viaggio nella religiosità dei sinti e dei rom

trasmissione RADIO RAI TRE ‘UOMINI E PROFETI’ del 08/02/2014

RADIO3.RAI

Lo Spirito nomade: viaggio nella religiosità dei rom e dei sinti 

 con Giorgio Bezzecchi, Graziano Halilovic, Daniele Degli Innocenti, Lucia La  Santina e Viola Della Santa Casa

Ancora uno sguardo di Uomini e Profeti fissato su ciò che è minoritario,  laterale, recessivo nella scala di valori della cultura ufficiale e dei grandi  dibattiti. Nella puntata di oggi ci incamminiamo lungo le strade percorse dallo  Spirito nomade, per entrare nella religiosità che abita i margini, quelli lungo  i quali si spostano e si soffermano le carovane dei rom e dei sinti. Una  religiosità permeabile che accoglie ciò che incontra e lo assorbe, facendone una  devozione semplice e forte, che non ha nulla di esotico, proprio come i campi  nomadi in cui viene vissuta, o per dirla in modo più politicamente corretto, le  microaree. Le microaree come quella dei sinti evangelici del quartiere di San  Basilio, nella periferia di Roma, dove abbiamo incontrato il pastore evangelico  Daniele Degli Innocenti, Lucia La Santina e Viola Della Santa Casa, che parlano  con discrezione e consapevolezza della loro fede, del loro risveglio, della loro  chiesa costruita con le proprie mani, nella quale ci siamo seduti a parlare,  mentre i rumori del vicino raccordo anulare e un pauroso nubifragio rendeva la  periferia romana ancora più livida. Con gli ospiti in studio, Giorgio Bezzecchi, Graziano Halilovic rom khorakhanè,  ovvero musulmano, arricchiremo di ulteriori tessere il mosaico di  un’appartenenza religiosa mutevole come le terre che attraversa.

Suggerimenti di lettura

L. Narciso, La maschera e il pregiudizio. Storia degli zingari, Melusina 1996 L. Piasere, Un mondo di mondi. Antropologia delle culture rom, L’Ancora del  Mediterraneo 1999 L. Piasere, Italia Romanì, vol I, II, III, Cisu edizioni, 1996, 1999, 2002 A. Luciani, Un popolo senza territorio e senza nazionalismi: gli zingari  dell’Europa orientale, in A. Roccucci, Chiese e culture nell’Est europeo, Ed.  Paoline 2007, pp.275-326 Stojka Ceija, Forse sogno di vivere. Una bambina rom a Bergen-Belsen, Giuntina  2007

Parole

Cvava sero po tute i kerava jek sano ot mori i taha jek jak kon kasta vasu ti baro nebo avi ker kon ovla so mutavia kon ovla ovla kon ascovi me gava palan ladi me gava palan bura ot croiuti
Poserò la testa sulla tua spalla e farò un sogno di mare e domani un fuoco di legna perché l’aria azzurra diventi casa chi sarà a raccontare chi sarà sarà chi rimane io seguirò questo migrare seguirò questa corrente di ali

Versi in lingua romanés tratti da Khorakhanè, di Fabrizio De André e Giorgio  Bezzecchi

il rom si tuffa nel fiume e salva la ragazza

 

Il nomade che salva la donna finita nel fiume con l’auto

 

 

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Si chiama Sedrik Dori il nomade 23enne che ieri ha salvato una donna finita nel fiume Bacchiglione a Vicenza dopo che la sua jeep aveva sfondato il guard rail. Il giovane ha assistito alla scena dal vicino campo nomadi e non ha esitato a tuffarsi in acqua e a nuotare fino alla donna per soccorrerla. I due sono stati poi raggiunti dai vigili del fuoco e dal 118 e trasportati all’ospedale per accertamenti. Racconta Dori: “Sono corso lungo l’argine e mi sono buttato nel fiume. Ho preso la ragazza e l’ho trascinata a riva. Ho avuto molta paura”. A chi gli dice che probabilmente le ha salato la vita, risponde solo con un “grazie”, come se avesse ricevuto un complimento. Alla donna, visitata in ambulanza, è stato diagnosticato un principio di ipotermia. L’auto, una jeep, è stata portata fuori dal fiume con una gru.

Vicenza: giovane nomade salva una donna finita in un fiume

 

 Sedrik Dori, giovane rom di 23 anni, da ieri sera è un eroe, nonostante questo appellativo lo faccia sorridere. Di fatto il giovane è stato il protagonista di una vera e propria impresa. Nella serata di ieri, infatti, una donna di 37 anni alla guida del suo fuoristrada ha perso il controllo della guida e, dopo aver sfondato il guard rail, è finita nel fiume Bacchiglione.

Sedrik, dal vicino campo nomadi, ha assistito alla scena e senza pensarci si è tuffato nel corso d’acqua per soccorrere la 37enne. I due sono stati poi raggiunti dai vigili del fuoco e dal 118 e trasportati all’ospedale per accertamenti.

