il commento al vangelo della domenica

l’abbraccio di Anna e Simeone al bambino Gesù

il commento di E. Ronchi al vangelo della domenica fra l’ottava di natale – anno B

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore. (…) Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio. (…)

Maria e Giuseppe portarono il Bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore. Il figlio è dato ai genitori, ma subito da loro è offerto ad un altro sogno, ad un’altra strada che si apre per lui. I figli non sono nostri, appartengono a Dio, al mondo, ad una loro vocazione, «essi abitano case future che nemmeno in sogno potrete visitare» (K. Gibran).

Salgono al tempio, ma ancora sulla soglia, altre braccia subito se lo contendono, quel bambino. E non sono braccia di sacerdoti o di leviti, ma quelle di due anziani, che non hanno ruolo nell’istituzione ma sono due innamorati di Dio. Occhi velati dalla vecchiaia, ma ancora accesi dal desiderio. È la vecchiaia del mondo che abbraccia l’eterna giovinezza di Dio. L’alternativa vera per i credenti non è tra progressisti o conservatori, ma tra innamorati e abituati (papa Francesco), tra accesi e accomodati. Gesù non appartiene al tempio, appartiene all’uomo, a chiunque ne sia assetato, è di quelli che sanno vedere oltre come Anna; è di quelli che non smettono di sognare, come Simeone, che sentono Dio come il loro futuro. Simeone prende in braccio Gesù e benedice Dio. Compie un gesto sacerdotale, una autentica liturgia, possibile a tutti, un arte straordinaria. Un anziano, diventato onda di speranza, una laica sotto l’ala dello Spirito benedicono: la benedizione non è un ufficio d’élites, ma esubero di gioia che ciascuno può offrire a Dio (R. Virgili), che sta nelle case fuori dal tempio. È Dio che si incarna nelle creature, nella vita che finisce e in quella che fiorisce. Anche Maria e Giuseppe sono benedetti, si comportano secondo le regole ma al tempo stesso accolgono l’imprevisto, rassicurati dal rito e stupiti dai due profeti. Poi Simeone dice tre parole immense su Gesù: egli è qui come caduta, risurrezione, come segno di contraddizione. Tre parole che danno respiro e movimento alla vita, con dentro il luminoso potere di far vedere che tutte le cose sono ormai abitate da un oltre.

Gesù come caduta. Caduta dei nostri piccoli o grandi idoli, rovina del nostro mondo di maschere e bugie, della vita insufficiente e malata. Venuto a rovinare tutto ciò che rovina l’uomo, a portare spada e fuoco per tagliare e bruciare ciò che è contro l’umano.

Egli è qui per la risurrezione: è la forza che ti fa rialzare quando credi che per te è finita, che ti fa ripartire anche se hai il vuoto dentro e il nero davanti agli occhi. Perché vivere è l’infinita pazienza di ricominciare.

Cristo contraddizione che contraddice tutta la mia mediocrità, tutte le mie idee sbagliate su Dio.

Ogni famiglia è grande ha il dovere di credere alla propria nobiltà e santità, che si gioca in una casa, ma che coinvolge il mondo.

(Letture: Genesi 15,1-6; 21,1-3; Salmo 104; Lettera agli Ebrei 11,8.11-12.17-19; Luca 2,22-40)

il commento al vangelo della domenica

BEATA LA CASA DOVE SI IMPARA A SCONFINARE
il commento di E Ronchi al vangelo della domenica della Santa Famiglia
Maria e Giuseppe cercano per tre giorni il loro ragazzo, avanti e indietro per la città.
Quel padre e quella madre angosciati ci sono vicini in questa fragilità che conosciamo bene.
Maria più che rimproverare il figlio, vuole capire: perché ci hai fatto questo?
Perché una spiegazione c’è sempre, e forse più bella e semplice di quanto temevi.
Un dialogo senza accuse: di fronte ai genitori, che ci sono e si vogliono bene – le due cose che importano ai figli – c’è un ragazzo che ascolta e risponde.
Grande cosa il dialogo, anche faticoso! Se le cose sono difficili a dirsi, a non dirle si scavano buie gallerie.
Non sapevate che devo occuparmi d’altro da voi?
I figli non sono nostri, appartengono a Dio, al mondo, alla loro vocazione, ai loro sogni. Un figlio non deve impostare la propria vita in funzione dei genitori, si fermerebbe così la ruota della creazione.
Non lo sapevate? Ma come, me lo avete insegnato voi il primato di Dio! Madre, tu mi hai insegnato ad ascoltare angeli! Padre, tu mi hai raccontato che talvolta la vita dipende dai sogni!
Ma essi non compresero.
Famiglia santa per definizione, eppure in cammino. Santi e profeti che non capiscono neppure la loro stessa casa. Ma ecco il tesoro nascosto: «sua madre conservava con cura tutte queste cose», serbava attenta le parole di Dio e i fatti della vita, li teneva nel cuore perché si dipanasse un giorno, dal loro confronto, il filo d’oro che li avrebbe spiegati e illuminati, legandoli assieme.
Gesù lascia i maestri della Legge e torna a casa con i genitori, suoi maestri di vita. Per anni impara l’arte di essere uomo guardandoli vivere: lei teneramente forte, mai passiva; lui padre non autoritario, che sa anche tirarsi indietro.
Come poteva altrimenti trattare le donne con quel suo modo sovranamente libero?
E inaugurare relazioni nuove tra uomo e donna, paritarie e senza paure?
Le beatitudini Gesù le ha viste tutte in quella casa, le ha imparate da loro: erano poveri, giusti, puri nel cuore, miti, costruttori di pace, con viscere di misericordia per tutti. E il loro parlare era: sì, sì; no, no. Stava così bene con loro, che con Dio adotta il linguaggio di casa, e lo chiama: abbà, papà.
Un amore vivo e potente, incarnato e quotidiano, che vive nella carezza, nel cibo preparato, nel nomignolo affettuoso, nella parola scherzosa che scioglie le tensioni, nella pazienza di ascoltare, nel desiderio di abbracciarsi.
A questo vangelo non chiederò consigli spiccioli per vivere, chiederò invece le cose di Dio: non vantare diritti di possesso sui figli, conservando nel cuore ciò che oggi non si capisce, perché un giorno la risposta verrà, e sarà luce.
Beata la famiglia dove si impara a sconfinare, verso gli uomini e verso Dio.
Beata la casa dove i figli imparano l’arte più importante quella di amare, l’arte che li farà felici.

