rom pestata davanti alla figlia per un tentato furto
La giovane aggredita brutalmente alla presenza della piccola. Il drammatico racconto della giornalista insultata dalla folla per aver cercato di fermare il pestaggio
di GABRIELE ISMAN
Roma sempre più cattiva e sempre più razzista
Capita così che alla fermata San Giovanni della Metro A una giovane rom tenti di rubare il portafoglio a un passeggero. Con lei una bambina di 3-4 anni. Il furto viene sventato: come racconterà su Facebook Giorgia Rombolà, giornalista di Rai News 24,
“ne nasce un parapiglia, la bambina cade a terra, sbatte sul vagone. Ci sono già i vigilantes a immobilizzare la giovane (e non in modo tenero), ma a quest’uomo alto mezzo metro più di lei, robusto (la vittima del tentato furto?) non basta. Vuole punirla. La picchia violentemente, anche in testa. Cerca di strapparla ai vigilantes tirandola per i capelli. Ha la meglio. La strattona fina a sbatterla contro il muro, due, tre, quattro volte. La bimba piange, lui la scaraventa a terra”.
Rombolà interviene prima urlando all’uomo di non picchiare la ragazza, poi cercando di fermarla. I vigilantes poi riescono a portare via la rom, l’uomo robusto se ne va, ma a bordo del treno la giornalista si ritrova circondata.
“Un tizio che mi insulta dandomi anche della puttana dice che l’uomo ha fatto bene, che così quella stronza impara. Due donne (tra cui una straniera) dicono che così bisogna fare, che evidentemente a me non hanno mai rubato nulla. Argomento che c’erano già i vigilantes, che non sono per l’impunità, ma per il rispetto, soprattutto davanti a una bambina. Dicono che chissenefrega della bambina, tanto rubano anche loro, anzi ai piccoli menargli e ai grandi bruciarli”.Ancora Rombolà scrive:
“Un ragazzetto dice se c’ero io quante mazzate. Dicono così. Io litigo, ma sono circondata. Mi urlano anche dai vagoni vicini. E mi chiamano comunista di merda, radical chic, perché non vai a guadagnarti i soldi buonista del cazzo. Intorno a me, nessuno che difenda non dico me, ma i miei argomenti. Mi guardo intorno, alla ricerca di uno sguardo che seppur in silenzio mi mostri vicinanza. Niente. Chi non mi insulta, appare divertito dal fuori programma o ha lo sguardo a terra. Mi hanno lasciato il posto, mi siedo impietrita. C’è un tizio che continua a insultarmi. Dice che è fiero di essere volgare. E dice che forse ci rivedremo, chissà, magari scendiamo alla stessa fermata”.
Il racconto sul social si conclude in modo amarissimo:
“Cammino verso casa, mi accorgo di avere paura, mi guardo le spalle. E scoppio a piangere. Perché finora questa ferocia l’avevo letta, questa Italia l’avevo raccontata. E questo, invece, è successo a me“
Nel primo pomeriggio del 17 luglio 2018 un uomo si è affacciato dalla sua casa al settimo piano di un palazzo di via Palmiro Togliatti, a Roma, e ha sparato con una carabina ad aria compressa colpendo una bambina di 15 mesi, Cirasela, che era in braccio a sua madre sul marciapiede della strada a scorrimento veloce nella periferia orientale della capitale.
Con il marito e i figli la donna stava rientrando nella sua baracca, costruita in un affossamento sotto il ciglio della strada, in un campo nascosto alla vista dei passanti dietro a dei cespugli di erbe infestanti e a una recinzione, in cui vive da qualche anno.
Si è sentito uno sparo, la bimba è scoppiata a piangere e i genitori si sono accorti che perdeva sangue da una spalla: è stata subito chiamata un’ambulanza che ha portato Cirasela all’ospedale dove è stata operata d’urgenza. Dalla schiena della bambina è stato estratto “un corpo metallico molto simile a un piombino di una pistola ad aria compressa”. Dopo qualche giorno di ricovero in terapia intensiva all’ospedale Bambin Gesù di Roma, la bambina è stata trasferita nel reparto in cui è ancora ricoverata. Rischia danni permanenti alla deambulazione a causa di una lesione vertebrale che ha toccato il midollo spinale.
Il clima di ostilità verso i rom in città si nutre della mancanza strutturale di politiche pubbliche di inclusione
Qualche giorno dopo la sparatoria, i carabinieri hanno individuato l’uomo che ha sparato. Si tratta di un pensionato di sessant’anni, ex impiegato del senato, che ha ammesso di aver usato la sua carabina ad aria compressa, ma assicura di aver colpito la bambina per errore.
Il padre di Cirasela, Otet Alinna, non è convinto che si sia trattato di un errore: “Se fosse stato solo uno sbaglio, l’uomo sarebbe venuto in ospedale, ci avrebbe chiesto scusa. Io lo avrei capito”, dice Alinna. Invece i genitori di Cirasela hanno saputo che lo sparo era stato esploso da un appartamento al settimo piano di un palazzo solo qualche giorno dopo l’accaduto, all’inizio avevano pensato a qualcuno che aveva sparato da un’auto in corsa. Ora hanno paura che la salute di Cirasela sia compromessa per sempre.
Anche le altre famiglie rom che abitano nella zona e frequentano un parco alberato a pochi passi dall’accampamento temono che i loro bambini possano essere di nuovo attaccati da qualcuno. L’accusa contro l’uomo che ha sparato è di lesioni aggravate, ma per ora gli inquirenti escludono il movente razzista.
Per le associazioni che si occupano dei rom nella capitale, tuttavia, il clima di ostilità verso i rom in città si nutre della mancanza strutturale di politiche pubbliche di inclusione. A Roma, anzi, ancora resiste il “sistema dei campi” per cui l’Italia è stata richiamata diverse volte dalle autorità europee. L’Italia è uno dei paesi dell’Unione europea dove abitano meno rom (tra le 120mila e le 180mila persone, lo 0,2 per cento della popolazione). Dagli anni ottanta, in alcune città italiane si è deciso di sgomberare gli accampamenti spontanei e di confinare i rom, i sinti e i camminanti all’interno di campi di container gestiti dallo stato, lontano dalle città. Roma è la città con più campi statali e in questi insediamenti vivono circa cinquemila persone. Oltre ai campi riconosciuti ci sono poi molti campi informali.
