la stampa e l’odio contro i rom

discorsi d’odio contro i rom: quasi un caso al giorno

Nei primi sei mesi del 2015, l’Osservatorio nazionale sui discorsi d’odio nei confronti di rom e sinti dell’Associazione 21 luglio ha rilevato 183 casi di hate speech (discorsi d’odio) contro tali comunità, con una media di quasi un episodio al giorno.Secondo i dati semestrali dell’Osservatorio 21 luglio, relativi al periodo 1 gennaio – 15 luglio 2015, oltre la metà degli episodi riscontrati (105 su 183) è classificata come “gravi“, vale a dire casi di incitamento all’odio e discriminazione, che evidenziano le forme più significative di razzismo antirom, i cui autori sono nella maggior parte dei casi esponenti politici attraverso dichiarazioni sulla stampa e sui social media.

I restanti 78 episodi riscontrati, invece, si configurano come “discorsi stereotipati“, categoria nella quale confluiscono tutti gli episodi di discorsi d’odio consistenti in dichiarazioni che adottano un linguaggio indiretto o comunque non esplicitamente penalizzante e/o razzista, ma in ogni caso reiterano e amplificano pregiudizi e stereotipi penalizzanti.

antiziganismo

Rispetto all’ultimo rapporto annuale dell’Osservatorio 21 luglio, si è registrato un leggero calo nella media giornaliera dei discorsi d’odio contro rom e sinti. Tra il 16 maggio 2013 e il 15 maggio 2014, infatti, l’Osservatorio aveva rilevato 428 casi complessivi, per una media di 1,17 casi al giorno.

rom Torre del Lago

Rispetto agli episodi rilevati, sono state 40 le azioni correttive intraprese dall’Osservatorio tra gennaio e luglio 2015, tra cui segnalazioni all’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, lettere di diffida, segnalazioni all’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori di Polizia di Stato e Carabinieri (Oscad) e esposti all’Ordine dei Giornalisti in caso di episodi appannaggio dei professionisti dell’informazione.

A questo proposito, proprio nei giorni scorsi, l’Osservatorio ha ricevuto comunicazione da parte del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia circa l’apertura di due procedimenti disciplinari nei confronti di due giornalisti i cui articoli, secondo gli esposti presentati dall’Osservatorio, si configuravano come discriminatori e stigmatizzanti dei confronti dell’intera comunità rom e sinta.

«Nonostante il lieve calo riscontrato nella media giornaliera dei discorsi d’odio nei primi sei mesi del 2015, quella dell’antiziganismo in Italia resta una piaga pericolosa, una minaccia reale per una società democratica, plurale e inclusiva sulla quale occorre mantenere alta la guardia – sostiene l’Associazione 21 luglio – . La facilità con cui i discorsi d’odio rivolti a rom e sinti trovano terreno fertile nel nostro Paese ha come conseguenza, infatti, quella di rendere sempre più accettabili e condivisibili, da parte dell’opinione pubblica, posizioni estreme e penalizzanti nei confronti di tali comunità, contribuendo così ad alimentarne un’immagine negativa e stereotipata».

 




ruspe rosse o ruspe verdi tutte violente sono

rom

in Toscana la “ruspa democratica”

“Via i campi, ristrutturare vecchi edifici”

parola del presidente Enrico Rossi

di

 

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il presidente della Regione Toscana Rossi: “Sfruttiamo i fondi europei per superare i campi nomadi”. La Lega all’attacco: “La priorità nell’affidamento delle case popolari dev’essere garantita ai toscani”. Primi progetti a Lucca, Prato e San Giuliano Terme. I Comuni assicurano: “Nessuna disparità, pagheranno l’affitto”

   David Evangelisti

 

Ruspa sì, ma “democratica”. E basata “sul rispetto dei diritti delle persone”. Il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi sfida il leader leghista Matteo Salvini lanciando la sua “ruspa democratica” (“contrapposta a quella ‘razzista’ messa in moto da una certa parte politica”) per cercare di risolvere le problematiche legate ai campi rom. L’obiettivo – ha spiegato Rossi dal palco del Meeting internazionale antirazzista di Cecina, in provincia di Livorno – è quello di sfruttare i fondi europei per “superare i campi nomadi attraverso la ristrutturazione, le case minime e la costruzione di villaggi dignitosi“: questo perché “non possiamo accettare che ci siano persone che vivono in condizioni igienico-sanitarie inaccettabili”.

La “ruspa” targata Pd (“non meno inflessibile di quella razzista”) è già in moto: per Prato, Lucca e San Giuliano Terme (Pisa) sono infatti stati approvati interventi da 1,5 milioni di euro per acquisire o ristrutturare immobili. “Un primo passo – spiegano dalla Regione – nell’ottica del superamento dei 19 campi rom della Toscana”. Manuel Vescovi, capogruppo della Lega in consiglio regionale, attacca: “La ruspa di Rossi? Noi ci teniamo stretta quella di Salvini: la priorità nell’affidamento delle case popolari dev’esser garantita ai toscani” dichiara a ilfattoquotidiano.it.