“Ho visto l’automobile uscire di strada e finire in acqua – ha dichiarato il giovane nomade – e senza pensarci due volte sono corso lungo l’argine e mi sono tuffato nel fiume. Ho preso la ragazza e l’ho trascinata a riva. Ho avuto molta paura”.

“Delle persone di passaggio, nessuno ha avuto il coraggio di aiutare Sedrik”, denunciano la madre e la nonna del giovane ragazzo. “Tutti si sono limitati a guardare, se non era per lui la donna sarebbe annegata”.

E proprio alla giovane 37enne, visitata in ambulanza, è stato diagnosticato un principio di ipotermia ed è stata subito accompagna in ospedale. Per controlli è stato portato in ospedale anche il giovane soccorritore. L’auto, una jeep, è stata portata fuori dal fiume con una gru.

t.u.q.s.: tutti uguali questi sindaci

Ignazio Marino contro i rom: via dal lungotevere

Il sindaco ha promesso a Radio Radio il loro allontanamento dagli insediamenti abusivi

Guidonia, donne e bambini rom aggrediscono carabinieri

di destra o sinistra che siano, sembrano tutti uguali questi sindaci (t.u.q.s.): sanno solo mandar via, così risolvono il problema della povertà, ‘lontana dagli occhi lontana dal cuore’, e così anche quelli che a occhio ti sembrerebbero i migliori …

Giro di vite nei confronti dei nomadi che non rispettano le regole. È quanto garantito dal sindaco di Roma Ignazio Marino, intervenuto questa mattina ai microfoni della nota emittente romana Radio Radio.

Rispondendo un ascoltatore che lo accusava di “sufficienza nei confronti del fenomeno del rovistaggio dei rom nei cassonetti”, il primo cittadino ha ammesso: “Ieri alla Magliana, proprio davanti ai miei occhi, di fronte ai cassonetti stracolmi di rifiuti c’erano dei rom che vi frugavano muniti di carrelli da supermercato, riempiendoli e salendo poi sulla ciclabile per andare nel loro accampamento sulle sponde del Tevere. Una scena che purtroppo gli abitanti vedono tutti i giorni ma che non può più andare avanti”.

Questa mattina, ha quindi spiegato Marino, “ho avuto una lunga riunione di oltre un’ora con il nuovo questore che ringrazio per avermi ascoltato nel dettaglio su questi temi, perché Roma in questo 2014 dovrà dimostrare di essere una città che accoglie, come ha detto anche papa Francesco l’altro giorno nel suo discorso, ma che non accetta il disprezzo delle regole”.

“Noi bonificheremo quelle aree del lungotevere – ha poi assicurato il sindaco – , miglioreremo la pista ciclabile, prepareremo degli accessi affinché le persone anziane e i bambini possano godere del parco della Magliana sul Tevere, ma allontaneremo da quegli insediamenti abusivi i rom. Queste azioni avverranno simultaneamente perché non possiamo davvero più tollerare abusivismo e disprezzo delle regole”.

 

bufale contro i rom

La bufala della renna rubata e mangiata dai rom

di – 27/12/2013 

Pubblicata dal ‘Corriere del Giornale’

Ci cascano in parecchi

La bufala della renna rubata e mangiata dai rom

Sul web le notizie ‘anti-rom’ riscuotono costantemente un discreto successo in termini di condivisioni e visualizzazioni, al punto da rappresentare occasione ghiotta anche per i creatori di bufale. Lo sanno bene gli autori del sito Giornale del Corriere, un blog noto per la pubblicazione di notizie fasulle che spesso diventano virali sui social network e che ieri ha lanciato in rete lo ‘scoop’ di una renna rubata in un centro commerciale e poi arrostita in un campo nomadi.

 

bufala renna rubata arrostita rom 2

 

LA NOTIZIA FASULLA – In particolare, il furto sarebbe avvenuto in un ipermercato Auchan di Udine nella serata del 24 dicembre, mentre il successivo ritrovamento ad opera dei carabinieri del comando della stazione Udine ovest sarebbe avvenuto poche ore dopo la scomparsa dell’animale in un campo nomadi della periferia del capoluogo. Stando a quanto scritto dal Corriere del Giornale, che a differenza di altri creatori di bufale (come Lercio) non ama utilizzare l’ironia e vuol rendere invece le storie inventate molto credibili e quindi ingannevoli, poco dopo la chiusura del centro commerciale i nomadi avrebbero rubato la renna utilizzata da alcuni ‘Babbo Natale’ per la promozione natalizia e la distribuzione di doni ai bambini per poi trasportarla e arrostirla nel loro accampamento.

IL SUCCESSO SU FACEBOOK – Ovviamente la notizia fasulla ha urtato la sensibilità degli animalisti e di tutti coloro che hanno a cuore uno dei principali simboli della festività natalizia e dell’attaccamento dei bambini al rito dei regali da scambiarsi allo scoccare della mezzanotte. Ma la bufala ha anche fornito un comodo assist a chi ama regolarmente sollevare l’allarme per i reati commessi dagli stranieri nel nostro paese. Il risultato è un rapido rimablzare di bacheca in bacheca che ha generato decine di tweet e migliaia di condivisioni e like su Facebook. Ma non solo.