Da diversi anni una sessantina di persone vive nell’accampamento informale in cui stava Cirasela con i suoi genitori: sono famiglie di rom romeni arrivati in Italia dopo l’entrata della Romania nell’Unione europea nel 2007, lavoratori stagionali arrivati nella capitale con l’idea di rimanere per un breve periodo. Vivono in campi informali senza servizi, sempre a rischio di essere sgomberati, in particolare nel quadrante orientale della città in cui c’è una presenza storica della comunità rom.
i sette campi rom a Roma
Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, racconta come già lo scorso anno proprio in quell’insediamento fosse scoppiata una forte tensione tra gli abitanti del quartiere e le famiglie rom. Nel luglio del 2017 il campo era stato distrutto da un incendio partito da un centro sportivo nelle vicinanze. Le fiamme avevano costretto le famiglie a trasferirsi temporaneamente nel parco vicino e poi in altre piazzole lungo via Palmiro Togliatti. Quando poi è rinata l’erba nello spazio in cui sorgeva il primo accampamento, le famiglie sono tornate a viverci.
Tuttavia, nel corso dell’estate la permanenza delle famiglie nel parco giochi aveva infastidito gli abitanti dei palazzi limitrofi che avevano protestato con le autorità cittadine. Ma invece di trovare una soluzione per le famiglie rom in emergenza abitativa, le autorità avevano deciso di chiudere la fontanella di acqua potabile nel parco giochi in modo da rendere ancora più inospitale lo spazio. “Con le temperature estive molto alte e la situazione difficile delle famiglie la chiusura della fontanella è stato un accanimento, senza che fosse risolta la tensione che si era creata con gli abitanti dei palazzi”, dice Stasolla.
Per il presidente della 21 luglio ci sono “responsabilità dell’amministrazione” perché l’insediamento di Palmiro Togliatti esiste da circa otto anni, è poverissimo e viene ciclicamente sgomberato, senza che sia trovata una soluzione definitiva per le persone che ci abitano, che finiscono per spostarsi di pochi metri lungo via della Serenissima per poi tornare dopo poco tempo nel vecchio insediamento.
Il presidente dell’Associazione 21 luglio conferma che sono circa 1.800 i rom che nella capitale vivono in campi informali in una situazione di emergenza abitativa, ma accusa anche l’amministrazione capitolina di non avere nessun piano per il superamento di questa situazione. Anzi negli ultimi mesi gli sgomberi sono aumentati e i rom che vivono in emergenza abitativa sono tornati a essere strumentalizzati in “una vera e propria operazione di propaganda” dell’amministrazione capitolina che ha l’appoggio del governo nazionale, accusa Stasolla.
Lo sgombero del Camping river
Esemplificativo di questa strategia è lo sgombero del Camping River, un campo rom a Prima Porta, nella zona settentrionale della città, avvenuto il 26 luglio, nonostante la Corte europea dei diritti umani ne avesse chiesto la sospensione. Circa duecento famiglie sono finite per strada, cacciate dall’unico campo rom della città in cui le condizioni di vita erano accettabili e dove c’era un alto tasso di scolarizzazione tra i bambini.
Il campo era da tempo sotto minaccia di sgombero, ma negli ultimi mesi la situazione aveva subìto un’accelerazione fino a quando la mattina del 26 luglio è andata in scena l’evacuazione e la demolizione del campo da parte delle forze dell’ordine, dopo un incontro tra il ministro dell’interno Matteo Salvini e la sindaca di Roma Virginia Raggi in cui il ministro ha garantito il suo sostegno politico all’operazione. Per motivare lo sgombero, l’amministrazione capitolina ha portato ragioni igienico-sanitarie. Mentre l’operazione era in corso il ministro Salvini ha twittato: “Finalmente si sgombera il Camping River”.
Ma il Camping River non era un campo spontaneo, era stato allestito dall’amministrazione comunale. Era un’ex rimessa di camper in cui nel 2005 la giunta di Walter Veltroni aveva allestito dei container per dare alloggio a duecento persone che erano state sgomberate da un insediamento informale nella zona dell’ex Snia, nel quartiere Prenestino. Nel campo erano in seguito state trasferite famiglie rom romene e dell’ex Jugoslavia. Nel 2010 al gruppo iniziale di famiglie si era aggiunto un altro gruppo di sessanta persone di origine kosovara appena sgomberate dal campo Casilino 900, nella periferia est della città.
Il campo sorgeva su un’area privata e il comune aveva sottoscritto una convenzione con il proprietario del Camping River Massimo Fagiolari che veniva pagato per i servizi che offriva tra cui la guardiania. “Dopo l’esplosione dell’inchiesta Mafia capitale nel 2014 (anche se il Camping River non è stato direttamente coinvolto), c’è stata una maggiore attenzione dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) perché nel caso del River c’era stata un’assegnazione diretta”, spiega Carlo Stasolla. Per questo, prima il commissario Francesco Paolo Tronca e poi la sindaca Virginia Raggi hanno indetto un bando per l’assegnazione della convenzione.
“Il bando sembrava fatto ad hoc per il Camping River, infatti l’organizzazione che lo gestiva fu l’unica a partecipare”, racconta Stasolla. Nella primavera del 2017 il bando fu però dichiarato inidoneo e poche settimane più tardi, il 31 maggio 2017, la sindaca Raggi presentò il piano rom, nel quale qualche giorno dopo incluse con una delibera specifica anche il Camping River. Nel progetto si annunciava che entro il 2020 sarebbero stati chiusi tre campi, quello della Barbuta, quello di Monachina e il Camping River, usando 3,8 milioni di euro stanziati dall’Unione europea.
Dal 1 luglio al 30 settembre 2017 è partita la prima sperimentazione e si è cominciato proprio con il Camping River. L’ufficio rom, sinti e caminanti del comune di Roma aveva mandato una lettera a tutti gli abitanti del campo – che all’epoca erano più di quattrocento – fissando al 30 settembre la chiusura del campo e in contemporanea aveva cominciato le indagini patrimoniali sulle famiglie per capire chi avesse diritto a entrare nel piano rom. Era emerso che la maggioranza (370 persone) degli abitanti del campo aveva un reddito e un patrimonio inferiore ai diecimila euro all’anno e perciò aveva diritto a entrare nel piano che prevedeva alcune misure di sostegno come un buono affitto fino a ottocento euro al mese per due anni.
