla vita familiare, troppo pericolosi per poterli utilizzare come segnale di potenza  e di sfida  contro lo Stato. Il fatto che Vittorio Casamonica appartenesse o meno a un clan malavitoso non ha a che fare con queste esequie; sarebbero state egualmente “hollywoodiane”, anche se lui fosse stato uno specchiato padre di famiglia con una ricchezza e un prestigio acquisiti in modi considerati legittimi.

Solo i rom hanno accompagnato il feretro

Chi, rom, ha partecipato alle esequie di Vittorio Casamonica, ci è andato in quanto rom e non perché appartenesse o meno a un gruppo malavitoso o, tanto meno, mafioso e si è mosso, ha agito, si è comportato in funzione del defunto, e non per dimostrare che la mafia domina sullo Stato ed è impunita. E’ anche ridicolo pensare  che si volessero  lanciare, attraverso il funerale sfarzoso, messaggi e minacce. Ci sono altri mezzi per farlo e altri tempi. Un clan malavitoso, di norma, non si esibisce mai così scopertamente e esageratamente, mettendoci in diretta le facce degli aderenti. E non si tirino fuori le processioni di Napoli e gli inchini davanti alle case dei capi agli arresti domiciliari, perchè sono altra cosa di cui si potrà discutere, eventualmente, in altra sede. La confusione e l’incapacità di fare distinzioni non giova a capire.

Razzismo e ipocrisia politica

Il fatto che al cognome Casamonica si associ in assoluto la qualifica di mafiosi è indebito e razzista. Ripeto la domanda già fatta sopra: tutti i partecipanti al funerale erano malavitosi? Ci saranno i Casamonica disonesti, ma tra le centinaia di rom dello stesso cognome o imparentati con loro, che hanno partecipato al funerale, non si deve presumere che ce ne siano stati anche tanti onesti?

La puzza al naso

E’doveroso perciò, parlare di razzismo, perché, in questo caso, la pregiudiziale razzista l’ha fatta da padrone: dalla “tesi” di fondo  che trattandosi di rom, il funerale serviva ad altri scopi, ovviamente criminali, che non di onorare il morto, al “sono tutti mafiosi”, al disprezzo supponente per la loro cultura e i loro modi di celebrare con “lusso kitsch” le esequie,  ai sarcasmi sulla musica del Padrino, come se i rom dovessero ascoltare solo musica folkloristica e dai manouches non fosse uscito Django Reinardt e dai kalé  il flamenco e molto altro ancora … I rom ascoltano musica di ogni genere, come noi, a seconda dei loro gusti personali. E il fatto che al funerale di Casamonica sia stato suonata la musica del Padrino, autorizza solo a pensare che gli piacesse questa colonna sonora. Tra Salvini che criminalizza tutti i rom e gli aulici e sarcastici commentatori benpensanti, assolutamente certi dei presunti messaggi mafiosi di un funerale rom, non c’è molta differenza, ma solo molta più ipocrisia, nei secondi, perchè le loro preoccupazioni non sono tanto le infiltrazioni mafiose, ma la contingenza politica dell’amministrazione di Roma e degli equilibri di governo.

Scandalismo sospetto

La veemenza e l’insofferenza intollerante di questa campagna mediatica e l’unanimità dei giudizi dovrebbero suscitare qualche inquietudine, anche in quanti si sentono con la coscienza a posto, perchè esprimono, con facilità, la loro indignazione per i barconi che affondano col loro carico umano nel Canale di Sicilia o contro l’Ungheria che costruisce 200 chilometri di muro anti immigrati;  tanto sono storie lontane dal loro immediato cortile di casa, a differenza dei rom che ce li troviamo sempre tra i piedi. Nessuno, né a destra né a sinistra, né tra i credenti né tra gli atei, né tra i progressisti né tra i conservatori, né tra i razzisti né tra gli antirazzisti sembra aver avuto dubbi nell’indicare  in questa vicenda di un funerale vistoso di un rom, a dir poco, marginale, la controprova del dominio mafioso a Roma e  della corruzione italiana. 