 

 

I COMMENTI DELLA RETE La notizia è stata ripresa anche da diversi siti, stavolta un po’ ingenui e disattenti. Free Animals riprendendo la storia della renna rubata e arrostita ha scritto che «i Rom credono di potersi permettere tutto». Mentre Majano Gossip ha provato a spiegare che oggi «c’è tanto bisogno di destra». Nel frattempo qualche utente ha aperto una discussione sul caso nel forum di Termometro Politico. Qualche altro su Yahoo! Answers. Quando si dice: il tam tam.

(Fonte immagini: Corrieredelmattino.altervista.org)

brutto essere povero!

romni

nei confronti dei rom la povertà è una colpa, e neanche piccola: merita spesso una punizione proporzionata, anche la sottrazione dei figli

talvolta la storia fiinisce bene, quando per esempio spunta il buon cuore di qualche privato benestante, altrimenti! è questo il caso di un nucleo familiare di sei persone rom fuggite un anno fa dalla Romania documentata dal free lance Marco Reis e raccontata, qui sotto, da Remo Bassini de ‘il Fatto quotidiano’:

Così vivono le bambine rom, senza acqua e luce

di Remo Bassini
in “il Fatto Quotidiano” del 18 dicembre 2013

Tre bimbe rom, di 6, 8, 11 anni. È la sera di venerdì 30. Ed è tutto documentato da un video. Si
vedono i piumini colorati delle bimbe, e i volti dispiaciuti di giornalisti e vigili urbani di Vercelli.
Cercano di rassicurarle. “Questa notte dormirete al caldo, con la mamma. Salite in macchina,
venite, le previsioni dicono che nevicherà”. Non si muovono, loro. Le piccole mani artigliano il
giubbotto del papà, vogliono che resti con loro. Non si può.
Le porta a scuola tutte le mattine, in bicicletta. Lui magari ha le scarpe rotte, ma le bimbe sono
pulite, vestite bene, e hanno sempre un tramezzino, una mela” dicono le mamme e le maestre delle
piccole. È stato un giornalista free lance, Marco Reis, a scoprire che all’interno di un vecchio
casermone cadente, vivono tredici nuclei familiari di cui nulla si sa. O forse si sa, fingendo di non
vedere: in fondo è gente invisibile , quella che sta dentro. Tra questi nuclei c’è una famiglia di sei
persone. Sei rom, fuggiti, un anno fa, dalla Romania. Le tre bimbe, la madre Helena di 28 anni, il
padre Stephan, 32, la nonna della mamma, 72 anni, un bastone e una busta con le medicine per il
cuore sempre dietro. Non hanno trovato né casa né lavoro. Forse in Italia, lo hanno scoperto sulla
loro pelle, si sta come in Romania. Per mangiare o prendono dai cassonetti gli avanzi dei
supermercati, oppure chiedono l’elemosina. Per l’abitazione, trovano il grande casermone in un
rione periferico. Ci sono altri disperati, lì. Il padre, costruisce una baracca. Si sistemano, anche se
mancano acqua e luce, finché non arriva il freddo. Per lavarsi usano dei grandi recipienti. A
settembre provano a mandare le figlie a scuola: vengono accettate. Non potranno mangiare in
mensa con gli altri perché non hanno l’euro a pasto previsto, ma almeno possono imparare
l’italiano, integrarsi. Per illuminare i loro quaderni quando è buio, si usano le candele. Come i
poveri di una volta. Sta di fatto, però, che vivono in un tugurio. Il free lance Marco Reis entra nella
baracca, filma tutto e si stupisce, perché ogni cosa è a suo posto: l’angolo per il cibo, l’angolo della
nonna, quello delle bimbe con un paio di bamboline e delle lattine vuote, di coca, che d’estate
servivano da recipienti per i fiorellini. Ma non c’è il bagno, e per scaldarsi c’è solo una stufa
rudimentale, a legna. E di notte, raccontano le bambine, a volte arrivano i topi. C’è dell’altro però.
Il padre infatti deve sempre vigilare. Qualche vicino ubriaco la sera potrebbe avere intenzioni non
belle. Un anno fa, alcune baracche sono state incendiate, non si sa da chi. Delle bambine non
possono vivere in una situazione così precaria. E così intervengono vigili, assistenti sociali e
giornalisti. E viene trovata una soluzione: tre giorni in una struttura, si chiama Piccola Opera
Charitas, che ospita anziani e donne con problemi. Le tre bimbe non vorrebbero, meglio il gelo e i
topi che staccarsi dal padre. La popolazione si mobilita affinché il nucleo familiare non venga
diviso e così lunedì 2 dicembre viene trovata una seconda soluzione: i Salesiani sono disposti a
ospitare l’intero nucleo familiare. Alle bimbe brillano gli occhi, sono felici. Arriva però la doccia
fredda: non si può. Non si può perché la famiglia risulta in carico ai Servizi sociali del Comune e
quindi non c’è tempo perché la burocrazia, si sa, ha ritmi lenti. Non solo. Il caso è stato segnalato al
Tribunale dei Minori, a Torino. Gli amici italiani e rom della famiglia si preoccupano, temono il
peggio. “Non è che le bimbe verranno tolte a una famiglia colpevole d’essere povera ma che, a
queste bimbe, ha sempre badato nel migliore dei modi?”. “Sarebbe folle, e non può accadere, questa
è gente povera che ci ha insegnato qualcosa” dice il consigliere comunale Mariapia Massa, già
assessore all’assistenza. La voce di una possibile separazione è nata (lunedì e martedì) dal fatto che,
per alcune ore, alla mamma e alle bimbe non sono stati (lentezze burocratiche) restituiti i
documenti. Immediata, l’ipotesi di un comitato a sostegno della famiglia.
NESSUN RIGURGITO razzista, in città, anzi. “Se non si trovano soluzioni, ospito io tutta la
famiglia”, dice un imprenditore. Alla fine i documenti sono tornati nelle mani dei legittimi
proprietari. Che per un mese potranno vivere in tre stanze messe a disposizione dai Salesiani. E poi si vedrà.