Dopo le elezioni si è capito che in breve tempo si sarebbe arrivati a uno sgombero anche in assenza di sistemazioni alternative
Quando sono cominciati i colloqui con le famiglie si è compreso subito che in così poco tempo non era possibile trovare delle case in affitto, così la chiusura era stata spostata al 31 dicembre 2017. “Molte famiglie durante i colloqui chiedevano come potevano trovare un affitto dato che nessuno avrebbe mai affittato una casa a una famiglia rom senza reddito”, racconta Stasolla. E infatti nel corso dei mesi solo pochissime persone sono riuscite a firmare un contratto di affitto e a beneficiare del piano.
Tuttavia, dopo le elezioni di marzo 2018 la situazione è precipitata e si è capito che in breve tempo si sarebbe arrivati a uno sgombero anche in assenza di sistemazioni alternative per gli abitanti del campo. “Il 26 aprile è cominciato il presidio permanente dei vigili al campo e quello di solito è il segnale che lo sgombero è imminente”, racconta Stasolla.
Il 13 luglio la sindaca Raggi ha firmato un’ordinanza in cui chiedeva alle famiglie del River di lasciare il campo entro 48 ore dalla notifica del provvedimento. Lo sgombero è arrivato la mattina del 26 luglio, le persone sono state fatte uscire dal campo, 38 di loro hanno accettato i posti in accoglienza messi a disposizione dalla Sala operativa sociale. Una soluzione che è temporanea (dura al massimo per due mesi) ed è destinata solo alle persone più vulnerabili come le donne con i bambini.
Le donne hanno dovuto però accettare di essere separate dai mariti e di entrare nei centri solo con i loro figli minorenni. Diciannove persone hanno accettato di partecipare ai programmi di rimpatrio volontario in Romania, ma la maggior parte degli sgomberati del Camping River ha dovuto trovare un’altra sistemazione temporanea a casa di amici oppure è rimasto a dormire per strada.
Per prendere le distanze da Salvini, Raggi ha spesso parlato di “terza via” per risolvere la situazione dei rom a Roma: né campi né sgomberi sembrava essere la posizione della sindaca. Ma di fatto nel progetto pilota del Camping River è avvenuto uno sgombero forzato senza che nessuna terza via fosse di fatto sperimentata.
“Se volessimo tirare le fila di tredici mesi di lavoro dell’amministrazione capitolina per superare il Camping River secondo la strategia d’inclusione rom restano, al di là delle violazioni dei diritti umani, i numeri: delle 359 persone ammesse alle azioni del piano rom, alla fine solo il 9 per cento è rientrato nei programmi di rimpatrio assistito o sostegno all’affitto”, sottolinea Carlo Stasolla.
“Il 52 per cento delle famiglie non ha trovato alcuna soluzione e ora è in strada, mentre al 30 luglio 2018 risultano 123 le persone collocate in strutture di emergenza, dove, come da accordi verbali, resteranno solo fino al 30 settembre 2018. Per questa accoglienza il comune di Roma dovrà spendere una cifra stimata di circa 400mila euro”, continua.
“Quello che più ci allarma sono le falsità raccontate ai cittadini durante lo sgombero, una serie di affermazioni che ci fanno pensare alla propaganda e dobbiamo sempre ricordare che di solito le politiche che sono sperimentate sui rom poi vengono applicate anche ad altri settori della società, a partire da quelli più marginali. Ora vedremo che succederà nei grandi campi di Monachina e Barbuta”, conclude Stasolla.
Raggi a caccia di voti butta giù l’unico campo nomadi funzionante a Roma
Il Camping River era considerato un modello europeo: bambini scolarizzati, pulizia, integrazione. Per adeguarsi a Salvini, la sindaca distrugge i container comprati dal Comune: ognuno costa 20mila euro
Era uno dei pochi campi nomadi a funzionare, tra i migliori d’Europa. E si trova a Roma. Ma siccome Salvini ordina, i 5 Stelle per stare al passo (arraffare consensi) si adeguano. Così la sindaca Virginia Raggi sta smantellando, pezzo dopo pezzo, il Camping River una struttura dove non dilagava il degrado, i bambini andavano a scuola, e convivevano più etnie pacificamente. Se non bastasse c’è il costo del luddismo forsennato dei pentastellati in Campidoglio: ogni modulo abitativo distrutto costa la bellezza di 20mila euro. Sono 50 container tutti pagati dal Comune, un autogol nei conti in rosso della Capitale. Complimenti. Neppure l’idea di inviarli nelle zone terremotate. Ma no. Qui nell’Urbe devastata da scandali, dove nulla funziona, si distrugge tutto a colpi di ruspa mentre le famiglie rom urlano e piangono. Oggi i vigili urbani sono tornati anche oggi nel campo ed hanno “liberato” altri 8 moduli abitativi. L’attività è partita nelle scorse settimane e, secondo quanto si è appreso, sono oltre 30 i moduli sgomberati finora dalla polizia locale.
Le proteste di Sant’Egidio
Le operazioni di sgombero stanno sollevando polemiche e preoccupazioni nel mondo delle associazioni. La Comunità di Sant’Egidio ha lanciato nei giorni scorsi un appello alla sindaca per fermare lo sgombero del Camping River che, a suo giudizio, mette anche a rischio la scolarizzazione dei bambini che aveva funzionato tutto l’anno. E sulla vicenda proprio ieri è intervenuto anche il direttore della Caritas di Roma, monsignor Enrico Feroci, che ha definito lo sgombero “disumano”. “Non so le motivazioni che hanno spinto all’intervento – ha affermato Feroci – ma quello che mi ha inorridito è la modalità con cui sta facendo questo sgomberi: è disumano e non conforme al principio del rispetto delle persone. I bambini guardavano le loro case distrutte e se non fossero stati rom avrebbero già attivato gli psicologici ed i medici”
La foto realizzata da Stefano Costa prima dell’intervento delle ruspe
Il racconto di Stefano, volontario
Scrive su Facebook Stefano Costa, uno dei volontari che ha lavorato nel Camping River. “Oggi la nostra Sindaca ha compiuto l’ultima azione nefanda. A Roma c’era un solo campo rom che funzionava, che non era un lager come gli altri, dove tutto era gestito bene, casette pulite con tendine e gerani, nemmeno una carta per terra, servizio d’ordine all’ingresso gestito dagli stessi rom, più etnie che convivevano pacificamente e tutti i bambini andavano ogni giorno a scuola e si erano perfettamente integrati, a conferma che se si dà loro l’occasione per emanciparsi, loro la colgono. Beh, di tutti i campi che la Raggi in campagna elettorale aveva detto che avrebbe chiuso, stessa demagogia di Salvini, perché il Rom va bene per ogni stagione, orbene, ha fatto smantellare proprio questo campo, ritenuto il migliore in Europa. E senza offrire loro nessuna, dico NESSUNA alternativa abitativa. Avrebbe dato loro una sovvenzione se si fossero trovati una casa in affitto. Potete immaginate quanto questo possa essere semplice. Loro ci hanno anche provato, con l’inevitabile e prevedibile risultato. Conosco bene la situazione perché l’ho seguita da vicino, in particolare una donna di 37 anni che ha 10 figli di cui uno di un mese. Ora sono per strada, tutto distrutto, anni di lavoro, di riscatto, di integrazione buttati via così. Questo era il campo, ora non c’è più niente e centinaia di persone tra cui donne, anziani e tantissimi bambini buttati in strada”.