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googletag.cmd.push(function() { googletag.display(‘div-gpt-ad-1415382146669-0’); }); Rossi: “In 5 anni eliminazione di tutti i campi rom” I nomadi in Toscana, spiega la Regione, sono 3700 (un migliaio quelli in insediamenti non autorizzati). Gli interventi oggetto del decreto (e quelli previsti per Firenze) permetteranno l’eliminazione di 3 campi rom e la riduzione di un quarto. Di campi ne rimarrebbero quindi ancora 15 con 800 persone ospitate: “Scriverò ai sindaci interessati e li inviterò a presentare progetti”. Il decreto dirigenziale è stato adottato il 3 giugno e prevede l’approvazione e il finanziamento di tre “interventi-pilota in materia di edilizia abitativa a favore di comunità emarginate”. Le domande di finanziamento erano partite a fine 2014. A beneficiare dei fondi saranno Prato (526mila euro), Lucca (884mila) e San Giuliano Terme (160mila) per un totale di un milione e mezzo, soldi reperite dal Fondo europeo di sviluppo regionale 2007-2013. A Lucca il Comune acquisirà 7 edifici della periferia per aumentare l’offerta delle case popolari: “In graduatoria – spiega l’assessore comunale Antonio Sichi – ci sono cento famiglie, di cui 6 rom e sinti. Metteremo tutti sullo stesso piano: anche le famiglie nomadi pagheranno l’affitto, che va da 40 a 250 euro al mese”. A San Giuliano si ristrutturerà un immobile della parrocchia, mentre a Prato sarà risistemata una casa colonica. Tutte le amministrazioni assicurano che non ci saranno disparità di trattamento.

“Non solo a rom e sinti” La Regione – si legge nel decreto – ha lavorato all’interno di un tavolo per l’inclusione e l’integrazione sociale di rom, sinti e caminanti. “Ma l’intervento che finanziamo – afferma il presidente Rossi a ilfatto.it – non è riservato esclusivamente a rom e sinti ma a tutte le comunità emarginate, a una folta schiera di persone in difficoltà che riceveranno sostegno sulla base di progetti che saranno presentati da enti e associazioni attive in questo campo”. Vescovi però attacca: “E’ scandaloso, essere italiani è ormai diventato un difetto. L’accesso prioritario alle case popolari dovrebbe esser concesso a chi risiede sul territorio da almeno 15 anni, tenendo inoltre in considerazione la situazione reddituale e la proprietà di beni”. Soddisfatto invece Leonardo Marras, capogruppo Pd in Regione: “La ‘ruspa democratica’ è una soluzione sostenibile in linea con gli strumenti utilizzati per tamponare l’emergenza profughi”.

Il “salto” della Lega? Arriva l’assessore alla sicurezza Un provvedimento che – volontariamente o no – diventa una risposta al successo della Lega Nord in Toscana. Alle Regionali il Carroccio ha incassato il 16% dei consensi (è il secondo partito) contro il 2 delle Europee del 2014 e lo 0,7 delle Politiche del 2013. Nel frattempo una delle iniziative della campagna elettorale di Rossi era stato la sua foto di gruppo con una famiglia rom che scatenò sui social network centinaia di commenti razzisti. “Ma il successo della Lega – risponde Marras – è dovuto alla crisi del centrodestra: Forza Italia si è fermata addirittura sotto al 10%”. Poi però ammette: “Il Pd in questi anni ha forse un po’ sottovalutato la questione sicurezza, lasciando troppo spazio al centrodestra. Rossi lo ha capito e nella nuova giunta ha introdotto la delega alla sicurezza (affidata a Vittorio Bugli, ndr): mi sembra la migliore risposta possibile per indicare un importante cambio di passo”.




leccarsi le labbra in un ristorante rom

dieci donne e un sogno: aprire un ristorante rom

sono donne, rom, e hanno un sogno: aprire un ristorante

giovedì 25 giugno hanno cucinato nel campo di Candoni a Roma, vicino alla Magliana, per una ventina di ospiti: in tavola hanno servito piatti tipici della loro tradizione: sarme, verza, carne arrosto, peperoni ripieni con riso e macinata, una variante dell’insalata russa, biscotti e dolci. Maria Miclescu, Codruca Balteanu, Ribana Sadic, Roxana Cinca, Simona Nedelcu, Elena Miclescu, Gordana Osmanovic, Elisa Pandelica, Hanifa Kokic, Alexandra Costantin, Tudorita Iordan, Giuliana Sulejmanovic, Florentina Darmaz, Florentina Spirache hanno lavorato fianco a fianco, giovani e meno giovani, bosniache e rumene, ognuna assumendosi un compito: chi ha pensato alla spesa, chi  alla musica, chi ha preparato i dolci, chi ancora ha portato la macedonia. «Come in un vero e proprio catering», racconta a Gli Stati Generali Mariangela De Blasi di Arci Solidarietà . «Stiamo puntando sulle donne – aggiunge – che hanno una grande voglia di protagonismo, di indipendenza, di affermazione; per questo le abbiamo riunite attorno a un “tavolo”,  (a cui siedono anche Francesca Hamidovic, Lina Chiriac e Daniela Sulemanovic, di nazionalità serba) per creare un momento di confronto tra loro e di incontro anche con le istituzioni, in modo che siano le donne stesse a farsi portavoce delle proprie istanze». Al tavolo partecipano le operatrici e gli operatori di Arci Solidarietà, Marta Bonafoni , consigliera della Regione Lazio, e Felipe Goycoolea del coworking Millepiani.

Spiega Codruca, 23 anni: «Durante gli incontri parliamo di noi, di quello che sappiamo fare, di quello che vorremmo imparare. Ci sono alcune ragazze che devono prendere la terza media, altre che hanno studiato ma non trovano lavoro. Io ad esempio – continua – ho il diploma alberghiero, ho lavorato in un ristorante per tre anni, ma ora non riesco a trovare nulla, forse non si fidano di noi». E precisa: «Abbiamo organizzato questo pranzo per dimostrare che abbiamo voglia di fare. Sui giornali, in televisione parlano male di noi, ma non siamo tutti uguali: come le dita di una mano, ognuna è diversa dall’altra». Prima di iniziare a mangiare hanno voluto precisare che «tutti i cibi sono stati preparati seguendo le norme haccp, abbiamo fatto un corso e usato guanti speciali».

