i rom e gli ‘straccioni’ sono il nostro vero problema?

 

“Zingari”, turisti e gelatai

allontanare gli ‘straccioni’ che ci fanno fare brutta figura e allontanano i turisti dalle nostre città

allontanarli dalle stazioni ferroviarie dove ultimamente, con un gruppetto di rom, si sono resi noiosamente insistenti

come fare? così: a Roma e a Firenze l’accesso alle biglietterie è stato transennato, e i mendicanti sono stati allontanati dalle forze dell’ordine

tutto risolto? tutti felicemente superati i problemi italiani? no!, non sembra che i rom e gli ‘straccioni’ siano il vero problema del nostro paese

la pensa così anche S. Bontempelli che su questo ha scritto un lucido articolo che qui riporto:

 

barriere Le stazioni di Firenze e Roma cacciano i rom per attrarre i turisti. Ma tre gelati nella Capitale costano 42 euro. Da chi e da cosa vanno tutelati i turisti?

«Turisti ostaggio di rom e ladri» (Quotidiano Nazionale, 10 Luglio). «Firenze, assedio ai turisti in stazione» (Corriere della Sera, 7 Luglio). «Barriere anti-rom per salvare i turisti» (Il Giornale, 17 Luglio). A sentire i giornali di questi giorni, le “barriere anti-mendicanti” alla Stazione di Firenze dovrebbero proteggere i tanti visitatori che, soprattutto dall’estero, vengono a trascorrere le loro tranquille vacanze nel nostro Bel Paese.

Che questo sia lo scopo principale dell’iniziativa, lo conferma un comunicato di NTV, l’azienda che gestisce i famosi treni “Italo”: «l’immagine che offriamo alle migliaia di turisti», dice la nota, riferendosi ai mendicanti che chiedono l’elemosina alla stazione, «è una brutta cartolina del nostro Paese». E lo certifica anche il Sindaco di Firenze Dario Nardella, quando afferma che i rom «provocano un grave danno d’immagine alla città».

Insomma: se vogliamo rilanciare l’economia delle nostre città d’arte, se vogliamo valorizzare il patrimonio culturale e artistico del paese, bisognerà prendere iniziative che invitino a visitare l’Italia, che la presentino come un luogo attraente e pulito. E si dovranno, dunque, allontanare gli “straccioni” che ci fanno fare brutta figura nel mondo.

È per questo che la Prefettura, la Questura e il Comune, in accordo con l’azienda che gestisce la stazione ferroviaria, hanno preso il provvedimento che ha fatto tanto discutere: l’accesso alle biglietterie è stato transennato, e i mendicanti sono stati allontanati dalle forze dell’ordine. Ne ha parlato mezza Italia, e non staremo qui a dare per l’ennesima volta la notizia: ci interessa piuttosto soffermarci sull’impatto reale che una cosa del genere può avere sull’economia turistica delle nostre città.

Il turismo in crisi
Partiamo da un dato di fatto: non è un mistero che il turismo in Italia stia vivendo una drammatica fase di crisi. Ce lo dicono le cifre dell’organizzazione mondiale per il turismo (Unwto), che mostrano un crollo spaventoso del settore. Nel 1950 la quota di viaggiatori che sceglievano l’Italia per le loro vacanze era del 19%: nel mondo, dunque, un turista su cinque visitava il nostro paese. La cifra è scesa al 7,7% nel 1970, e al 6,1% nel 1990. Il picco negativo è stato raggiunto l’anno scorso (2013), quando la percentuale è crollata al 4,4%. Siamo passati da un turista su cinque a uno su ventitrè…

Si dirà: colpa della crisi economica. La gente non ha più soldi e viaggia sempre meno. Non è vero. Secondo un recente studio della Coldiretti, nel 2013 l’intera Europa ha registrato un incremento del +5% di flussi rispetto all’anno precedente. E il turismo, a livello globale, è uno dei pochi settori a non essere toccato dalla crisi. Tra l’altro, paesi in gravissima difficoltà economica hanno registrato incrementi significativi nel 2013: la Grecia il +13,2%, il Portogallo +7,1%.

Le ragioni del crollo…
Quali siano le ragioni del crollo, provano a spiegarcelo alcune inchieste dettagliate e ben fatte. Va detto che l’argomento è complesso, e i fattori sono tanti: vediamo di elencarne alcuni. La già citata indagine Coldiretti, ad esempio, ci spiega che l’Italia è la meta più costosa del Mediterraneo: qui da noi, alberghi e ristoranti costano il 10% in più rispetto alla media europea. Sempre a paragone con la media continentale, in Spagna si spende il 9% in meno, in Grecia -12%, Portogallo e Croazia viaggiano attorno a -20%, e così via.

Ma è soprattutto la qualità dell’offerta che lascia a desiderare. In proposito, un recente dossier del Touring Club (ben sintetizzato da Gian Antonio Stella sul Corriere) è letteralmente impietoso: prezzi alti, servizi scadenti e sciatti, scortesia diffusa, scarsa conoscenza delle lingue straniere da parte degli operatori. E poi musei e negozi chiusi nei giorni festivi, poca cultura dell’ospitalità, informazioni non chiare o inaccessibili. Infine, incapacità di innovare l’offerta: «come se tutto ci fosse dovuto», dice Stella, «in quanto “Paese più bello del mondo”». Per non parlare di Pompei che cade a pezzi (e stendiamo un velo pietoso).

… e i bidoni
Per chiudere questo simpatico quadretto, bisogna aggiungere che l’Italia è notoriamente il «paese dei bidoni». Soprattutto nelle città d’arte. Dove – è la notizia di questi giorni – tre gelati possono costare 42 euro (è successo a Roma). Dove un giro in gondola, nella romantica Venezia, può costare al turista straniero il doppio del dovuto (è accaduto pochi mesi fa). Dove per due lattine di coca e un caffè si rischia di spendere venti euro (è accaduto giusto giusto a Firenze, l’anno scorso, e l’ha denunciato lo scrittore Fabio Volo).

Queste cose i turisti le sanno, e grazie a internet e ai social network le notizie girano. Solo qualche anno fa, i quotidiani giapponesi lanciarono una vera e propria campagna contro lo Stivale, accusato di truffe ai danni dei visitatori stranieri, di prezzi insostenibili, di servizi scadenti, insomma delle cose che sappiamo e che sono sotto gli occhi di tutti.

Cosa c’entrano i rom?
Già, ma cosa c’entrano, in tutto questo discorso, gli “zingari”? Qui la faccenda è un po’ complicata, perché per un verso i rom – poveretti – non c’entrano nulla, per un altro verso sono loro i protagonisti di questa storia. Prima di spiegare il perché, partiamo da una domanda: cosa si dovrebbe fare per risollevare dalla crisi il settore turistico?

Come sempre, servirebbero risposte politiche complesse, articolate, multidimensionali. Bisognerebbe investire nella formazione degli operatori, nell’innovazione dell’offerta, nella competitività del sistema. Bisognerebbe aver cura del nostro patrimonio storico e artistico, vera e propria miniera d’oro su cui siamo seduti. Andrebbe avviata una politica dei prezzi che tenga conto dello straordinario valore delle nostre città d’arte, ma anche della ragionevolezza e dell’equità: tre gelati non possono costare 42 euro. E i nostri alberghi non possono essere i più cari del Mediterraneo…

Ma tutto questo è difficile, troppo difficile. Chi amministra la cosa pubblica è abituato a risposte semplici e schematiche, da dare in pasto a giornali e TV. E quindi, invece di avviare una discussione sulla crisi del turismo, si lancia un’iniziativa di sicuro effetto: cacciare gli “zingari”, i mendicanti, gli accattoni, gli “straccioni”. Prendersela con i poveri, si sa, funziona sempre. E non costa nulla.

Intendiamoci. Che molti turisti siano “infastiditi” dalle richieste di elemosina, è assai probabile. Il mendicante che chiede spiccioli alla Stazione non è – da che mondo è mondo – un “problema di sicurezza” (siamo seri, per favore!), ma può essere sicuramente motivo di fastidio: perché ti chiede soldi mentre stai cercando di capire come funziona quella maledetta biglietteria automatica che non ti ha dato il resto, perché magari insiste un po’ troppo, perché per dargli gli spiccioli dovresti cercare nelle tasche e hai altro da fare. O perché ti ripete in modo ossessivo che ha bisogno di denaro, mentre tu di denari ne hai già dati troppi a Trenitalia, al tassista, all’albergatore, al barista, al cameriere…

Insomma, per i mille motivi che sappiamo, un mendicante può essere fastidioso: è, comunque, meno molesto di un gelataio che esige 42 euro per tre coni striminziti. E però, siccome si vogliono “attrarre i turisti” senza irritare troppo i gelatai, la cosa più semplice da fare è prendersela coi soliti noti, i rom (invece che con i gelatai).

Ora, al di là di considerazioni etiche che tanto non ascolta più nessuno, il dubbio è che una strategia del genere non funzioni. Perché, certo, il turista sarà contento di avere i questuanti fuori dai piedi. Ma quando avrà visto i prezzi (e la qualità) dei treni, degli alberghi e dei gelati, è probabile che scappi a gambe levate dall’Italia. Vorrà dire che il prossimo anno gli spiegheremo che anche il gelataio, in fondo in fondo, è “zingaro”. E al prossimo gelato da 42 euro, sgombereremo un altro campo rom.