Esequie di potenti

Non si è mai visto, eppure sarebbe più legittimo,  un eguale, unanime duraturo e diffuso sdegno  per la partecipazione di massa di politici, amministratori, uomini di cultura, imprenditori, finanzieri, ammiragli, generali e popolo, ai funerali di uomini di potere che, “come sapevano tutti, erano delinquenti, percettori di tangenti, corruttori, clientelari, mafiosi veri, ecc.” e che, stando ai criteri vietatori proposti e richiesti, a seguito di questa vicenda di rom, dai benpensanti,  avrebbero dovuto essere sepolti senza nessun seguito, neanche dei parenti di primo grado, a notte fonda e lungo il ciglio di qualche strada fuori mano, come gli scomunicati e gli attori di un tempo.

Onori a Mussolini

E non hanno incontrato nessuna reazione di massa neanche le manifestazioni avvenute, in questi giorni (ma abituali da decenni) e con ben altro concorso di pubblico, a Predappio, in onore del defunto Mussolini. Non hanno nulla da invidiare al funerale di Casamonica quanto a esibizionismi e cattivo gusto, ma costituiscono apologia di fascismo, violano apertamente le leggi esistenti e sono una sfida effettiva contro lo Stato, anche se nessuna delle anime così sensibili contro gli eccessi e il kitsch dei rom, nessun prefetto, nessun giudice e nessuna forza politica hanno mosso paglia o chiesto le dimissioni del sindaco di Predappio o del ministro degli interni. E non è di pessimo gusto anche il faraonico mausoleo che Berlusconi ha costruito a se stesso, anche se  opera di Cascella? 

Unanimità e banalità perbeniste

Chi cerca di comprendere un avvenimento come questo, fuori dai luoghi comuni e non accetta supinamente quello che  gli ammanniscono i mass media, diventa uno che ha il contro in testa e viene isolato. Ci si può anche ridere sopra, ma tanto unanime accanimento nelle banalità e nel chiacchiericcio, è  sintomo  preoccupante della diffusione e del dominio, nell’opinione pubblica, del conformismo, della mancanza di senso critico e del disinteresse per quanto non rientri nel proprio particulare  e nei propri schemi mentali. Si è chiesto il parere di tutti, cani e porci, ma a nessuno è venuto in mente di  interpellare, prima di tutti, qualche rom abruzzese, esperto di cultura rom e capace di spiegare come potessero essere interpretati questi fatti.  Eppure gli abruzzesi sono il gruppo di rom italiani che ha il maggior numero di intellettuali. Solo alle due di notte e dopo qualche giorno, si è sentito, in  tv, un passaggio di un’intervista a Santino Spinelli, intellettuale rom abruzzese di Lanciano (ma nato a Pietrasanta), che chiariva che si era trattato di un funerale rom.

Rom, un pretesto per altri conti politici

E’che di mezzo ci sono dei rom e, quando si parla di rom, prima scattano i pregiudizi e poi arrivano le giustificazioni dell’avversione per quello che sono e fanno o non sono e non fanno (Lo sanno tutti che gli “zingari” sono, per natura, fin dalla nascita delinquenti, brutti, sporchi e cattivi, ladri, rapinatori di bambini e altro ancora. Oltre che “non integrabili” …). Il clamore e la risonanza, anche internazionale che ha avuto questo avvenimento, la sua esorbitante e lunga e ritornante presenza sui giornali, nelle cronache, in internet, nei telegiornali, nei dibattiti televisivi e nelle chiacchiere da bar per giorni e giorni, non ci sarebbero stati se di mezzo non ci fossero stati, come protagonisti, dei rom da sempre discriminati razzisticamente. I rom sono, da sempre, ottimi capri espiatori che riescono, loro malgrado, a far deviare, quando occorra, l’attenzione dai veri problemi di un paese o di una città. Sono tanti, anche in questa provincia, quelli che, sull’avversione contro i rom e i loro “campi sosta”, poca roba, si sono costruirti un proprio esteso elettorato. E la Lega, con i rom, ha cominciato, molti anni fa la propria storia di fortunata imprenditrice politica del razzismo. Insomma, non raccontiamoci balle, questo funerale è un pretesto con finalità che non riguardano né i rom, né la malavita organizzata, ma il controllo della giunta di Roma, la tenuta del governo, la gestione degli appalti delle opere per il giubileo. Se si vuole fare qualcosa contro il malcostume, la corruzione e le organizzazioni criminali che affliggono il nostro paese, mi sembra un grande spreco di energie, molta leghista per di più, questa indignazione così facile per un funerale dei sempre marginali rom. Un modo vile e ipocrita di deviare l’attenzione dai veri imprenditori politici della malavita e da quelle istituzioni governative e amministrative e da quei partiti, che utilizzano questa vicenda, fidando nel fatto che nessuno ne sa niente dei rom, per regolare i conti tra di loro.