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Il percorso di queste donne nasce da due progetti di Arci Solidarietà Onlus, Donne al Volante (supporto al conseguimento della patente di guida) e 7donne Rom, libro che racconta l’esperienza di sette donne all’interno di O.r.M.e (corso di orientamento per mediatori). Un altro progetto per la formazione al lavoro delle donne rom è Roma Atelier, nato con il supporto della Caritas e finanziato dalla Curia. «L’obiettivo è  professionalizzare le donne e renderle indipendenti», racconta a Gli Stati Generali Antonella Barile del Centro di orientamento al lavoro del municipio I. «Due di loro sono state assunte da Eataly, altre faranno dei tirocini», aggiunge Barile. La formazione è modulata in base alle esigenze delle partecipanti: «Alcune seguono corsi di cittadinanza, altre di italiano, altre ancora imparano a guidare e prendono la patente».

Si danno da fare, insomma, mostrando un pezzo di mondo rom che vive nei campi poco, o niente narrato. Un pezzo di mondo in cui le donne, con l’aiuto delle associazioni (giovedì c’erano, oltre ad Arci Solidarietà, Scosse e Zero Violenza) e, in alcuni casi delle istituzioni (al pranzo erano presenti la consigliera Marta Bonafoni e Marzia Colonna, assessora del municipio 11), provano a uscire dal degrado e dalla segregazione diventando promotrici di loro stesse. «Anche noi sogniamo – ha detto una delle ragazze – E’ bello quando sogni, perché così puoi andare avanti con la vita».

Il rovescio della medaglia, però, c’è e non si può ignorare. Esiste anche a Candoni, a pochi metri da dove le donne hanno allestito il pranzo e ballato. E’ una zona diventata una discarica a cielo aperto. Cumuli di rifiuti (copertoni, batterie di auto, frigoriferi, taniche di plastica, persino eternit) coprono una vasta area non lontana dai container dove vivono adulti e bambini. Spesso questa immondizia viene bruciata, producendo fumi tossici. I famosi roghi, come denunciano gli operatori che lavorano nel campo, sono frequentissimi, per la maggior parte vengono appiccati di notte, ma a volte i fumi si alzano anche di giorno. I rifiuti ricoprono anche l’esterno del campo: è impossibile non vederli percorrendo via Luigi Candoni.   

L’area in questione è stata dichiarata insalubre dalla Asl, che periodicamente manda comunicazioni all’assessorato alle Politiche Sociali perché intervenga. Anche l’ente gestore (Arci solidarietà) ha segnalato «la forte insalubrità dell’aria», chiedendo che« la situazione si possa al più presto risolvere nell’interesse di chi in quel luogo ci abita e di chi ci lavora» . Si era parlato di uno sgombero degli abitanti di quella porzione di campo, dato che l’area era stata posta sotto sequestro dalla Forestale già l’anno scorso. Ad oggi, però, la questione resta irrisolta: anche perché circa 230 persone, tra cui molti bambini, resterebbero senza un tetto. Il vice comandante della polizia Antonio Di Maggio, interpellato al telefono da Gli Stati generali dice: «Ci stiamo lavorando». Speriamo che lavorino in fretta e bene.




ancora sui pregiudizi nei confronti dei rom

quello che pensiamo di sapere sui rom

da «sono troppi» ai presunti privilegi nell’accesso ai servizi sociali, viaggio tra i pregiudizi e la realtà delle popolazioni romanì in Italia

Il campo nomadi di via Luigi Candoni, Roma, settembre 2010

 
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 Un paio di anni fa, l’associazione di volontariato Naga ha presentato un’indagine sulla rappresentazione dei cittadini rom e sinti nella stampa italiana. Per lanciarla è stato realizzato un video, girato in un comunissimo mercato rionale milanese, con un campione di intervistati fisiologicamente ristretto ma del tutto casuale: gente comune, signore anziane, ragazze giovani, stranieri. A tutti veniva chiesto di completare una frase: «Se dico rom…».   

Pochissimi rispondono in maniera neutra o positiva; pochi fiutano la trappola che li spingerebbe a esprimersi con toni sgradevoli davanti a una telecamera; quasi tutti cedono alla tentazione di lamentarsi, di dire la propria. E quasi tutti hanno qualcosa da dire. Tra gli accostamenti più popolari alla parola rom, troviamo naturalmente il furto, la sporcizia, la mancata integrazione: quando si parla di rom la percezione diffusa è quella di una minaccia, di un corpo drasticamente estraneo all’interno del nostro tessuto sociale.

Quando si parla di rom la percezione diffusa è quella di una minaccia, di un corpo estraneo all’interno del nostro tessuto sociale

A distanza di due anni è ragionevole pensare che poco o nulla sia cambiato, nonostante sentenze come quella del 30 maggio, che ha sancito il «carattere discriminatorio» del campo nomadi “La Barbuta” di Roma; nonostante personalità politiche e non solo, come Luigi Manconi, che hanno deciso di spendersi per la questione, e nonostante svariati articoli che mirano a sfatare alcuni degli stereotipi più radicati, come il bel pezzo di Claudia Torrisi su Vice.

Secondo i dati diffusi nel 2014 dal Pew Research Center (autorevole istituto di ricerca statunitense) che ha indagato l’entità dei sentimenti antizigani in 7 Paesi europei (Italia, Regno Unito, Germania, Spagna, Francia, Grecia e Polonia), l’Italia, infatti, conquista il primato, con ben l’85% degli interpellati che ha espresso un’opinione indistintamente negativa riguardo ai rom. Dalla stessa indagine emerge anche che i rom sono la minoranza più discriminata in Europa e in Italia.