Sergio Bontempelli




per un rapporto più corretto col popolo rom

e se li lasciassimo liberi di organizzare la loro vita riconoscendo loro semplicemente tutti i loro diritti?

credere di far bene

 

 

 

 

 

 

 

 

 

parlando chiaramente e onestamente dovremmo riconoscere che il nostro non è mai stato un rapporto corretto con questo popolo, e questo sia in senso, per così dire, diacronico (guardando alla storia del nostro rapporto con loro), sia in senso sincronico (guardando al presente che riproduce in genere in forme più soft quello che nel passato ha rappresentato vere e proprie violenze, razzismo, disprezzo, … genocidio): la loro storia con noi può essere sintetizzata in forme, a volta a volta, di ‘esclusione’, di ‘reclusione’ , di ‘inclusione’ forzata pur di non riconoscere loro la libertà di organizzare liberamente la loro vita, lasciando loro la libertà di organizzarsi la vita come vogliono, semplicemente riconoscendo loro tutti quelli che sono i loro diritti

perfino ‘i migliori tra noi’, i meglio intenzionati ‘ a fare il loro bene’ hanno fatto spesso danni incalcolabili e irrecuperabili senza una presa di coscienza che il maggior danno che si può è sostituirsi ‘per il loro bene’ alla loro stessa libertà, creatività, cultura …

personalmente credo si debba un grazie particolare a Marcello Palagi per la pubblicazione (su faceboook) di una lucida riflessione in merito, e credo quanto mai opportuno ospitarla in questo sito per aiutare, chi fosse interessato, a focalizzare meglio la problematica:

Marcello

rom e assistenzialismo

lasciamoli liberi di decidere di se stessi

28 luglio 2014

Non se ne può più. dei sedicenti esperti e del volontariato beneficente, delle onlus a pagamento, degli amministratori democratici e fascisti,  e di tutti quelli che sanno  come si dovrebbero risolvere i problemi dei rom e dei sinti  cioè il problemi che abbiamo noi nei loro confronti. Lasciamoli perdere gli “zingari”, non occupiamocene e non preoccupiamocene più. Più ci si occupa e preoccupa di loro e più i loro problemi crescono, più li neghiamo, perseguitiamo, escludiamo, respingiamo ai margini più bassi della nostra società e più diventiamo il loro vero problema. Perchè considerandoci buoni e solidali, ci dedichiamo al loro bene, a igienizzarli, a edilizzarli, ad alfabetizzarli, a scolarizzarli, occuparli,  storiografarli, fotografarli, congressualizzarli, documentarizzarli, reportarizzarli, narrarli. E questo per  “tutelare” la loro cultura, inserirli nel mondo del lavoro, insegnargli a vivere come si deve, a educare i figlii,  a farli vivere e a renderli del tutto simili a noi.

bambino rom 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Esperti improvvisati

Uno va in un campo di “zingari” un paio di volte e, se non ci scrive subito un libro o gira un documentario per ammannirci la sue scoperte “antropologiche”, si sente autorizzato a far proposte e progetti su come risolvere i “loro” problemi, quelli – ripeto che noi abbiamo nei loro confronti – “civilizzarli” e assimilarli: meno figli, inserimento nelle case popolari, igiene e pulizia, scuola e doposcuola, lavoro in fabbrica o, preferibilmente, nell’agricoltura, alimentazione “corretta”, inesorabile rispetto delle leggie nel caso non mandino a scuola i figli, sfratto dall’abitazione o dall’area di sosta (figli compresi ovviamente). E poi sgomberi manu militari  e chiusura delle aree di sosta, abolizione del nomadismo, (dato che  non sarebbero mai stati nomadi  per scelta, ma perchè costretti a nomadizzare dai pregiudizi degli altri) e se dovessero perseverare nel  voler fare i nomadi, le assistenti sociali calino su di loro, e gli tolgano i figli per metterli in istituto o darli in adozione, tanto i tribunali dei minori sono quasi sempre consenzienti.

romni

 

 

Giustizia feroce

I rapporti della giustizia con i rom sono infatti quasi sempre sbrigativi e feroci. Perchè si pensa, anche a livello di tribunali, che i rom, siano quasi tutti dediti alla microcriminalità, per cui, anche a sparare nel mucchio, si farebbe sempre centro, Per i rom non scatta mai la prescrizione, venendo regolarmente processati per direttissima e se devono andare in galera ci vanno e stanno, altro che arresti domiciliari a 4 ore settimanali di “assistenza” a vecchi non autosufficienti!

Volontariato dannoso

Intorno ai rom e ai sinti  si muovono quasi esclusivamente improvvisatori buonisti che fanno più danni che la grandine, perchè sono convinti di sapere, loro, cos’è il bene per gli “zingari” e vogliono redimerli, salvarli, inserirli, perchè sono arretrati, devianti e incapaci di autoregolarsi. E non c’è improvvisatore che non di senta ispirato a fondare un gruppo di volontariato che faccia progetti su di loro, “senza fini di lucro”, ovviamente, ma a pagamento, perchè i progetti si pagano e così pure gli operatori volontari. C’è chi si è inventato il mestiere di assistente agli “zingari” e usufruisce di finanziamenti pubblici che gli permettono di campare non male sulla loro pelle.

 

Salvatori a progetto

Il volontariato, quello a pagamento, c’è andato a nozze: un progettino oggi e uno domani e il gioco è fatto. Incompetenti totali sono andati nei campi ad alfabetizzarli, a insegnargli i mestieri loro come la battitura del rame o il cucito alle donne,  a intrattenere  i bambini con giochi e metodi disciplinari che niente hanno a che fare con i loro modi di vivere ed educare le nuove generazioni. I più furbi dei volontari, poi, hanno stabilizzato il loro interventismo, mettendo in piedi onlus che organizzano convegni, si autoeleggono esperti e accedono ai finanziamenti pubblici con cui inviano inutilissimi e dannosi operatori nei campi,  elevano proteste in nome dei diritti dei rom e contro gli sgomberi e predicano la necessità che ai rom vengano dati appartamenti in case popolari, perchè, anche loro sono convinti che rom e sinti siano diventati nomadi perché costretti dai pregiudizi e dalle persecuzioni. Cazzate, ma i buonisti che si preoccupano del bene dei rom, le spacciano per verità indubitabili e le propalano grazie alla propria e altrui  ignoranza.

 

La “scienza” 
dell’omologazione

E gli antropologi accademici, che hanno a che fare, come consulenti, con gli enti pubblici e i loro emolumenti, mediano: ormai il nomadismo è finito, si tratta di una fase storica superata, sono i rom che vogliono avere una casa popolare, eliminiamo perciò i campi degradati e degradanti. Pontificano cioè sulla testa dei rom, contro il loro diritto di decidere di se stessi, se andare a stare in case o se continuare a vivere nei campi e a muoversi.

Quando fascisti e nazisti cominciarono ad occuparsi dei rom, aprirono i campi di concentramento e, dove gli riuscì, anche i forni.

E’ preoccupante questa crescita esponenziale dell’interesse buonista e assistenziale per i rom. Si preparano tempi sempre più bui per loro con tanta gente che li studia, li classifica, vuole fargli cambiare vita. Oggi rom e sinti sono diventati di moda e oggetto di studi e ricerche “nobili”, merce appetibile per tesi universitarie, carriere accademiche, promozione di convegni, progetti regionali e locali di scolarizzazione, socializzazione, inserimento, avviamento al lavoro, professionalizzazioni varie. Tutto sulla testa dei rom. Non sono loro a decidere e a prendere queste iniziative e i finanziamenti non vanno a loro.

 

Rom e intellettuali

Un  buon mezzo per capire quali sia il tono dei rapporti tra società stanziale e rom, è costituita da quelle opere di gagé che si propongono di parlarne e di rappresentarli in modo pregiudizialmente positivo. Non è possibile in questa sede fare un’analisi ampia di queste opere, saggi, romanzi, racconti, reportage, documentari, film, articoli, ci vorrebbero ricerche e tempi lunghi che qui non abbiamo.

Limitandomi ad alcune considerazioni generali, che mi sembra possano riguardare da vicino anche molte associazioni di volontariato e onlus, direi che anche in chi ha  molte simpatie per i rom e nutre pregiudizi positivi nei loro confronti, dominano i travisamenti e la incomprensioni.

Qui mi limiterò a citare alcuni esempi”, ma se ne potrebbero esaminare moltissimi altri. Non si tratta di  uomini e avvenimenti che abbiano qualcosa che li leghi tra di loro, salvo appunto l’incomprensione del mondo “zingaro”, nonostante che per scelta di parte sensibilità e/o mestiere, dobbiamo considerarli dei simpatizzanti.

 

Un cantautore

Leggo sul Manifesto che  un autore di canzoni, Pierpaolo Capovilla, ha pubblicato un disco “Obtorto collo” , la cui ispirazione deriva, dice, dagli “ultimi”, dagli “emarginati”.  L’autore ha “incontrato”, per caso Irene “fuori da un ospedale di Treviso. Una ragazzina bellissima vestita con gusto. A pochi metri la sua famiglia zingara, anzi romani. Cosa fanno questi ragazzini, come spiega bene Bianca Stancanelli nel suo libro La vergogna e la fortuna, soprattutto a scuola? Cercano di non essere riconosciuti come appartenenti alla comunità romani, perchè una volta riconosciuti come zingari, vengono discriminati, stigmatizzati.  Ecco alla vista di quella scena mi si è spezzato il cuore”. Non consiglierei mai la lettura del libro della Stancanelli (magari dirò perché in un’altra volta), ma una cosa appare evidente dalle parole di Capovilla che per lui la scuola deve essere la prima preoccupazione per “redimere” gli “zingari”  dalla discriminazione e stigmatizzazione e per impedire che gli si spezzi il cuore. Viene spontaneo un “Vaffa…

 

Altre logiche 
quelle dei rom

I rom si muovono sempre in terreni antropologicamente e culturalmente propri dove niente funziona come vorrebbero i gagé. La cultura rom è la cultura della flessibilità e dell’adattamento, secondo modalità proprie, alla “zingara”. Da una parte non vogliono farsi notare, perchè facili vittime di discriminazioni e persecuzioni, dall’altra  però vogliono e debbono invece rendersi ben visibili (basta pensare ai loro modi inequivocabili, di vestire), perchè, per questa via, confermano la loro identità, la loro cultura, le loro tradizioni al loro interno (egemonia dell’interno appunto), e, contemporaneamente, si propongono all’esterno, di fronte al mondo gagiò, come marginali, diversi, anche bisognosi di aiuti, di elemosine, di assistenza.

