le parole feroci di Salvini contro i rom

la politica della ferocia

a proposito di ‘radere al suolo i campi rom’

di Michele Serra
in “la Repubblica” del 9 aprile 2015

Serra

È sperabile e forse probabile che Matteo Salvini, quando dice che bisognerebbe “radere al suolo i campi Rom”, abbia in mente qualcosa di meno insolente e meno violento. Per esempio che, con congruo preavviso, quei campi andrebbero sgomberati. Perché allora, Salvini dice proprio “raderli al suolo”? Lo dice perché è al tempo stesso artefice e vittima di uno dei più funesti equivoci della scena politica italiana degli ultimi anni. L’idea che il “parlare come si mangia” sia un decisivo passo avanti; mentre è un penoso, umiliante passo indietro. La politica è — da sempre — il tentativo di dare una forma, anche verbale, alle pulsioni di massa. Di renderle, diciamo così, presentabili in pubblico, e non per il piacere privato di quattro intellettuali, ma per dare una voce più intellegibile e dunque più autorevole soprattutto a chi voce non ha. Che quella dei campi rom sia una questione sociale rilevante, e lo sia tanto per i rom quanto per chi con quei campi convive, è perfettamente vero. Ma nemmeno il più ottuso e infelice dei politici, a meno che sia un nazista (e Salvini non lo è)

salvini

può dire pubblicamente che quei campi vanno “rasi al suolo” senza attirarsi la dura critica e lo spregio di chi (per esempio la Caritas) la politica la fa sul campo. La fa nelle strade e nelle case, nelle periferie e nei campi nomadi, non nei “salotti del centro” tanto invisi a Salvini: e proprio per questo conosce le difficoltà, la fatica, la povertà, il degrado, le paure, il dolore umano, insomma la maledetta complicazione del problema. E detesta le semplificazioni becere, quelle scodellate in tivù per cercare l’applauso facile. L’urlaccio, il grido minaccioso, il borborigmo che non trova sbocchi non sono politica. Sono, della politica, un ingrediente bruto che chi fa politica ha il dovere di elaborare. Ignorare quegli ingredienti per non sporcarsi le mani è un vizio grave. Ma ficcarcele dentro, le mani, estraendone i peggiori effluvi e le più dolenti frattaglie come trofei, è il vizio opposto. In questo vizio sguazza, fino dalle sue origini, la Lega, che della sua matrice “popolana” si fa un vanto. Non rendendosi conto che il politicamente scorretto, per quanto lucroso (a tratti) e per quanto di facilissimo conio, ha il difetto strutturale di non riuscire a risolvere neanche mezzo problema. Se il politicamente corretto è spesso ipocrita, il politicamente scorretto è sempre impotente, rabbia da parata, smargiassata mediatica, niente che odori di soluzione anche parziale, anche imperfetta dei problemi. Niente che possa diventare governo, egemonia culturale, nuova identità condivisa e operativa. Se non si è Hitler o Tamerlano il politicamente scorretto, la minaccia feroce, le soluzioni finali sono solamente il segno della più fragorosa inettitudine. A questo danno interno, il politicamente scorretto aggiunge i danni inflitti, suo malgrado, alla comunità intera. Come un contagio. La dequalificazione del linguaggio politico, la sua capillare corrosione fa male a tutti indistintamente. Contamina, indebolisce, danneggia, peggiora, incanaglisce: diventa parte integrante del discredito della politica e della classe dirigente. Un personaggio come Razzi, oggi considerato una amabile macchietta, fino a non troppi anni fa sarebbe stato visto come una figura scandalosa o un caso umano da soccorrere. Quando ci si abitua a sdoganare l’insolenza, l’aggressività e l’ignoranza come ragioni identitarie, niente può più sbalordire e niente può più indignare. Fino a vent’anni fa a dire che bisogna “radere al suolo” i campi rom era qualche personaggio da bar. Nei bar si diceva (e si dice) anche molto peggio. Ma trasformare la polis in un bar vuol dire non avere alcun rispetto né della polis, né del bar.

il cardinale Vegliò le ha definite ‘parole stupide non meritevoli di commento’, il grande Vauro le ha commentate così:

Salvini e i rom




via gli zingari da tutto il comune: “non li vogliamo!”

 
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Rom, comune vicentino affigge divieti di sosta per nomadi. “Non li vogliamo qui”

i divieti affissi proprio il giorno dedicato ai rom e sinti: l’8 aprile

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Campo Nomadi

 

Il sindaco di Albettone Joe Formaggio, nella Giornata internazionale dei Rom e dei Sinti, ha firmato un’ordinanza di divieto per le carovane: “E’ il nostro regalo per queste persone: non le vogliamo. I campi sono covi di criminalità”. Il primo cittadino si schierò per primo in sostegno del benzinaio Graziano Stacchio, che in un comune vicino sparò durante una rapina in gioelleria uccidendo un bandito, proveniente proprio da un campo nomadi del trevigiano

L’affissione dei cartelli va ricollegata all‘ordinanza di divieto per carovane ed altri mezzi firmata dal sindaco, ufficialmente per ragioni igienico-sanitarie, dato che il comune non è dotato di piazzole per la sosta e attacchi per gli scarichi. Ma Formaggio non ha problemi ad ammettere che la ragione è quella di impedire a Rom e Sinti di fermarsi perchè i campi sono “covi di criminalità”. D’altra parte Joe Formaggio è il sindaco che si vanta di dormire con il fucile sotto al cuscino, regolarmente denunciato e usato più volte come deterrente per i malintenzionati, e che si schierò per primo in sostegno del benzinaio Graziano Stacchio, che a Ponte di Nanto – comune vicino ad Albettone – sparò durante una rapina in gioelleria uccidendo un bandito, proveniente proprio da un campo nomadi del trevigiano.