Un ristretto corpus di individui, intervistati mentre fanno la spesa, rappresenta dunque davvero la pancia del Paese. Vale quindi la pena soffermarsi una volta di più sulle dichiarazioni emerse, su ciò che pensiamo di sapere sui rom e che invece non sappiamo affatto. A cominciare dalla lapidaria dichiarazione che chiude il video:

«Troppi in giro»

Stando a una ricerca del Ministero dell’Interno, il 35% degli italiani pensa che i rom nel nostro paese siano molti più di quanti sono in realtà. L’8% è convinto che il numero si aggiri intorno ai 2 milioni, ma la verità è che sono 10 volte di meno.

Le popolazioni romanì (rom, sinti, kale, manouches, romanichals e camminanti siciliani) sono la più grande minoranza europea con 12 milioni di persone in tutto il continente. Per lo più risiedono in Romania (un milione e 800mila). In Spagna sono circa 800mila, in Francia 400mila. In Italia la stima va da circa 150mila a 180mila (tra lo 0,23% e lo 0,3% della popolazione). Di questi circa 70mila hanno la cittadinanza italiana (gli altri si dividono tra apolidi, ex jugoslavi e romeni). Oltre il 60% vive in abitazioni stabili e più del 90% ha abbandonato la vita nomade.

I rom rappresentano dunque una fetta di popolazione talmente esigua che il famoso decreto governativo che ha istituito l’“emergenza nomadi” tra il 2008 e il 2011 (applicando quindi a una minoranza etnica pari allo 0,23% della popolazione leggi speciali che si usano in caso di calamità naturali) ha veramente del paradossale.

«Proprio ieri hanno rubato a casa mia. Ed erano dei rom»

«Vengono in questo Paese soltanto per rubare»

Esiste, secondo l’Unar, una «generalizzata tendenza a legare all’immagine dei rom e dei sinti ogni forma di devianza e criminalità».

Non esistono, invece, dati che certifichino una maggiore incidenza di furti e crimini nella popolazione rom, se non l’ovvia constatazione che nella marginalità e nell’indigenza si delinque più facilmente. Sappiamo piuttosto che l’”emergenza nomadi” a cui si accennava è stata dichiarata illegittima per assenza di un effettivo «pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica». Nessun dato dimostrava ad esempio l’incremento di determinate tipologie di reati a causa della presenza di rom.

Contro il pregiudizio che li vorrebbe tendenzialmente impuniti, interviene poi Luca Cefisi con il suo libro Bambini ladri, da cui si apprende che «i ragazzi rom rimangono di più in carcere», e questo perché senza casa e denaro le misure alternative al carcere sono pressoché impossibili e va da sé che la difesa legale potrebbe non essere delle migliori.

Particolarmente odiosa è poi la vulgata che li vorrebbe «ladri e mendicanti per cultura». Sono le forme di razzismo attuale, meno improntate sulla razza ma basate su una sorta di forma estrema di relativismo culturale. Il razzismo culturalista, detto anche differenzialista, consiste nell’attribuire all’alterità un carattere assoluto, irriducibile e immodificabile, negando qualsiasi possibilità dialogica e di sintesi, relegando i singoli membri di una comunità a caratteristiche comuni e destini analoghi. In nome di un principio di differenza si giustifica pertanto l’esclusione e il rifiuto. Un principio di immutabilità culturale che peraltro il solo esempio del nomadismo, ormai abbandonato quasi del tutto, smentisce completamente.

«A casa loro»

Intramontabile mantra della destra italiana e delle chiacchiere da bar, nella maggior parte dei casi risulta semplicistico e superficiale, ma nel caso dei rom è semplicemente sbagliato.

Le popolazioni romanì sono presenti in Italia dal Quattrocento. Circa il 60% è cittadino italiano, mentre la restante buona parte è costituita da comunità giunte in Italia negli anni ‘90, dopo lo smembramento dell’ex Jugoslavia. Sono dunque profughi delle guerre balcaniche, per lo più considerati apolidi, mentre i loro figli sono in genere nati in Italia. Ciò che resta è composto da rom romeni e bulgari, e quindi cittadini comunitari.

«Hanno i benefici che noi non abbiamo»

«Hanno le case, ci danno 40 euro al giorno, e noi?»

È uno dei pregiudizi più radicati, su cui insiste molto una certa parte politica per montare un’indignazione facile. Da una relazione dell’Agenzia dei diritti fondamentali dell’Ue sulla situazione dei rom in undici Stati membri, risulta che «un rom su tre è disoccupato e il 90% vive al di sotto della soglia di povertà». Si tratta di un popolo di giovani, con alta natalità ma basse aspettative di vita (la percentuale degli ultrasessantenni è dello 0,3%, circa un decimo della media italiana) e questo per via delle condizioni di vita precarie. Siamo davvero sicuri di volerli invidiare? Vivere in un campo nomadi non è un privilegio. Qualche allaccio abusivo alla corrente non risarcisce del sovraffollamento, delle condizioni igieniche precarie, e della continua paura di non ritrovarsi più un tetto sulla testa. Cosa più importante: non esistono leggi che garantiscano un sostegno economico ai rom. Non esistono criteri che li privilegino nell’accesso alle case popolari.

Piuttosto, come emerge dal rapporto Campi Nomadi S.p.a. (luglio 2014) e dall’inchiesta Mafia Capitale, sappiamo che sono stati in molti a lucrare sulla pelle dei rom.

«Non sanno integrarsi»

«Ladruncoli, sporchi e senza terra»

La parola nomade è molto pericolosa, perché giustifica la segregazione in campi speciali isolati dalla città

Quando si parla di rom l’Italia è per l’Europa «il Paese dei campi». I campi sono attualmente delle “riserve indiane” nelle quali i cittadini vengono stipati su base etnica. Sono il primo grande confine tra la comunità rom e il resto della cittadinanza. E il loro stigma accompagna anche chi vive nelle abitazioni, perché la parola rom, l’identità rom, nella mentalità comune si lega indissolubilmente all’idea del campo nomadi.