il commento al vangelo della domenica

vecchiaia del mondo e giovinezza eterna di Dio


Vecchiaia del mondo e giovinezza eterna di Dio
il commento di Ermes Ronchi al vangelo della domenica della   Santa Famiglia di Gesù  Giuseppe e Maria – Anno B


Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore
– com’è scrittonella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi (…). Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo (…) gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore (…).

Portarono il Bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore.
Una giovanissima coppia e un neonato che portano la povera offerta dei poveri: due tortore, e la più preziosa offerta del mondo: un bambino. Vengono nella casa del Signore e sulla soglia è il Signore che viene loro incontro attraverso due creature intrise di vita e di Spirito, due anziani, Simeone e Anna, occhi stanchi per la vecchiaia e giovani per il desiderio: la vecchiaia del mondo accoglie fra le sue braccia l’eterna giovinezza di Dio. E la liturgia che si compie, in quel cortile aperto a tutti, è naturale e semplice, naturale e perciò divina: Simeone prende in braccio Gesù e benedice Dio. Compie un gesto sacerdotale, una autentica liturgia, possibile a tutti. Un anziano, diventato onda di speranza, una laica sotto l’ala dello Spirito benedicono Dio e il figlio di Dio: la benedizione non è un ufficio d’élites, ma esubero di gioia che ciascuno può offrire a Dio (R. Virgili). Anche Maria e Giuseppe sono benedetti, tutta la famiglia viene avvolta da un velo di luce per la benedizione e la profezia di quella coppia di anziani laici, profeti e sacerdoti a un tempo: la benedizione e la profezia non sono riservate ad una categoria sacra, abitano nel cortile aperto a tutti. Lo Spirito aveva rivelato a Simeone che non avrebbe visto la morte senza aver prima veduto il Messia. Parole che sono per me e per te: io non morirò senza aver visto l’offensiva di Dio, l’offensiva della luce già in atto dovunque, l’offensiva mite e possente del lievito e del granello di senape. Poi Simeone dice tre parole immense su Gesù: egli è qui come caduta, risurrezione, come segno di contraddizione. Gesù come caduta. Caduta dei nostri piccoli o grandi idoli, rovina del nostro mondo di maschere e bugie, della vita insufficiente e malata. Venuto a rovinare tutto ciò che rovina l’uomo, a portare spada e fuoco per tagliare e bruciare ciò che è contro l’umano. Egli è qui per la risurrezione: è la forza che ti fa rialzare quando credi che per te è finita, che ti fa partire anche se hai il vuoto dentro e il nero davanti agli occhi. È qui e assicura che vivere è l’infinita pazienza di ricominciare. Cristo contraddizione del nostro illusorio equilibrio tra il dare e l’avere; che contraddice tutta la mia mediocrità, tutte le mie idee sbagliate su Dio. Caduta, risurrezione contraddizione. Tre parole che danno respiro e movimento alla vita, con dentro il luminoso potere di far vedere che tutte le cose sono ormai abitate da un oltre. La figura di Anna chiude il grande affresco. Una donna profeta! Un’altra, oltre ad Elisabetta e Maria, capaci di incantarsi davanti a un neonato perché sentono Dio come futuro.
(Letture: Genesi 15, 1-6; 21,1-3; Salmo 104; Ebrei 11,8.11-12.17-19; Luca 2, 22-40)

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