il rifiuto del rom impoverisce la nostra umanità

Rom

le nevrosi occidentali e il fantasma che iberna la nostra tolleranza

 
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Presidente Associazione 21 luglio

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Molti parlano di “rom”, “zingari”, “nomadi” senza avere mai incrociato lo sguardo di essi o aver scambiato una parola amichevole. Il moto del cervello va per inerzia e luoghi comuni, infarciti di pregiudizi anche assurdi e inverosimili, diventano il riferimento della nostra verità conosciuta. Ma quante sono le menti umane, si chiedeva Primo Levi, capaci di resistere alla penetrazione dei luoghi comuni?

Non sembra essere passata molta acqua sotto i ponti dal 2007, quando furono resi pubblici i risultati di uno studio commissionato dal ministero dell’Interno nel quale emergeva che in Italia l’immagine dei rom e sinti è segnata dalla non conoscenza. Il 56% degli intervistati dichiarava di non avere la minima idea di quanti siano i rom residenti in Italia; l’84% riteneva che questi gruppi siano prevalentemente nomadi; soltanto il 24% del campione manifestava di sapere che circa la metà dei rom è di cittadinanza italiana. Il giudizio, complessivamente negativo, si è cristallizzato sino ad oggi in una certezza: “Sono il popolo meno gradito agli italiani”. Ieri come oggi il quadro sembra sconfortante: un misero 0,1% del campione preso in esame dallo studio del 2007 dimostrava una conoscenza completa di rom e sinti.

Giudichiamo senza conoscere, senza aver fatto alcuna esperienza concreta e diretta preferendo il passaparola e il tam tam ripetuto sui social. In Italia i rom rappresentano solo lo 0,23% della popolazione e sono sparsi sul territorio nazionale in maniera disordinata. Eppure essi occupano un posto preciso nella nostra geografia mentale.

Dietro alla parola rom non c’è un volto umano. C’è piuttosto il ladro, il bugiardo, il truffatore, lo storpio della pre-modernità. C’è il fantasma di una rappresentazione collettiva ferita da ossessioni che spunta fuori all’occorrenza, che ci fa sprofondare nei bassifondi delle storia per poi riemergere con le ataviche paure infantili. La definizione del termine “rom” appare una costruzione artificiale che gerarchizza scale di una umanità inferiore.

I rom, allora, più che una categoria umana rappresentano una categoria mentale, un arcaico fantasma che sopravvive al nostro interno e che iberna la nostra tolleranza. La categoria “rom” sfuma mano a mano che ci si allontana dallo “zingaro brutto, sporco e cattivo” e il “campo nomadi” è il luogo in cui è forgiata in maniera esemplare.

Il mito della “zingara rapitrice dei bambini” è il più antico e consolidato. Ciclicamente riaffiora dal nulla e nel nulla scompare. Nel Medioevo si credeva che gli ebrei rapissero i bambini cristiani per ucciderli e bere il loro sangue. Anche i vagabondi erano visti come i rapitori dei bambini che utilizzavano per la questua. La convinzione che le vite dei nostri figli siano messe a rischio da donne rom di passaggio è invece successiva e permane nel pensiero comune malgrado l’evidenza di studi scientifici smentisca l’accusa. Il più recente lavoro ha per titolo “La zingara rapitrice” e rivela come, malgrado le convinzioni comuni, nel ventennio che inizia nel 1986 e termina nel 2007, nei diversi casi di cronaca analizzati, in nessuno di essi si è verificata in Italia da parte di una donna rom una reale sottrazione di un minore.

C’è allora qualcosa di irrisolto nel nostro inconscio collettivo occidentale che sembra trovare forma in un’umanità nella quale non ci riconosciamo e sulla quale proiettiamo fobie e nevrosi. Abbiamo dunque bisogno della categoria mentale dei “rom” come valvola di sfogo per le frustrazioni che ci attanagliano così come il popolo d’Israele utilizzava il “capro espiatorio” da consegnare alla morte dopo averlo caricato del peccato collettivo.

La parola “rom” è qualcosa che trascende persone in carne e ossa. Essa è vicina a noi, è parte di noi, è dentro di noi. “Rom” vuol dire “uomo” e nel rifiutare questa categoria rigettiamo inconsciamente un frammento dell’umanità che ci appartiene. Finiamo così per ritrovarci come un’umanità “parziale” – avrebbe ripetuto Ernesto Balducci – che va completata e ricomposta con l’umanità delle alterità. La nostra umanità ha un volto policromo e se non ci riconciliamo con noi stessi i fantasmi continueranno ad abitare i nostri incubi. E le nostre nevrosi sopravvivranno a noi stessi rappresentando l’eredità che consegneremo alle generazioni che ci seguiranno.

da 10 a 12 milioni i rom in Europa

quanti sono i Rom in Europa

di Roberta Lunghini

Quanti sono i Rom in Europa

si stima che i Rom che vivono in Europa siano 10-12 milioni

Si tratta di una popolazione giovane: la loro età media è di 25 anni (mentre quella della popolazione UE è di 40 anni) e il 35,7% ha meno di 15 anni (contro una media UE del 15,7%). Alla grande maggioranza degli appartenenti a questa comunità manca l’istruzione necessaria per trovare buoni posti di lavoro. Tuttavia, negli Stati membri dove la loro presenza è più forte, si rilevano già effetti sull’economia: in Bulgaria circa il 23% dei nuovi occupati sono Rom, in Romania circa il 21%. I dati sono contenuti in una Comunicazione della Commissione Europea di qualche anno fa. In attuazione della quale, il Ministero della salute italiano ha predisposto il “Piano d’azione salute per e con le comunità Rom, Sinti e Caminanti”. Le cui tre macroaree di azione sono:
1. Formazione del personale sanitario e non;
2. Conoscenza e accesso ai servizi per RSC (Rom, Sinti e Camminanti);
3. Servizi di prevenzione, diagnosi e cura