Il sito del progetto “Parlare civile” riporta l’opinione di Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, secondo cui (ed è opinione diffusa tra gli addetti al settore) la parola nomade è molto pericolosa, perché giustifica la segregazione in campi speciali isolati dalla città. Nel suo rapporto annuale, l’Associazione 21 luglio afferma che «nel 2014 la costruzione e la gestione dei campi rom continua a essere un’eccezione italiana nel quadro europeo».

Naturalmente il termine nomade si lega a uno stereotipo che, se era ancora vero qualche decennio fa (ma già allora non per tutti), ormai deve essere definitivamente abbandonato. La popolazione nomade e seminomade si attesta a oggi intorno al 3% circa. È un’abitudine che sopravvive in parte (ma sempre più in declino) tra i Camminanti siciliani (che si suppone discendano dai rom giunti in Sicilia attorno al Trecento, anche se i Camminanti rifiutano con essi ogni sorta di identificazione). Sono per lo più semi-stanziali: passano l’inverno in Sicilia nelle loro abitazioni (soprattutto roulotte) e l’estate in viaggio – a volte fino al Nord Italia – per offrire le loro prestazioni di venditori ambulanti, arrotini, stagnini.

La leggenda della “zingara rapitrice”

Resta fuori da questa rassegna (e fa piacere) uno degli stereotipi più sgradevoli, infamanti e infondati che però – ce lo dimostrano cronache recenti – è duro a morire. Una volta per tutte: i rom non rubano i bambini più di quanto i comunisti non li mangino. Questa leggenda, che dovrebbe avere credito quanto l’uomo nero sotto il letto ma cui la stampa dà periodicamente credito, è stata definitivamente smentita da una ricerca dell’università di Verona curata da Sabrina Tosi Cambini: su tutti i casi riportati dall’Ansa fra il 1985 e il 2007 non c’è alcun caso di rapimento di minori ad opera di rom o sinti. Nemmeno uno. Tutte le denunce sembrano invece riproporre una leggenda metropolitana, così come è accaduto con i casi recenti, per i quali non sono mancate le smentite.

Su tutti i casi riportati dall’Ansa fra il 1985 e il 2007 non c’è alcun caso di rapimento di minori ad opera di rom o sinti

L’unico caso in cui una giovane rom è stata condannata per tentato rapimento è la vicenda controversa di Ponticelli (2008). Non c’erano prove se non la testimonianza della madre della bimba e dei suoi parenti, ma ciò è bastato per innescare l’assalto e l’incendio del campo rom da parte dei residenti e di uomini legati alla camorra.

Sono piuttosto i minori rom che rischiano di essere allontanati dalle proprie famiglie. Stando al rapporto Mia madre era rom, curato dall’Associazione 21 luglio, secondo le statistiche «un bambino rom ha il 60% di possibilità in più di altri bambini che sia aperta nei suoi confronti una procedura di adottabilità».

Le parole sono importanti

Il potere dello stereotipo è quello di trasformare l’ignoto nel noto. Un po’ come si suppone debbano fare i quotidiani. All’inizio ho citato l’indagine condotta dal Naga tra il 2012 e il 2013. Si tratta del monitoraggio di 9 tra i maggiori giornali italiani, spulciati per 10 mesi di seguito. Ne è emerso che, non solo, e com’era prevedibile, sulla stampa c’è una particolare insistenza nel dare visibilità a episodi negativi di cui qualche rom si è reso protagonista, ma che i rom vengono sistematicamente associati a fatti o eventi dannosi che non li vedono direttamente coinvolti. Per esempio citando en passant la vicinanza di un campo rom a un luogo in cui si è svolto un evento di cronaca, senza che il dato sia minimamente rilevante, o riportando «comportamenti che possono essere considerati negativi, ma che non sono reati» (lavarsi a una fontanella), o addirittura il semplice fatto di passare in un luogo. Il tutto, con toni allarmistici.

Certo, i media non sono gli unici responsabili (il linguaggio della politica, ad esempio, meriterebbe uno studio a parte), ma l’invito che rivolge Federico Faloppa (dell’università di Reading, nel Regno Unito, che si occupa di rappresentazione dell’alterità nella lingua italiana) è di valutare bene il peso delle parole: «A livello lessicale, si prenda la nota – ed errata – equivalenza di zingaro, rom e nomade. Che se talvolta trova (pessima) giustificazione in esigenze di varatio stilistica, spesso crea pseudo-sinonimie (zingaro = nomade) e dittologie fuorvianti (zingaro/rom e nomade), trasmettendo e reiterando quindi informazioni sbagliate».

Il problema, secondo Carlo Stasolla «è che queste persone, sin dal loro arrivo in Italia nel Quattrocento, hanno assunto il ruolo di capri espiatori. La funzione sociale dei rom è la stessa di un cestino della spazzatura in una casa: raccogliere il marcio. E oramai anche per amministratori e media è più comodo che sia così». E la politica dei campi, con il suo approccio emergenziale e assistenzialista, non aiuta di certo. Più i rom sono lontani dalla nostra conoscenza e più è facile pensare a loro in base a stereotipi. E quello che pensi di sapere sui rom potrebbe non essere così affidabile.