“Se ci dividono, ci ammazzano” ha detto la mamma. Sembra una pellerossa, parla poco e
parla male l’italiano. Ma è stata chiara.

il grido di una ragazza rom: “non siamo così”

Sabrina: “Noi rom non siamo come ci dipingono i media”

Sabrina, 23 anni, vive nel "campo rom" di San Nicolò d'Arcidano, in Sardegna

 

Sabrina, 23 anni, vive nel “campo rom” di San Nicolò d’Arcidano, in Sardegna

Sabrina Milanovic ha 23 anni, è italiana e vive in un “campo rom” a San Nicolò d’Arcidano, in provincia di Oristano, in Sardegna. È stanca dei pregiudizi e degli stereotipi negativi diffusi nei confronti della sua comunità e vorrebbe impegnarsi per promuovere e valorizzare i diritti dei rom nella sua cittadina e nel resto d’Italia.

«Noi rom veniamo continuamente discriminati e questo succede non perché la gente sia cattiva o in malafede. Ma semplicemente perché non ci conosce e di noi sa solo le cose brutte che scrivono i giornali. Ma noi non siamo come ci dipingono i media e non è giusto che per colpa di alcuni a subirne le conseguenze debbano essere tutti i rom»

Dallo scorso ottobre Sabrina frequenta il Corso di formazione per attivisti rom e sinti organizzato dall’Associazione 21 luglio e dal Centro Europeo per i Diritti dei Rom (ERRC).

«Io voglio fare qualcosa in prima persona per combattere contro i pregiudizi nei confronti del mio popolo, per affermare i nostri diritti e per promuovere un’immagine differente di noi».

A San Nicolò d’Arcidano, la comunità rom è costituita da circa un centinaio di persone, il 3,5% della popolazione totale, composta da 2.800 abitanti. Dal 2011 i rom vivono in un nuovo “campo” dopo che un incendio aveva distrutto l’insediamento provvisorio in cui viveva la comunità.

Sabrina non vorrebbe vivere in un “campo” ma in una casa come ogni altro cittadino italiano.

«Vivere in un campo vuol dire vivere la vita in maniera amplificata. Le casette sono tutte attaccate e non hai un minimo di privacy».

Nel “campo” di San Nicolò d’Arcidano, “campo” realizzato dal Comune, gli abitanti rom vivono in baracche di40 mq ciascuna all’interno delle quali, in alcuni casi, arrivano a dividere lo spazio anche 11 persone.

Secondo il Comitato per la Prevenzione della Tortura, istituito dal Consiglio d’Europa, lo spazio minimo nelle celle per ogni detenuto dovrebbe essere di 7 mq, cioè il doppio dello spazio a disposizione di alcuni residenti rom nel “campo” in provincia di Oristano.

Per Sabrina la strada per rafforzare i diritti delle comunità rom passa attraverso il lavoro.

«Bisogna che anche i rom abbiano opportunità lavorative. Questo servirà a combattere i pregiudizi, a favorire l’integrazione e il vivere insieme. In questo modo potremo non essere più giudicati per quello che non siamo».

(dal sito di ’21 luglio’)

i pregiudizi dei politici

 la «calata degli zingari»!

 

alcuni ‘nomadi’ fermatisi nei giorni scorsi a Spinetta Marengo (Alessandria) hanno fatto scattare la reazione indignata del dirigente provinciale del pdl di Alessandria Mario Bocchio che si è espresso in modo preoccupato col termine ‘calata’ degli zingari su Alessandria, confondendoli addirittura cogli Unni o i Goti o i Lanzichenecchi …

Il Dirigente provinciale del PdL Mario Bocchio (Alessandria), lo scorso 26 settembre ha espresso il proprio malcontento per la presenza di “nomadi” a Spinetta Marengo, dichiarando: «La “calata” degli zingari su Alessandria? Sembrerebbe proprio di sì […] Non è logico che vengano spesi i soldi delle tasse dei nostri cittadini per rimediare ai danni che causano queste persone. Mi auguro che possa venire individuata una rapida soluzione, che non può che essere lo sgombero immediato e l’adozione di un’apposita ordinanza che vieti la sosta degli zingari sul territorio comunale di Alessandria. Questa città ha già altri problemi alquanto gravi, e non vedo la necessità che ci si interessi anche dei nomadi».