 

Dentro e  fuori

I rom vivono cioè fuori e dentro la nostra società (noi siamo il loro ecosistema) e risolvono i problemi di relazioni con noi e tra di loro secondo metodologie differenti dalle nostre, proprio per questa doppia appartenenza che poi potremmo anche definire plurima, perchè sono anche nomadi e stanziali, parlano lingue diverse oltre alla loro specifica variante romané, mandano i figli a scuola per necessità, ma non ci credono e formano i figli con altri metodi e ad altri valori, ecc. A seconda dell’ambiente i cui si muovono, quello esterno o quello interno, adottano quindi strategie di vita differenti, flessibili,  le più adatte in quel momento al contesto in cui si trovano. Se perciò ci si fa “spezzare il cuore”, pensando e credendo che loro, poverini, devono nascondere la loro identità a scuola, per non essere emarginati e discriminati,  senza tener conto di queste plurime appartenenze, si finisce per non capir niente di loro e si adotta il punto di vista dell’assistenzialismo buonista, cioè dei buoni che pensano e vogliono:  che rom e sinti diventino come lnoi e smettano di essere rom. Ma rom e sinti, fortunatamente, da secoli, e nonostante tutte le persecuzioni e genocidi subiti  continuano a resistere e a fare di testa loro, anche quando crediamo che ci prendano sul serio.

 

De André

Su un sito, che si fregia della denominazione di Onlus dedicata ai rom, vedo riportata ancora una volta la canzone di De Andrè,  Khorakhanè, da Anime Salve, con tanto di note che si trovano nel depliant di accompagnamento del disco. Sono quasi venti anni che ho scritto che la parte del testo di “Khorakhanè” in romané era in realtà in lingua harvata, sufficientemente diversa da quella dei Khorakhanè bosniaci e macedoni, a cui ho fatto sentire la canzone, tanto che non l’hanno compresa. In appendice al testo di Khorakhanè comparivano, poi, nel depliant di accompagnamento del disco, tre annotazioni, per spiegare il significato di  “khorakhanè”,  di “festa di San Giorgio” e di kampina, di cui si parla nella canzone. Tutte e tre  le spiegazioni erano sbagliate: il termine khorakhanè non indica una tribù (non ci sono tribù di rom e sinti) diffusa in Serbia e Montenegro, come dice il depliant, ma definisce i rom di religione musulmana sufi, probabilmente provenienti, chissa quando, dalla Turchia e molto più presenti in Bosnia, Macedonia, Kossovo, che non in Montenegro e in Serbia.

La festa di san Giorgio non è una festa annuale dei rom del sud della Francia, ma una festa ortodossa slava, che i rom dell’ex Iugoslavia  e anche i khorakhanè, mussulmani hanno fatto propria e celebrano regolarmente agli inizi di maggio, dovunque si trovino;  anche qui ad Avenza, perciò. Infine con la parola kampina non si indica una “baracca da campo dei rom”, o una tenda, ma la roulotte.

 

Sono solo canzonette?

Mi è stato risposto dalla Onlus in questione, a cui ho fatto notare queste cose, che si trattava solo di “imprecisioni” linguistiche e che loro vogliono bene a De André. Hanno capito tutto, evidentemente. Perchè degli “zingari” appunto si può parlare, sparlare, straparlare, inventare quello che si vuole tanto è lo stesso. E a chi gliene frega? Le leggende metropolitane su di loro circolano molto meglio che le conoscenze. Non si tratta di questioni e tanto meno di “imprecisioni” meramente linguistiche, ma di mancanza di rispetto verso i rom e di ignoranza, negazione, superficialità nei confronti  della loro cultura. De Andrè è sicuramente bravo, ma coi khorakhanè, oltre che per la retorica, ha toppato.

Anche per lui evidentemente non c’è bisogno di conoscere i rom e controllare quello che si dice su di loro, bastano i pregiudizi correnti: figli del vento, perseguitati, fieri della loro identità e cazzate del genere e se si confonde la festa slava e ortodossa di San Giorgio con quella delle Saintes Maries de la mer, in Provenza, che diferenza fa?  tanto sono rom.

Mi domando, ad esempio, quale sarebbe stata la reazione davanti al depliant illustrativo di una raccolta di canzoni in cui fosse stato scritto di De Andrè, “compositore francese”; del disco  “Anime sole”, “opera lirica” e della canzone “Khorakhanè”, “quartetto per archi”. Non penso che  autore ed editorei ne avrebbero permesso la diffusione.

 

I rom parlano 
lingue diverse

Va anche precisato che non esiste una lingua romané, ma esistono più parlate e lingue dei rom e dei sinti che hanno un fondamento comune, ma spesso sono anche così diversificate da non permettere la comunicazione tra i diversi parlanti. Il sardo o il siciliano, il francese o l’italiano, per capirci, sono  lingue neolatine, ma dubito che un parlante italiano o francese comprenda un sardo che parla la sua lingua. Ad esempio i rom bosniaci non si capiscono nel modo più assoluto con i sinti piemontesi e fanno fatica a capire un harvato.

La storia dei rapporti tra cantautori e rom è emblematica, segnata da innamoramenti improvvisi nei loro confronti (semplici, spontanei, fieri figli del vento, liberi, solidali, anarchici, disinteressati, fedeli alla tradizione e alla famiglia)   e da persistenti  travisamenti e pregiudizi, scambiati per sollecitudine verso di loro. In questi casi i rom vengono pensati e sognati dai gagè che ovviamente li pensano e sognano come vorrebbero che fossero, secondo stereotipi sostanzialmente assimilazionisti.

 

Pelù

Anche Pelù dedica ai rom una canzone. Il titolo  “Lacio drom” significa “buon viaggio”, un’espresione di augurio che non appartiene ai rom o ai  sinti. Siamo noi che l’abbiamo inventata ricalcandola sui nostri modi di esprimerci quando uno di noi parte. Anche Pelù  come De André,  ha evidenti simpatie per i rom, ma appena viene intervistato su di loro, ripete, come tanti, i luoghi comuni e i pregiudizi correnti, perbenisti e omologati, nei loro confronti. Per quanto non generalizzi, vede nei rom, prima di tutto il negativo, quello che tutti rimproverano loro, l’accattonaggio, il furto, la sporcizia, i costumi strani, la volontà di non farsi assimilare, la scarsa o nulla scolarizzazione, la devianza.

Una coincide piena con qunto dicono i razzisti, anche se lui non lo è.

 

Ma che ne sa?

“… Una cosa che non sopporto (ovvio non tutti sono così) è lo sfruttamento dei bambini, il fatto di mandarli a elemosinare o a vendere rose la notte nei ristoranti,  senza mandarli a scuola. Necessariamente – continua – viene fuori  una generazione che non saprà scrivere, leggere e non si inserirà mai in una realtà”. Ancora stereotipi negativi: accattonaggio contro scolarizzazione, sfuttamento contro promozione culturale.

 

Ho visto  zingari felici

Sarebbe necessario guardare le cose da un altro punto di vista meno omologato e moralistico e chiedersi, ad esempio, se l’accattonaggio sia avvertito e vissuto dagli “zingari” come comportamento vergognoso o no. E capire se i bambini vivano questa situazione come imposizione, lavoro e sfruttamento o non invece come divertimento, esperienza di vita, contatto anche gratificante con i non zingari che altrimenti  non avrebbero occasione di frequentare e conoscere mai.

E ci si dovrebbe chiedere, in via preliminare, se l’accattonaggio sia o non sia, in genere, sfruttamento di minore. e se gli zingari abbiano l’esigenza di educare le loro nuove generazioni alla scuola dei non zingari.

E, ancora, se la nostra scuola, anche solo a quella dell’obbligo, come auspica Pelù, sia strumento adeguato per “inserirli in una realtà” e soprattutto se debbano venir inseriti in “una realtà”.

 

Attore protesta 
e sdottora

L’attore Montesano, in questi giorni ha protestato col sindaco di Roma, perché esiste un campo nelle vicinanze della sua abitazione dove si bruciano a cielo aperto copertoni. Ha ogni ragione di protestare  sui fumi nocivi e tossici che lo possono investire, ma non è autorizzato a discutere di cose che non sa, di come si dovrebbero trattare gli “zingari”:  i campi rom – dice – sono come campi di concentramento, i rom dovrebbero invece integrarsi e decidere di andare ad abitare come tutti in case «con l”indirizzo, il numero civico, così si sa che mestiere fanno». Se invece sono nomadi non dovrebbero, secondo l’attore, star  fermi nè stanzializzarsi.

Un altro che ha capito tutto e vuole insegnare ai rom come devono vivere, basta che premetta, quando apre la bocca per queste banalità, “Io non sono razzista”, e si sente  autorizzata a cazzeggiare.

 

Pregiudizi positivi 

Ormai che ci sono dico anche questa. Il grande Moni Ovadia, che apprezzo molto, ha scritto una volta, ma lo ripete spesso, che i rom non hanno mai dichiarato guerre. Oggettivamente può sembrare vero e una volta ho anche pubblicato questa sua presa di posizione su questo giornale, ma non è con questo che si possa fare dei rom i rappresentanti della nonviolenza o della mitezza. Non sono pacifisti: hanno fatto anche i mercenari, quando gli se ne è presentata l’occasione, per lungo tempo. E se non hanno mai dichiarato guerre a qualche stato non è per amore della pace o della noviolenza, ma per il semplice motivo che non avevano uno stato e, ultimi nomadi giunti in Europa, quando ormai si erano consolidati gli stati, non erano sufficientemente forti e organizzati per invaderne uno. Sono come tutti, un misto di bene e di male. In altre parole Moni Ovadia utilizza un pregiudizio positivo per difendere i diritti dei rom contro i pregiudizi negativi che corrono su di loro, ma i pregiudizi positivi sono dannosi quanto quelli negativi, perchè suscitano aspettative che non si verificheranno e si rovesciano, per chi ne resta deluso, nel loro contrario. I pregiudizi positivi sono l’anticamenra di quelli negativi.

 

Ci si mette anche Durruti 

In questi giorni ho dovuto consultare, per altri motivi “La breve estate dell’anarchia Vita e morte di Buenaventura Durruti di Hans M. Enzensberger. Non  ricordavo, risalendo la mia lettura a più di quarant’anni fa, che da varie testimonianze lì raccolte e  indubitabili, perchè di anarchici al seguito di Durruti, viene fuori che anche questo grande, eroico  e generoso rivoluzionario e gli uomini che erano con lui nutrivano nei confronti degli “zingari”  profondi pregiudizi. Non solo la proibizione di Durruti di vestirsi alla “zingara” ricalcava quella  dei re spagnoli, presa,secoli prima, per cancellare, anche in questo modo, la sopravvivenza come comunità dei kalè (il nome spagnolo degli zingari), ma il tono irridente e sprezzante con cui questa storia si è svolta e viene narrata,  dimostra una grave, pregiudiziale e irremovibile mancanza  di rispetto e di comprensione dei diritti, delle libertà  e delle ragioni di questa minoranza.