‘confino’ fascista per i rom

il confino fascista delle “spie” rom in Sardegna

dall’Istria a Perdas e Lula

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non campi di concentramento, ma un generico confino. Al resto, pensavano le pietre polverose delle campagne sarde, la miseria dei paesi: i più ricchi sull’asino, gli altri a piedi. La Sardegna è stata anche terra di deportazione tra il 1938 e il 1940, una manciata d’anni anni alla fine del Fascismo, in cui l’Isola è diventata la meta – obbligata – dei rom dell’Istria. Il vero inizio di una politica di repressione tutta italiana, rimasta per decenni una pagina fumosa, tutta da studiare. Le storie di Rosa Raidich, dei suoi figli tra cui Graziella (Lalla) nata a Perdasdefogu rientrano nel Porrajmos: termine romanesh che significa “divoramento”, di fatto: sterminio. 

leggi anche: IL MUSEO VIRTUALE. La memoria del Porrajmos in rete: i documenti, le voci e le ricostruzioni

I rom sinti erano infatti considerati “spie” da Mussolini, al pari degli ebrei: e quindi da isolare e neutralizzare, successivamente anche in veri lager nel Sud Italia (Molise e Abbruzzo) e in Emilia Romagna. Fino alla deportazione negli ultimi anni del regime in Germania  e Polonia con l’uccisione di migliaia di uomini, donne, bambini: la stima è di 500mila.

Il lavoro di studio e ricerca di documenti e testimonianze è stato portato avanti dal Centro studi zingari di Roma e da vari giornalisti e storici, tra cui Mirella Karpati. Una rete in parte ricostruita di storie, racconti e vite di passaggio. Dopo il 1945 delle ottanta persone confinate in Sardegna non c’è più traccia: sono tutte tornate nel continente, a caccia dei loro parenti che spesso non troveranno. Anche se è probabile che – in parte – alcuni siano rimasti. Ne è convinto Luca Bravi, dell’Università di Chieti, uno dei ricercatori che si è occupato dei rom in Sardegna. Autore, insieme a Matteo Bassoli, del “Porrajamos in Italia. La persecuzione di rom e sinti durante il fascismo”. Se ne è parlato in uno dei tanti appuntamenti della tre giornate del convegno organizzato dalla Caritas a Cagliari dal titolo “Da Zingaro a cittadino”.

L’ordine al confino, scritto, è stato dato nel 1941: una circolare arrivata dal ministro degli Interni, firmata dal capo della polizia Arturo Bocchini. Si ordinava: «gli zingari di nazionalità italiana certa aut presunta ancora in circolazione vengano rastrellati nel più breve tempo possibile et concentrati sotto rigorosa vigilanza in località meglio adatte a ciascuna provincia». Prima ancora c’era stato un rigido e dettagliato censimento. Poi, l’ordine delle partenze: fino a Civitavecchia, poi la nave. Ottanta persone sparpagliate in paesi minuscoli: nel Nuorese e nel Sassarese. A Lula, Perdasdefogu passaggi certi che si ritrovati anche nei documenti dell’Archivio di Nuoro e di Pasino, in provincia di Pola. Ma i movimenti verso l’Isola erano iniziati già prima, nel 1938: un’altra donna, Angela Levacovich: nessun reato a suo carico, solo l’essere rom. E così è arriva a Lula, poi spostata a Perdas. I cognomi sono soprattutto slavi: Levacovich, Poropat, Raidich, Stepich, Carri. Ma secondo gli studiosi non erano gli unici presenti in Istria in quegli anni. Le altre famiglie in quanto “zingari autoctoni nazionali” non subirono il confino, almeno fino al 1940, quando la persecuzione arrivò anche per i rom italiani.

Sulla nave per la Sardegna salirono anche molti bambini: anche se a conti fatti il viaggio per il confino sarebbe stato più costoso rispetto all’affidamento all’Opera maternità e infanzia.  All’arrivo lo smistamento a chilometri e chilometri di distanza: una o massimo due famiglie per paese, in alcuni casi anche donne sole. Una a Urzulei, una a Bortigali e così via: Ovodda, Talana, Loceri, Nurri, Posada, Padria, Martis, Chiaromonti e Illorai.

Della loro vita di tutti i giorni poche tracce scritte, nei racconti di chi riesce a tornare in Istria soprattutto la fame nera, gli stenti vissuti nella miseria sarda. Condizioni condivise e familiari con gli abitanti: “C’era una fame terribile – racconta Rosa Raidich – Un giorno, non so come, una gallina si è infilata nel campo. Mi sono gettata sopra come una volpe, l’ho ammazzata e mangiata dalla fame che avevo. Mi hanno picchiata e mi sono presa sei mesi di galera per furto”.

Partono tutti di nuovo verso il continente solo dopo il 1945, quando la guerra è di fatto finita e si smantellano pure i lager tedeschi. “Non esistono più testimoni diretti del confino, ma è di fatto un racconto corale e vivo nella tradizione orale delle famiglie rom”, spiega il ricercatore Bravi. I documenti scritti portano anche a una bimba rom, nata proprio a Perdasdefogu: Graziella detta Lalla, figlia di Rosa Raidich. Ed è un’eccezione quasi nazionale, perché di fatto venivano evitate le registrazioni. È la stessa Rosa Raidich a darne testimonianza: “Mia figlia Lalla è nata in Sardegna a Perdasdefogu il 7 gennaio 1943, eravamo lì in un campo di concentramento”. Nessun lager è stato, poi, accertato. Anche se non si esclude – spiega Bravi: “che esistessero zone recintate”, o aree in cui i confinati rom non potessero attraversare sempre “per motivi di sicurezza”.