la reazione e la denuncia  dell’Associazione 21 luglio

Le affermazioni del Dirigente provinciale del PdL, per le generalizzazioni effettuate e per i toni adottati, oltre a connotare indistintamente la mera presenza di persone rom come un “problema”, contribuiscono ad alimentare un’atmosfera di ostilità e di allarme sociale infondato. Infine, cavalcando lo stereotipo “rom = zingaro = nomade = problema”, il Dirigente provinciale del PdL di Alessandria delinea la sua proposta di “soluzione”, che per come esposta si connoterebbe comeuna misura dal profilo discriminatorio su base etnica.

Dopo aver valutato l’episodio, l’équipe dell’Osservatorio ha inoltrato una segnalazione agli organi competenti.

FonteTuonoNews

Quando le attiviste sono rom

rom attiviste dei diritti umani

Succede in Romania, in Spagna, in Italia: le donne rom si impegnano nella difesa dei diritti umani. Ma l’opinione pubblica non lo sa. Per ricordarcelo c’è voluto Amnesty.

Il titolo del convegno è esplicito:

Il ruolo delle donne rom nella tutela dei diritti umani e in tempi di crisi economica.

così Stefano Galieni resoconta in Corriere informazioni:

Lo ha organizzato a Roma la sezione italiana di Amnesty International, riunendo quattro donne unite da forti motivazioni, esperienza, capacità comunicative e competenza: Isabela Michalache, attivista per i diritti delle donne in Romania, Beatriz Carrillo, presidente dell’associazione Fakali, per i gitani nella regione spagnola dell’Andalusia, Dijana Pavlovic, dell’associazione Rom e Sinti insieme che opera in Italia, e Dzemila Salkanovic, per l’associazione 21 luglio.

Isabela Michalache, nel denunciare l’aumento delle discriminazioni, le difficoltà nell’accesso al lavoro e ai servizi pubblici (è successo che anche i medici, a volte, abbiano rifiutato le cure), ha toccato anche il delicato tasto delle problematiche interne alle stesse comunità, dai casi di violenza fra le mura domestiche al ripristino di regole ancestrali come quella sulla verginità e ai matrimoni precoci. A causa della crisi, ha spiegato, le donne sono divenute ancora più vulnerabili. In Romania era stato approvato un piano strategico nazionale che prevedeva interventi a lungo termine, soprattutto nel campo della formazione e dell’istruzione, ma non ci sono le risorse per attuarlo. «Bisognerebbe – ha affermato Michalache – operare per rendere le donne più autonome, fornendo libri di testo, sussidi alle famiglie, favorendo la concessione di crediti per chi ad esempio in Moldavia, vuole lavorare la terra, bloccare sfratti e sgomberi che creano emarginazione e disagi, produrre cambiamento anche valorizzando le ong composte da rom. Ci sarebbero mille piccoli interventi alla nostra portata, non solo in Romania, e che produrrebbero cambiamenti importanti e duraturi».

Beatriz Carrillo, con un intervento molto appassionato, ha voluto aprire una riflessione su quella che ha definito “storia muta e invisibile”, anche se è consapevole che la situazione spagnola finora è stata fra le migliori d’Europa. Sarà per una presenza numericamente molto consistente, stabile e nata da tempi lontani e per una programmazione di interventi messi in atto per la salute, il lavoro, l’istruzione, fatto sta che in Spagna sono nate istituzioni partecipate e riconosciute dal governo come il Consiglio statale del popolo rom e l’Istituto di cultura gitana. In Spagna si è tenuto il primo congresso mondiale delle donne gitane senza aver bisogno di intermediari. «La Spagna in questo senso è un modello da seguire – ha dichiarato la relatrice – Ma da noi è stato più facile anche grazie all’alto numero di gitani che esercitano professioni che hanno avuto influenza nella cultura spagnola e che si sono amalgamati con la società». L’immagine che però viene riaffermata anche in Spagna delle popolazioni rom è carica di negatività, tanto che nelle scuole, a detta di Carrillo, spariscono la lingua, le differenze e anche la rivendicazione di identità. «Anche da noi, come nel resto d’Europa, le cose peggiorano. Gruppi estremistici entrano nei governi e nei parlamenti con un messaggio razzista e discriminatorio. Gruppi che vengono condannati a parole ma mai concretamente sanzionati. La situazione è poi precipitata anche da noi con la crisi. Non vogliamo essere un fanalino di coda, ma essere ad armi pari. Non siamo disposte a vedere annientati i nostri valori culturali, vogliamo affrontare anche con gli uomini la società gitana. Fakali è impegnata per l’emancipazione femminile e per far valere i nostri valori di solidarietà e rispetto rifiutando però l’assimilazione». E c’ è stato anche modo e tempo per ricostruire un percorso che attraversa gli anni bui della dittatura franchista e che ha una svolta nel 1978 quando, nel primo governo democratico, trova posto anche un rom che si era distinto per l’impegno in anni scomodi. Le donne rom hanno operato anche insieme alle altre cittadine spagnole, per una legislazione più paritaria, sono entrate nelle università e hanno fatto sentire anche politicamente la propria voce.