l’orribile morte di Francesca, Angelica ed Elisabeth Halinovich apre a interrogativi inquietanti sul ruolo della propaganda razzista nel discorso pubblico
Francesca, Angelica ed Elisabeth Halinovich. Due bambine piccole e una ragazza bruciate vive dentro una roulotte parcheggiata sul piazzale del supermercato Primavera, quartiere Centocelle, Roma. Le videocamere mostrano l’immagine di un uomo, forse a volto scoperto, che lancia una molotov e poi scappa. La polizia al termine di una giornata confusa smentisce la possibilità di una pista xenofoba, intuendone i disastrosi risvolti: più probabile, dicono, una faida tra rom. I fatti nudi e crudi sono questi, ma intorno ai fatti c’è molto di più. Ci sono, ad esempio, migliaia di commenti in rete – sui siti del Giornale e di Libero i più violenti – che apologizzano il rogo al grido di “tre di meno”. C’è uno stupefacente sfogo di odio collettivo. C’è la consapevolezza che, stavolta, questa roba non sia attribuibile al web: chi scrive (firmando con nome e cognome) «Io mi auguro ke tutti i rom facciano la stessa fine» non fa che echeggiare la violenza verbale con cui la politica e la tv si esprimono da anni sulla questione nomadi, sicurezza, microcriminalità.
Questo irresponsabile, martellante tam tam, negli ultimi due mesi ha subito un ulteriore salto di qualità, approdando dalle ruspe, dai lanciafiamme, dalle bombe da sganciare sui barconi con tutte le analoghe evocazioni di misure di forza estreme ma pur sempre “di Stato”, alla categoria del “facciamo da soli”. Il dibattito sulla legittima difesa, l’elogio dell’armarsi, dello sparare, del risolvere da se’ quel che le istituzioni non risolvono, del diritto a tutelare con le armi in pugno se stessi, la propria famiglia e per esteso la propria comunità, ha portato un elemento aggiuntivo al degrado di un dibattito già irresponsabile, caotico, evocatore di rancori oscuri e incontrollati. E non stupisce che gli inquirenti abbiano così velocemente escluso il raid xenofobo e annunciato la prevalenza di una “pista interna”: sono probabilmente consapevoli del carattere esplosivo della situazione, e della necessità di tamponarla in qualche modo prima che deflagri in mano alle autorità cittadine e alla politica tutta.
Il Far West che ogni giorno viene evocato da una parte della politica e della comunicazione, è lì, dietro l’angolo. Potrebbe succedere, non è impensabile che succeda. Le frasi d’odio con cui ci martellano certe trasmissioni radiofoniche o televisive, la caccia ai voti e agli ascolti fatta rimescolando i rancori
E però, davanti alla consapevolezza che per dodici ore, nella tollerante e disincantata città di Roma, tutti noi abbiamo ritenuto possibile l’ipotesi di una strage dettata da odio razziale, una riflessione collettiva andrebbe fatta. Il Far West che ogni giorno viene evocato da una parte della politica e della comunicazione, è lì, dietro l’angolo. Potrebbe succedere, non è impensabile che succeda. Le frasi d’odio con cui ci martellano certe trasmissioni radiofoniche o televisive, la caccia ai voti e agli ascolti fatta rimescolando i rancori, propagandando il diritto/dovere alla violenza difensiva, screditando il ricorso allo Stato – “Tanto non serve a niente” – e catalogando come “buonismo” ogni appello ai principi di umanità e ogni riferimento al diritto, sono gocce che scavano la pietra. Persino la pietra millenaria della Capitale, dove i sentimenti xenofobi sono rimasti sconosciuti per millenni.
Deve essersene accorta anche Giorgia Meloni, che ieri è stata la prima – quando ancora sembrava prevalente la tesi di un raid punitivo – a tagliar netto con ogni distinguo: «Orrore e profondo dolore – ha scritto – Mi auguro che i responsabili siano presto arrestati e che marciscano in galera per sempre». Chissà se aveva presenti altre stagioni di irresponsabile odio alimentate dalla politica “ufficiale”, per altri motivi, sotto il manto di giustificazioni ideologiche apparentemente più nobili e alte. Un altro rogo di un ragazzo e di un bambino, che chiunque provenga da destra non può dimenticare, e altre parole di disprezzo “razziale” pronunciate contro le vittime prima e dopo i fatti. Non sul web, che non esisteva, ma sui muri cittadini. La parola “Primavalle” è dura da pronunciare in questo contesto, e probabilmente fuori luogo: ma in questa città il solo precedente che viene alla memoria è quello, un’orribile e indimenticabile ferita.
La speranza è che la consapevolezza si allarghi, che si comincino a giudicare impronunciabili e impresentabili certe espressioni, non della Rete – che è solo una risonanza sguaiata di messaggi nati altrove – ma del discorso pubblico. A isolare chi le pronuncia. A demolire l’idea balzana che lo Stato sia impotente davanti al crimine e al degrado. Lo Stato ha poteri colossali, e se li non li utilizza bisogna contestare chi lo gestisce, incalzare i ministri incapaci, i sindaci imbelli, i capi della polizia inefficienti, smettere di votare chi li esprime e li nomina, usare le armi della democrazia e abbandonare l’idea che il fai-da-te ci renda più sicuri, più liberi, perchè è vero il contrario: nel Far West, di solito, sono i miti a soccombere, gli innocenti a morire.