Mafiosi

La definizione di “mafiosi” attribuita ai Casamonica, in blocco, ha, di fatto,  generato molti equivoci e ha permesso di assimilare  Vittorio Casamonica a personaggi come i capi clan siciliani o camorristi, che inviano pizzini e vivono ricercati in catacombe sperdute e nascoste, in mezzo a immagini sacre e bibbie e rapporti equivoci con qualche prete.  Di qui l’idea che Vittorio Casamonica, prima di morire si sia confessato e abbia ricevuto l’estrema unzione dal parroco della chiesa di don Bosco. E quindi la conclusione, che il parroco non potesse non sapere. Ma Casamonica non è Provenzano, i rom non appartengono alla mafia anche quando siano gravemente malavitosi, e i loro rapporti con la religione e la chiesa non sono quelli che si attribuiscono alla mafia. Non ne ho le prove  –  solo qualche riscontro, dato che, in questo campo, sono sempre possibili ampi margini di scelte individuali e familiari -,  ma credo che Casamonica non sia mai stato un gran frequentatore di chiese e preti, di messe e liturgie, di confessioni e comunioni, o abbia mai avuto a che fare con libri e bibbie, anche se avrà subito, la famiglia, l’influenza della religiosità popolare meridionale. I rom, in genere, non frequentano molto chiese e cerimonie religiose, salvo per due momenti fondamentali della vita, la nascita, perché viene richiesto il battesimo, per far uscire il neonato da uno stato di animalità, e la morte perché il funerale, per vari motivi, deve avere  un momento di presenza di gagé, amministratori del sacro dominante. Altri aspetti e momenti della vita religiosa non li riguardano che marginalmente o per niente, anche se tra gruppo e gruppo ci sono differenze notevoli. Con le dovute distinzioni, neanche i rom musulmani, frequentano moschee, pregano, digiunano e seguono le prescrizioni dell’Islam. Il sacro, che per i rom è uno solo, cristiano e musulmano non fa differenza, appartiene ai gagé e si fa ricorso a preti, chiese, santuari e  imam, soprattutto in questi due momenti essenziali. Anche se ci sono  altri motivi e altre occasioni, meno cruciali per farvi ricorso; la malatia, la carcerazione, le liti, la richiesta di grazie e miracoli, i giuramenti e i voti, ecc., implicano altre frequentazioni del sacro dei gagé, ma non necessariamente  di preti e imam; non è però il caso di parlarne qui.

Confessione ed estrema unzione

Sul sacerdote che avrebbe confessato in punto di morte Vittorio Casamonica e impartita l’estrema unzione non si sa niente. Può essere che non ci sia neanche stato o che si sia fatto ricorso al primo che è stato trovato. Perchè questi riti non hanno molto spazio e senso, salvo eccezioni, nella cultura e religiosità dei rom. Deprecare quindi che il presunto confessore non si sia opposto a funerali così vistosi è ridicolo, ma anche se ci fosse stato contattato in modo estemporaneo, un sacerdote, cosa avrebbe potuto fare, non conoscendo niente del penitente e della sua famiglia ed essendo tenuto a mantenere il segreto su quanto appreso eventualmente – ed è improbabile – in confessione? Anche il parroco della parrocchia dove abitava Vittorio Casamonica, doveva conoscerlo ben poco se  ha permesso che i suoi funerali si svolgessero in un’altra parrocchia, senza prendere parte alla messa funebre.