un popolo nel mirino … capro espiatorio delle nostre paure

Rom e Sinti, tra sgomberi forzati, parole d’odio e falsi miti

di Andrea Scutellà

‘il rapporto dell’Associazione 21 Luglio’ : “aumentano gli sgomberi per il Giubileo”

 in Italia abita lo 0,25% dei Rom; solo il 3% di loro è nomade. In 40mila vivono nei campi. C’è chi in Tv li definisce “feccia della società”: ma i bambini hanno un’aspettativa di vita è inferiore di 10 anni e all’Università non arrivano mai

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Roma – È il 9 luglio 2014, in riva al fiume Aniene. Trentanove  persone di etnia Rom subiscono uno sgombero forzato dal loro accampamento, in via di Val d’Ala. Supportate da Amnesty International e dall’Associazione 21 Luglio chiedono una sistemazione alternativa. “Dopo ore di intense trattative – riporta una nota dell’Associazione 21 Luglio – ai rom viene offerta l’accoglienza all’interno dell’ex Fiera di Roma”. Il 30 novembre, però, arriva la notifica di uno sgombero imminente. I 15 nuclei familiari verranno rimpatriati in Romania. Salvo trovarsi, di nuovo, a fine febbraio 2015, in riva al fiume Aniene. “Lo sgombero forzato ha avuto un costo totale di 168.400 euro, senza che sia stata trovata alcuna risposta adeguata alle famiglie coinvolte”. Ecco un chiaro esempio di “Gioco dell’Oca”, che 21 Luglio denuncia nel suo primo rapporto nazionale: presentato proprio l’8 aprile, nella giornata internazionale dedicata ai Rom, Sinti e Camminanti.

Giubileo in vista: aumentano gli sgomberi. “Dopo l’annuncio del Giubileo, nel periodo compreso tra il 13 e il 30 marzo – spiega Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio – si è passati da una media 2 sgomberi al mese a 6 a settimana. C’è un libro di Tano D’Amico sull’evento del 2000, che si intitola Il Giubileo nero degli zingari. Alle istituzioni suggerirei di evitare questo rischio”. Una preoccupazione condivisa da Riccardo Magi, presidente dei Radicali italiani e consigliere comunale di Roma. “Il rischio – precisa – è quello di cedere a interventi di decoro o pulizia della città in netto contrasto con le politiche sociali”. L’esempio della comunità di via Val d’Ala è dietro l’angolo. “Gli sgomberi, lasciando la situazione invariata, muovono tre cose – conclude Stasolla -: i rom, i soldi e i voti”. Cacciare una comunità rom, infatti, è di sicuro appeal elettorale.

A Milano si sgombera per l’Expo. “Lo sgombero come metodo è legittimo” precisa Carlo Stasolla “ma diventa forzato quando non si rispettano i parametri stabiliti dalle organizzazioni internazionali”, cioè quando manca un preavviso sufficiente e le giuste alternative alla vita in strada per le famiglie. A Roma, lo scorso anno 34 sgomberi forzati hanno coinvolto circa 1.135 persone, secondo i dati forniti da 21 Luglio. A Milano, invece, 191 sgomberi hanno riguardato oltre 2.200 persone. Secondo le Associazioni Naga e Errc vengono chiamati “allontanamenti medio-grandi” quelli eseguiti per opere legate all’Expo e “micro-allontamenti” quelli “frutto della pressione di cittadini” che spesso non rispettano “la normativa vigente”.

Il sistema dei campi e i flussi di denaro in aumento. “Dal 2000 l’Italia è stata definita il Paese dei campi”. L’Associazione 21 luglio nel suo rapporto denuncia con forza “la politica segregante volta a gestire e a mantenere un sistema abitativo parallelo per soli rom, ovvero su base etnica“. Un sistema che è costato alla sola città di Roma circa 22 milioni di euro nel 2013, secondo “Campi Nomadi spa”, un documento prodotto da 21 luglio nel 2014, che aveva anticipato la collusione tra politiche sociali e malaffare emersa con l’inchiesta Mafia Capitale. L’Associazione annuncia un “Campi nomadi bis” in uscita il 6 maggio, focalizzato sullo scandalo dei centri di raccolta “temporanei” dei rom. Stasolla non si sbottona troppo sui flussi di denaro diretti verso i campi, ma anticipa che “non sono diminuiti, anzi sono aumentati rispetto al passato”.

La longa manus della Cooperativa 29 giugno. Il solo “villaggio” di Castel Romano, su cui era stesa la longa manus della Cooperativa 29 Giugno, sarebbe costato, secondo le stime di 21 Luglio, oltre 5 milioni di euro. Ancor più preoccupante diviene il fatto se paragonato “con quanto il Governo italiano ha dichiarato di avere destinato a politiche di inclusione rivolte ai rom nel documento presentato in sede di Revisione Periodica Universale presso le Nazioni Unite (senza specificare l’arco temporale): 19.830.000 euro”.

?Dall’emergenza all’inclusione.? Erede della sciagurata stagione della “emergenza nomadi” (2008-2011)  –  che permise di agire in deroga a diverse leggi nella gestione dei campi  –  la Strategia nazionale di inclusione dei Rom, Sinti e Camminanti  (2012) “ce l’ha chiesta l’Europa” ed è imperniata su 4 cardini: alloggio, salute, impiego e istruzione. La stagione “emergenziale” si è conclusa a suon di sentenze, considerata illegittima dal Consiglio di Stato nel 2011, con conferma della Cassazione nel 2013. Ad oggi, nonostante i buoni propositi, l’attuazione del nuovo piano vive di ritardi e confusioni.