Eppure Lalla di Perdas ebbe anche una madrina per il battesimo, come racconta Giacomo Mameli, in un articolo sui rom di Foghesu. Tra la miseria di quegli anni e qualche pezzo di pane diviso le donne spiccavano rispetto ai paesani: sapevano anche leggere e scrivere. Come dimostrano i documenti e le stesse lettere inviate dalla Raidich alle autorità: scrittura sghimbescia ma ferma soprattutto nelle intenzioni. Negli anni di confino scrive per reclamare l’indennizzo previsto per gli internati dal regime: “Ma che – spiega Bravi – lo Stato non corrispondeva praticamente a nessuno”. E ancora, ormai dopo molti anni dal ritorno nella penisola chiede i documenti di quella figlia nata a Perdas. E di cui, a dispetto di tutti, è rimasto segno nelle carte, del Comune e pure della parrocchia.

Monia Melis

 

un incontro con la cultura e il popolo rom

da Zingaro a cittadino

tre giorni di studio e dibattiti sui Rom

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tre giorni  a Cagliari per esplorare i percorsi di conoscenza e di inclusione sociale già avviati e gli interventi che ancora possono essere posti in atto

Si terranno a Cagliari dal 3 al 5 dicembre prossimi per iniziativa della Caritas diocesana. Il titolo della tre giorni, “Da Zingaro a cittadino. Percorsi di conoscenza e inclusione sociale”, indica la volontà di sostenere e promuovere iniziative per limitare, sino a rimuoverli, i fattori culturali, strutturali e sociali che concorrono a determinare l’esclusione sociale del popolo Rom. Sarà un seminario articolato in più sessioni di lavoro, ognuna dedicata ad un tema specifico: l’informazione, la pastorale, il ruolo delle amministrazioni locali, i diritti negati, la salute e la storia, con particolare riferimento alla drammatica esperienza delle famiglie Rom, confinate a Perdasdefogu durante il Fascismo.

Si comincia giovedì 3 dicembre alle 9.30 nell’aula magna del Seminario arcivescovile (in via Mons. Cogoni 9, Cagliari) con il tema dell’informazione, fondamentale nella costruzione di immagine e stereotipi fonte di pregiudizi discriminatori.
Ai saluti dell’arcivescovo, mons. Arrigo Miglio, del direttore della Caritas diocesana, don Marco Lai, del sindaco, Massimo Zedda, della Presidenza della Giunta regionale e di Saltana Ahmetovic, membro della Consulta immigrazione del Comune di Cagliari, seguiranno gli interventi di Carlo Stasolla, presidente dell’associazione “21 luglio” di Roma, impegnata nella promozione dei diritti delle comunità rom in Italia e nella lotta contro ogni forma di discriminazione e intolleranza; Giovanni Maria Bellu, giornalista, presidente dell’Associazione “Carta di Roma”, nata per dare attuazione al protocollo deontologico per una informazione corretta sui temi dell’immigrazione, del diritto d’asilo e delle minoranze; Anthony Muroni, direttore dell’Unione Sarda, Bianca Stancanelli, giornalista e scrittrice. Chiuderà i lavori mons. Paolo Lojudice, vescovo ausiliare della Diocesi di Roma, in prima linea nella battaglia contro gli sgomberi indiscriminati dei campi rom che si stanno moltiplicando alla periferia della capitale. Coordina il presidente dell’Ordine dei giornalisti della Sardegna, Francesco Birocchi.

Nel pomeriggio, alle 16.00, sempre nell’aula magna del Seminario arcivescovile di Cagliari, si approfondirà il tema della sollecitudine pastorale della Chiesa di Cagliari per i Rom, nella ricorrenza del cinquantenario della visita di Paolo VI ad un campo di zingari che furono definiti dal Papa: “cuore della Chiesa”.
Con il coordinamento di Padre Stefano Messina (OMI) direttore Migrantes della Diocesi di Cagliari, dopo il saluto dell’arcivescovo mons. Arrigo Miglio, di don Marco Lai, direttore della Caritas diocesana e di Sulejmanovic Rubino, attivista dell’Associazione 21 luglio, Lucia Mallus e Renato Pierpaoli presenteranno il dialogo recitato “Santo e Zingaro; El Pelè, un uomo semplice”. Interverranno quindi il vescovo ausiliare della Diocesi di Roma, mons. Paolo Lojudice, don Francesco Megale, parroco di Arghillà (Reggio Calabria) e Carla Osella presidente nazionale dell’AIZO (Associazione italiana Zingari oggi). Seguirà una tavola rotonda sul tema: “Esperienze con i Rom: percorsi di vita”. Porteranno le loro esperienze Marcello Porceddu, Caritas di Cagliari, suor Maria Claudia Biondi responsabile della Caritas ambrosiana (Milano), sul disagio femminile, Mario Agostino, del gruppo Mosaico che opera nel campo Rom di Sesto Fiorentino e Lucia Mallus, insegnante di scuola media inferiore.
Chiuderà la giornata, alle 21.00 al Cinema Spazio Odissea di viale Trieste 84, la proiezione del film: “Io rom romantica”, di Laura Halilovic.

La seconda giornata di lavori, venerdì 4 dicembre, si aprirà con la sessione dedicata al ruolo delle amministrazioni locali. Alle 9.30 nella Spazio Search, nel sottopiano del Palazzo civico, nel Largo Carlo Felice 2. Dopo l’introduzione di don Marco Lai e i saluti dell’arcivescovo mons. Arrigo Miglio,  Anna Puddu e Jasmina Mahmutcehajic della Caritas di Cagliari coordineranno il confronto con Massimo Zedda, sindaco di Cagliari, Stefano De Lunas, sindaco di Quartu S.E., Carlo Stasolla dell’Associazione 21 luglio, Luigi Minerba, assessore alle politiche sociali del Comune di Cagliari, Marina Del Zompo, assessore alle politiche sociali del Comune di Quartu S.E., Pina Puddu, assessore alle politiche sociali e all’integrazione del Comune di Monserrato, Daniela Sitzia, assessore alle politiche sociali del Comune di Selargius e Barbara Cadeddu, Assessore alla pianificazione strategica e Istituti di partecipazione del Comune di Cagliari.