 

Ricardo Sanz

Racconta Ricardo Sanz che sostituì  Durruti, dopo la sua morte, nel comando della  della Colonna:

«Durruti costituì una brigata di lavoro per la costruzione di strade. … Una delle nuove strade conduceva presso Pina de Ebro dall’arteria principale Lérida-Saragozza fino all’isolato villaggio di Monegrillo. … Questa strada è ancor oggi chiamata dagli abitanti “La strada degli zingari.” Infatti Durruti aveva trovato, nella sua zona d’operazione, un campo di zingari, ed era riuscito a persuadere il popolo migratore a lavorare per la costruzione della strada. Cosa che agli altri sembrava un miracolo, ma che gli zingari, naturalmente, chiamavano “una punizione di Dio».

 

Gaston Leval

Molto più esplicito e disteso il resoconto dell’anarchico Gaston Leval: “La colonna Durruti, avanzando verso l’Aragona, capitò su un campo di zingari. Intere famiglie erano attendate in piena campagna. La cosa era tanto più spiacevole, perché questa gente non si preoccupava minimamente dell’andamento della linea del fronte, e andava avanti e indietro a suo piacere. Non era escluso che si facessero utilizzare come spie da Franco.

Durruti rifletté sul problema. Poi andò dagli zingari e disse loro: “In primo luogo, signori miei, vi vestirete in modo diverso, nello stesso modo in cui ci vestiamo noi.” Allora i miliziani portavano tutti la blusa operaia, la tuta, e questo col caldo di luglio!

Gli zingari non furono precisamente entusiasti. “Fuori dai vostri stracci! Quello che portano gli operai va bene anche per voi.” Gli zingari si accorsero che Durruti non era dell’umore di scherzare, e si cambiarono. Ma non bastò. “Adesso che avete abiti da lavoratori, potete anche lavorare,” continuò Durruti. Ora sì che ci fu pianto e strider di denti! “I contadini di qui hanno fondato un collettivo e hanno deciso di costruire  una strada, in modo che il loro villaggio abbia uno sbocco su quella principale. Ecco pale e picconi, dateci dentro!” Che restava da fare agli zingari?

E di tempo in tempo, lo stesso Durruti passava a controllare come procedeva il lavoro.

Era felice come un matto di aver portato gli zingari al punto di servirsi delle proprie mani. “Viene il Seno’ Durruti!” si sussurravano gli zingari, col loro accento andaluso, e alzavano il braccio nel saluto antifascista; cioè, gli mettevano in faccia i pugni chiusi, e Durruti capiva benissimo quello che volevano dire» (op. cit. pgg. 200 – 201).

 

 

 




una tesina sulle proprie origini rom

Eros si diploma con una tesina sulle origini rom per battere i pregiudizi

a scelta di Eros Osmani per il diploma al Ruzza: i genitori sono fuggiti dal Kosovo. «C’è diffidenza: i miei lavorano, pagano le tasse e hanno un mutuo sulle spalle»

dal quotidiano ‘il Mattino’, a firma di S. Quaranta, il resoconto sulla tesina sulle proprie origini rom di Eros con una tesina sul suo popolo. Per i suoi compagni è stata una rivelazione. «Nessuno lo sapeva» racconta «a loro ho sempre detto solo di avere origini kosovare, per essere accettato. Poi mi sono accorto che, così facendo, ero io per primo a discriminare me stesso». Così ha deciso di dedicare alla questione un intero approfondimento: racconta le peripezie storiche, le usanze e le tradizioni. Non manca di sfatare qualche mito

  

PADOVA. Il suo bel nome suggerisce origini greche, ma il suo cognome, Osmani, è turco. Eros è un rom che “si è fermato italiano”, citando De André. I genitori sono scappati dal Kosovo, a causa della guerra, e lui è nato a Padova, dove ha sempre vissuto «in una casa normale, con una famiglia che lavora, paga le tasse e ha un mutuo da estinguere, come tanti altri» tiene a sottolineare.

Quest’anno si è diplomato al Ruzza, con una tesina sul suo popolo. Per i suoi compagni è stata una rivelazione. «Nessuno lo sapeva» racconta «a loro ho sempre detto solo di avere origini kosovare, per essere accettato. Poi mi sono accorto che, così facendo, ero io per primo a discriminare me stesso». Così ha deciso di dedicare alla questione un intero approfondimento: racconta le peripezie storiche, le usanze e le tradizioni. Non manca di sfatare qualche mito. «Prima di arrivare in Italia i miei genitori non avevano mai sentito la parola “campo nomadi”, in altre parti d’Europa non esistono. Molti di noi vivono normalmente, ma si nascondono, perché la fama di alcuni perseguita tutti gli altri. Anche il nomadismo non ha nessun legame intrinseco con la nostra cultura. I rom ripudiano la guerra: se c’è si spostano. In Kosovo eravamo stanziali da più di 500 anni». Convivere con l’etichetta del rom non è facile, ed Eros se n’è accorto fin dalla tenera età: «in prima elementare» spiega «mi hanno messo con i bambini che avevano bisogno del sostegno, per essere agevolati nell’integrazione. Ma io sono nato qui, ho sempre parlato l’italiano. Non aveva senso».

La famiglia Osmani vive non molto distante dal campo di via Longhin. E anche questo pesa. «È normale» ammette «ma non è giusto fare di tutta l’erba un fascio. Ci sono delinquenti e persone per bene, ovunque». Il più grande mito da sfatare, secondo Eros, riguarda «i rom che rubano i bambini. Lo sento dire da sempre, ma al contrario, teniamo moltissimo alla famiglia. Perché rubare i figli degli altri?».

Proprio nella famiglia, per Eros, sta il cuore della tradizione rom: «Siamo molto attaccati, e non concepiamo di essere divisi. I miei fratelli sono emigrati per lavoro, ma mia mamma li chiama tutti i giorni, anche più volte al giorno. E almeno una volta l’anno non può mancare la riunione di famiglia, di solito per Natale. Ogni occasione, anche un compleanno o la nascita di un bambino, va festeggiata insieme, con un pranzo o una cena, perché il cibo va condiviso ed è sinonimo di allegria». Per i prossimi due anni Eros sarà in giro per il mondo con i missionari mormoni, poi pensa all’Università: «mi piacerebbe studiare i diritti umani e battermi per quelli del mio popolo».




papa Francesco e gli zingari

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO PROMOSSO
DAL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA PASTORALE
PER I MIGRANTI E GLI ITINERANTI
“LA CHIESA E GLI ZINGARI: ANNUNCIARE IL VANGELO NELLE PERIFERIE”

Sala Clementina
Giovedì, 5 giugno 2014

papa-francesco

 

 

 

 

Cari fratelli e sorelle,

in occasione dell’Incontro mondiale dei promotori episcopali e dei direttori nazionali della pastorale degli zingari, vi do il mio benvenuto e vi saluto tutti cordialmente. Ringrazio il Cardinale Antonio Maria Vegliò per le sue parole di introduzione. Il vostro convegno ha come tema «La Chiesa e gli zingari: annunciare il Vangelo nelle periferie». In questo tema c’è anzitutto la memoria di un rapporto, quello tra la comunità ecclesiale e il popolo zingaro, la storia di un cammino per conoscersi, per incontrarsi; e poi c’è la sfida per l’oggi, una sfida che riguarda sia la pastorale ordinaria, sia la nuova evangelizzazione.

Spesso gli zingari si trovano ai margini della società, e a volte sono visti con ostilità e sospetto – io ricordo tante volte, qui a Roma, quando salivano sul bus alcuni zingari, l’autista diceva: “Attenti ai portafogli”! Questo è disprezzo. Forse sarà vero, ma è disprezzo… – ; sono scarsamente coinvolti nelle dinamiche politiche, economiche e sociali del territorio. Sappiamo che è una realtà complessa, ma certo anche il popolo zingaro è chiamato a contribuire al bene comune, e questo è possibile con adeguati itinerari di corresponsabilità, nell’osservanza dei doveri e nella promozione dei diritti di ciascuno.

Tra le cause che nell’odierna società provocano situazioni di miseria in una parte della popolazione, possiamo individuare la mancanza di strutture educative per la formazione culturale e professionale, il difficile accesso all’assistenza sanitaria, la discriminazione nel mercato del lavoro e la carenza di alloggi dignitosi. Se queste piaghe del tessuto sociale colpiscono tutti indistintamente, i gruppi più deboli sono quelli che più facilmente diventano vittime delle nuove forme di schiavitù. Sono infatti le persone meno tutelate che cadono nella trappola dello sfruttamento, dell’accattonaggio forzato e di diverse forme di abuso. Gli zingari sono tra i più vulnerabili, soprattutto quando mancano gli aiuti per l’integrazione e la promozione della persona nelle varie dimensioni del vivere civile.

Qui si innesta la sollecitudine della Chiesa e il vostro specifico contributo. Il Vangelo, infatti, è annuncio di gioia per tutti e in modo speciale per i più deboli e gli emarginati. Ad essi siamo chiamati ad assicurare la nostra vicinanza e la nostra solidarietà, sull’esempio di Gesù Cristo che ha testimoniato loro la predilezione del Padre.

È necessario che, accanto a questa azione solidale in favore del popolo zingaro, vi sia l’impegno delle istituzioni locali e nazionali e il supporto della comunità internazionale, per individuare progetti e interventi volti al miglioramento della qualità della vita. Di fronte alle difficoltà e ai disagi dei fratelli, tutti devono sentirsi interpellati a porre al centro delle loro attenzioni la dignità di ogni persona umana. Per quanto riguarda la situazione degli zingari in tutto il mondo, oggi è quanto mai necessario elaborare nuovi approcci in ambito civile, culturale e sociale, come pure nella strategia pastorale della Chiesa, per far fronte alle sfide che emergono da forme moderne di persecuzione, di oppressione e, talvolta, anche di schiavitù.