I rischi della discrezionalità dei Comuni. La discrezionalità degli enti locali non solo nei confronti delle istituzioni nazionali, ma anche nei rapporti reciproci, per l’applicazione dei provvedimenti “può condurre a situazioni in contrasto con la Strategia”, sottolinea 21 Luglio. “I Comuni possono attivare misure proprie a prescindere dagli orientamenti delle Regioni (…) come di fatto avviene”. Le politiche figlie delle vecchie logiche emergenziali, come la costruzione di nuovi campi, sono costate dal 2012 ad oggi, secondo i calcoli di 21 luglio, circa 13 milioni di euro. Inoltre l’attivazione dei tavoli regionali, fulcro del piano, procede a rilento: a febbraio 2015 erano operativi appena 10 su 20 previsti. Regioni con una consistente percentuale di popolazione rom, come Lombardia e Veneto, sono ferme al palo. Il tavolo del Lazio, invece, pur istituito, non è ancora stato convocato.

Numeri di una percezione sballata. Gli organismi internazionali hanno spesso sottolineato come in Italia manchino adeguati strumenti di monitoraggio per valutare l’inclusione dei Rom, Sinti e Camminanti. I pochi numeri che ci sono, frutto di stime e non di censimenti, bastano a confutare alcuni luoghi comuni. Non solo l’Italia non è “invasa” dai rom, ma, tra i paesi europei, è quello che ne ha le percentuali più basse: appena lo 0,25% sul totale dei residenti. Metà di loro ha la cittadinanza italiana. Le stime del Consiglio d’Europa oscillano tra le 120mila e le 180mila persone, di cui 40mila vivono nei “campi nomadi”. A proposito di nomadismo, c’è un altro mito da sfatare: appena il 3% dei rom continua a viaggiare, secondo il Rapporto Conclusivo dell’indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Camminanti in Italia diffuso dalla Commissione Diritti Umani del Senato nel 2011.

Baraccopoli e magazzini. I luoghi in cui abitano i rom rientrano spesso nella definizione di baraccopoli stabilita dall’Un-Habitat delle Nazioni Unite. Gli abitati “sono spesso delimitati da recinzioni” e “videosorvegliati”, si legge nel rapporto di 21 Luglio. Sono “al di fuori del tessuto urbano e distanti dai servizi primari, come scuole, ospedali e supermercati” tantoché “l’isolamento spaziale spesso si traduce in isolamento sociale”. Le “condizioni igienico-sanitarie” sono “critiche” e le “unità abitative sono temporanee, solitamente bungalow, container o roulotte”. Il “Best House Rom”, il discusso centro di raccolta temporaneo di Roma senza luce e aria naturale in cui vivono 300 rom ormai da 2 anni, è accastato come magazzino. La segregazione sulla base dell’origine etnica, inoltre, potrebbe costare all’Italia l’ennesima procedura di infrazione da parte dell’Unione Europea.

I minori rom. Oltre il 60% dei rom presenti in Italia hanno meno di 18 anni, secondo Opera Nomadi. Di questi “almeno 15mila” sarebbero “a rischio apolidia”. La condizione, cioè, di inesistenza di fatto per la burocrazia italiana, che ha ripercussioni gravissime sulla vita quotidiana: l’impossibilità di avere un pediatra o un medico di famiglia, di iscriversi a scuola, di contrarre un prestito, un mutuo, di prendere la patente di guida, di iscriversi alle liste di collocamento. Di vivere, insomma.

Un bambino ha  possibilità di laurearsi prossime allo zero. Un bambino che vive in un “campo nomadi” in Italia, secondo le stime raccolte da 21 Luglio, ha possibilità prossime allo 0 di intraprendere un percorso universitario e neanche l’1% di frequentare le scuole superiori. Tra la scuola primaria e la secondaria di primo grado abbandonano il 50% dei minori rom e sinti. Circa il 95%, invece, getta la spugna tra le medie e le superiori. Infine un bambino appartenente alle minoranze zigane ha un’aspettativa di vita di 10 anni inferiore rispetto a un collega gagè. E dire che i progetti di scolarizzazione dei rom, nel solo Comune di Roma, sono costati 3,2 milioni nell’anno solare 2014.

E tocca pure sentire quello della Lega: “Sono la feccia della società”. “I rom sono la feccia della società” dice in diretta Tv l’europarlamentare della Lega Nord, Gianluca Buonanno. Un’affermazione dell’arguto deputato che ha scatenato l’applauso del pubblico di Piazza Pulita, immediatamente stigmatizzato dal conduttore Corrado Formigli. Nel 2014 altri 442 discorsi d’odio  –  calco dell’inglese hate speech  –  hanno afflitto il dibattito pubblico italiano, “di cui 204 ritenuti di particolare gravità”. L’87% dei questi discorsi sono stati pronunciati da uomini politici. Ne risulta un bombardamento quotidiano da parte di alcune forze politiche contro i Rom, i Sinti e i Camminanti.