«Gentile sindaca, come presidente di un’organizzazione che si occupa della tutela e della promozione dei diritti delle comunità rom e sinti in Italia le formulo i migliori auguri di buon lavoro. Un lavoro che non sarà facile, ma sicuramente affascinante per le sfide che lei sarà chiamata ad affrontare e per le tante domande che oggi, nella città di Roma, attendono risposte.
Era il maggio 2014 quando, presso la Sala del Campidoglio, fotografammo, con il rapporto ‘Campi Nomadi Spa’, quel «sistema campi» che nella città di Roma, da almeno due decenni, da una parte condanna le comunità rom in emergenza abitativa a vivere concentrate in ghetti etnici dove i diritti sono violati, dall’altra prevede l’erogazione di un flusso incontrollato di denaro pubblico che non raggiunge alcun risultato in termini di inclusione sociale. Fummo i primi a denunciare, nel solo 2013, la spesa di 22 milioni e mezzo di euro per mantenere il «sistema campi» attraverso affidamenti diretti a beneficio di vari enti, organizzazioni o uffici dipartimentali.
Oggi, a distanza di due anni, lo scenario è totalmente cambiato, in seguito al terremoto giudiziario che sta travolgendo più di cinquanta tra dirigenti e funzionari pubblici, cooperative e associazioni, sedicenti ‘rappresentanti rom’ e vigili urbani. Dalle inchieste degli inquirenti il quadro che attualmente emerge è desolante: i rappresentanti di 16 dei 31 enti che nel 2013 ruotavano attorno al «sistema campi» oggi sono agli arresti o sotto indagine e il 70% delle risorse destinate agli insediamenti per soli rom è stato per anni gestito da loro. La verità di Buzzi: «Gli zingari rendono più della droga!» sembrerebbe la stessa delle decine di persone che, utilizzando denaro pubblico hanno sino a oggi lucrato sulla pelle dei più deboli permettendo che migliaia di persone continuassero a vivere nel degrado, nella povertà, nell’emarginazione, indistintamente additati come asociali o criminali.
L’inganno è stato svelato e ora che è stata fatta tabula rasa è il momento propizio per iniziare un nuovo corso che ci auguriamo lei sappia incoraggiare, sostenere, portare a compimento. Una strada verso il superamento delle baraccopoli romane attraverso processi inclusivi, così come indicato dalle linee guida contenute nell’agenda ‘Oltre le baraccopoli’ che Le abbiamo presentato nel corso della campagna elettorale. Ma ancor prima di avviare un intervento in tal senso, riteniamo sia di fondamentale importanza da parte sua pronunciare una parola che aiuterebbe veramente a voltare pagina, una parola che sinora nessun amministratore ha avuto il coraggio di dichiarare pubblicamente: la parola ‘scusa’.
È fondamentale che la nuova Amministrazione da lei presieduta, possa e sappia riaprire il nuovo corso iniziando a chiedere ‘scusa’ per quanto compiuto dagli amministratori che l’hanno preceduta e per il «sistema campi» che con le loro scelte hanno fatto nascere e consolidato: scusarsi con quelle famiglie rom, discriminate e indigenti, che per anni sono state le ‘galline dalle uova d’oro’ utili per generare profitti illeciti; con quei cittadini e i Comitati di quartiere che hanno subìto la presenza di insediamenti abbandonati a se stessi, ormai vere e proprie baraccopoli; con quei dipendenti del Comune di Roma e quei lavoratori del sociale che hanno sempre operato onestamente, con passione e professionalità sulla ‘questione rom’ e che rischiano di vedere il loro lavoro gravemente compromesso dall’attività di colleghi senza scrupoli.
Chiedere ‘Scusa’ significa per un amministratore esprimere con fermezza la volontà che gli errori commessi nel passato non si ripetano, attraverso un nuovo rapporto di fiducia, fondato sull’onestà, la trasparenza e il rispetto dei diritti di tutti, che si potrà creare tra abitanti delle baraccopoli, cittadini delle periferie e istituzioni. Scusarsi è l’atteggiamento proprio degli umili e dei forti. E noi riteniamo che solo chi saprà essere umile e forte nell’amministrare questa bellissima città, potrà dare una risposta soddisfacente anche alle baraccopoli presenti nella città di Roma e a quanti le abitano, che potranno forse tornare a sognare in una città che li tratti diversamente, senza discriminazione. Auguri di buon lavoro».
il nuovo sindaco di Roma Virginia Raggi, del Movimento 5 Stelle, è stata ricevuta questa mattina da papa Francesco per circa mezz’ora
«La Chiesa ha sicuramente un ruolo importantissimo in tutta Italia, ma a Roma in particolare, anche perché è “di casa”», ha detto la prima cittadina della capitale alla Radio vaticana.
Dopo l’udienza, iniziata alle 10,30, Raggi ha postato una foto del suo incontro con Francesco sul suo account Twitter, commentando: «Una grande emozione. Colpita dalla sua profonda umanità. Grazie». Con la Prima cittadina di Roma erano presenti anche i genitori, il figlio e alcuni stretti collaboratori.
La Sindaco grillina di Roma ha portato al Papa una video-raccolta di messaggi, appelli, inviti e testimonianze delle periferie più in difficoltà della capitale intitolato «La voce della Roma dimenticata». Da Ostia a Corviale, passando per San Basilio e Tor Bella Monaca, decine di romani, a quanto si apprende dall’entourage della stessa Raggi, hanno rivolto un proprio pensiero al Santo Padre augurandogli di «andare avanti con quanto sta facendo». Il Sindaco ha mostrato il video al Pontefice dal suo tablet. Tra le richieste, anche quella di un giovane 30enne che a Papa Bergoglio ha chiesto di «concretizzare gli auspici espressi circa il pagamento dell’Imu per gli esercizi della Chiesa che svolgono attività commerciale». Il Sindaco, spiegano ancora dal suo entourage, «in sintonia con le parole e il lavoro portato avanti dal Pontefice in questi anni, ha voluto rendergli in dono la voce degli ultimi, di coloro che per tanto, troppo tempo, sono stati dimenticati dalle istituzioni politiche».