I lavori proseguiranno nel pomeriggio alle 15.30 presso la Facoltà di scienze economiche, giuridiche e politiche, aula A, in via Sant’Ignazio 76, sul tema “I diritti (negati) della cittadinanza”. Dopo l’introduzione di don Marco Lai, e i saluti dell’arcivescovo mons. Arrigo Miglio, del presidente della facoltà, Stefano Usai, Gianni Loy, presidente della Fondazione Anna Ruggiu onlus, introdurrà e coordinerà il dibattito con  Amela Sulejmanovic, della comunità Rom di Selargius, Giuliana Perrotta, prefetto di Cagliari, Eva Rizzin, cofondatrice di OsservAzione e ricercatrice dell’Università di Mantova, Anna Cao, sostituto procuratore del Tribunale dei minori di Cagliari, Giorgio Altieri, giudice del Tribunale di Cagliari e Rita Dedola, presidente dell’Ordine degli avvocati di Cagliari.
La giornata si concluderà in Piazza San Sepolcro, alle 20, con la degustazione di piatti tipici della tradizione dei Romà Khorakhanè.

Ultima giornata di lavori sabato 5 dicembre. Alle 9.00, nella sala Pippo Orrù dell’Ordine provinciale dei medici e degli odontoiatri di Cagliari, in via Carroz 14, il seminario si svilupperà sul tema: “I Rom e la salute: conoscere per curare”. Dopo l’introduzione di don Marco Lai e i saluti dell’arcivescovo mons. Arrigo Miglio e di Marco Sulejmanovic della comunità rom di Cagliari, interverranno l’assessore all’igiene, sanità e politiche sociali della Regione, Luigi Arru, l’assessore alle politiche sociali del Comune di Cagliari, Luigi Minerba, il presidente della Commissione Sanità del Consiglio regionale, Raimondo Perra, il presidente dell’Ordine provinciale dei medici e odontoiatri di Cagliari, Raimondo Ibba; coordineranno i lavori Anna Cerbo e P. Amalia Menneas della Caritas di Cagliari. Seguiranno le relazioni di quattro medici impegnati a livello nazionale nella tutela della salute dei Rom: Anna Cerbo, responsabile del Progetto salute Rom della Caritas di Cagliari, Fulvia Motta, responsabile dell’area Rom e Sinti della cooperativa Roma solidale promossa dalla Caritas di Roma, Lorella Vassallo, dirigente del Centro salute immigrati e nomadi della Asl di Palermo, e Annunziata La Rocca, del Policlinico universitario di Messina.
Nella stessa giornata, alle 9.30, al Liceo Michelangelo, in via del Donoratico, verrà proiettato il film “Dimmi che destino avrò”, alla presenza del regista Peter Marcias, dell’attrice protagonista Luli Bitri e dello sceneggiatore Gianni Loy.

Nel pomeriggio, alle 15.30, nella sala convegni della Fondazione Banco di Sardegna, in via S.Salvatore da Horta, saranno gli storici ad approfondire il tema “Rom: una storia ancora da ricostruire”. Introdurrà don Marco Lai e, dopo i saluti dell’arcivescovo mons. Arrigo Miglio, lo scrittore Alberto Melis, coordinerà gli interventi di: Vesna Bajramovic, della comunità rom di Monserrato,  Luca Bravi, dell’Università di Firenze, che ha approfondito la triste esperienza dei Rom confinati in Sardegna durante il Fascismo, Massimo Aresu, ricercatore all’Ehess di Parigi e Martina Giuffré, dell’Università di Sassari.

Alle 18, il seminario si concluderà con la consegna delle borse di studio della Fondazione Anna Ruggiu onlus. Coordinerà Gianni Loy, presidente della Fondazione Anna Ruggiu e interverranno i docenti dei giovani rom e delle giovani romnì, vincitori delle borse. Parteciperà l’attrice protagonista del film ‘Dimmi che destino avrò’ Luli Bitri.
La serata si concluderà, alle 20.00 al Teatro Sant’Eulalia, in vico del Collegio 2, “Dialoghi e musiche sulle vie dei Rom, con il presidente del Conservatorio di musica di Cagliari, Gianluca Floris e del violinista Valentin Furtuna.
Il seminario “Da Zingaro a cittadino”, è accreditato dagli ordini professionali dei giornalisti, degli avvocati e dei medici, nelle rispettive sessioni, ai fini della formazione permanente.

la schiavitù subita dai rom

Rom

storia degli ultimi schiavi dell’Europa moderna

Presidente Associazione 21 luglio
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il prossimo 2 dicembre si celebra nel mondo la Giornata Internazionale per l’Abolizione della Schiavitù istituita dall’Assemblea Generale nelle Nazioni Unite.

il dibattito storiografico è spesso orientato dalle “dimenticanze” degli storici e così pochi sanno che l’ultima schiavitù in Europa è quella che vide come vittime le comunità rom presenti in vaste aree dell’attuale Romania. Rileggendo la loro storia scopriamo di poterla sovrapporre senza troppe sfasature a quella della popolazione afro-americana degli Stati Uniti. I rom rumeni sono l’appendice di una storia europea caduta nell’oblio e scandita dalle sofferenze e dai soprusi. La lettura delle loro vicende, durante e dopo la schiavitù avvenuta nel cuore dell’Europa, ci potrebbe facilitare approcci diversi e modalità operative che oggi fatichiamo a promuovere verso chi, discendente degli ultimi schiavi, abita le nostre periferie.