Sentimenti antizigani. Non deve stupire, allora, il triste primato risultato dal sondaggio del Pew Research Centre, secondo cui l’85% degli italiani esprime sentimenti antizigani. Per ogni Buonanno che parla c’è una folla pronta ad applaudire. Una volta acclamata, la parola, non fatica a trasformarsi in azione: da parte dell’istituzioni  –  Borgaro, provincia di Torino: un sindaco Pd e un assessore ai trasporti di Sel hanno pensato a una linea bus dedicata esclusivamente al servizio tra il campo rom e il capolinea  –  della società civile  –  “È  severamente vietato l’accesso agli zingari” recitava il cartello appeso all’ingresso dell’esercizio commerciale romano  –  e dei singoli individui, probabili autori dei numerosi incendi che hanno interessato molti “campi nomadi” nel 2014.




rapporto 2014 su Rom e Sinti

 

i ‘campi’ di Torino, Palermo, Roma e Napoli definiti dall’ ‘associazione 21 luglio’ “luoghi di sospensione dei diritti umani”

 “Solo 1 rom su 5 vive nei campi”

rom Torre del Lago

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una delegazione dell’ ‘associazione 21 luglio’ insieme a 12 donne rom, ha presentato lo studio alla presidente della Camera Laura Boldrini in occasione della Giornata Internazione dei Rom e dei Sinti. L’approccio emergenziale resta quello più utilizzato dall’amministrazione. Campi di Torino, Palermo, Roma e Napoli definiti “luoghi di sospensione dei diritti umani”
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Sono circa 180mila i rom e i sinti che vivono in Italia e rappresentano lo 0,25% della popolazione presente sul territorio nazionale. Questo il dato dell’Associazione 21 luglio che in occasione della Giornata Internazionale dei rom e dei sinti ha presentato il suo Rapporto annuale 2014 e ha incontrato Laura Boldrini alla Camera con un gruppo di dodici donne rom. Della totalità dei Rom e sinti presenti sul territorio, il 50% ha la cittadinanza italiana e 4 di loro su 5 vivono in regolari abitazioni: studiano, lavorano e conducono una vita simile a quella di ogni altro cittadino italiano o straniero. Solo uno su cinque dei rom del paese vivono nei cosiddetti “campi”, per un totale di 40mila persone. Ma la loro vita – sottolinea il rapporto – è ben più esposta agli occhi dell’opinione pubblica e dei commenti degli esponenti politici di quella dei restanti 140mila.

Per coloro che vivono nel Paese in condizioni di emergenza abitativa, sembra che la Strategia Nazionale per l’Inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti non abbia portato ad un sostanziale cambiamento delle condizioni di vita. Il leitmotiv di ogni azione pubblica è rimasto quello dell’approccio emergenziale, che nei propositi doveva essere abbandanato, e che si è declinato in azioni di sgombero forzato (più di 230 nelle città di Roma e Milano) e nell’ideazione e progettazione di nuovi campi nomadi. La questione abitativa resta quindi centrale nelle politiche delle amministrazioni locali. Negli ultimi tre anni sono stati costruiti nuovi insediamenti a Roma, Milano, Giugliano e Carpi e in molte città italiane del centro-sud sono in discussione progetti relativi alla costruzione di nuovi insediamenti per finanziamenti che superano 20 milioni di euro.

Molte le criticità emerse in numerosi campi italiani, anche tra quelli organizzati e gestiti dalle autorità, che da Torino a Palermo, passando per Roma e Napoli, sono stati definiti luoghi di sospensione dei diritti umani. Non semplice anche il quadro registrato per la qualità della vita dei minori, per cui la probabilità di accedere un giorno a un percorso universitario è tendente allo zero e quella di accedere alle scuole superiori si attesta all’1%. In un caso su cinque non verrà mai intrapreso un percorso scolastico. Anche l’aspettativa di vita è più bassa, circa 10 anni in meno rispetto al resto della popolazione e la possibilità di sentirsi discriminato raggiunta la maggiore età a causa della propria etnia è del 70%. Per quanto riguarda gli atti di violenza: gli episodi di odio registrati dall’Osservatorio di Associazione 21  luglio sono 443 e l’87% dei casi risulta riconducibile a esponenti politici. Nel 2014 è emerso un forte nesso tra le politiche discriminatorie e segregative e un radicato antizingarismo.

Il Rapporto fotografa la situazione di Roma, considerata “cartina al tornasole” della situazione del Paese, facendo riferimento al “gioco dell’oca” degli sgomberi  – 34 solo nel 2014 – che hanno spinto le comunità rom a spostarsi da un punto all’altro della città subendo una violazione dei diritti umani e provocando sperpero del denaro pubblico.



‘no all’esclusione dei rom e sinti’ : appello delle chiese europee

appello ecumenico per i rom: no all’esclusione

 

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appello per rom e sinti
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l’8 aprile ricorre la Giornata internazionale dei Rom. Per l’occasione è stato lanciato un appello ai cristiani d’Europa perché diventino “sempre più aperti nei confronti dei Rom, che sono spesso esclusi e vivono in povertà ai margini della società”. A sottoscriverlo sono le Chiese europee, con i due loro organismi di rappresentanza, la Kek (per le chiese protestanti, ortodosse, anglicana) e il Ccee (per le Conferenze episcopali cattoliche).
“Ogni essere umano è creato a immagine di Dio, qualunque sia la sua lingua e la sua cultura”, scrivono Kek e Ccee.

 

Le minoranze Rom hanno mantenuto una ricca cultura
“Nonostante la difficoltà vissute lungo tutta la loro storia – affermano – le minoranze Rom hanno mantenuto una ricca cultura che include valori come la vita familiare, l’amore per i bambini, la fede in Dio, il rispetto verso i defunti, il piacere della musica e della danza. Consideriamo questa cultura come un dono del Creatore, che merita rispetto e sostegno”.
La realtà vissuta da questa popolazione nel continente europeo, come riporta l’agenzia Sir, è dappertutto estremamente difficile.
Le Chiese ne danno testimonianza: “La situazione attuale di molte persone Rom in tutta Europa – scrivono nel messaggio – è deplorevole. I principali problemi sono l’antigitanismo verbale e d’azione in tutta Europa, l’alto tasso di disoccupazione, la mancanza di formazione professionale e, di conseguenza, l’estrema povertà”.