L’incontro «è andato molto bene, è stato molto emozionante», ha dichiarato Virginia Raggi intervistata da Luca Collodi ai microfoni della Radio Vaticana. «Era chiaramente la prima volta che incontravo il Santo Padre. Ho scoperto una persona molto umana, veramente molto umana, sono rimasta profondamente colpita». La Chiesa, ha detto l’esponente pentastellata, «ha sicuramente un ruolo importantissimo in tutta Italia, ma a Roma in particolare, anche perché è “di casa”; siamo vicini, ci guardiamo da un lato all’altro del Tevere! Devo dire che ho apprezzato molto le parole dell’enciclica Laudato si’, mi sembrano estremamente attuali e moderne; parlano di cambiamenti climatici, di urbanistica come, talvolta, di uno scempio al paesaggio quando viene fatta senza rispettare le regole, dello spirito di comunità, delle persone più fragili. Devo dire che in quell’Enciclica c’è molto della società romana di oggi». Per il Neosindaco di Roma, «purtroppo c’è una Roma dimenticata, le persone più fragili hanno bisogno di maggiori attenzioni e per le istituzioni significa anche una maggiore attenzione anche da un punto di vista economico».
È importante, afferma ancora Raggi, il riscatto morale e spirituale di Roma, «ancora di più dopo tutti i tragici e spregevoli eventi che vanno sotto il nome di “Mafia Capitale” ma che in realtà poi coinvolgono tanti anni di cattiva politica». Svariati gli argomenti affrontati da Raggi nel corso dell’intervista in merito all’amministrazione della capitale. Dall’accoglienza degli immigrati («Quando gli immigrati vengono sfruttati, come è stato il caso di “Mafia Capitale”, e se questo, è evidente, diventa un business per fare soldi e non per aiutare le persone c’è un problema»), alla famiglia («Ci sarà un’attenzione ai servizi che da sempre, purtroppo, scontano le politiche dei tagli, perché fino a oggi invece di tagliare gli sprechi si andava a tagliare i servizi»), dal risanamento dell’Atac alle sanzioni a carico dei «furbetti», dalle buche sulla strada ai rifiuti, dagli impianti sportivi alle Olimpiadi: «Se i romani, che fino a oggi in campagna elettorale non mi hanno mai parlato di Olimpiadi, mi dovessero chiedere un referendum lo valuteremo».
Virginia Raggi si è recata oggi dal Papa a meno di dieci giorni dal ballottaggio, il 22 giugno, dove ha battuto col 67,15% dei voti (oltre 770mila preferenze) il candidato del Pd Roberto Giachetti (32,85% dei voti con meno di 377mila preferenze), e prima ancora di aver completato la formazione della sua Giunta. Il Papa, che nel corso della mattinata ha poi ricevuto il cardinale Raffaele Martino e il fondatore dei neocatecumenali Kiko Arguello, dovrebbe interrompere da oggi le udienze pubbliche e private nel corso del mese di luglio.
GRAZIE A PAPA BERGOGLIO, GLI ABBIAMO PORTATO LA VOCE DELLA ROMA DIMENTICATA
Oggi ho avuto il piacere e l’emozione di essere ricevuta da Papa Francesco, al quale in dono ho voluto portare la voce della Roma dimenticata: una video-raccolta di messaggi, appelli, inviti e testimonianze delle periferie più in difficoltà della Capitale.
Da Ostia a Corviale, passando per San Basilio e Tor Bella Monaca, decine di romani hanno voluto esprimere la loro vicinanza e le loro richieste al Santo Padre augurandogli di andare avanti con quanto sta facendo.
Questo è stato il nostro pensiero, farci testimoni di quelle voci, con l’auspicio che questo cammino comune rappresenti un sostegno soprattutto per quella parte di città abbandonata, che vuole e deve, tornare a farsi sentire.
la vicenda di Emanuela Salvatori: sotto accusa anche il marito. Accettarono soldi e favori da imprenditori delle cooperative. Coinvolti tre politici del Pdl. In tutto gli iscritti a «modello 21» sono 78, fra cui il presidente dell’Opera Nomadi
Secondo i pm De Santis, Golfieri, Lasperanza, Ielo e Tescaroli, Derla, avrebbe fatto pressioni perché gli imprenditori incaricati dal Campidoglio – fornitori delle coop come Buzzi ma anche come Roberto Chierici – assumessero la neolaureata figlia della Salvatori nelle coop o facessero pubblicità sulle tv locali «controllate» da Chierici alla sua attività. Il medico sarebbe stato anche a conoscenza delle nove buste con banconote in contanti versate da Chierici in persona (e dagli altri imprenditori coinvolti) alla Salvatori. Somme trascritte nel libro nero delle tangenti amministrato dalla contabile di fiducia della 29 giugno Nadia Cerrito e destinate dalla funzionaria capitolina a spese in famiglia.
Attorno ai Salvatori-Derla si sarebbe coagulato un intero quartiere e una categoria di professionisti. Anche il medico di base della Salvatori è nell’elenco dei denunciati. Si tratta di Vincenzo Pazzetta, a sua volta specializzato in cure a domicilio o altri servizi, incluse le cure dentarie oltrefrontiera presso un suo ambulatorio in Croazia (è tutto sul suo sito online).
A questa fiera della micro corruzione i funzionari capitolini avrebbero partecipato in forze, così almeno si ricava dai numeri dell’informativa degli investigatori. Su 78 indagati complessivi, quindici sono funzionari capitolini e tre sono politici. Fra gli ultimi spiccano i nomi di Calogero «Gero» Nucera, capo staff del Pd all’assemblea capitolina, Francesco D’Ausilio ex capogruppo del Pd in Campidoglio, Enzo Foschi, capo segreteria di Ignazio Marino poi dimessosi. Il numero è provvisorio perché in quell’elenco ci sono 26 nomi secretati da omissis. E poiché gli investigatori hanno preso in esame soprattutto le delibere con gli stanziamenti fuori bilancio approvate in aula, è possibile che dagli omissis spunti qualche nome di politico. Tra gli imprenditori finiti in carcere c’è Salvatore Di Maggio del consorzio coop Bastiani.