Il parroco del funerale

Non sono molte le notizie date dai mass media del parroco della Chiesa di Don Bosco, dove si è svolto il funerale, ma è da escludere che abbia assistito religiosamente Vittorio Casamonica, nel suo trapasso o nel suo lungo periodo di malatia. I Casamonica gli hanno chiesto la messa funebre e i riti finali per un loro congiunto, perchè avevano bisogno – è stato detto –  di una chiesa più grande di quella della “loro” parrocchia  e lui ha accettato, come è suo dovere pastorale. Quando morì un giovane sinto, di cui si svolse il funerale ad Avenza (Ms), fui io col padre del giovane ad andare dal parroco a chiedergli il rito funebre in chiesa. Lui si dichiarò disponibile pur non conoscendo né il morto né la sua famiglia, anche se appartenevano nominalmente alla sua parrocchia  e non ci chiese informazioni sui trascorsi del defunto e neanche se fosse “zingaro”, anche se probabilmente lo capì. Gli venivano chieste  preghiere e liturgie, che per la chiesa, sono valide sempre e per chiunque, santo o peccatore  che sia e non poteva certo sapere che quel funerale sarebbe stato molto diverso e che sarebbe finito sulla stampa e rimasto, positivamente, nella memoria di tanti. Eppure, fatte le debite differenze quantitative, fu un funerale esorbitante anche quello, tutto di sinti, anticipato da un lunghissimo corteo di automobili che avevano accompagnato la bara da Genova dove era il giovane era morto fino alla chiesa, con musiche non rom e non sacre, banda e spargimento di fiori, un vero tappeto di fiori, lungo tutto il percorso a piedi dalla chiesa al cimitero. Penso che il parroco che ha celebrato i funerali di Casamonica si sia egualmente messo a disposizione senza fare domande che non gli competevano. Gli si chiedeva un funerale cattolico e, visto che nulla risultava ostare, lo ha celebrato.

Cosa c’entra il parroco della Chiesa di don Bosco?

Per tutti i funerali di sinti e rom cattolici, ma anche di musulmani a cui ho assistito, ho sempre riscontrato che alla chiesa o all’imam è stato chiesto solo questo: le preghiere  e i riti specifici dei defunti, messa e benedizione o recitazione del Corano, in presenza della bara. Non ho mai visto il parroco o l’imam chiedere informazioni sul defunto anche se  non conoscevano  affatto i richiedenti o il defunto. E’ la situazione abituale, perché i rom non frequentano i luoghi sacri e gli uomini del sacro. Può anche essere che il parroco  della chiesa di don Bosco, sentendo il nome di Casamonica, abbia pensato alla famiglia, ma non era certo suo compito indagare se questo funerale potesse  rappresentare un pericolo per l’ordine pubblico e non credo neanche che ci abbia pensato, tanto più che non  lo era, visto che se non fosse finito in internet, a cose fatte, non se ne sarebbe accorto nessuno, a cominciare dal prefetto. Probabilmente il parroco della chiesa di don Bosco, non aveva mai avuto a che fare con i rom e con i loro funerali, come la maggior parte dei preti, degli imam e della gente. Avrà pensato alla solita messa dei morti e alla benedizione della bara. E credo che in chiesa sia avvenuto solo questo, perchè ai rom non interessa quello che vi avviene, se non perchè lo giudicano un rito essenziale per i loro rapporti col morto, ma è un rito che non richiede la loro partecipazione attiva e, al limite, neanche la loro presenza all’interno. Il sacro, la cerimonia religiosa deve esserci, perchè così si è sempre fatto, è qualcosa di utile, ma che deve fare il prete. Per questo,  a questa parte del funerale, quella che si svolge in chiesa, partecipa una minoranza dei rom, per lo più donne con bambini. La maggioranza degli uomini resta fuori, in attesa che esca la bara e cominci il vero funerale, quello gestito dai rom. Va anche detto  che a qualsiasi  cerimonia religiosa in chiesa, i rom, non partecipano, non ne conoscono il senso e il significato e la vivono, anche quando siano in pochissimi, a modo loro: la “zingarizzano”. Sanno di non essere in un territorio proprio; la chiesa, lo spazio del sacro, si è detto,  appartiene ai “gagé” , ma vi si accampano, per il tempo dei riti e delle preghiere, prendono possesso dei suoi spazi, e ci portano dentro la loro cultura altra, per noi dissacratoria o maleducata e i loro modi e tempi di vita quotidiana: in chiesa ai bambini si lascia fare tutto quello che vogliono, vengono alimentati, sgridati ad alta voce, rincorsi se si allontanano, allattati se necessario, ma anche gli adulti si dissetano durante il rito, masticano chewingum, parlano tra di loro, scherzano e, per fumare, si alzano dal banco ed escono dalla chiesa, facendo avanti e indietro tra dentro e fuori e con qualche corsa fino al bar più vicino. E’ segno che è ancora attivo il loro rapporto col morto, si fa quello che si faceva con lui e lui non è ancora realmente trapassato. Questo tempo si chiuderà, in modo però sempre incompleto, dopo le cerimonie religiose “ufficiali”, con il lungo periodo delle  pomane o di altri “riti”. Con questo non si esclude che ci siano gruppi più integrati religiosamente, dove avviene l’esatto contrario e si tengono comportamenti più simili a quelli nostri.  