Cresciuta la sensibilità nei confronti dei Rom
“Allo stesso tempo – si legge nel messaggio -, si possono osservare alcune tendenze positive nelle società europee. È cresciuto il numero dei giovani Rom che studiano nelle scuole superiori e nelle università. La conoscenza della popolazione Rom e la sensibilità nei loro confronti è in crescita”. In prima linea nell’aiuto ai “loro fratelli e sorelle Rom” ci sono le Chiese cristiane, i sacerdoti, i pastori e i fedeli. “La nostra convinzione è – scrivono Kek e Ccee – che, accanto all’istruzione e all’occupazione, il cuore umano sia un terzo pilastro importante nello sviluppo delle relazioni con il popolo Rom”.

Chiese europee: appello alla riconciliazione con il popolo Rom
Le Chiese aiutano le comunità Rom a migliorare la loro integrazione sociale, “preservando la cultura Rom” e questo aiuto passa per l’insegnamento del doposcuola, i servizi medici, gli aiuti alimentari, consulenze legali e altre forme di consulenza, ecc. “Chiediamo alle nostre comunità – è l’appello delle Chiese europee – di sostenere queste iniziative, per diventare veri fratelli e sorelle di queste persone nel bisogno. Operare per la giustizia significa lavorare per una riconciliazione con questo passato. Dobbiamo costruire nuove relazioni giuste con il popolo Rom e impegnarci nel difficile ma essenziale compito del risanamento e della riconciliazione”.

 




i bambini rom di Torino scrivono a papa Francesco

 

caro papa Francesco

 così si rivolgono a papa Francesco i bambini rom del ‘campo’ di via Germagnano di Torino esprimendogli il loro desiderio e la loro contentezza grande se venendo a Torino per vedere la Sindone trova il modo di fare una visitina anche a loro avendogli dia raccontargli tante cose a  partire dai ‘posti brutti’ in cui sono costretti a vivere e dai “razzisti che non ci sopportano e ci vogliono mandare via perché ci odiano”

rom Torre del Lago

 

 

 

 

qui sotto la lettera inviata e il testo trascritto:

“Torino, marzo 2015
Caro papa Francesco, siamo bambini rom del campo via Germagnano 10
ti scriviamo anche per i rom e i sinti che sono nelle case popolari o nei terreni. Noi ti vediamo e ti ascoltiamo per la televisione. Un giorno hanno detto che tu vieni a Torino per vedere la Sindone. Noi siamo molto contenti. Siamo ancora più contenti se vieni a vedere anche noi. Le suore Rita e Carla che vivono nel campo con noi da tanti anni ci hanno detto che tu vuoi tanto bene alle persone che vivono nelle periferie. Ci sono anche a Torino e dentro ci sono delle periferie che sono i campi rom, dove viviamo noi. Qualcuno dice che sono la vergogna di Torino. Noi diciamo che si può anche vivere bene. Adesso sono diventati dei posti brutti ma è anche colpa nostra che non andiamo d’accordo e non ci rispettiamo. E poi ci sono i razzisti che non ci sopportano e ci vogliono mandare via perché ci odiano. Ci sono anche persone che ci vogliono bene, vengono in campo per aiutarci, per la scuola e per le feste. Poi ci sono gli amici di Rita e Carla che vengono: facciamo la preghiera e preghiamo anche per te.
I Sinti fanno anche il pellegrinaggio sulla montagna dalla Madonna. Noi a Torino abbiamo il vescovo Cesare che ci vuole bene. E’ venuto due volte nel campo per Natale. Anche noi siamo andati da lui per la festa dei popoli con tanta musica e tanta felicità. E anche nella casa che si chiama Migrantes il vescovo Cesare ci ha detto che è anche la nostra casa. E’ stato molto bello. Abbiamo anche fatto il carnevale.
Il vescovo Cesare per noi ha anche scritto un piccolo libro che si chiama ‘Lettera Pastorale’.
Noi ti aspettiamo che vieni a mangiare con noi. Vogliamo fare con te una grande foto. Se non hai tempo per venire allora veniamo noi nella grande piazza o nella chiesa, se ci fanno passare perché c’è tanta polizia.
Noi speriamo che ci scrivi ma non mandare la lettera nel campo perché si perde. Mandala al vescovo Cesare.
Ciao papa Francesco da i bambini del campo con Carla e Rita”
    

lettera al papa         lettera al papa1




sparare al rom … per spaventarli, come un tiro al piccione!

 

 

Bergamo, l’ex parà arrestato per l’omicidio del rom: “Volevo spaventarlo perché sporcano”

Roberto Costelli, 39enne disoccupato di Calcio, ha ammesso le proprie responsabilità nell’omicidio di Roberto Pantic: “Ma non volevo ammazzarlo”. Sul suo profilo Facebook tante dichiarazioni omofobe

di MARA MOLOGNI

Bergamo, l'ex parà arrestato per l'omicidio del rom: "Volevo spaventarlo perché sporcano"