Quanto ai dipendenti infedeli della macchina amministrativa, cinque sono dirigenti di primo livello. Poi ci sono quadri e impiegati. Fra questi c’è il caso di Alessandra Morgillo, collaboratrice della Salvatori alla quale si contesta un episodio simile. In cambio di una determinazione dirigenziale favorevole all’imprenditore Roberto Chierici, la Morgillo avrebbe chiesto a Chierici l’assunzione della figlia «presso un’impresa di servizi operante all’interno dell’aeroporto di Fiumicino». Fra gli altri funzionari Eliseo De Luca, Vito Fulco, Nicola Ciano, Claudio Verna (responsabile del centro di Accoglienza di via Salaria) Francesco Scollo, Francesco Gagliardi, Lucia Laccertosa, Claudio Zaccagnini, Giovanna Fornari, Elisabetta Marconi, Giacomo Zarelli. Mentre fra i dirigenti spunta il nome di Isabella Cozza, Ivana Bigari, Stefano Giulioli.
Nell’inchiesta, praticamente complementare al filone di Mafia Capitale che ricostruiva l’infiltrazione criminale nei ranghi dell’assessorato alle politiche sociali, c’è spazio anche per una riflessione su capipopolo e interlocutori della pubblica amministrazione. Come Kasim Cizmic che da carismatico vicepresidente dell’associazione Opera Nomadi aveva dato voce alle famiglie sgomberate dal campo di vicolo Salvini. Oggi, sempre secondo la procura, avrebbe invece orchestrato le emergenze per favorire alcuni fornitori di servizi ai campi rom.
Infine Massimo Converso, responsabile di Opera Nomadi. Già chiacchierato per i campi autogestiti e per la disinvoltura con cui avrebbe organizzato i lavori di pulizia e manutenzione senza pagare (o pagati con gran ritardo) i lavoratori, ora è nel mirino dei magistrati per concorso in corruzione. Nell’inchiesta sono state coinvolte anche sette cooperative sociali, oltre alla Domus Caritatis (citata in mafia Capitale) compaiono anche Bottega Solidale tramite il suo legale rappresentate Mario Ubaldo Pucci Barlaam e la cosiddetta «unità di strada» San Saturnino, gestita da Alessandro Giorgio Prosposito. Infine, Roman Obradovic gestore di fatto del Centro di Accoglienza di via Visso.
LETTERA APERTA A VIRGINIA RAGGI SINDACO DI ROMA CAPITAL
‘nazione rom’
Sindaco Virgina Raggi, chiediamo il rispetto della legalità: unitamente a questa lettera le inviamo “la bozza di delibera”. Chiediamo alla sua autorità di varare il Tavolo RSC, un organismo di governo democratico e con regole chiare e trasparenti per tutti. Il denaro pubblico stanziato dall’UE all’Italia (32 miliardi di euro per il periodo 2014 – 2020 di cui il 20% destinato al sociale) deve essere speso nel modo giusto, corretto e secondo quanto scritto nei programmi finanziati . Il resto è ancora Mafia Capitale
Virginia Raggi Sindaco di Roma Capitale
https://www.youtube.com/watch?v=B2wvN1ZXk2M
Gentile Virginia Raggi,
vogliamo farle i nostri complimenti per la vittoria elettorale a Sindaco di Roma Capitale, più che una vittoria un vero e proprio plebiscito. Appena eletta dai cittadini lei ha dichiarato “si apre una nuova era, sarò il sindaco di tutti”.
Da oggi lei assume la responsabilità di amministrare la città nel rispetto di leggi e regole. Vogliamo condividere con lei e con l’intero nuovo Consiglio Comunale un cammino da fare insieme, passo dopo passo. E’ ora di lavorare per ricostruire Roma.
Negli ultimi anni la città è caduta nelle mani della mafia che ha fatto affari sopra la pelle di tutti i cittadini, soprattutto sopra la pelle e la vita dei più poveri, degli esclusi, degli emarginati. Da anni chiediamo a Roma Capitale di rispettare le regole e gli accordi quadro strutturali di inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti (RSC).
Roma Capitale – Campidoglio
Da quegli accordi è stata varata una Strategia Nazionale con l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali UNAR (Presidenza del Consiglio dei Ministri) punto di contatto nazionale. Questa strategia prevede precisi schemi di governance. In pratica a Roma Capitale e nelle città di Napoli, Milano, Torino, Venezia dovevano nascere dei Tavoli di Inclusione composti dai rappresentanti delle amministrazioni e dai rappresentanti RSC. Questi organismi istituzionali avrebbero dovuto decidere le politiche di inclusione su casa, lavoro, scuola e sanità permettendo il superamento dei campi e la piena inclusione sociale. Avrebbero dovuto, perchè, a distanza di quattro anni, questi tavoli non sono mai nati.
schema di governance della strategia nazionale di inclusione
dei Rom, Sinti e Caminanti – Unar
Ci ha provato la precedente giunta del Sindaco Ignazio Marino: per mesi, dopo lo scandalo di Mafia Capitale, l’Assessorato al Sociale di Francesca Danese ha lavorato con i nostri delegati per approntare la delibera che avrebbe istituito il tavolo. Il Partito Democratico non ha permesso a quella giunta di votare la sua istituzione, hanno però votato la decadenza del Sindaco eletto dai cittadini.
Subito dopo è stato chiesto al Commissario Prefettizio Francesco Paolo Tronca di approvare questo documento urgente. Nessuna risposta è giunta alla nostra richiesta. Nei mesi successivi Roma Capitale ha messo al bando la somma di 8,5 milioni di euro per riperpretare il sistema dei campi. Abbiamo formalmente diffidato il Commissario a proseguire preannunciando azioni legali presso l’Autorità Nazionale Anticorruzione e presso la Commissione Europea.
legittima rappresentanza dei Rom, Sinti e Caminanti
Sindaco Virgina Raggi, chiediamo il rispetto della legalità: unitamente a questa lettera le inviamo “la bozza di delibera”. Chiediamo alla sua autorità di varare il Tavolo RSC, un organismo di governo democratico e con regole chiare e trasparenti per tutti. Il denaro pubblico stanziato dall’UE all’Italia (32 miliardi di euro per il periodo 2014 – 2020 di cui il 20% destinato al sociale) deve essere speso nel modo giusto, corretto e secondo quanto scritto nei programmi finanziati . Il resto è ancora Mafia Capitale.