Rom musulmani

Ho assistito a cerimonie funebri di rom musulmani dove un imam marocchino, recitava il Corano in arabo, senza nessuna spiegazione e senza che nessuno dei pochissimi parenti presenti capisse una sola parola o un solo gesto, dopo aver cercato di giustificare la bottiglia di cognac che avevano portato per la tomba, nel tentativo, represso dalla disapprovazione severa dell’officiante,  di “zingarizzare” l’intervento gagiò. Il vero funerale rom, molto più affollato, si sarebbe svolto al campo, in più tempi successivi, con la  “pomana” e il rogo dei beni del defunto (cosa che certo non è avvenuta per quelli di Casamonica).

Le esequie rom

Quello che è avvenuto fuori della chiesa di don Bosco è stato totalmente rom. E’ lì  sul sagrato e nel corteo  che è avvenuta la loro vera cerimonia funebre, dove il parroco, i gagé non hanno avuto nessuna voce in capitolo. Non penso proprio che abbiano chiesto il permesso per appendere i loro striscioni di esaltazione di Vittorio Casamonica alla facciata della chiesa né che il parroco avesse idea che il vero funerale si sarebbe svolto fuori,  prima e dopo la messa, con i cavalli, la musica, l’elicottero che spargeva petali di rose, gli striscioni che proclamavano il defunto re e papa, le acclamazioni dei presenti, le roll royce e tutte le altre forme di esibizionismo e ostentazione che ci saranno state fino all’inumazione. Non è in discussione se siano stati o no di cattivo gusto o anche blasfemi , ma gli striscioni con il defunto proclamato re e papa, hanno un riscontro nei funerali degli infiniti “re e regine degli zingari” di cui leggiamo  continuamente sui giornali, al momento delle loro esequie.  Di fatto “re e regine degli zingari” non esistono. In passato, quando i rom erano ancora in gran parte nomadi, se si ammalava gravemente o moriva uno o una  di loro, autorevole, con una grande famiglia e parentela,  si radunavano intorno alla sua tenda, roulotte o  baracca, per assisterlo/a o per i suoi funerali, a volte, in centinaia. Per avere il permesso di accamparsi e soggiornare per un po’ in quel luogo,  senza venir disturbati dalle forze dell’ordine, veniva diffusa la notizia che  si trattava del periodo di assistenza o di lutto per il re o la regina degli zingari. E anche ora che la mobilità è facile, e molti rom sono diventati sedentari e non hanno più roulotte e furgoni, e c’è meno bisogno di accamparsi per un funerale, finisce che il titolo di re o regina venga egualmente tirato fuori per dare lustro al defunto, per dire quanto era autorevole; da pretesto per sostare, a metafora per onorare. 