Dijana Pavlovic ha stupito e commosso recitando una parte del monologo Vita mia parla, basato sulla vita di Mariella Mehr, scrittrice e poetessa jensh (nome dato ai rom svizzeri), che nel paese elvetico fu vittima del programma di sterilizzazione forzata imposto dagli anni Venti fino al 1974 tramite l’istituzione Pro Joventute. Un testo violento e diretto, in cui si raccontano con crudo realismo le violenze subite e l’odio accumulato, torture che non sembrano possibili e che pure sono state reali in un Europa cieca e pronta a girarsi dall’altra parte. Dzemila Salkanovic, invece, come racconta nella lunga intervista che ci ha rilasciato, ha parlato della vita difficile che nella capitale italiana conducono i rom, tanto divisi e poco capaci ancora di fare fronte comune.

Numerose le domande che hanno trovato puntuale e non scontata risposta. A chi criticava il machismo spesso diffuso nelle comunità rom è stato comunemente risposto come il machismo, la violenza sulle donne, gli elementi di problematicità a volte drammatica, siano caratteristica comune e da combattere in ogni cultura. Non nascondendosi dietro alla presunzione che il problema riguardi solo universi ritenuti inferiori, ma mettendosi, come uomini e come donne, in discussione. Fra i tanti elementi emersi, che meriterebbero ulteriori approfondimenti, il peggioramento delle condizioni nell’Est europeo dopo il crollo del muro e dei regimi. C’era concordia nell’affermare che la privatizzazione di ogni servizio abbia approfondito le disparità, tolto ai rom diritti acquisiti come la casa, la sanità, la scuola e il lavoro. Duro accettare che tali disagi vengano comunemente imputati alla “democrazia”. È comune la richiesta di una moratoria continentale della politica degli sgomberi, capaci solo di produrre disperazione. E a dirlo, a spiegarlo non sono attivisti neutri di associazioni che si occupano dei rom, ma donne rom in carne ed ossa.

Stefano Galieni

stereotipi sui rom

Rapporto “Antiziganismo 2.0″:

stereotipi sui rom alimentati da politici e stampa

COPERTINA-ANTIZIGANISMO

copertina rapporto Antiziganismo

Ogni giorno, in Italia, si registrano 1,43 casi di incitamento all’odio e discriminazione nei confronti di rom e sinti, per lo più attraverso dichiarazioni di esponenti politici diffuse da giornali, siti web e social network. Stereotipi e pregiudizi verso tali comunità, del resto, sono alimentati da una media giornaliera di 1,86 episodi di informazione scorretta ad opera di giornalisti di testate locali e nazionali.

Sono questi i dati che emergono da “Antiziganismo 2.0”, il rapporto dell’Osservatorio nazionale sull’incitamento alla discriminazione e all’odio razziale dell’Associazione 21 luglio, presentato questa mattina a Roma nella sede della Federazione Nazionale della Stampa Italiana.

Dal 1 settembre 2012 al 15 maggio 2013, il monitoraggio dell’Osservatorio 21 luglio, effetuato su circa 140 fonti, ha rilevato 370 casi di incitamento all’odio e discriminazione e 482 casi di informazione scorretta in grado di alimentare il cosiddetto fenomeno dell’antiziganismo, definito dalla Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza come «una forma di razzismo particolarmente persistente, violenta, ricorrente e comune che viene espressa, tra gli altri, attraverso violenza, discorsi d’odio, sfruttamento, stigmatizzazione e attraverso le più evidenti forme di discriminazione».

Dei 370 casi di incitamento all’odio e discriminazione, 281 (il 75% del totale) sono riconducibili ad esponenti politici, 58 a privati cittadini e 20 a giornalisti. I giornali si sono rivelati il principale strumento di diffusione (234 casi), seguiti da siti internet (51),Twitter (23) e Facebook (10).

Dal rapporto emerge che il 59% delle segnalazioni si riferisce ad iscritti ad un partito di destra e di centro destra. In 90 casi, l’autore di una dichiarazione discriminatoria e incitante all’odio è stato un esponente della Lega Nord; seguono il Popolo della Libertà (74), La Destra (30) e Forza Nuova (11). In 9 casi l’autore è stato invece un esponente del Partito Democratico.

Dal punto di vista della collocazione geografica delle segnalazioni, al centro-nord va il primato relativo, con una percentuale del 52% delle segnalazioni, con il 22% nella sola Lombardia, mentre il centro-sud si attesta al 43%. Il dato più significativo appare quello relativo alla città di Roma, che da sola copre il 32% circa delle segnalazioni, praticamente un terzo di tutto il territorio nazionale.