a proposito della canea razzista anti rom …

Zingari, giudei, buonisti e cattivisti

di Moni Ovadia

Ovadia
in “il manifesto” del 30 maggio 2015

Il tema politico sociale incandescente degli ultimi giorni ha preso avvio da un tragico fatto di cronaca. A Roma, un’auto sulla quale viaggiavano, stando a quanto riferito dalla stampa, tre persone della comunità rom, non ha rispettato l’alt della polizia ed è fuggita a velocità folle travolgendo e uccidendo un donna filippina e ferendo, anche gravemente, altre otto persone che si trovavano sul suo cammino. Come era prevedibile si è scatenata la usuale canea razzista contro i rom in quanto tali guidata dal leader della Lega Nord, Matteo Salvini e da tutta la galassia nera dei nazifascisti. Il tutto condito dall’inevitabile folklore mediatico. Ieri mattina, il giornalista di Libero Piero Giacalone, nel corso della trasmissione di attualità politica de La 7, con puntuale chiarezza, ha inquadrato la questione nei termini della legalità affermando un valore imprescindibile delle civiltà democratiche, ovvero che tutti i cittadini e gli esseri umani in generale, davanti alla legge, sono uguali. Giacalone ha proseguito il suo ragionamento con sapidità ironica prendendo a bersaglio due categorie di persone contrapposte: «buonisti» e «cattivisti» i quali, a suo parere, si limitano a recitare le loro parti in commedia. Ora, appartenendo io alla categoria dei primi, proverò a rintuzzare, almeno in parte, la pur legittima stigmatizzazione ironica di Giacalone. Se è pur vero che fra i buonisti si incontrano talora persone superficiali inclini a generici embrassons nous, coloro che vengono spesso definiti con sprezzo «buonisti» sono in linea di principio esseri umani che si pongono il problema dell’altro, delle minoranze e si ritengono responsabili del «volto altrui», per dirla con il filosofo Levinas, o mettono in pratica il dettato evangelico: «Ciò che fai allo straniero lo fai a me». Del resto, la questione dell’accoglienza dell’altro è la madre di tutte le questioni, quella la cui mancata soluzione è causa di ogni violenza e di tutte le infamie che devastano la convivenza delle comunità umane. Nel mio caso, appartengo ad una ulteriore fattispecie, sono un ex «altro» entrato nel salotto dei privilegiati. Io sono ebreo e so che significa essere gravato da pregiudizi, calunniato, perseguitato, deriso, massacrato e sterminato. Oggi, molti cattivisti vi diranno che l’ebreo non è come il rom. Oggi ve lo dicono, ma in passato i «perfidi giudei» erano trattati allo stesso modo, con una sola differenza che i rom non ricevevano l’accusa di essere deicidi, in quanto cristiani o mussulmani. Credete che l’antisemitismo abbia perso aggressività a causa dell’orrore provocato dalla Shoà? Non è così, anche rom e sinti hanno subito lo stesso destino. La vera ragione è che oggi esiste uno stato ebraico ( la definizione è di Teodor Herzel, suo Ideologo, das Juden Staat ) con un esercito, un governo e servizi segreti che sanno essere molto «cattivisti». Per rom e sinti non c’è nessuno Stato che parli e agisca, nessuno li difende da posizioni di forza e gli attacchi razzisti contro di loro sono solo azioni di vigliacchi. È razzista chiunque attribuisca reati di individui all’intera comunità. Ma io, che appartengo simultaneamente anche ad un altra categoria, i settantenni, ho buona memoria. E che c’entra con l’argomento in discussione? C’entra! Ricordo quando sui muri della prospera «Padania», della sua capitale «morale» c’erano le infami scritte razziste «via i meridionali dalle nostre città!», «non si affitta ai terroni!». Mi ricordo dell’eco di Marcinelle quando i nostri italiani più poveri, trattati come bestie in quanto italiani, venivano venduti come schiavi da miniera perché tutta l’Italia avesse carbone. Mi ricordo delle scritte «vietato agli italiani e ai cani» nel civile Nord Europa.
Allora gli zingari eravamo noi. Salvini se lo ricorda? Ma cosa volete che si ricordi un populista demagogo alla ricerca di voti? A lui, a quelli come lui, i voti non servono per fare politica, ma per fare un mestiere, quello del nazionalista da piccola patria, come i Karadzic, gli Arkan, i Mladic e i loro omologhi croati, gli sterminatori della ex Jugoslavia. Un mestiere molto redditizio che si nutre di odio, approfitta della paura dei più fragili, garantisce posti nei parlamenti e gratificante visibilità mediatica. C’è un solo nome per chi approfitta di un fatto efferato — commesso questa volta da rom, ma decine e decine di altre volte da italiani, padani compresi — per seminare odio: sciacallo.




politica delinquenziale e razzista a sostegno di Salvini

svaligiavano ville travestiti da Rom per sostenere la campagna elettorale di Salvini

arrestati

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Rozzo Lombardo – E’ stata ribattezzata ‘Gipsy King’ la clamorosa operazione con la quale i Carabinieri hanno sgominato un’organizzazione criminale che si era resa protagonista di una serie di rapine avvenute in alcune ville (anche in quelle abusive!) della Brianza, seminando panico e rinfocolando l’odio razziale.
I sospetti erano subito caduti sugli zingari del vicino campo di Fregazzate, specie dopo un’esaustiva foto doppia Boldrini/Rom felici con una sobria didascalia “I Rom ringraziano la bOldracca di Roma”, diffusa in paese, ma dopo circa 2 mesi di indagini i militi dell’Arma hanno potuto constatare che in realtà gli autori erano sostenitori della Lega Nord della vicina sezione di Chienge.
Il travestimento adottato dai criminali era quasi da manuale, salvo per un errore che si rivelerà fatale: Audi A5 nera con vetri oscurati e assetto ribassato, barba alla Joaquín Cortés, capelli impomatati, camicia di raso ed un italiano alquanto incerto, particolare che li camuffava perfettamente tra i locali.
A mettere sulla buona strada gli investigatori è stata la deposizione dello stalliere siculo di un noto imprenditore della zona, trovatosi nel bel mezzo della rapina, e ora unico e imprescindibile testimone oculare, che in genere non vede, non sente e non dice niente, tranne quando gli fanno girare lu cugghiuni. L’uomo ha infatti dichiarato: “Quando me li trovai davanti esclamai un sonoro và rumpiti i cuorna zingheru ‘mmierda e per tutta risposta il più giovane, (poi identificato come Benzo Rossi, detto ‘il Torta’) rispose “zingara è tua sorella, terùn, allora lo guardai in bocca e notai che dall’incisivo non proveniva alcun riflesso da brillantino. Così capii che quelli non erano veri rom”.
 