Parroco, prese di distanza e Welby

Si è anche scritto che il parroco, se non lo sapeva prima, di Casamonica, avrebbe dovuto prendere le distanze dagli avvenimenti almeno dopo il funerale. A che titolo? Se fosse stata una manifestazione mafiosa, forse sì, ma non lo era e ha fatto bene  a dire che l’avrebbe rifatto. Dopo tutto il “non giudicare”, vale anche per queste circostanze. In questo è stato più libero lui di tutti i benpensanti di destra e di sinistra che si sono scandalizzati del funerale rom, magari contrapponendolo moralisticamente alla vicenda di Welby. Ma qui Welby non c’entra niente: l’errore è stato, a suo tempo, quello di negargli i funerali in quella chiesa,  non di averla concessa per il rom Casamonica. Ed è  anche grave che si utilizzi il ricordo di Welby, un ricordo che appartiene ai democratici e alle sinistre, per sputtanare, anche da sinistra, i rom, perché se si dice “E’ una vergogna: avete negato la chiesa per il funerale di Welby e l’avete concessa ai Casamonica”, ancora una volta si avalla la discriminazione abituale nei confronti dei rom, tutti delinquenti da lasciare fuori anche dalla Chiesa.




er Piotta e Elio Germano parlano di rom

Er Piotta con Elio Germano: lo sapevate che i rom…?

 

Diceva Bernard Shaw: «L’Americano bianco relega il negro al rango di lustrascarpe: e ne conclude che è capace solo di lustrare scarpe». Negli anni Cinquanta, invece, i giudici minorili svizzeri aprirono un dibattito sull’esagerato coinvolgimento dei minori italiani in procedimenti penali. Ci si chiese, allora, se non vi fosse una propensione culturale della popolazione italiana al furto. Un’idea avvalorata da molti studi europei. Quel dibattito si esaurì man mano che gli italiani immigrati in Svizzera diventavano gelatai e aprivano pizzerie, mentre la giustizia minorile doveva passare ad occuparsi dei nuovi immigrati (prima i portoghesi, poi gli jugoslavi ed infine i turchi). Prima si diceva: «Piove? Governo ladro». Ora la vulgata è: «Piove? Sono gli zingari». Ma la vulgata è, appunto, una vulgata. E pure piuttosto volgare, un po’ come quella secondo cui i rom sono tutti ladri o rubano i bambini, dimenticando per esempio la ricerca dell’Università di Verona e della Fondazione Migrantes che ha analizzato scientificamente tutti i casi dal 1986 al 2007 di rom indicati come responsabili di sparizioni di bambini e ha mostrato che in nessuno l’accusa si è poi rivelata fondata.

Il problema è che, a furia di ripeterla, la vulgata diventa vera, ingabbiandoci in una serie di barriere mentali . Lo sapevate che in Italia c’è una delle percentuali di rom più basse di tutta Europa (0,25%, pari a 180mila)? Che solo uno su cinque vive nei campi? Che la metà ha la cittadinanza italiana, quasi tutti iure sanguinis perché in Italia dal 1400, con punte del 90% in Emilia Romagna? Che il 97% dei rom in Italia non è nomade (l’eccezione sono i circensi)? Ce lo ricorda l’intervista doppia realizzata da Er Piotta e Elio Germano. È stata realizzata per la campagna di raccolta firme “Accogliamoci” (www.accogliamoci.it), per promuovere due delibere di iniziativa popolare a Roma per il superamento definitivo dei campi nomadi e la riforma dei centri di accoglienza per richiedenti asilo politico. Questa iniziativa è portata avanti da Radicali Roma, Arci, Asgi, Associazione 21 luglio, A buon diritto, Cir, È possibile, Un ponte per, ZaLab; tra i politici che hanno sottoscritto la proposta, i deputati Khalid Chaouki e Pippo Civati ed Emma Bonino. Sì, perché decenni di vulgate stereotipate e semplificatorie hanno prodotto, in buona o cattiva fede, interventi sbagliati. Come quella dei campi “nomadi”: sono una scelta di politica abitativa delle città italiane, non c’entrano nulla con una presunta cultura rom. «Enclave di segregazione» è la definizione usata dall’Onu per criticare questi luoghi del disagio con il timbro delle autorità.