“Sono stato io a sparare, ma non volevo ammazzarli. Sporcavano in giro, volevo solo spaventarli e farli andare via”. Mentre il cerchio delle indagini si stringeva intorno a lui, Roberto Costelli, 39enne disoccupato di Calcio (Bergamo), ha ammesso le proprie responsabilità nell’omicidio di Roberto Pantic, il rom 43enne ucciso nella notte tra il 21 e il 22 febbraio da un colpo di pistola alla nuca mentre, assieme alla moglie e ai suoi dieci figli, dormiva in un camper parcheggiato in un prato della Bassa bergamasca. Nessun precedente penale di rilievo per la famiglia Pantic, che si manteneva con l’elemosina, nessun traffico strano che avrebbe potuto far pensare a regolamenti di conti o a vendette. È per questi motivi che gli inquirenti hanno ipotizzato subito un possibile gesto dimostrativo, forse di stampo razzista. Costelli, che due anni fa si è licenziato dal suo impiego di carpentiere per assistere la madre malata e che ha un passato come parà, nel corso degli interrogatori nega fermamente il movente razziale, anche se sul suo profilo Facebook il suo pensiero nei confronti dei rom e degli stranieri in genere è esplicito: invettive contro “zingari, rom e tante razze di merda del genere”, inviti a fare “una bella fossa comune per sotterrare vivi ste cazz di extraterrestri” e la solidarietà a Antonio Monella, imprenditore bergamasco condannato per aver ucciso un ragazzo di 19 anni che stava tentando di rubargli l’automobile (“Cosa doveva fare, farsi rubare la macchina da quattro albanesi del cazzo?”).

Alla base del gesto, secondo le motivazioni fornite da Costelli, ci sarebbe il fastidio per quei nomadi che sporcavano un luogo a lui molto caro: lo spiazzo vicino al fiume Oglio su cui erano parcheggiati i due camper dei Pantic, che Costelli frequentava spesso insieme con gli amici. “Sono un ecologista convinto, non un razzista – ha detto agli inquirenti – Quelli sporcavano un luogo che io cercavo di tenere pulito. Volevo solo spaventarli, devo aver sbagliato mira. Non credevo di aver ucciso nessuno, l’ho scoperto leggendo i giornali”.

Le ammissioni del 39enne bergamasco arrivano dopo una giornata di perquisizioni nella sua abitazione, dove i carabinieri hanno trovato 17 piante di marijuana, 13 chili di sostanza stupefacente e una pistola regolarmente denunciata. L’uomo non ha però voluto subito consegnare la seconda pistola per cui possedeva un regolare permesso, dichiarando che gli era stata rubata tempo prima. Quando i militari gli hanno fatto presente che nessuna denuncia di furto era stata presentata, Costelli ha ammesso di aver nascosto l’arma nel caminetto di casa sua. La pistola, di calibro compatibile con i sette colpi esplosi contro i due camper, è stata ritrovata nel luogo indicato e consegnata ai Ris di Parma per le analisi balistiche e la conferma definitiva. 
   Resta da capire se la sparatoria sia stata premeditata o meno. Costelli quella sera era stato a una festa in maschera (era il periodo di Carnevale), in un locale poco distante dalla scena del crimine, portandosi dietro la pistola con cui poi ha sparato. Ma non è chiaro se avesse già intenzione spaventare la famiglia rom accampata. All’uomo, già agli arresti per la detenzione e la coltivazione di droga, è stata notificata anche la misura cautelare per omicidio




demolizione!!! … ma all’orizzonte ‘europeo’ una speranza!

 

demolizione della vita!

dissacrazione della vita!

profanazione della vita!

vorrei capire quando i ‘pro vita’ decideranno una loro presenza ‘resistente’ a tutela integrale della vita!

 

 

 

 ma, nel momento della massima depressione, una bella notizia: forse tutto è sospeso!
così leggo in questa bella ricostruzione di Sergio Bontempelli: “di fronte all’imminente sgombero, però, alcune famiglie hanno deciso di rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo la quale – è notizia di queste ore – ha deciso di sospendere la demolizione del campo” :

Torino, sgombero bloccato

Sergio Bontempelli

24 marzo 2015

lungosturaÈ uno strano paese, l’Italia: l’unico, forse, in cui gli enti locali fanno progetti per «superare la logica degli sgomberi» e poi continuano a mandare le ruspe nei campi rom. E’ inoltre, se non proprio l’unico, il più pervicace – almeno in Europa – nel violare le norme internazionali sui diritti umani: soprattutto se quelle norme riguardano, per l’appunto, i rom e i sinti.

L’ultimo esempio viene da Torino: qui, il Comune ha promosso un programma di inserimento abitativo per le famiglie dei campi e, contemporaneamente, ha avviato un nuovo ciclo di sgomberi. Così, mentre decine di nuclei possono lasciare le loro baracche e entrare in vere e proprie case, per altre centinaia di persone è ricominciato l’incubo delle ruspe. Sembra un paradosso, eppure non è la prima volta che accade. Ma a questo punto sarà bene andare con ordine e vedere da vicino quel che è successo.

La Città Possibile
Dunque, si diceva, l’Amministrazione Comunale ha promosso, nel Dicembre 2013, un programma di «superamento dei campi» chiamato La Città Possibile. «Lo scopo del Progetto – si legge nella locandina di presentazione curata dagli enti gestori – è quello di realizzare percorsi efficaci di integrazione per circa 1300 persone di etnia rom». In pratica, gli interventi consistono nell’inserimento in alloggi, nell’aiuto per la ricerca di un lavoro, nella regolarizzazione delle pratiche di soggiorno e di residenza. Per i rom romeni che intendono tornare nel loro paese è previsto anche il rimpatrio assistito.

Fin qui, si tratta di un progetto ambizioso, che punta al superamento dei campi nomadi. Il programma, però, è rivolto a 1300 persone, mentre i rom sul territorio sono almeno il doppio: 2250 tra uomini, donne e bambini, secondo una rilevazione dell’Associazione 21 Luglio aggiornata al 2013, anno di inizio del progetto [si veda il dossier Figli dei Campi, pag. 30].

Beneficiari ed esclusi
Come sono stati selezionati, dunque, i beneficiari del progetto? Con quali criteri si è deciso di includere alcune famiglie per escluderne altre? Ma soprattutto: che fine fanno gli esclusi, quelli che non rientrano negli interventi di inserimento? Per la verità, le risposte date dal Comune a queste domande sono state sempre molto vaghe. E hanno suscitato le critiche degli osservatori più attenti: come Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 Luglio, che ha seguito sin dall’inizio tutta la vicenda.