Vi incoraggio a proseguire con generosità la vostra importante opera, a non scoraggiarvi, ma a continuare a impegnarvi in favore di chi maggiormente versa in condizioni di bisogno e di emarginazione, nelle periferie umane. Gli zingari possano trovare in voi dei fratelli e delle sorelle che li amano con lo stesso amore con cui Cristo ha amato i più emarginati. Siate per essi il volto accogliente e gioioso della Chiesa.

Su ciascuno di voi e sul vostro lavoro invoco la materna protezione della Vergine Maria. Grazie tante e pregate per me.

 




il pregiudizio è disprezzo: papa Francesco tira le orecchie ai romani

Papa Francesco: «Ho visto
i romani disprezzare gli zingari»

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Papa Bergoglio rievoca un ricordo personale nell’incontro con i promotori episcopali e la Pastorale degli zingari: «Quando prendevo il bus a Roma e salivano nomadi, l’autista spesso diceva ai passeggeri: `Guardate i portafogli´. Questo è disprezzo»
di Redazione Online Rom
Bergoglio in metrò a Buenos Aires quando era cardinale (foto Ap)<img alt=”Bergoglio in metrò a Buenos Aires quando era cardinale (foto Ap)” title=”Bergoglio in metrò a Buenos Aires quando era cardinale (foto Ap)” src=”/methode_image/2014/06/05/Roma/Foto%20Roma%20-%20Trattate/15int07f2x-041-kxsE-U43020383599696g0E-593×443@Corriere-Web-Roma.JPG?v=20140605121910″/>

Bergoglio in metrò a Buenos Aires quando era cardinale

Papa Francesco accusa i romani di non rispettare i nomadi. Di più, sostiene che alcuni li disprezzano: «Quando prendevo il bus a Roma e salivano degli zingari, l’autista spesso diceva ai passeggeri: `Guardate i portafogli´. Questo è disprezzo, forse è vero, ma è disprezzo». Così il pontefice ha evocato un ricordo personale, giovedì 5 giugno, parlando ai partecipanti all’incontro mondiale dei promotori episcopali e dei direttori nazionali della Pastorale degli zingari. L’evento – organizzato dal Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti – si è tenuto giovedì nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, sul tema «La Chiesa e gli zingari: annunciare il Vangelo nelle periferie».

In difesa dei piccoli rom

Nella Capitale è noto l’aneddoto di un vescovo gesuita latino-americano, il brasiliano Don Luciano de Almeida – amico di Bergoglio e del quale oggi è in corso il processo di beatificazione -, il quale, girando anche lui in bus, prendeva sempre le difese dei ragazzini rom, che venivano trattati con disprezzo dai passeggeri. Il Santo Padre è poi tornato sull’argomento aggiungendo che «spesso gli zingari si trovano ai margini della società e a volte sono visti con ostilità e con sospetto». E ha aggiunto: «Sono tra i più vulnerabili, soprattutto quando mancano gli aiuti per l’integrazione e per la promozione della persona umana nelle varie dimensioni del vivere civile».

«Vittime di nuove forme di schiavitù»

Papa Francesco sottolinea che «i gruppi più deboli sono quelli che più facilmente diventano vittime delle nuove forme di schiavitù: sono infatti le persone meno tutelate che cadono nella trappola dello sfruttamento, dell’accattonaggio forzato e di diverse forme di abuso». E spiega: «Tra le cause che nell’odierna società provocano situazioni di miseria in una parte della popolazione, possiamo individuare la mancanza di strutture educative per la formazione culturale e professionale, il difficile accesso all’assistenza sanitaria, la discriminazione nel mercato del lavoro e la carenza di alloggi dignitosi».

«I pastori siano loro fratelli»

Bergoglio non si nasconde che quella dei nomadi «è una realtà complessa», e precisa che «certo anche il popolo zingaro è chiamato a contribuire al bene comune e questo è possibile con adeguati itinerari di corresponsabilità, nell’osservanza dei doveri e nella promozione dei diritti di ciascuno». Tuttavia c’è bisogno di aiutarli e per questo indirizza ai responsabili della Pastorale per gli zingari un «incoraggiamento a proseguire con generosità la vostra importante opera, a non scoraggiarvi ma a continuare a impegnarvi in favore di chi maggiormente versa in condizioni di bisogno e di emarginazione nelle periferie umane». «Gli zingari -conclude – possano trovare in voi dei fratelli e delle sorelle che li amano con lo stesso amore con cui Cristo ha amato i più emarginati: siate per essi il volto accogliente e gioioso della Chiesa»

«Tra noi disoccupazione al 95%»

Sottoscrive in pieno le parole di Papa Francesco la `Federazione Rom e Sinti Insieme. Anche se Djana Pavlovic, vice presidente della federazione, chiede al pontefice «di non utilizzare il termine `zingari´». «Nessun dubbio, è ovvio, sulla volontà di usare questa parola con un’accezione positiva, ma noi preferiamo essere chiamati `Rom´». «Nessuno al di fuori dell’Italia usa la parola zingaro, Rom nella nostra lingua significa `uomo´ ed è sicuramente la denominazione più adatta». Quanto al discorso del pontefice, «il Papa è da ringraziare perché ha sottolineato una situazione che è riportata in tutti i rapporti sulle condizioni di vita del popolo Rom e Sinti. La disoccupazione è al 95%, il tasso di mortalità infantile è elevatissimo, solo il 3% della popolazione Rom supera il 60mo anno di vita». «La nostra condizione è la conseguenza di un razzismo che dura da secoli. In Italia -denuncia Pavlovic – trent’anni di politiche di assistenzialismo e mancata responsabilizzazione hanno ostacolato l’inclusione sociale. Manca la volontà politica di mettere fine alle discriminazioni e ad una strumentalizzazione che spesso viene usata a fini politici».

Il Paese dei Campi (di segregazione)

L’associazione «21 Luglio» che da anni si occupa dei problemi dei rom nella capitale osserva che «è la prima volta che un Pontefice individua nella mancanza di alloggi adeguati una delle cause principali dello stato di discriminazione e di segregazione in cui vivono le comunità rom e sinte nel nostro Paese». L’Associazione sottolinea poi come l’Italia, denominata il «Paese dei campi», sia lo Stato che più degli altri ha «promosso politiche segnate dalla segregazione abitativa nei confronti di rom e sinti». «Le parole di Papa Francesco, in perfetta sintonia con le raccomandazioni delle istituzioni internazionali ed europee – continua 21 luglio – indicano nel superamento dei “campi nomadi” la strada maestra per una piena inclusione della minoranza rom. Un superamento urgente ma finora disatteso, visto che in molte città italiane, a partire dalla Capitale, gli amministratori continuano a proporre il “campo” come il luogo del margine in cui collocare, su base etnica, uomini, donne e bambini rom




i rom di Pisa manifestano … ‘in piedi’

una manifestazione decisamente ‘in piedi’, non ‘in ginocchio’

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all’insegna del ‘siamo umani’ i rom di Marina di Pisa hanno manifestato con tutti i loro bambini dal loro Campo di Bigattieri, per 4 km, fino alle loro scuole per chiedere, non ‘in gonocchio’ , pietisticamente, ma in piedi, cioè con vigore e determinazione condizioni di vivibilità all’altezza della dignità umana che per un decennio l’amministrazione comunale nega a loro:

qui sotto il breve resoconto che p. Agostino ne ha fatto il giorno dopo:

 

Ieri mattina si è svolta la marcia simbolica di accompagnamento dal campo Rom della Bigattiera, destinazione: le scuole Viviani e Macchiavelli di Marina di Pisa, un percorso di circa 4 km. Dove tanti bimbi rom la frequentavano prima che il comune di Pisa sospendesse il servizio Scuolabus. I Rom del campo hanno promosso questa iniziativa. Dopo molte promesse, incontri a vari livelli con l’Amministrazione (comunale e Regionale), che tra l’altro l’anno scorso si era impegnato con un ordine del giorno approvato a larga maggioranza dal Consiglio Comunale a favore di una soluzione condivisa con i Rom del campo, ossia studiare la possibilità di riavviare il servizio scuolabus e garantire l’acqua e luce, condizioni minime per offrire una vivibile dignità agli abitanti del campo.

 

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Ma fin’ora, niente s’è visto: non c’è luce, l’acqua scarseggia e tantomeno il servizio scuolabus, anzi la beffa di una denuncia ai genitori dei bambini Rom del campo per abbandono scolastico! Eppure sono anni che i Rom di questo campo (aperto e sostenuto dal comune!) vivono abbandonati e illusi dal comune.. però nessuno è stato denunciato per questo!
E’ così che i Rom si sono convinti che difficilmente la “politica” vuole veramente trovare delle soluzioni o per lo meno di rispettare le parole date, soprattutto se i destinatari sono Rom.

 

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“ SIAMO UMANI”

scritto dai bambini rom stessi del campo. Lo striscione apriva il corteo, composto da Rom e anche da un bel gruppo di Pisani (singoli e alcune Associazioni) che hanno voluto solidarizzare e accompagnare i bambini a scuola.
Se il comune di Pisa toglie il pulmino per la scuola, allora i bambini li accompagniamo noi a piedi per tutto il tragitto, e che la gente sappia e apra gli occhi: a Pisa l’amministrazione comunale considera i Rom non esseri umani? E’ giunto il tempo di dire basta: le persone mai sono abusive, caso mai sono le condizioni imposte che obbligano delle persone a vivere come abusive, senza acqua, senza luce!
Diceva dom Tomas Balduino, vescovo del Brasile morto il 2 Maggio di quest’anno, grande difensore dei poveri e degli indios:

“ Il rispetto dei diritti umani non lo chiediamo in ginocchio, ma alzandoci in piedi!”

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I Rom della Bigattiera lo stanno facendo anche a nome nostro, come a ricordarci che i diritti mai sono abusivi, neanche in tempo di crisi. “Accompagnare” significa saper camminare insieme..ce lo ricorda anche papa Francesco ed è quello che abbiamo vissuto ieri, grazie ai Rom di via Bigattiera.
Ciao Ago
Campo Rom di Coltano (PI)
22 Maggio 2014




il diploma di una ragazza rom contro i pregiudizi

 Teresa si diploma e prepara una tesi contro i pregiudizi

di Lorena Cotza su Corriere della Sera  

Teresa vive in Italia, ha 18 anni, sta per diplomarsi e sogna di iscriversi all’università. La sua è una di quelle storie che non dovrebbero far notizia. Ma Teresa è una giovane rom e la sua storia è ancora considerata una rara eccezione.