Negli anni ’50 e ’60, quando a Roma c’erano le baracche raccontate da Pasolini, quasi tutti gli ospiti dell’allora carcere minorile venivano da lì. La storia di quelle periferie insegna che integrazione, scuola (il 60% dei rom è minorenne), lavoro, casa sono l’unico modo per ridurre la microcriminalità. La condizione dei rom è un problema europeo, non solo italiano, ma l’Unione lo ha capito. Nel 2011 ha delineato quattro assi portanti e relativi fondi di finanziamento: inserimento nel mondo del lavoro, politica di alloggi, accesso alle cure e all’istruzione. Alcuni Stati ci stanno provando:

a Madrid, dove vivevano 70mila rom (in una sola città quasi la metà di quelli in tutta Italia) di cui 12mila nei campi, nel 2011 il Comune ha deciso di chiudere i campi e di investire sulla scuola. Finora sono stati chiusi 110 insediamenti e 9mila persone hanno avuto accesso ad alloggi e a percorsi di integrazione; l’obiettivo è chiudere definitivamente tutti i campi entro il 2017.

In Italia, la Strategia Nazionale voluta nel 2012 dal ministro Riccardi aveva indicato la strada suggerita dall’Europa. E invece, nelle grandi città italiane, si continua a spendere milioni di euro per finanziare i campi “nomadi” per famiglie che non sono più nomadi da decenni.

Uno dei simboli è La Barbuta, che a Roma è stato il centro del Piano nomadi del ministro dell’Interno della Lega Nord Roberto Maroni. Per costruirlo, a disposizione dell’allora sindaco Alemanno vennero messi 30 milioni di euro. Era l’idea di mandare i rom fuori dal Raccordo anulare: eppure l’isolamento aumenta la marginalità. A Milano, invece, quando Matteo Salvini governava con la Giunta Moratti (2006-11), continuava a ripetere «Ruspa!», perché – diceva – se sono “nomadi” bisogna farli circolare (peccato che non lo fossero). Gli sgomberi furono più di 500, costarono milioni di euro di soldi pubblici, non risolsero il problema (lo spostavano di pochi chilometri in un “gioco dell’oca” tra le periferie della città). Bambini come Cristina, 9 anni, vennero sgomberati venti volte in un anno, mentre altri, come Samuel, furono costretti a cambiare otto scuole. Se non sono nomadi, perché vengono sempre etichettati come nomadi? Anche gli afroamericani evocati da Bernard Shaw erano capaci di altre professioni oltre a quella di lustrascarpe…

Una delle ragioni dell’odio nei confronti di rom e sinti è la loro presunta non integrabilità. Il nomadismo calza bene con questo concetto: non sono legati al territorio, quindi sono asociali. “Asociali” li chiamavano anche i nazifascisti che giustificarono il loro internamento e sterminio sostenendo che possedevano il gene del Wandertrieb, “l’istinto al nomadismo”. Abbiamo iniziato parlando di “negri lustrascarpe”, giudici svizzeri e criminali italiani poi divenuti gelatai, borgatari romani. Er Piotta ed Elio Germano ci hanno ricordato che quelli che noi etichettiamo come “zingari” sono solo una minoranza dei rom e sinti presenti in Italia. Poi siamo passati alla vulgata dei “chiamati nomadi anche se non più nomadi da generazioni” e alle politiche sbagliate attuate in base a questo pregiudizio. L’Uomo Nero è una nostra invenzione, magari alimentata da qualcuno interessato per altri fini. Al contrario, gli appartenenti a questo popolo sono belli e brutti, intelligenti e stupidi, modesti e arrivisti, sinceri e falsi, aperti e chiusi come tutti noi, come i nostri parenti e i nostri vicini di casa.

 




non c’è fine alla creatività contro gli zingari

contro l’arrivo dei nomadi il sindaco fa scavare trincee

 

il primo cittadino di un Comune francese vuole impedire così che decine di roulottes si installino negli spazi verdi del paese

ne avevamo viste di tutti i colori, per scoraggiare la presenza dei nomadi: ordinanze comunali, fiaccolate e cartelli stradali, ma le trincee ancora erano inedite.