Per quanto riguarda i casi di informazione scorretta, ovvero quelle notizie, diffuse in maniera acritica, atte ad alimentare e rinforzare stereotipi e pregiudizi nei confronti di rom e sinti, tra le testate monitorate il rapporto evidenzia che il Corriere della Sera, nelle sue numerose edizioni locali, oltre a quella nazionale, raggiunge il numero più elevato di segnalazioni (12,9%), mentre il Tirreno si attesta su una percentuale dell’11%.

Seguono Il Messaggero con il 7,5%, il Tempo (6%), La Repubblica, soprattutto nelle edizioni milanesi e romane ((6%) e il Giornale d’Italia (4%). Il territorio lombardo, accumulando le percentuali di Libero, Il Giornale e Il Giorno raggiunge una rappresentatività sul campione di quasi il 20%.

In seguito ai casi descritti, l’area legale dell’Associazione 21 luglio ha intrapreso 135 azioni correttive, tra cui 75 segnalazioni all’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), 29 lettere di diffida, 10 esposti al Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti, 7 segnalazioni all’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori di Polizia di Stato e Carabinieri (OSCAD).

Tra i riscontri positivi ottenuti, la chiusura di due blog che diffondevano contenuti lesivi della dignità delle comunità rom e la rettifica dei contenuti di un paragrafo della guida National Geographic su Roma che criminalizzava indistintamente i rom.

«Il fenomeno dell’antiziganismo assume oggi in Italia dimensioni preoccupanti. Ai rom si associano indistintamente ed automaticamente degrado, incuria, malvivenza, pericolosità sociale, incapacità genitoriale, inadeguatezza sociale, rifiuto consapevole delle regole e una “genetica” attitudine alla delinquenza e alla non-integrazione», afferma l’Associazione 21 luglio.

«È necessario contrastare questi stereotipi e pregiudizi, alimentati da dichiarazioni di esponenti politici che intendono parlare alla pancia del proprio elettorato e da notizie giornalistiche incapaci di approfondimento e di analisi complessa, attraverso tutte le forme possibili, istituzionali e governative, attraverso il diritto e la produzione intellettuale, nella lotta politica e nel lavoro nei territori, nei media, a scuola e in strada. Si potrebbe cominciare dal linguaggio: i termini “nomadi” e “zingari” denotano una connotazione negativa e pertanto non andrebbero più utilizzati, né dai politici né dai giornalisti».

 

gli zingari non rubano i bambini!

La leggenda dei rom che “rubano”  i bambini e la verità dei fatti

Nella storia  italiana mai un caso di rapimento di bambini da parte dei “nomadi”. Una ricerca  rivela dati allarmanti: rispetto a un non rom, un bambino rom ha quasi 40  possibilità in più di essere dichiarato adottabile.

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La leggenda dei rom che

E’ il 10 maggio del 2008.

La 27enne napoletana Flora Martinelli accusa Maria  Dragan, ragazza rom di 16 anni, di essersi introdotta nella  sua abitazione del quartiere Ponticelli e aver tentato di rapire la sua bambina,  di appena sei mesi. La romnì rischia il linciaggio della folla e viene condotta  in una struttura per minori dalla polizia, che la interroga su quanto accaduto.  Maria risponde di essere andata in quella casa per prendere dei vestiti usati  che voleva darle una signora. Fuori, intanto, esplode la rabbia dei cittadini:  un operaio romeno viene aggredito da 20 persone mentre sta tornando a casa, ma  non è che l’inizio. Due giorni dopo si dà il via a una vera e propria  persecuzione: vengono lanciati sassi e bottiglie incendiarie nel campo rom di  Ponticelli, alcune baracche abitate da famiglie con bambini vanno a fuoco, una  struttura occupata da gitani viene data alle fiamme e un’ape car guidata da un  rom ribaltata. Di fatto gli attentati di matrice razzista si susseguono a decine  e costringono 700 rom di Napoli a fuggire. I media descrivono i fatti come una  “sollevazione popolare”, ma si scoprirà successivamente ben altro: su alcuni  terreni occupati dalle baracche avevano messo gli occhi dei clan camorristici.  Lì, infatti, doveva sorgere il Palaponticelli: ciò voleva dire milioni di euro e  appalti. La storia del rapimento non fu che il pretesto per innescare una  rivolta e sgomberare il campo. Non ci fu, infatti, nessun sequestro di minori da  parte della giovane Maria Dragan, che presto venne scagionata di tutte le  accuse. L’italiana Flora Martinelli era invece parente di un boss camorristico  del territorio.

Mai nella storia italiana si è verificato il rapimento di un minore  non rom da parte di una famiglia rom. Eppure il pregiudizio continua ad  essere ben radicato, alimentato nei giorni scorsi dalle notizie provenienti da  Grecia e Irlanda dove, in alcuni insediamenti rom, sono state trovate  delle bambine bionde. Il colore dei capelli è stato sufficiente a rinfocolare la  credenza popolare: “Sono state rapite”, hanno sostenuto i più, prima di scoprire  che una era la figlia albina della famiglia rom e l’altra era figlia di una  donna bulgara, che l’aveva data in “affidamento” a una famiglia rom pochi giorni  dopo la nascita “perché non potevamo darle da mangiare”. Ancora una volta si è  dimostrato come quella dei “bambini rapiti” non sia altro che una leggenda che  non trova nessun sostegno ufficiale. Lo dimostra anche uno studio del 2008  dell’Università di Verona, che ha rivelato come dal 1986 al 2007, in Italia,  nessun caso di presunto “rapimento” di bambini non rom da parte di rom e sinti  si sia concluso con una condanna per sequestro o sottrazione di persona.  Malgrado ciò nei giorni scorsi le forze dell’ordine hanno effettuato controlli  all’interno dei campi di Salone e Castel Romano – a Roma – e chiesto i  certificati di nascita di alcuni bambini.