I quattro quasi scaltri padani travestiti da gitani contavano con questo diabolico sotterfugio di prendere due fave con un piccione: rifornire di ‘benzina’ il motore dell’intolleranza avviato nella campagna elettorale di Matteo Salvini per mantenerlo al massimo dei giri ed allo stesso tempo trovare i soldi necessari per finanziare le batterie destinate ad alimentare la nuovissima felpa leghista hi-tech a cristalli liquidi, su cui compare automaticamente il nome della città in cui ci si trova, già collaudata dal segretario del Carroccio e che gli ha regalato una grande ed inaspettata soddisfazione in seguito alla calorosa accoglienza con tanto di standing ovation conquistata durante il comizio nella cittadina umbra di Bastardo.
 
 
 
 Marco Paolini e Vittorio Lattanzi
 

 



un esempio di forze dell’ordine inflessibili coi deboli e … flessibili coi forti?

festa di matrimonio in un capannone in disuso

denunciati 44 rom

 

una festa di matrimonio di un gruppo di rom è finita con un blitz dei carabinieri del nucleo operativo e radiomobile di Pisa ieri in un capannone industriale in  disuso

Delle 44 persone presenti, tutte denunciate, 40 erano già conosciuti alle forze dell’ordine. È stato un carabiniere fuori servizio, transitando nella zona, ieri intorno alle 18.30 a segnalare alla centrale operativa un assembramento sospetto di auto nell’area industriale, che già in passato è stata ripetutamente occupata da rom rumeni. Immediatamente sul posto sono giunte alcune pattuglie dell’Arma che hanno proceduto all’identificazione dei presenti che sono stati denunciati per invasione di terreni ed edifici.

Sui 44 denunciati verranno svolte nei prossimi giorni verifiche più approfondite per valutare se vi sono i presupposti per l’emissione di un foglio di via obbligatorio dalla città. In passato l’area aveva visto la presenza anche di alcuni gruppi di spacciatori tunisini, alcuni dei quali arrestati dai carabinieri, mentre per altri l’autorità giudiziaria aveva disposto il divieto di dimora a Pisa.

pubblicato da La Nazione sull’app Quotidiano.net




il vescovo ci ha provato ma gli danno del rompico …. ni!

il vescovo di Lucca a fianco dei Rom: “basta discriminazioni”

la presa di posizione di monsignor Castellani dopo le discriminazioni alla Festa di primavera al centro sportivo Zappelli di Viareggio

Il vescovo di Lucca, Italo...

 L’arcivescovo di Lucca Italo Castellani ha voluto mandare un messaggio di solidarietà contro la discriminazione dei Rom durante la festa di primavera al centro sportivo “Vasco Zappelli”.

Monsignor Castellani ha così voluto inviare un messaggio di solidarietà alla comunità Rom, troppo spesso vittima di razzismo e protagonista, negli ultimi giorni, della cronaca visto che al campo in via Cimarosa a Torre del Lago è stata staccata l’acqua. Un messaggio di vicinanza da parte della chiesa di Lucca che è stato favorevolmente accolto dalla comunità.

ma povero vescovo: gli è andata decisamente male! e sì che in 10 anni credo che si tratti della prima parola o gesto che esprime in solidarietà agli zingari! pubblicata in internet la foto della sua solidarietà, si è scatenata una reazione estremamente negativa contro di lui: su ben 667 commenti solo una irrilevante manciata di questi è a suo favore a fronte di una valanga di reazioni pesantemente negative e insultanti verso il vescovo e verso, ovviamente, i rom nei cui confronti prende corpo  il più becero razzismo!
una domandina ai nostri vescovi: tutte quelle reazioni negative e razziste non sono state espresse da persone atee o lontane dalla fede, ma, c’è da scommetterci, da persone che la domenica magari vanno a messa, anche se non sempre, e poi nella loro quotidianità vivono questa forma di chiusura e di intolleranza e di razzismo: sono contenti così i nostri vescovi? perché non si sente un vescovo che grida forte che questo è l’opposto della fede cristiana e chi si esprime in questo modo deve subire la scomunica da questa e dalla comunità cristiana, non perché qualcuno autoritariamente li butta fuori ma perché da soli si autoescludono d alla comunità che si ispira al vangelo di Gesù?

questa la reazione al post della solidarietà del vescovo di Lucca ai rom attentamente osservata dal giornalista Danilo Fastelli de ‘il Tirreno’:

vescovo Italo




ancora sgomberi per i rom di Pisa

 

 

tra diritto all’abitare e sgomberi: famiglie Rom di Putigliano, vivono in terreni regolarmente acquistati e chiedono una soluzione

rom di putigliano.si è tenuta in Logge di Banchi (davanti al Comune di Pisa) la conferenza stampa di alcune famiglie rom residenti a Putignano, colpite dai recenti provvedimenti di sgombero e di sequestro dei terreni, hanno partecipato oltre ai capofamiglia anche alcuni residenti di Putignano e i volontari dell’Associazione Africa Insieme