Eppure nel nord-est della Francia c’è un sindaco che contro gli insediamenti di rom, sinti e caminanti ha deciso di intervenire nel modo più deciso: scavando veri e propri fossati anti-caravan. A Wavrin, paese di settemila anime a ridosso del confine con il Belgio, il primo cittadino Alain Blondeau, indipendente di destra, ha fatto scavare delle trincee ai bordi degli spazi verdi cittadini. L’opposizione denuncia la spesa non proprio modica che sarebbe stata sostenuta: 28mila euro.

Secondo il quotidiano locale La Voix du Nord, in città l’iniziativa ha suscitato molte polemiche anche perché, sostengono diversi residenti, i nuovi fossati deturpano l’estetica del verde pubblico.

Blondeau, però, si giustifica: “In paese mi sono ritrovato con una carovana di oltre cento roulottes, quando normalmente non sono più di trenta – spiega – Anche se si tratta delle persone più educate del mondo, bisogna comunque fare delle pulizie, fornire elettricità e acqua corrente, si tratta di un costo per la città. Non ho terreno per accoglierli, al momento.”

In Francia una legge vecchia di anni impone alle città con più di cinquemila abitanti di garantire aree di sosta e di accoglienza per i nomadi. Il sindaco di Wavrin ha già presentato due progetti al prefetto competente ed è in attesa del responso, che dovrebbe giungere entro fine anno.




figlia di un poliziotto si innamora di uno zingaro

dove sta il problema?

Mary, nel campo nomadi “per amore del mio pirata”

di LUIGI SPEZIA

 Bolognese, 25 anni, ha lasciato la casa di famiglia per vivere con la sua roulotte in un accampamento. Il padre lavora nelle forze dell’ordine: “Mi sono innamorata e sono diventata una gaggia”, come i sinti chiamano tutti gli altri. “Credo che per un vero cambiamento bisogna superare i pregiudizi. E smetterla di accorgersi di noi solo dopo che sono morti quattro bambini”

 
 
 
   




sulle bufale sui rom

“rubano solo, non vogliono integrarsi”

Germano e Piotta smontano le bufale sui rom

 “Lo sapevate che in Italia c’è una delle percentuali di rom più basse di tutta Europa? Che solo uno su cinque vive nei campi? Che la metà ha cittadinanza italiana, con punte del 90 per cento? Che solo il 3 per cento dei rom è nomade?”

Così l’attore Elio Germano e il rapper Piotta rispondono ai pregiudizi sui Rom in un video (vedi qui sotto) a sostegno della campagna di raccolta firme “Accogliamoci”. Un’intervista doppia per sfatare, con simpatia e ironia, luoghi comuni tra i più resistenti e invitare i cittadini a firmare per il superamento dei campi rom e la riforma dei centri per migranti a partire da Roma.

 

Elio Germano e Piotta sono i tra i sottoscrittori delle proposte di delibera popolare lanciate da Radicali Roma, promosse da un ampio comitato di associazioni e organizzazioni e sostenute da personalità come Emma Bonino, Luigi Manconi, Giuseppe Civati. “Con le nostre delibere popolari per il superamento dei campi rom attraverso i percorsi di inclusione e la riforma dell’accoglienza ai rifugiati la Capitale può diventare capofila di una riforma realizzabile anche in altre città di Italia, per mettere fine una volta per tutte la politica dei ghetti”, spiegano Riccardo Magi, presidente di Radicali Italiani e consigliere comunale a Roma, e Alessandro Capriccioli, segretario di Radicali Roma. “Si tratta di proposte chiare e fattibili su due temi che si sono rivelati drammaticamente centrali nel malaffare emerso con ‘mafia capitale’. Attraverso percorsi facilmente monitorabili, con tempi e tappe certe, offriamo l’occasione di superare un sistema fallimentare che  – continuano i Radicali – produce tensioni sociali, crea terreno fertile per le più becere strumentalizzazioni politiche e che ha favorito sprechi e guadagni illeciti”. Il comitato Accogliamoci è composto da Radicali Roma, A Buon Diritto, Arci Roma, Asgi, Associazione 21 Luglio, Cild, Possibile, Un Ponte Per e ZaLab.https://www.youtube.com/watch?v=c0PE26-YL8A