“Sino all’anno scorso nessuno a scuola sapeva che ero rom” racconta Teresa Suleymanovic. “Quando i miei compagni mi chiedevano da dove venissi, dicevo solo che ero bosniaca. Non volevo dire che vivevo in un campo. Perché tutti pensano che i rom dei campi rubino e siano sporchi”.

Teresa sta frequentando l’ultimo anno dell’Istituto Alberghiero di Monserrato, in provincia di Cagliari, dove sono iscritte anche altre tre ragazze del campo in cui abita.

“Dopo il diploma mi piacerebbe studiare Scienze dell’Alimentazione e diventare una dietologa” dice Teresa. “Oppure mi piacerebbe lavorare nel settore della ristorazione, ho svolto diversi tirocini in alcuni ristoranti della zona e ho imparato tantissimo su questo mestiere”.

L’amore per la cucina gliel’ha trasmesso sua madre, Visna, trasferitasi dalla Bosnia in Sardegna circa 30 anni fa. “Il pane per noi è il cibo più importante” mi spiega Visna mentre con gesti sicuri prepara la pita, una finissima ed elastica pasta che riempie con carne e verdure. “È una tradizione che si tramanda di generazione in generazione, tutte le mie figlie lo sanno fare”. Oltre alle tradizioni culinarie, i diritti umani sono l’altro tema a cui Teresa vorrebbe dedicarsi in futuro. Nella tesi di diploma che sta preparando, ha infatti scelto di raccontare la storia del suo popolo, il genocidio nazista e la resistenza della cultura rom, ancora intatta nonostante secoli di persecuzioni.

“Ho scelto questo argomento perché ci sono ancora tanti, troppi pregiudizi sui rom. Se davvero non sei razzista non dovresti fare differenze tra nessuno. Non puoi pretendere di dire che non odi i marocchini, ma al tempo stesso odiare i rom. Altrimenti che senso ha?” si chiede Teresa.

Quest’anno Teresa ha partecipato a “Italia-Romanì”, convegno sull’inclusione dei rom e dei sinti in Italia, organizzato dall’Associazione 21 Luglio e tenutosi a Roma dal 3 al 5 aprile. Racconta con entusiasmo del flash-mob organizzato di fronte al Colosseo: “Abbiamo indossato dei sacchi neri, con dei biglietti che descrivevano i pregiudizi che ci portiamo addosso. Nel mio ho scelto di scrivere “Io non voglio studiare”. E poi ce li siamo strappati di dosso”.

“Vicino al convegno c’era anche una manifestazione anti-rom, ci gridavano di tutto ma per fortuna vicino c’era la polizia” continua Teresa. “Ma durante il flash-mob è stato bello rispondere alle domande della gente e far vedere che ci sono tanti giovani rom in gamba”.

Tra i tanti temi affrontati durante il convegno, uno dei più dibattuti è stato quello dei campi rom. Una questione di non facile soluzione: alcuni rom vorrebbero trasferirsi in case normali, ma altri non vogliono rinunciare alla vita comunitaria del campo. Teresa vive in un piccolo e isolato insediamento a circa 7 km dal primo centro abitato, in cui vivono 14 famiglie rom. Il campo si trova in cima a una collina da cui si domina il Golfo di Cagliari ed era la sede di un vecchio inceneritore, di cui oggi resta solo lo scheletro spettrale della struttura.

“È stata dura – dice Visna, raccontando con orgoglio di come ha costruito la sua baracca. – Abbiamo lavorato duramente per raccogliere i pezzi di lamiera, ma siamo riusciti a costruire una stanza per tutti i miei figli. Quando sgomberano i campi e buttano giù le case su cui hai lavorato per anni non è bello”.

Teresa vorrebbe vivere in una casa in città, come una delle sue sorelle, che ha sposato un italiano e lavora nel settore della ristorazione. Ma capisce anche la scelta di chi non vuole spostarsi. Le abitazioni fornite dal comune sono spesso troppo piccole per le famiglie più numerose e a molti manca la solidarietà che si crea all’interno dei campi.

Ci sono, però, problemi che potrebbero essere affrontati e risolti con poche risorse: “Da anni chiediamo al sindaco di creare una piazzola per una fermata del pullman – dice Teresa – Le corriere passano lungo questa strada, ma non si fermano, quindi per andare a scuola devo sempre chiedere un passaggio a mio padre. C’è un pulmino per i bambini iscritti alla scuola elementare, ma non per tutti gli altri”.

Teresa è riuscita a proseguire gli studi grazie a una borsa di studio della Fondazione Anna Ruggiu, dedicata al sostegno della popolazione rom. Ma c’è un male che nessun benefattore riesce a curare: quello dei pregiudizi.

“Quando ho detto ai miei compagni dove vivevo, alcuni mi hanno detto che avrebbero voluto vedere il mio campo, ma hanno paura e pensano che siamo cattivi. So che non verranno qui. Ma bisognerebbe prima conoscere e poi giudicare”.




la città senza recinti: per vincere il confine del pregiudizio

‘la città senza recinti’

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mercoledì 16 aprile alle ore 17,  presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi Roma Tre (largo B. Marzi 10, ex mattatoio Testaccio), sono stati presentati i risultati della ricerca “Vincere il Confine: nuove strategie e pratiche nella costruzione della città inclusiva ed interculturale del futuro” realizzata dal Laboratorio interdisciplinare di Arte Civica dell’Università degli Studi Roma Tre. Una ricerca/azione su come le nuove generazioni rom e alcuni comitati locali chiedono di vincere il confine del pregiudizio e della marginalità prodotto dai  campi rom. 

Alcune anticipazioni della ricerca:

di Adriana Goni Mazzitelli*

Nel mese in cui si celebra la giornata internazionale dei Rom e Sinti in tutto il mondo, data che ricorda il primo congresso internazionale del popolo rom, tenutosi a Londra l’8 aprile del 1971, a Roma ricercatori, associazioni, comitati di quartiere e famiglie rom danno visibilità a una ricerca/azione promossa nella periferia romana per trovare percorsi reali di uscita dalla logica secuirtaria che nutre l’idea dei campi rom.

La ricerca presentata mercoledì 16 aprile racconta del tentativo di superare quella visione politica che finora ha pensato e ha organizzato i campi rom a Roma come soluzione al “problema” casa.  Ormai non sono soltanto le associazioni che si occupano di  diritti umani internazionali a denunciare l’operato del Comune di Roma per la “concentrazione” della popolazione rom in recinti senza le adeguate condizioni abitative, ma anche altre realtà sociali. Da una parte le nuove generazioni rom che, come racconta questo studio, sono pronte per riprendersi il loro “diritto a vivere la città”,  sopratutto quando  si aprono spazi accoglienti  capaci di promuovere attività rispettose della loro “diversità”. Dall’ altra i cittadini che abitano i quartieri limitrofi ai campi rom, che sono stanchi di vedere lo sperco di soldi pubblici, prodotto da politiche inefficaci di integrazione, che hanno generato solo un  peggioramento delle condizioni umane, fisiche e ambientali dei campi e delle popolazioni che ci vivono e dei  quartieri circostanti.

bimbiLa ricerca  fotografa le condizioni di conflittualità che vivono gli abitanti  nella periferia Est di Roma, dove  il disagio e la paura di confrontarsi,  sono risultato di un territorio nel quale sussitono diverse “enclave di miseria” che alimentano tensioni e incomprensioni. Una città “enclave” è quella dove le scelte politiche sono state orientate a “rinchiudere e sospendere”, alimentando culturalmente la logica del  “rinchiuditi e proteggiti” come segnala nella ricerca Alessandro Petti.  

La città di Roma viene descritta dai protagonisti di questa indagine, come un insieme di “enclave”, dove lo spazio pubblico si riduce e si elimina così la capacità di riunire e rafforzare l’interazione e l’identità delle comunità, cosi come la possibilità di accogliere i nuovi arrivati e decidere insieme il  proprio destino.

Sempre Petti propone un’immagine molto netta della situazione spaziale di organizzazione delle città contemporanee: “Lo spazio contemporaneo può essere descritto e intrepretato attraverso la contrapposizione di due figure l’“arcipelago” e l’“enclave – scrive – L’arcipelago è un sistema d’isole connesse, l’enclave sono semplici isole (…) Se da un lato vi è un élite che gestisce lo spazio dei flussi, vivendo in un mondo arcipelago che percepisce come unico e privo di esterno, dall’altro la sospensione delle regole dell’arcipelago produce vuoti giuridici ed economici, che fanno del sistema di enclave un buco nero, una zona d’ombra….”. (Petti 2007). A Roma continuano a crescere queste zone di sospensione, i campi sono quelle più evidente ma la ricerca fa emergere una segregazione spaziale e sociale che si è creata negli ultimi quarant’anni con una concentrazione di disagio nei palazzoni di edilizia popolare fino alle moderne strutture “temporanee” (Cie, Cpt, ecc.). Mentre le famiglie benestanti si raggruppano e “rinchiudono” scegliendo mezzi di sicurezza quali telecamere o quartieri sorvegliati.

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L’approccio di ricerca-azione ha permesso ai ricercatori di entrare nel cuore della periferia romana ed essere parte attiva della vita quotidiana di questi territori. I metodi etnografici hanno permesso invece di costruire “relazioni intense” con i diversi soggetti del quartiere dando l’opportunità di comprendere i vari sguardi dietro un territorio in apparenza omogeneo.

Per decenni i rom sono serviti da “capo espiatorio” per nascondere il degrado e l’abbandono della città e la mancanza di politiche adeguate a contrastare la marginalità e la  povertà in forma definitiva. Ma ormai è impossibile nascondere la crescita di disagio urbano, basta osservare quotidianamente le persone che per sopravvivere sono costrette a rovistare nei cassonetti,  o all’aumento dei senza dimora e il  moltiplicarsi di occupazioni abitative di famiglie italiane e straniere disperate. Persino la Corte Costituzionale rifiuta lo “stato di emergenza” dichiarato nei confronti delle popolazioni rom, impossibile pensare che una popolazione che a Roma viene censita in 6.800 individui possa sconvolgere una città di tre milioni di abitanti.