Tra i criteri individuati da Palazzo Civico per selezionare i beneficiari c’è quello della legalità (sono stati esclusi i rom che hanno commesso reati gravi) e quello del censimento (usufruiscono degli interventi solo i nuclei censiti dagli uffici comunali prima dell’avvio del progetto). «Si tratta di criteri molto discutibili – ci spiega Stasolla – Se un rom ha compiuto un reato, di fatto viene condannata tutta la sua famiglia, minori compresi. Quanto al censimento, si rischia di escludere alcune persone in modo casuale, magari perché al momento della rilevazione non erano a Torino».

Ma il punto più delicato sta nella sorte degli esclusi: già, perché tutti coloro che non rientrano nel progetto sono di fatto consegnati ai «soliti» sgomberi. Lo dimostra proprio la recentissima vicenda del Lungo Stura Lazio.

Lungo Stura Lazio, ripartono gli sgomberi
Il campo di «Lungo Stura Lazio» è uno dei maggiori insediamenti di Torino. Qui vivevano qualche mese fa più di 120 famiglie, per un totale di 850 persone: con l’avvio del programma Le Città Possibili, molti nuclei hanno lasciato il campo e si sono visti assegnare delle vere e proprie case. Ma, appunto, restava da capire il destino degli «esclusi».

«La risposta del Comune è stata chiarissima – ci spiega ancora il Presidente dell’Associazione 21 Luglio – tutte le famiglie non beneficiarie devono essere sgomberate, allontanate senza alternative: devono andarsene e basta». Gli sgomberi sono iniziati già nel mese di Febbraio, ma l’allontanamento definitivo era previsto entro il 31 Marzo. «La demolizione dei campi – si accalora Stasolla – è illegale se non vengono proposte delle alternative. Questi sgomberi sono una macchia indelebile, una luce oscura sull’intera azione del Comune di Torino».

Sulla stessa lunghezza d’onda anche l’eurodeputata Barbara Spinelli, che ha inviato una lettera al Prefetto di Torino: gli sgomberi, si legge nella missiva, non possono avvenire se non è rispettato «il diritto a un alloggio dignitoso per tutti».

La decisione della Corte Europea
Di fronte all’imminente sgombero, però, alcune famiglie hanno deciso di rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo la quale – è notizia di queste ore – ha deciso di sospendere la demolizione del campo. A seguire il ricorso è Gianluca Vitale, avvocato torinese e dirigente dell’Asgi (l’Associazione di Studi Giuridici sull’Immigrazione), che abbiamo raggiunto per telefono. «È presto per cantare vittoria – spiega – la Corte non è entrata nel merito, cioè non ha detto se lo sgombero è legittimo o meno. Si è limitata a concedere una sospensione in attesa di chiarimenti».

Eppure, a vederlo dall’esterno, si tratta di un risultato in qualche modo storico: perché, se la memoria non ci inganna, è la prima volta che una corte internazionale interviene per bloccare uno sgombero (di solito, le sentenze venivano pronunciate ex post, a demolizione avvenuta). «Sicuramente è una buona premessa – spiega ancora Vitale – Nella nostra memoria difensiva abbiamo spiegato che lo sgombero viola il diritto alla vita privata e familiare, e comunque deve essere eseguito garantendo una qualche sistemazione alle persone coinvolte. Cosa che non è avvenuta nel caso di Lungo Stura Lazio. Vedremo come si pronuncerà la Corte nel merito».

Uomini e topi
Finché si parla del ricorso alla Corte Europea, Vitale ha una voce pacata, argomenta con calma, soppesa attentamente le parole. Poi però il discorso cade sulle polemiche cittadine che, inevitabilmente, hanno accompagnato le notizie degli ultimi giorni: qui, l’avvocato perde la sua flemma «sabauda» e non nasconde la sua rabbia.

«È stato detto che lo sgombero è necessario, perché gli esseri umani non possono vivere in mezzo ai topi – si accalora Vitale – e su questo siamo d’accordo: nessuno deve vivere in mezzo ai topi. Ma se sgomberi una famiglia e non garantisci delle alternative, dove andranno a vivere queste persone?».

La domanda è retorica e, infatti, Vitale ha già la risposta pronta: «è evidente che andranno a vivere sempre in mezzo ai topi, ma da un’altra parte, magari lontano dai nostri occhi…a me pare che questo sia uno sgombero Nimby, come dicono gli inglesi: voglio dire, c’è qualcuno che vuole i rom “Nimby”, cioè “Not In My BackYard”, non nel mio cortile di casa…questo mi pare il problema vero».

Sergio Bontempelli




il sindaco che vorrebbe i lager per i rom

      il sindaco leghista vorrebbe i lager per i rom

un post su facebook fa scoppiare la protesta

  

 Durante una discussione sul gruppo Facebook “Sei di Cittadella se…” il sindaco leghista della città, Giuseppe Pan, ha fatto delle affermazioni che hanno provocato reazioni di sconcerto nei suoi concittadini lamentando la mancanza di “lager per rom”. 
La querelle è scoppiata attorno a uno dei molti post che denunciavano la presenza di alcuni nomadi che sostano lungo il Brenta, tra Fontaniva, Cittadella e Tezze, generando disagio tra i residenti. Rispondendo a un commento che lo accusava di fare poco o nulla per risolvere il problema, il primo cittadino ha scritto che non essendoci lager per i rom nella città la questione non è di facile soluzione.