Nessun bimbo “non rom”, dunque, è stato mai trovato nelle mani delle  comunità rom e sinte. Ma se fosse vero il contrario? Se fossero le  istituzioni a sottrarre i bambini rom alle proprie famiglie affidandoli in  adozione alle famiglie della società maggioritaria? La tesi, presentata a Roma  dall’Associazione 21 Luglio, è spiegata in un  dossier dal titolo “Mia madre era rom” (versione integrale in calce  all’articolo) che analizza in maniera scientifica la situazione dei minori rom,  a Roma e nel Lazio, che oggi non vivono più presso le proprie famiglie. “Dalla  ricerca – spiega l’Associazione 21 Luglio – realizzata in collaborazione con la  Facoltà di Antropologia culturale dell’Università di Verona, emergono dati  allarmanti, che mettono in risalto un flusso sistematico e istituzionalizzato di  minori dalle famiglie rom a quelle non rom in attesa di adozione, “giustificato”  dalle precarie condizioni abitative alle quali le comunità rom e sinte nel Lazio  sono costrette dalle politche locali in atto”. Condizioni abitative, va  sottolineato, che sono state indotte a seguito del Piano Nomadi della Giunta  Alemanno. Gran parte dei campi rom, infatti, sono di proprietà comunale.

Spiegano i ricercatori dell’Università di Verona: “L’indagine  quantitativa ha mostrato come dal 2006 al 2012 sia stato segnalato al  Tribunale Minorile il 6% della popolazione rom minorenne, ovvero 1 minore rom su  17. La percentuale scende drasticamente, allo 0,1%, per quanto riguarda i minori  non rom, nel cui caso è stato dunque oggetto di segnalazione 1 minore su 1000.  Lo studio indica come negli anni menzionati sia stata aperta una procedura di  adottabilità – ovvero ci si è interrogati sull’opportunità o meno dell’adozione  – per 1 minore rom su 20 e per 1 minore non rom su 1000. Le dichiarazioni di  adottabilità – le sentenze che decidono in via definitiva che un minore sia dato  in adozione – riguardano poi 1 minore rom su 33 – ovvero hanno coinvolto il 3,1%  della popolazione minorenne rom laziale – e 1 minore non rom su 1250 – ovvero lo  0,08% della popolazione non rom laziale. La popolazione minorenne rom  costituisce lo 0,35% del totale della popolazione minorenne laziale, per cui,  dal 2006 al 2012, se le proporzioni fossero rispettate, i minori rom dichiarati  adottabili dovrebbero essere solo quattro. Al contrario di quanto si potrebbe  prevedere, le dichiarazioni di adottabilità sono 117, un numero circa 30 volte  maggiore rispetto a quello atteso. In altri termini, rispetto a un minore non  rom, un minore rom ha circa 60 possibilità in più di essere segnalato alla  Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, circa 50  possibilità in più che per lui venga aperta una procedura di adottabilità e  quasi 40 possibilità in più di essere dichiarato effettivamente adottabile”.

Ma ancora, gli studiosi affermano: “Emerge dalla ricerca come esista  una conoscenza estremamente lacunosa e un forte pregiudizio nei  confronti dei rom da parte delle figure professionali protagoniste dell’iter che  porta alle adozioni. (…) Si è riscontrato, sia da parte dei giudici che degli  assistenti sociali, un diffusissimo approccio culturalista alla questione rom:  la cultura rom diventa nelle parole dei giudici, dei PM e degli assistenti  sociali un bacino, uno spazio omogeneo e uniforme, popolato da figure tra  loro identiche e fortemente stereotipate tra cui spicca quella del rom dedito ad  attività criminali, illecite, violente, all’accattonaggio e allo sfruttamento  dei propri figli. Seppur le condizioni materiali e abitative in cui vivono i rom  vengano riconosciute come pregiudizievoli per i minori, tali condizioni vengono  imputate alla cultura rom e alla volontà dei genitori e raramente si riconosce  il ruolo delle politiche sociali sull’indigenza e sul  degrado abitativo in cui vivono molte famiglie rom.  Oggettivamente, le condizioni di molti “campi” sono inadeguate e ledono i  diritti dell’infanzia. Se però tale inadeguatezza è associata alla cultura rom e  non agli effetti delle politiche locali, sistematicamente volte ad accentuare il  disagio socio-economico dei rom, allora lo strumento di intervento diventa  l’allontanamento del minore dalla propria famiglia, culturalmente e  ontologicamente inadatta a tutelare l’infanzia.

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