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Come spiega Paul Polansky nella prefazione del libro della ricerca, i rom hanno paura di prendere parola perché subiscono violenze permanenti dello Stato,ma le nuove generazioni sorprendono perché fanno parte di un fenomeno nuovo in Europa, che sarebbe un peccato non cogliere. Ovvero la possibilità per le seconde e terze generazioni di rom, e di chi lotta accanto a loro, di trovarsi di fronte a una società interculturale in crescita,  dove la  crisi economica  livella le distinzioni e le  “diversità”. Le contraddizioni del modello capitalista riguardano anche quelli  che lo Stato chiama “cittadini con pieni diritti”, portando grandi masse di popolazione in una situazione di povertà simile a quella che vivono da decenni le popolzioni  rom. (Gheorghe et alt:2013)

Durante la presentazione della ricerca, si illustrerano le diverse condizione di questo “apartheid” dei rom in Italia,  che secondo i ricercatori Francesco Careri e Azzurra Muzzonigro “va oltre la segregazione etnica, sopratutto negli ultimi anni, si riscontrano interventi mirati a costruire forme di segregazione fisica e spaziale,  quali sono  i campi rom, veri e propri ghetti e slum”. Inoltre verrà presentato il progetto Sàr San, che nasce nel 2012, grazie alla collaborazione con la Fondazione Bernard Van Leer, associazioni e università italiane. Il suo principale obiettivo era aprire uno spazio di dialogo e convivenza tra le popolazioni rom e i quartieri della periferia Est di Roma, per migliorare le condizioni di vita dei bambini, giovani e famiglie rom e di tutti gli abitanti del territorio.

La ricerca-azione ha prodotto anche una sperimentazione metodologica innovativa che ha favorito l’utilizzo dell’Arte Civica come come racconta Maria Rocco, con nuovi linguaggi per far emergere bisogni e desideri dei gruppi sociali coinvolti. Attraverso strumenti come la Video-Arte Partecipativa e la Musicarterapia nella Globalità dei Linguaggi sviluppati da Maria Rosa Jijon e Mariana Ferrato, cosi come da Paola Grillo, Nicola Caravaggio e Roberta Ricci, si sono coinvolte direttamene le nuove generazioni rom, facendo emergere le reali problematiche che stanno vivendo e le possibili soluzioni.

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Un altro risultato innovativo del lavoro è stato l’avvio di un percorso per costruire una rete di resilienza cittadina, capace di affrontare le complessità dell’integrazione tra comunità Rom e i problemi della periferia, andando oltre le cronache stereotipate e i pregiudizi. Grazie al lavoro di supporto dell’Università  Roma Tre  con il supporto scientifico di Marianella Sclavi e Marco Brazzoduro si è  attivata una  Rete Territoriale Roma Est per il Superamento dei campi rom. È proprio dal lavoro di queste reti territoriali nasce la  richiesta alle istituzioni di un cambio di rotta urgente, rispetto alle attuali politiche di segregazione dei campi rom presenti nella Capitale. Un superamento che va costruito attraverso ambiti di partecipazione orizzontale e aperti, attivati con linguaggi inclusivi e tempi certi che dimostrino un vero interesse e un “ascolto attivo” nella costruzione di soluzioni a misura di ogni territorio e dei suoi abitanti.

Saranno presentati inoltre casi studio su alcune esperienze in America Latina e Italia, dove sono stati realizzati programmi urbani integrati di miglioramento della qualità abitativa nelle città di popolazioni svantaggiate e di diverse etnie, i cosiddetti “Piani per la pace e la convivenza nella diversità”. Nell’era delle città globali, una delle scommesse più importanti sarà quella di comprendere come affrontare le gravissime conflittualità, che portano ad un aumento della violenza urbana e del degrado ambientale.

La costruzione di città più giuste e con qualità di vita migliore per tutti e tutte, dipenderà in grande misura dal “confronto creativo” (Sclavi 2011), tra le diverse popolazioni, accettando la sfida di aggiornare i meccanismi di costruzione di città che devono avere i suoi cittadini come protagonisti e fare particolare attenzione alle dimensioni umane, culturali e ambientali.

* Dipartimento di Architettura Università degli Studi Roma Tre Laboratorio arti civiche




il sindaco Marino: “mai più chiamarli ‘nomadi’ “

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Roma, il sindaco Marino abolisce il termine “nomadi” dagli atti ufficiali

Il Campidoglio emana una circolare dove si invita a utilizzare d’ora in poi i corretti termini “Rom, Sinti e Caminanti” come primo passo per superare le discriminazioni

Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha deciso di abolire nelle comunicazioni istituzionali e negli atti amministrativi, il termine “nomadi”. “Chiedo che d’ora in poi – ha scritto in una circolare – che in luogo del riferimento al termine ‘nomadi’ sia più correttamente utilizzato quello di ‘Rom, Sinti e Caminanti'”. Il sindaco ritiene la scelta un passo per superare le discriminazioni.

“Credo che uno dei fattori centrali per superare le discriminazioni sia quello culturale – continua nella circolare -, affinché l’approccio metodologico di tipo emergenziale possa essere abbandonato a favore di politiche capaci di perseguire l’obiettivo dell’integrazione. In questo processo anche la proprietà terminologica utilizzata può essere, ad un tempo, indice e strumento culturale per esprimere lo spessore di conoscenza e consapevolezza degli ambiti su cui si è chiamati ad intervenire”.

Il sindaco auspica che “anche attraverso questa apparentemente semplice attenzione terminologica, possa essere testimoniata la considerazione che l’amministrazione capitolina rivolge a tutte le persone che vivono nel suo territorio. Un atto simbolico per il superamento di ogni forma di discriminazione

Ago

la reazione immediata e spontanea di p. Agostino Rota Martir che vive quotidianamente insieme a diverse famiglie rom – ‘nomadi’ solo perché ogni giorno rischiano di esserlo perché mandate via dalle forze dell’ordine come ricatto per non accettare passivamente norme e imposizioni per il loro ‘inserimento’ – non è molto positiva (ma se in genere ci indovina, eccome!, questa volta mi sento di dare un pò di credito al sindaco Marino il quale se per il 90% lo ha senz’altro fatto come mossa politica, almeno per il 10% credo che lo abbia fatto per convinzione, avendo peraltro assunto quella decisione – la prima in assoluto in Italia – dopo un incontro con l’associazione 21 luglio nel quale ha mostrato molta disponibilità al dialogo, riconoscendo quindi la propria ignoranza in materia e l’apertura, almeno nelle belle intenzioni, al superamento di tutto ciò che costituisce barriera culturale o materiale nei confronti dei rom):

Secondo me gran parte delle iniziative fatte x decreto o ordinanze lasciano desiderare..fumo negli occhi che spesso accontentano e fanno lustro ai soliti noti interessati a ..
Ciao ago

e dopo averci pensato un po’ sopra così ha … sbottato, articolando meglio il suo discorso (trovandomi, peraltro, molto d’accordo, riconoscendo generosamente la buona volontà del sindaco a differenza di tanti – o tutti – gli altri:

Il sindaco Marino e i Rom..non più nomadi?

Il sindaco Marino folgorato sulla strada di Damasco? Oppure su una di quelle strade-sentieri che conducono a qualche accampamento di nomadi? (pardon ora per ordinanza bisogna dire rom)..avrei preferito proprio su una di queste, perche’ la differenza non e’ da poco.

Ad ogni modo e’ apprezzabile da parte di un sindaco, la volonta’ di capire meglio e di lasciarsi “convincere” da chi la realta’ dei  rom la  conosce anche dal di dentro perche’ la frequenta.

M’auguro che l’esempio del sindaco di Roma trovi emulatori tra i suoi colleghi.

Ma permettimi anche di difendere e contestualizzare il mio sintetico intervento,  e che ribadisco: l’ordinanza di questo genere serve a ben poco e non mi piace tanto, come non mi sono piaciute le ordinanze anti accattoni, anti borsone, anti “vu cumprà”.. A quando anche un’ ordinanza che obblighi il pellegrino a fermarsi a Roma?

I rom sono nomadi? Quanti studi, pubblicazioni e conferenze..Loro, i rom cosa dicono,  cosa pensano? Due attivita’ da distinguere e da analizzare con attenzione e comprensione. Buon per il sindaco che attraverso una rapida ordinanza risolve una questione che e’ oggetto di discussioni, ricerche, dibattiti di carattere antropologico e sociale da almeno 3 decenni, in Italia e in Europa. Ad esempio in Francia la questione manco si pone, perche’ e’ prevista la possibilita’ di viaggiare e spostarsi e le amministrazioni locali devono garantire e offrire alle “persone viaggianti” (siano cittadini francesi, rom, sinti, tedeschi..) strutture e condizioni eque e rispettose per tutti, sia per chi sceglie di muoversi e per chi e’ stabile. Sono tanti i Rom in Francia che nomadizzano in questo modo, tanti altri hanno scelto di stare in case, appartamenti o su terreni privati: e’ una loro scelta! Oppure in campi Rom (nomadi) del tutto identici ai nostri!!

Smettiamola di far credere che i campi Rom (nomadi) esistano solo in Italia.  Anche in Inghilterra, Irlanda ed America ce ne sono, e tra l’altro  sono anche oggetto di trasmissioni televisive molto seguite, ambientate in veri e propri campi ..nomadi! (“Il mio grosso grasso matrimonio Gipys” trasmesso su Real Time)

 

Un nomade ha forse meno diritti e doveri di un rom o di qualsiasi essere umano?

Come trovo un po’ strano che in una societa,’ che spesso sollecita la mobilita’ (flessibilita’) in nome del mercato del lavoro o per la globalizzazione (cosa non facciamo per essa), quante realta’, popoli e merci in continuo movimento, eppure vogliamo ad ogni costo i rom sedentari, costi quel che costi: per qualcuno la mobilita’ e’  quasi un dogma, quella dei rom e’ invece demonizzata, condannata e sospettata. E’ forse così altrove? Perché in Italia l’integrazione deve passare per forza solo ed esclusivamente dalla sedentarizzazione?  Possibile che tutte le Associazioni vanno in questo senso? Cosa ne ricavano?