All’inizio del 1800 sul Codice della Valacchia troviamo scritto: “Gli zingari sono nati per essere schiavi, chiunque sia nato da una madre schiava non può essere altro che schiavo”. Nelle terre che oggi chiamiamo Romania, i rom dal 1400 possono essere schiavi di proprietà di privati, dei principi e dei monasteri; sono considerati come merce di scambio, come regali per nozze, come dono fatto ai monasteri. Mai equiparati ad essere umani, sono posti sullo stesso piano di un animale o di un oggetto.

Mentre il 27 aprile 1848 in Francia la Seconda Repubblica abolisce definitivamente la schiavitù nelle colonie, nell’Europa centrale intere comunità rom continuano a vivere nel silenzio generale come schiavi nelle regioni dell’ex Valacchia e della Moldavia. Solo sette anni dopo, nel 1855 con un’iniziativa del principe Grigore Ghica viene sancita l’emancipazione degli ultimi schiavi rom in Moldavia. Il 22 dicembre dello stesso anno viene approvata una legge che regolamenta la fine della schiavitù mentre qualche mese dopo, l’8 febbraio 1856 il principe di Stirbei adotta la “Legge per l’emancipazione di tutti gli zingari nel Principato romeno”. Per ogni schiavo rom contadino viene fissata una ricompensa per il proprietario pari a 10 pezzi d’oro. I rom della ex Moldavia dopo cinque secoli di dura schiavitù vedono la libertà.

Alcune famiglie rom fuggono verso l’Europa centrale e le Americhe. La maggioranza resta nell’attuale Romania, dove la storia passata risulta mantenere un riflesso tra i discendenti. Considerati sempre “diversi”, i rom ora liberi abbandonano i lavori agricoli svolti come schiavi per cercare un riscatto in lavori artigianali. Numerose sono le deportazioni e le persecuzioni vissute all’inizio del Novecento, culminate con i genocidi di massa nel periodo Antonescu. All’assimilazione forzata promossa sotto il regime di Ceausescu corrisponde un miglioramento di vita delle famiglie rom che si mescolano con il resto della popolazione condividendo la vicinanza di casa e il posto nel lavoro in agricoltura.  Nel 1991 la “Legge del Fondo Fondiario” smantella le grandi imprese agricole rumene provocando un’impennata della disoccupazione delle famiglie rom che raggiunge l’80%. Dopo la caduta del regime comunista si assiste ad un’esplosione di violenza razzista che ha come oggetto interi quartieri abitati da rom. In decine di villaggi folle inferocite assaltano e incendiano le case dei rom, distruggono le loro proprietà e li cacciano dai villaggi, impedendo loro di ritornare; durante queste violenze collettive alcuni rom vengono assassinati. Esemplare in questo senso, e ormai tristemente famosa, è la sommossa di Hadareni, avvenuta nel 1993, durante la quale tre rom vengono uccisi, 19 case bruciate e 5 distrutte. Tutto ciò favorisce la fuga incontrollata dei rom rumeni a partire dagli anni Novanta con un picco di arrivi nel nostro Paese tra il 2000 e il 2001 quando l’Italia abolisce l’obbligo di visto per i cittadini rumeni.

Gli ultimi schiavi dell’Europa moderna, hanno visto i loro figli tra le vittime della rabbia popolare post comunista ed i loro nipoti tra i “nomadi” del moderno apartheid italiano, quello che parla il linguaggio degli sgomberi e dell’emarginazione abitativa. Con questa umanità ferita che bivacca nelle nostre periferie siamo giornalmente chiamati a fare i conti, così come con la storia, quella scritta dai vincitori, che dimentica o nega, che assolve o giustifica, che crea muri fisici o mentali. Dobbiamo farlo, per il bene loro e per il bene nostro.

giovani rom immaginano un’Italia migliore

 
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l’Italia immaginata e pensata dai giovani rom e sinti, nel loro manifesto politico

L’IMPEGNO DEI GIOVANI ROM PER IL NOSTRO PAESE

L’Italia di domani pensata, immaginata, raccontata dai giovani. Giovani rom e sinti, ma non solo.
Dal 19 al 21 settembre scorso, ragazze e ragazzi provenienti da differenti parti d’Italia (25 Rom e Sinti, 5 non Rom) si sono ritrovati a Roma per la convention PrimaveraRomanì, una tre giorni di studio e riflessione promossa dall’Associazione 21 luglio nell’intento di incoraggiare la partecipazione attiva delle comunità rom e sinte nel nostro Paese, per far sentire la propria voce contro ogni forma di discriminazione e in favore dei diritti umani

I giovani sono giunti da Roma, Lucca, Torino, Oristano, Vicenza, Cagliari, Mazara del Vallo e Terni. Nel corso della convention, inoltre, i giovani hanno avuto la possibilità di ascoltare le testimonianze dirette di attivisti rom impegnati in altri Paesi europei.
Nei primi due giorni della convention hanno lavorato in gruppi e a seconda delle loro competenze e dei loro ambiti d’interesse hanno partecipato a uno dei quattro tavoli tematici di discussione: casa, giovani, lavoro e scuola. Al termine dei lavori e delle riflessioni, è stato redatto un documento comune, un Manifesto politico, in cui hanno raccontato il Paese che, insieme, vorrebbero contribuire a costruire e che vorrebbe diventare strumento utile per indicare le migliori pratiche necessarie all’inclusione di Rom e Sinti.
Ne abbiamo parlato con Serena Raggi, attivista per l’Associazione 21 luglio e presidente di una piccola associazione che si chiama Famiglia Malaussène.

primaveraCome è andata la convention?
«Sono stati tre giorni di lavoro molto intensi, a cui hanno partecipato rappresentanti delle comunità rom, sinti e anche non rom. Alcuni di origine straniera ed altri italiani. Abbiamo avuto, e ci tendo a sottolinearlo, il sostegno del capo dello Stato, che ci ha mandato una lettera augurandoci di fare un buon lavoro e grazie a questo abbiamo iniziato la convention con uno spirito molto propositivo. Adesso la cosa più difficile è quella di diffondere questo manifesto e far sapere alla gente che abbiamo lavorato per contribuire a combattere tutti quegli stereotipi negativi che circondano l’universo rom. Si sa come vengono trattati questi temi dal mondo dell’informazione: si preferisce insistere sugli aspetti negativi, piuttosto che su quelli in grado di dare un contributo positivo alla società».