A un certo punto del dibattito, un cittadellese incalza Pan: “Strano che un comune leghista come Cittadella non faccia nulla. Pan dove sito? Magnito skei e basta?” La replica non si fa attendere: «Sono sempre gli stessi rom che continuamente sgombriamo da case abusivamente occupate o da campeggi in Brenta o in giro per i campi! Sono stati assegnati come domicilio da un giudice italiano tra Cittadella, Fontaniva e Tezze! Non hanno una dimora e vagano disseminandosi nel territorio». E poi arriva la frase incriminata, con Pan che – rivolto al concittadino – dice: “Visto che i lager non ci sono e tanto meno i campi rom, se vuoi provare tu!”.

Il segretario del Pd, Adamo Zambon, attacca: “Il peggio non è mai morto: Lega fascista, estremista e razzista. Questo non può essere il linguaggio di una persona delle istituzioni. È un linguaggio da bar sport. Se un sindaco, dotato di amplissimi poteri per garantire la sicurezza della sua città, non riesce a trovare di meglio che invocare i campi di sterminio, significa che non è in grado di esercitare le sue funzioni e quindi è il caso che si dimetta”.

“Il Pd vuole solo strumentalizzare”, obietta il sindaco, “con la mia affermazione volevo dire proprio il contrario, i lager per fortuna non esistono più e il nazismo è ben lontano. Io, a differenza di chi chiacchiera e basta, sto cercando una soluzione concreta”.

bufera sul sindaco di Cittadella: «Non ci sono i lager per i rom»

Il caso scoppia quando dal gruppo Facebook “Sei di Cittadella se” parte un sos: «Brutti ceffi lungo il Brenta. Sindaco, dove sei?». La risposta di Giuseppe Pan scatena l’opposizione, il Pd chiede le dimissioni

 Polemica su Facebook attorno ai rom, il sindaco Giuseppe Pan parla di «lager» ed esplode la bagarre, con il Pd che chiede le dimissioni e il primo cittadino che si difende: «Travisate le mie affermazioni». La querelle è scoppiata attorno all’ennesimo post pubblicato sul gruppo «Sei di Cittadella se»: denuncia dei nomadi che sostano lungo il Brenta, tra Fontaniva, Cittadella e Tezze, generando disagio in alcuni residenti e frequentatori dello spazio in riva al fiume.

A un certo punto del dibattito, un cittadellese incalza Pan: «Strano che un comune leghista come Cittadella non faccia nulla. Pan dove sito? Magnito skei e basta?» La replica non si fa attendere: «Sono sempre gli stessi rom che continuamente sgombriamo da case abusivamente occupate o da campeggi in Brenta o in giro per i campi! Sono stati assegnati come domicilio da un giudice italiano tra Cittadella, Fontaniva e Tezze! Non hanno una dimora e vagano disseminandosi nel territorio». E poi arriva la frase incriminata, con Pan che – rivolto al concittadino – dice: «Visto che i lager non ci sono e tanto meno i campi rom, se vuoi provare tu!».

Il segretario del Pd, Adamo Zambon, attacca: «Il peggio non è mai morto: Lega fascista, estremista e razzista. Questo non può essere il linguaggio di una persona delle istituzioni. È un linguaggio da bar sport. Se un sindaco, dotato di amplissimi poteri per garantire la sicurezza della sua città, non riesce a trovare di meglio che invocare i campi di sterminio, significa che non è in grado di esercitare le sue funzioni e quindi è il caso che si dimetta».

«Il Pd vuole solo strumentalizzare», obietta il sindaco, «con la mia affermazione volevo dire proprio il contrario, i lager per fortuna non esistono più e il nazismo è ben lontano. Io, a differenza di chi chiacchiera e basta, sto cercando una soluzione concreta, sono andato a parlare con queste persone, ci sono casi molto problematici, anche di alcol, e sono in contatto con alcune associazioni per provare a gestire la situazione e trovare loro una casa, non voglio né tendopoli né i vigili, che al massimo possono solo spostarli di qua e di là».




primizie estere di eliminazione dei rom: qualcuno non vede l’ora di importarle anche tra noi

 

 

in Inghilterra la prima città che mette al bando i nomadi

ad Harlow sono stati vietati gli insediamenti e i campi di rom, sinti e camminanti
nell’ultimo anno e mezzo erano stati necessari 109 sgomberi
  c’è una città dell’Inghilterra, Harlow, dove i nomadi sono stati posti al bando e costretti a rimanere extra moenia.

Duemilacinquencento anime nella contea di Essex, Harlow ha impedito ai rom di erigere campi e stanziamenti illegali intorno alla città: così ha stabilito l’Alta Corte, che è intervenuta dopo le insistite lamentele del consiglio comunale. I nomadi infatti si erano accampati in modo del tutto irregolare su piste ciclabili, strade ad alto scorrimento e parcheggi.

Quasi un terzo della cittadina – ben 454 appezzamenti di terra – è espressamente vietato agli accampamenti dei nomadi, che in un anno e mezzo sono stati sgomberati ben 109 volte. In particolare sono state messe al “bando” 35 persone, che al momento sono già state evacuate.

Come riporta The Daily Mail, a richiedere il provvedimento è stata una forte mobilitazione dell’opinione pubblica del paese, dove la popolazione è stufa di essere continuamente “costretta ad azioni legali intraprese solo per far rispettare le leggi vigenti”.

Quello degli insediamenti illegali dei nomadi sta diventando ormai un problema nazionale in tutta la Gran Bretagna: in settimana il segretario alla giustizia del governo Cameron, Chris Grayling, ha dichiarato che i conservatori “sono pronti a varare nuove, rigidissime, misure” per fronteggiare il problema.