Pochi anni fa (non il secolo scorso) delle famiglie rom di Coltano avevano espresso la loro volonta’ di continuare a vivere in roulotte, non gli andava di vivere in appartamento, ma non c’e’ stata ragione e in nome della cosi detta integrazione, indotte ad abitare in appartamento.

So che ci sono amministrazioni che si rifiutano di finanziare l’acquisto di roulotte, preferendo di gran lunga spendere per le case e appartamenti, sempre in nome dell’integrazione, ma che di fatto sono delle imposizioni di modelli e stili di vita che non sempre coincidono con quelli dei rom.  Per una famiglia rom vivere in una casa,  di fatto e’ diverso da come vive una famiglia italiana.

So di correre il rischio di essere definito “ideologico” (oggi chi non si allinea e’ cosi che e’ tacciato): mi chiedo se oggi i rom sono nelle condizioni di scegliere liberamente e serenamente il loro futuro.

So che ci sono rom che la loro vita si e’ complicata anche perche’ hanno smesso di nomadizzare, altri invece che vivono tranquilli in case e che poi lasciano quando ritengono utile riprendere a girare. Tanti hanno avuto il privilegio o la fortuna di averne una, a differenza di altri che la sognano, altri invece sanno accontentarsi di una baracchina o di una roulotte.

Sono differenti i motivi che spingono gruppi di rom ad essere o diventare per dei periodi dei “nomadi”: per lavoro, per opportunità, per regolarizzare i documenti, per motivi di famiglia, per paura dei servizi sociali che prendano i loro figli, semplicemente per cambiare aria per un certo periodo, per le continue minacce di espulsione e di sgomberi, per delle liti tra famiglie.. Spesso cio’ che accomuna la maggioranza dei rom, nonostante le loro differenze e’ proprio quello di dichiararsi sempre come “non nomadi”, un po’ per convenienza ma nello stesso tempo si sentono liberi dai nostri schemi, consapevoli e fieri anche della propria diversita’.

 

Certo e’ che il nomadismo dei rom, tipico di 40/50 anni fa’ non e’ piu’ quello di oggi; cosa ridicola riproporlo o solo pensarlo in modo nostalgico, anche se in genere l’immaginario collettivo piace pescare proprio nel mondo fantasioso del rom nomade.

Il nomadismo non e’ l’altra faccia della sedentarieta’ che ci sta un pochino stretta?

Forse ci vorrebbe un altra circolare per scoraggiare questo immaginario mondo gitano presente in ognuno noi: e i rom mi piacciono anche perche’ il loro “nomadismo” sfida e provoca le nostre immobilita’..pensiero nomade!

Una societa’ senza nomadi (rom, pellegrini, profughi..) forse e’ piu’ povera, senz’altro piu’ rannicchiata su se stessa.

 

Ciao Ago

10 aprile 2014 – campo  Rom di Coltano – Pisa

 

 

 




denunciati 50 genitori rom – le osservazioni di p. Agostino

Agostino

sono stati denunciati ben 50 genitori di altrettanti bimbi rom dell’area che li accoglie – con infinite contraddizioni –  nel comune di Pisa e nella quale e coi quali p. Agostino Rota Martir della diocesi di Pisa (e membro dell’U.N.P.R.eS., cioè di un organismo ecclesiale per la pastorale tra i rom e i sinti) vive da tanti anni condividendo la loro vita, gioie, limiti, contraddizioni e quant’altro la concreta condivisione comporta

non credo che abbia meno titolo di altri – politici e stampa al seguito – ad esprimere una valutazione su questo fatto essendo il più ‘prossimo’ a loro: ritengo quindi imprescindibile oltreché interessante ascoltare la sua ‘lettura ‘delle cose

di seguito, dopo la ricostruzione giornalistica, le sue amare e preoccupate osservazioni:

 

Non mandano i figli a scuola: denuncia per 55 genitori rom

 

        PISA
‘il tirreno’ 28 marzo 2014
Non mandavano i loro figli a scuola. Non per qualche giorno. Da settimane e in alcuni da mesi. Con l’accusa di      inosservanza agli obblighi dell’istruzione elementare obbligatoria sono stati denunciati cinquantacinque genitori. Tanti      sono recidivi. L’indagine è stata condotta dai carabinieri della Compagnia, guidata dal maggiore Stefano Bove e      ha impegnato i militari delle stazioni di Pisa, Vecchiano, San Giuliano Terme e Calci. Durante le verifiche nelle scuole elementari      e medie, alle quali hanno collaborato tutti i dirigenti scolastici interessati, è stato accertato che circa trenta bambini      minorenni iscritti per l’anno scolastico in corso, non hanno frequentato le lezioni. Tutti i casi accertati riguardano famiglie      domiciliate a Pisa all’interno dei campi nomadi tra Riglione, Bigattiera e Coltano. I carabinieri hanno anche trasmesso informative      ai servizi sociali comunali per segnalare la situazione. Dietro il fenomeno della dispersione scolastica, infatti, spesso      si celano situazioni di disagio sociale e di degrado familiare. Contesti difficili che gravano sul regolare sviluppo del minore      e sulla sua effettiva integrazione all’interno del tessuto sociale. «Non di rado, infatti, i minori che non vengono avviati      alla scuola dell’obbligo, sono sfruttati per commettere reati, soprattutto di tipo predatorio, ma anche dislocati ai vari      incroci e dinanzi ai centri commerciali per l’accattonaggio» spiegano al comando dell’Arma. Non sono mancati, anzi      sono risultati piuttosto frequenti, i casi in cui i minori sono stati sorpresi alla guida di veicoli non coperti da assicurazione      e senza aver preso la patente. Nel 2013 la Compagnia di Pisa ha deferito sessantaquattro persone per lo stesso reato: non      aver inviato i figli a scuola nell’anno scolastico 2012/2013. Per il sindaco Marco Filippeschi «non si può in alcun      modo tollerare una situazione del genere, a danno di bambini e bambine. Allo stesso modo non si possono, né si devono      tollerare le illegalità che gravano sulla nostra città, lasciata da sola a convivere con squilibri evidentissimi      e gravissimi e reati che si ripetono quali maltrattamenti di minori, furti, smantellamenti di impianti per carpire il rame      e produzione di discariche abusive. Pisa chiede aiuto e chiede legalità»

Non mandano i loro figli a scuola Cinquanta rom denunciati

Il comandante dei carabinieri: «Spesso i minori che non vengono avviati alla scuola dell’obbligo sono sfruttati per commettere reati»

Cinquantacinque genitori o esercenti la patria potestà di una trentina di minori che vivono nei campi nomadi di Pisa sono stati denunciati dai carabinieri per inosservanza degli obblighi dell’istruzione elementare obbligatoria al termine di una serie di controlli mirati sul territorio in collaborazione con i dirigenti scolastici. Molti dei nomadi denunciati sono recidivi per lo stesso reato per essere stati denunciati lo scorso anno al termine di controlli analoghi.

NOTA AI SERVIZI SOCIALI 

Parallelamente, spiega il maggiore Stefano Bove, comandante della Compagnia di Pisa dei carabinieri, «sono state trasmesse note informative ai servizi sociali comunali affinchè adottino i provvedimenti opportuni, perchè dietro il fenomeno della dispersione scolastica spesso si celano situazioni di disagio sociale e di degrado familiare, che gravano sul regolare sviluppo del minore e sulla sua effettiva integrazione all’interno del tessuto sociale». «Non di rado – conclude Bove – i minori che non vengono avviati alla scuola dell’obbligo, sono sfruttati per commettere reati, soprattutto di tipo predatorio, ma anche dislocati ai vari incroci e dinanzi ai centri commerciali per l’accattonaggio».

le osservazioni di p. Agostino

Ci risiamo. L’anno scorso al campo della Bigattiera (Marina di Pisa) il comune toglie il servizio scuolabus, poi toglie luce ed acqua, perchè i rom devono convincersi che il campo è abusivo, anche se tutte le famiglie sono state indirizzate lì dal comune stesso nell’arco di diversi anni. Due anni fà circa l’allora assessore politiche sociali Ciccone, aveva invitato le scuole a non accettare i bambini nelle scuole per non far credere ai genitori di poter stare in un campo “abusivo”.

 
Poi c’era stata anche la decisione presa dal consiglio comunale che impegnava il comune a trovare un percorso condivisibile: riallaccio dell’acqua, luce e servizio scuolabus. Ma fino ad oggi niente, un campo con circa 130 persone senza luce (usano generatori e con i rischi che questo comporta), e l’acqua che arriva a intermittenza.
Nessuno che osa scandalizzarsi..se non del fatto che bambini rom non vanno a scuola.
 
“È un po’ come se uno ti sfila il portafoglio mentre sei in fila alla cassa e poi ti si addita al pubblico come quello che fa la spesa senza pagare.”
 
Ciao Ago
SECONDO APPELLO PUBBLICO PER I BAMBINI E LE BAMBINE DELLA BIGATTIERA

Anche quest’anno molti bambini e molte bambine della Bigattiera hanno avuto una frequenza scolastica saltuaria. Anche quest’anno le loro famiglie sono state denunciate dalle forze dell’ordine per evasione scolastica. Il sindaco ha commentato che “ è inaccettabile, non si può in alcun modo tollerare una situazione del genere, a danno di bambini e bambine”. Siamo perfettamente d’accordo con lui. Proprio per questo abbiamo spinto il primo agosto scorso il Consiglio Comunale ad approvare all’unanimità un Ordine del Giorno per ripristinare il pulmino scolastico, riallacciare l’utenza elettrica e aumentare la pressione dell’acqua con un’autoclave. Si può pensare che i bambini vadano a scuola sporchi, al buio e a piedi lungo una strada pericolosa come la Bigattiera? Il primo quadrimestre è passato e nulla è cambiato. 40 bambini e bambine stanno per perdere il loro terzo anno scolastico consecutivo, in barba alla Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, alla legge italiana, alla Regione Toscana e al Consiglio Comunale di Pisa. Chiediamo quindi al Sindaco e alla Giunta di rispettare gli impegni presi e ripristinare al più presto i servizi dovuti a quei bambini e a quelle bambine, affinché possano subito riprendere a frequentare la scuola