Perché avete deciso di realizzare un manifesto politico?
«Abbiamo scelto di realizzare questo manifesto in quanto si tratta di qualcosa di ufficiale, che abbiamo avuto poi la possibilità di portare in una sede istituzionale importantissima quale il Senato. Questa è stata una occasione fondamentale, perché tutte le decisioni importanti vengono prese nell’ambito delle istituzioni, così come quelle che riguardano le comunità rom e sinti».

Di cosa c’è bisogno?
«Ci vogliono dei rappresentati delle comunità rom che partecipino ai tavoli e che siano presenti quando vengono prese delle decisioni che li riguardano direttamente. Il problema fondamentale sta nella conoscenza reciproca e nel fatto che si formulano leggi che si basano più sugli stereotipi che non sulla conoscenza diretta delle persone e delle situazioni. La tristissima vicenda di “Mafia Capitale” è un esempio eclatante. Abbiamo visto quanto si è speculato sul mondo rom. Io mi auguro che al di là di un riscontro politico, che tutti desideriamo profondamente, anche il cittadino comune possa leggere questo documento e venire a sapere che ci sono giovani che vogliono impegnarsi per migliorare questa situazione, perché quello che manca è la conoscenza reciproca. E questo riguarda, ovviamente, anche le comunità rom che, a volte, sono molto sospettose nei confronti della società maggioritaria».

Cosa ti auguri per il futuro?
«Mi auguro che si inizi a parlare dell’universo rom in un modo diverso. Ci sono tanti giovani che lottano per abbattere i molti pregiudizi che circondano le comunità rom Il mondo dell’informazione ha una grossa responsabilità in tal senso. Quando si parla di un italiano che commette un crimine, lo si fa facendo nome e cognome; quando si tratta di un rom, si parla subito dello zingaro. Si arriva in tal modo ad una spersonalizzazione dell’individuo e questo provoca un danno incredibile, al punto che molte persone non vogliono dichiarare di essere rom. Ed è questo il circolo vizioso attraverso il quale si arriva a discreditare tutta una comunità. Nessuno nega che all’interno della comunità rom ci siano tante zone d’ombra; spesso, però, quando si parla dell’universo rom lo si fa basandosi su un immaginario che è ancorato al passato e che non ha più alcun riscontro con l’oggi. Inoltre, nella maggior parte dei casi accade che proprio coloro che parlano male dei rom non hanno mai avuto modo di conoscerne uno. La conoscenza reciproca è fondamentale. Sarebbe importane organizzare tanti eventi al fine di raggiungere una vera condivisione in grado di dare al resto della società una immagine della comunità rom inedita e sconosciuta. A volte basta poco».

l’incontro di papa Francesco col popolo rom: indimenticabile! non senza una sorprendente … delusione!

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tripudio di gioia zingara per papa Francesco in sala Nervipapa7

 

lunedì 26 ottobre alle ore dodici, anzi con più di mezz’ora di anticipo quasi a sottolineare il desiderio di affrettare un significativo incontro al quale si tiene molto, il grande, immenso, affettuosissimo abbraccio di papa Francesco al popolo rom, strepitosamente e contagiosamente ricambiato al grido di “Fran-ce-sco-Fran-ce-sco-Fran-ce-sco!” fino a toccarlo come un talismano, tirarlo per le maniche, divorarlo per la venerazione e la infinita stima: percepiscono, non da ora, che li ama profondamente e glielo hanno voluto dire con tutta la loro forza e sensibilità dilagante, straripante, ‘esagerata’, ‘e-norme’, ‘debordante’!papa6

 

ma, ma, ma …

nel momento migliore qualcosa non ha funzionato, anzi qualcosa sembra pesantemente deludere … !  e non solo quelli di ‘bocca fine’ che centellinano ogni singola parola con eccessi di ‘politicaly conrect style’ ma gli stessi rappresentanti del popolo rom, anzi i rom stessi che pur applaudendo continuamente il papa per diverse belle espressioni del suo discorso, all’improvviso è scoppiato in un … preoccupato silenzio proprio mentre papa Francesco sembrava scandire, davanti al mondo intero, in un elenco non proprio contenutissimo, le pecche del popolo rom, scandite come in una litania da ‘bar sport’ che dava chiaramente l’impressione della ripetizione di una sequela di quelli che sono i più scontati e frequenti pregiudizi che tutti hanno nei confronti dei rom.