 

rom putigliano«Chiediamo di poter vivere in pace, di avere un posto dove dormire e di mandare i nostri figli a scuola». Comincia così, con questo appello lanciato da un capofamiglia, la conferenza stampa convocata da alcuni nuclei rom insediati a Putignano. Gianni – così si fa chiamare l’uomo, nato in Italia da genitori bosniaci – si rivolge al Sindaco: «abbiamo avuto un ordine di sgombero, e non sappiamo dove andare».
rom putigliano2La storia dei rom di Putignano è molto diversa rispetto ad altre: queste famiglie non abitano in campi “abusivi” ma in terreni regolarmente acquistati, e dunque di loro proprietà. «Abbiamo cercato una casa in affitto», spiega Gianni, «e per un certo periodo siamo stati anche aiutati dal Comune con “Città Sottili” [il programma di accoglienza varato nel 2002 e chiuso nel 2009, ndr.]. Purtroppo, per una famiglia rom è impossibile trovare casa: quando sentono che sei zingaro, i proprietari dicono sempre di no…».

rom putigliano5Impossibilitati a trovare un alloggio, i rom si sono decisi ad acquistare un terreno: «sono titolare di una piccola impresa individuale», spiega ancora Gianni, «non sono mai stato ricco, ma avevo qualche risparmio e ho pensato di investirlo per dare un tetto ai miei figli». Il problema è che i terreni erano  a destinazione agricola, e la legge urbanistica vieta qualunque insediamento abitativo in aree agricole. Così, gli uffici del Comune hanno avviato una procedura per la confisca dei terreni e lo sgombero. «Se questa è la legge», dice ancora Gianni, «è giusto applicarla. Ciò che chiediamo è di avere un posto dove dormire: il Comune ci dia un’alternativa».

«Si tratta di un problema nazionale», spiegano i volontari di Africa Insieme e gli attivisti del Progetto Rebeldia, intervenuti nella conferenza stampa a sostegno delle famiglie. «Ovunque in Italia, per uscire dai campi, i rom hanno acquistato terreni agricoli. E ovunque hanno ricevuto ordini di sgombero». Eppure, dicono gli attivisti, altrove si sono trovate soluzioni alternative.

rom putigliano,«Ci sono esperienze importanti a Trento, Bologna o Modena, solo per fare degli esempi», spiega Sergio Bontempelli, presidente di Africa Insieme. «In queste città i Comuni hanno allestito direttamente le micro-aree e le hanno assegnate ai rom in cambio di un affitto. Sono progetti che costano poco e risolvono il problema».Alla conferenza stampa sono intervenuti alcuni residenti di Putignano, i “vicini di casa” dei rom. «Non c’è un problema di convivenza con queste famiglie», ha spiegato Clelia Bargagli, «i loro figli vanno a scuola con i nostri, e ci conosciamo ormai da molti anni». La richiesta di una soluzione abitativa è condivisa anche da molti residenti: «le leggi vanno applicate», dice ancora Clelia Bargagli, «ma vanno applicate tutte: anche quelle che garantiscono il diritto all’abitare».

A sostegno delle famiglie rom è arrivata anche la voce di Ciccio Auletta, consigliere di Una Città in Comune, che porterà la questione all’attenzione del Consiglio Comunale.



la Norvegia chiede scusa ai rom e promette che li risarcirà

 

il primo ministro norvegese Solberg: “risarciremo i Rom”

 le scuse e le promesse della Solberg

Ieri il primo ministro norvegese Emma Solberg non solo si è scusata con la comunità Rom norvegese ma ha anche promesso un risarcimento per le discriminazioni subite prima e dopo la seconda guerra mondiale.

La Solberg senza giri di parole ha definito il trattamento riservato dalle autorità nazionali alla minoranza, in particolare durante e immediatamente dopo il secondo conflitto mondiale, un “periodo oscuro della storia del nostro paese”.

Il commento del primo ministro segue la pubblicazione di un dettagliato rapporto, commissionato dal governo di Oslo nel mese di febbraio, sulle conseguenze di un provvedimento con cui venne impedito ai cittadini Rom norvegesi di rientrare nel paese dopo i viaggi all’estero a partire dal 1930.

norvegia rom

Dal rapporto è emerso che 62 Rom norvegesi furono trucidati nei campi di concentramento del Terzo Reich a causa del mancato ingresso (secondo le ultime stime la comunità Rom norvegese, nella seconda metà degli anni ’20, contava tra i 100 e i 150 individui).

Un altro rapporto, curato dal Centro Studi sulla Shoah e sulle minoranze religiose norvegese, ha dimostrato che il governo norvegese impedì il ritorno dei Rom sopravvissuti all’olocausto anche per il decennio successivo alla fine delle ostilità.

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Norvegia: l’autocritica di un intero paese

È ormai giunto il momento della resa dei conti morale con questo periodo oscuro della storia del nostro paese – ha detto la Solbergoggi lo stato riconosce le proprie responsabilità, gli errori commessi e l’ingiustizia che è stata fatta nei confronti dei rom norvegesi” attraverso un vera e propria “politica di esclusione razziale”.

Ci sono voluti più di vent’anni (la battaglia per il risarcimento ma soprattutto per il riconoscimento dei torti subiti è cominciata nel 1990) ma la piccola comunità Rom norvegese, che al momento conta circa 500 appartenenti, ha finalmente ottenuto giustizia.

Tuttavia, si sottolinea nel rapporto, c’è ancora molto lavoro da fare per conoscere approfonditamente le violenze subite dai Rom durante la lunga occupazione nazista del paese.

Solo due mesi fa la coalizione di centro-destra con a capo la Solberg aveva promosso un controverso progetto di legge contro l’accattonaggio che, a detta dei critici, avrebbe sortito l’effetto di criminalizzare i cittadini Rom.

Successivamente, sia il Partito Conservatore del primo ministro che il Partito del Progresso, partner di maggioranza dichiaratamente “anti-immigrazione”, hanno ritirato il proprio sostegno alla normativa.