Da un “campo rom” a Roma, dove per sopravvivere la sua famiglia si vedeva costretta a chiedere l’elemosina per strada, all’università La Sorbona di Parigi, una delle più prestigiose d’Europa, dove studia per diventare magistrato.
È la storia di Anina Ciuciu, giovane rom rumena di 26 anni, che nei prossimi giorni, dopo ben 19 anni, rimetterà piede a Roma per partecipare ad alcuni eventi organizzati da Associazione 21 luglio in occasione della Giornata Internazionale dei Rom e Sinti, che si celebra l’8 aprile di ogni anno.
Venerdì 8 aprile, in Senato, nel corso di un dibattito che seguirà la proiezione al pubblico del film “Gitanistan. Lo Stato immaginario delle famiglie rom salentine” – Sala dell’Istituto Santa Maria in Aquiro, Piazza Capranica 72, Roma, ore 18.30 – Anina racconterà la sua storia
Parlerà della vita di stenti che ha dovuto affrontare quando, all’età di sette anni, è dovuta scappare dal suo Paese, la Romania, per raggiungere l’Italia e Roma. Parlerà di come si sentiva a ritrovare la sua vita, la sua infanzia e i suoi sogni soffocati, seppur per qualche mese, nella dinamica ghettizzante e discriminatoria del “campo rom”. Chissà, se fosse rimasta in quella baraccopoli probabilmente avrebbe continuato a mendicare per sopravvivere, condannata a una esistenza di difficoltà e degrado, di esclusione sociale e rinuncia ai propri sogni e alle proprie aspirazioni.
Andrà ascoltata con attenzione la testimonianza di Anina, la cui autobiografia dal titolo “Je suis Tzigane et je le reste” è già stata pubblicata in Francia, perché ci dimostra che vivere in un ghetto quale è un “campo rom” non è frutto della scelta e dei desideri di una famiglia rom, bensì l’effetto devastante di politiche discriminatorie su base etnica che in Italia, e nella Capitale in particolare, sono state ritagliate su misura per i rom, basandole sul presupposto infondato del presunto nomadismo di famiglie che non vorrebbero vivere come tutti gli altri, in una casa, nella societ
Da quella baraccopoli romana, nel lontano 1997, Anina e la sua famiglia riuscirono ad andar via e a trasferirsi in Francia dove, grazie all’iniziale aiuto di due donne, trovarono un appartamento. Anina è andata a scuola, ha studiato il francese, si è laureata in giurisprudenza e ora frequenta un master alla Sorbona. Dice di sentirsi profondamente francese, oltre che rom e rumena. Europea nell’essenza, insomma.
Ha avuto una opportunità Anina e l’ha colta al volo. Così come l’ha colta la sua famiglia. Quelle stesse opportunità che invece la politica della ghettizzazione nelle baraccopoli romane annienta in modo inesorabile. E con esse i sogni, le speranze e il futuro delle persone
IL DISCORSO DI NUOVA PROPOSTA LETTO DA CATERINA DAL PALCO DEL ROMA PRIDE 2014
“Lo slogan della campagna di comunicazione del Roma Pride di quest’anno e’ “ci ved…iamo fuori!”.
Fuori, alla luce del sole, senza nascondersi più, perché le nostre esistenze sono belle, degne e piene come quelle di ogni altra persona, e allo stesso modo dovrebbero essere protette e incoraggiate da uguali diritti e responsabilizzate da uguali doveri.
Noi di Nuova proposta, donne e uomini omosessuali cristiani, da tempo abbiamo fatto nostra questo stile di vita e di pensiero.
Ci sentiamo parte del popolo di Dio che cammina e vogliamo favorire il cambiamento tra le comunità cristiane che sono ancora troppo disinformate e spesso incapaci di accogliere e sentire veramente come “fratello o sorella” una persona omosessuale o transessuale. Noi, questo cambiamento, cerchiamo di promuoverlo dall’interno delle comunità stesse.
Negli ultimi anni ci stiamo impegnando per “portare fuori” le nostre storie di vita e proporre percorsi nuovi di accoglienza dentro le parrocchie, dentro i gruppi e le associazioni cristiane, proponendoci come interlocutori di un dialogo che sappiamo può essere anche duro e doloroso, ma che riteniamo indispensabile.
Accogliere significa entrare in relazione profonda con una persona, senza giudicare, senza porre condizioni, significa rispettare l’altra persona, i suoi desideri, la sua affettività e contribuire con ogni mezzo al dispiegarsi delle sua energie vitali, dei suo sogni,che sono qualcosa di sano e prezioso e possono essere importanti e utili per tutti, per il bene della società.
E’ finito il tempo di aspettare passivamente cambiamenti nel mondo cristiano o legittimazioni dall’alto.
Abbiamo capito che il cambiamento si realizza solo mettendosi in gioco, proponendo, mettendo in circolo le proprie esperienze, le proprie esistenze, trasformandole in occasione di crescita per la comunità intera.
Oggi più che mai,siamo di fronte a un’opportunità di cambiamento e crescita.
La domanda che si e’ rivolto spontaneamente il vescovo Francesco “chi sono io per giudicare un gay?” – comunque la si pensi – è stato un balsamo per molte persone, ma deve ora diventare un cambiamento concreto.
Quella sospensione di giudizio non basta!
Deve evolvere in crescita delle comunità cristiane nella loro capacità concreta di accogliere, incoraggiare, rispettare le persone omosessuali e transessuali nel loro desiderio di una vita piena, come tutte le persone che ancora oggi si trovano emarginate ed escluse a causa dei sistemi di potere.
La nostra speranza, per cui continuiamo a lottare, è quella che di realizzare il progetto di libertà e di umanità proposto da Gesù 2000 anni fa: guardare ogni persona con gli occhi del cuore e non con quelli della legge, lottare perché chi viene lasciato indietro dalla società dei potenti, possa camminare a testa alta con la propria dignità di essere umano.
Gesù camminava e predicava “fuori”, per le strade, non nel tempio.
Dobbiamo continuare,tutti insieme, lesbiche , gay, etero, transessuali, credenti e non credenti a stare “fuori”, a produrre bellezza e speranza, a dialogare con tutti, a proporre valori nuovi e a lottare per diritti e doveri uguali per tutti!”!
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