 

il papa sembrava proprio non fare eccezione, anzi da quel pulpito diversi lo hanno percepito come addirittura offensivo nei confronti del popolo intero. Ciò che a molti si perdona, sulla sua bocca sembrava micidiale! Forse la maggior parte dei presenti si aspettava dal papa parole diverse, meno ispirate ad un’analisi sociologica della realtà che troppi di loro sono costretti a vivere (la sanno fare meglio altri … ) e non certo un elenco moralistico propalato al mondo intero delle loro pecche (ancorché il tutto esprimendo con grande delicatezza e nessun intento offensivo … ) e più ispirate ad un afflato ‘spirituale’ e ‘teologale’ (che non vuol dire astratto e fuori dalla realtà, tutt’altro: significa avere quello ‘sguardo’ di Dio sulle cose che sa valorizzare il piccolo, il debole, l’insignificante come grande opportunità di liberazione vera per il grande, il potente, il ricco, il prepotente … ) che pure è presente tutte le volte che papa Francesco incontra i poveri che sempre ha conosciuto nelle bidonville e che non esita a definire i privilegiati di Dio e la presenza fisica di Cristo stesso nel nostro mondo, ma che qui è mancato del tutto.

si dirà: “non li conosce direttamente!” E allora perché parla così? “glielo hanno scritto e lui si è limitato a leggere quelle cose … “: appunto: ‘limitato’ … ! sta qui per me il grosso guaio (pur con tutte le scusanti, venendo lui da un anno di intensissima attività culminata proprio negli ultimissimi giorni, anzi il giorno prima; un’attività da togliere il fiato e la tranquillità come è stato il sinodo sulle tematiche familiari con i contorni da Vaticangate messi in atto apposta per mettergli i bastoni tra le ruote … ), nel fidarsi di persone che nulla, ma proprio nulla, sanno di rom non avendoli mai ‘avvicinati’ e conosciuti, o di persone che pur conoscendoli in una certa maniera non li conoscono secondo quella quotidiana familiarità e condivisione di vita che te li fa sentire come parte della tua vita e familiari della tua stessa famiglia e che permette, con l’occhio della fede (non è questo che si attende da un papa? o no!) di coglierli come dono di Dio e sua presenza in mezzo a noi… e questo ‘sguardo nuovo’ è tutt’altro che astrazione misticheggiante, ha la potenzialità rivoluzionaria di ribaltare e capovolgere le relazioni umane basate troppo spesso sul potere e la prepotenza.

Mai limitarsi ad essere, a occhi chiusi, la bocca degli altri! Un papa è quotidianamente ‘costretto’ ad affidarsi a qualcuno! non è questo il problema: si tratta di discernere quali potrebbero essere le persone che meglio potrebbero fare al caso dei rom: esistono non pochi religiosi e religiose ma anche laici che da decenni hanno questa frequenza e condivisione quotidiana ricca di umanità e spiritualità, ma questi non sono stati nemmeno interpellati! da qui nascono in fiaschi! sono sicuro che la prossima volta – se ci sarà – farà decisamente meglio. Se ai rom avesse parlato a braccio, mettendo da parte quella minestra riscaldata che gli hanno preparato, sono sicuro che avrebbe parlato loro più col cuore che con la sociologia e ci sarebbe scappato sicuramente un messaggio più spirituale e ‘teologale’ (ancora: non astrattamente ‘teologico’!), perché dal suo volto si vede – e i rom questo lo hanno visto bene! – che è un uomo che sa cogliere le orme, le tracce, i segni sacramentali della presenza di Cristo e di Dio nel mondo, e sa indicarli ai rom e ai non rom per un percorso diverso di dialogo, incontro, condivisione e arricchimento reciproco (davvero reciproco!, anche se ai più sembra impossibile: ma proprio su questa ‘impossibilità’ un papa deve giocare tutto se stesso e il vigore evangelico del suo magistero nel senso che niente ‘è impossibile a Dio’ e a chi coltiva lo sguardo dei ‘sogni di Dio’

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la ‘via crucis’ del popolo rom al Colosseo (un bel momento preparato molto male dagli organizzatori non rom)

al Colosseo la Via Crucis dei rom e sinti

 in 5000 al Colosseo

cinquant’anni fa, durante il Concilio, Papa Paolo VI decise di incontrare gruppi di gitani raccolti da tutta Europa a Pomezia, alle porte di Roma. A cinquant’anni da quell’evento il Consiglio pontificio per la pastorale dei migranti, in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio, la Diocesi di Roma e la Fondazione Migrantes, ha organizzato un grande pellegrinaggio del «popolo dei gitani» a Roma

 

Migliaia i partecipanti alla processione guidata dal cardinale Vallini. Lunedì 26 ottobre l’incontro con Francesco

«Il vostro, un pellegrinaggio di fede»

Sabato sera, 24 ottobre, il Colosseo si è riempito di canti e preghiere delle popolazioni rom e sinti. Una processione di migliaia di persone che ha celebrato la Via Crucis presieduta dal cardinale Agostino Vallini, alla presenza del vescovo Guerino Di Tora, presidente della commissione per le Migrazioni della Cei e presidente della Fondazione Migrantes, e di monsignor Pierpaolo Felicolo, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale delle migrazioni. “Prega per noi, Notre-Dame de gitan“, canta in francese una donna rom, e ancora “Jesus est la rocher de ma vie” intona spontaneamente un’altra parte della folla battendo le mani. “Voi siete nel cuore della Chiesa” recita il programma della serata, riprendendo le parole dell’incontro di Paolo VI a Pomezia con il mondo dei Caminanti. Parole ripetute sabato, a cinquant’anni di distanza. La croce è stata portata a turno da un rappresentante di una diversa nazionalità: spagnola, portoghese, francese, inglese, americana. Rom e sinti sono arrivati da ogni parte del mondo, in attesa di incontrare oggi, lunedì 26 ottobre, Papa Francesco.

Le preghiere hanno ricordato gli ultimi e i piccoli, i malati e gli immigrati, gli uomini in carcere. «Le preghiere dei sinti sono fatte di parole povere», racconta Davide Gabrieli, un pellegrino proveniente da Bressanone. Le orazioni sono state lette in molte lingue; rom e sinti sono un popolo di viaggiatori, ma legato da un unica cultura: «Abbiamo molte lingue, ma tra di noi parliamo il sinto. Così riusciamo tutti a comunicare», ha raccontato ancora Gabrieli, che ha cantato l’inno dei gitani e oggi canterà per Francesco. Suo padre per primo si esibì per Paolo VI, che gli donò il violino, e la fede, così come la musica, si è tramandata di padre in figlio. La musica per il popolo dei Caminanti è un elemento fondamentale:  domenica 25 ottobre, dopo la Messa al santuario del Divino Amore presieduta dal Cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio per i migranti, si è tenuto un concerto di musica gitana. Nonostante le difficoltà che spesso devono affrontare le popolazioni rom, questa grande riunione è motivo di gioia:«Questo incontro mondiale è molto bello perché ci incontriamo e parliamo tra di noi grazie alla fede nella Chiesa» conclude Gabrieli.

«Gesù conosce e capisce le sofferenze dei gitani» ha detto a tutti i presenti il cardinale  Vallini. «Siamo in un luogo di sangue, di fede, di paradiso – ha dichiarato -: qui migliaia di uomini e di donne, di giovani e di bambini non hanno avuto paura di dare il loro sangue per dire che Gesù è il signore della vita». I gitani, ha continuato Vallini, percorrono la strada del dolore e spesso sono emarginati e disprezzati: «Questo vostro pellegrinaggio e l’incontro con Papa Francesco è un pellegrinaggio di fede che partendo dalla croce di Gesù vuole confermare il nostro essere cristiani». Quindi un messaggio di speranza: «Un mondo diverso è possibile – ha affermato il porporato – ma lo sarà soltanto quando ciascuno di noi farà vincere la risurrezione, e anche noi saremo capaci di portare la nostra croce sapendo che non saremo sconfitti ma la porteremo con amore per la forza della vita nuova, la vita cristiana». Un messaggio che deve arrivare a tutti: «Ditelo ai vostri figli, nei vostri campi, nelle vostre banlieu, dovunque vivete in mezzo alle città degli uomini. Voi siete la Chiesa di Cristo, popolo santo di Dio che semina amore». Il cardinale ha poi concluso invocando la Vergine Maria: «Ci aiuti ogni giorno a vivere con fierezza la gioia di essere figli di Dio e fratelli del mondo intero».

oggi al Parlamento Europeo sugli sgomberi forzati

sgomberi forzati dei rom

sgombero

il 14 ottobre, a Bruxelles, una delegazione dell’Associazione 21 luglio sarà ascoltata in audizione al Parlamento Europeo per fare luce sulla questione degli sgomberi forzati delle comunità rom in Italia e delle violazioni dei diritti umani che tali azioni comportano

L’audizione – ospitata dai parlamentari europei Soraya Post, Péter Niedermüller, Damian Dräghici, Sirpa Pietikäinen, Fredrick Federley, Barbara Spinelli, Terry Reintke, Benedek Jávor e dal direttore dell’Open Society European Policy Institute Neil Campbell – avrà come obiettivo generale quello di affrontare le discriminazioni razziali nei confronti dei rom in Europa con uno specifico focus sul diritto all’alloggio

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Oltre al caso dell’Italia, nel corso dell’audizione sarà esaminata la situazione degli sgomberi forzati in Bulgaria, Francia e Ungheria, grazie all’intervento di organizzazioni internazionali e della società civile che hanno documentato le violazioni dei diritti umani ai danni delle comunità rom coinvolte.

I casi di questi quattro Paesi serviranno a mettere in evidenza il fenomeno degli sgomberi forzati in Europa e a discutere su come utilizzare la Direttiva UE sull’Uguaglianza Razziale, la Raccomandazione del Consiglio d’Europa sulle efficaci misure di inclusione dei rom e sulle Strategie Nazionali di Inclusione dei Rom, così come gli altri standard internazionali sui diritti umani per affrontare la discriminazione dei rom nell’accesso al diritto all’alloggio, in particolare quando questa sfocia nella nella pratica degli sgomberi forzati.

L’audizione di domani – si legge nella nota diffusa dagli organizzatori – rappresenta un’occasione per le organizzazioni della società civile, per gli Stati Membri e per la Commissione Europea per individuare modi per prevenire gli sgomberi forzati attraverso i fondi europei e assicurare il rispetto dei diritti umani.

Se la situazione italiana risulta particolarmente grave soprattutto per la sistematica realizzazione di sgomberi forzati nelle città di Milano, Cosenza e Roma – dove l’Associazione 21 luglio ha documentato un’impennata degli sgomberi forzati con l’annuncio del Giubileo, in seguito alla quale l’Associazione ha lanciato la campagna internazionale #PeccatoCapitale – non appaiono migliori i contesti degli altri Paesi europei sui quali si concentrerà l’audizione.

In Bulgaria, malgrado i richiami della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, del Parlamento Europeo e dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, il governo bulgaro sta continuando a demolire le abitazioni di famiglie rom in diverse cittdine del Paese. Tra maggio e settembre di quest’anno, 124 abitazioni di rom sono state distrutte a Garmen, 14 a Orlandovzi e 46 a Varna, rendendo così senza tetto centinaia di persone, tra cui molti minori e madri sole.

In Francia, nella prima metà del 2015, sono stati quasi 4 mila gli uomini, le donne e i bambini rom vittime di sgomberi forzati. Una situazione che ha provocato la preoccupazione dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani Zeid Ra’ad Al Hussein che ha parlato di «sistematica politica nazionale per sgomberare forzatamente i rom».

In Ungheria, infine, a circa 450 rom residenti nell’area di Miskolc è stato intimato di abbandonare le proprie abitazioni in base all’emendamento a un decreto del governo locale che dava potere al Comune di mettere fino ai contratti di affitto in caso di persone che vivono sotto gli standard previsti per gli alloggi sociali. Queste misure, che obbligavano le persone a lasciare le loro abitazioni in cambio di una compensazione economica, sono state giudicate non a norma di legge dalla Corte Suprema lo scorso luglio.

 
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